Il Comune (salvo il caso delle “zone bianche”) non è tenuto a rispondere alle istanze di modifica del PRG
La sentenza del TAR Veneto n. 1087 del 2013decide un ricorso in matweria di silenzio della P.A.
Nel caso specifico, la ricorrente, proprietaria di un fondo a destinazione industriale artigianale di completamento, volendo dar corso ad un intervento di complessiva ristrutturazione urbanistica di tale area attraverso un piano di recupero, ha proposto azione intesa al superamento del silenzio serbato dal Comune sull’istanza dalla stessa presentata - avente ad oggetto la richiesta di modifica parziale al PRG, al fine della individuazione dell’ambito di degrado ex lege 457/1978, propedeutica all’approvazione del Piano di Recupero.
Il TAR dichiara il ricorso inammissibile, con la seguente motivazione: "Infatti, l’art. 2 della L. n. 241/1990, quando impone alle amministrazioni pubbliche di concludere tutti i procedimenti mediante l’adozione di provvedimenti espressi entro il termine fissato dalla legge, si riferisce espressamente ai casi in cui tali procedimenti conseguano obbligatoriamente ad una istanza di parte ovvero debbano essere iniziati d’ufficio. Nel caso di specie, come correttamente osservato dalla difesa del Comune, il procedimento in questione, di approvazione di una variante urbanistica diretta ad individuare una zona di degrado nel territorio comunale, è per sua natura rimesso all’iniziativa esclusiva della P.A., regolato da termini puramente ordinatori e caratterizzato da valutazioni complesse e contenuti altamente discrezionali. A fronte di tale procedimento, il privato non vanta alcuna posizione di interesse legittimo ma una mera aspettativa alla reformatio in melius: sì che in tal caso, all’attesa del privato non corrisponde alcun obbligo di provvedere da parte della P.A. . Invero, il giudizio disciplinato dagli artt. 31 e 117 c.p.a. postula pur sempre l’esercizio di una potestà amministrativa, rispetto alla quale la posizione del privato si configura come un interesse legittimo: solo in tale prospettiva, infatti, trova razionale giustificazione la ratio del predetto giudizio, volto ad accertare se l’amministrazione abbia, con il silenzio, violato il predetto obbligo di provvedere (cfr. Cons. St. n. 3640/2006). Nel caso in esame, la ricorrente, dunque, non può essere considerata titolare di una posizione di interesse legittimo al fine di ottenere una determinazione dell’amministrazione in ordine all’istanza di adozione di una variante urbanistica per la classificazione di un certo ambito come di degrado ex lege 457/78, trattandosi di attività di regolamentazione urbanistica, rimessa alle valutazioni politico-discrezionali dell’amministrazione comunale. Per altro verso, l’amministrazione (salvo il caso delle “zone bianche”) non è tenuta giuridicamente a determinarsi in relazione alle richieste di variante della strumentazione esistente. Ne consegue che in mancanza di tali fondamentali presupposti, anche se l’amministrazione, nel caso di specie, ha attivato il procedimento per l’approvazione della variante, non si può per ciò solo ritenere che l’interesse ad una rapida definizione del medesimo procedimento sia assistito dalla tutela giuridica avverso il silenzio-inadempimento".
Domanda: ma allora il cittadino non può fare niente se la P.A. in questi casi non risponde? Non si potrebbe pensare che, se la P.A. adotta una variante, almeno in questo caso deve poi dire se la approva oppure no? Detto in altri termini: la posizione giuridica dell'istante è identica prima e dopo l'adozione?
Dario Meneguzzo
E se uno presenta un toco de carta da formajo chiedendo una variante al Piano Regolatore Comunale va pubblicato per la trasparenza ?
Considerato che il pagamento dell’IMU/ICI decorre dall’adozione di una variante urbanistica, potrebbe essere una buona idea (per fare cassa), adottare una variante “molto generosa” e poi non dar seguito alla sua approvazione…
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