Cambio d’uso nella Città antica di Venezia: la riforma Salva casa dev’essere interpretata rispettando l’unicità della Serenissima
Nel caso di specie, il privato presentava al Comune di Venezia una SCIA volta al cambio di destinazione d’uso del suo immobile in Zona A, da residenziale a turistico, ai sensi dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, nel testo vigente dopo la cd. riforma Salva casa.
Il Comune inibiva il cambio d’uso, ritenendo che i commi 1 ter-quater dell’art. 23-ter cit. facciano salve le normative di settore e le norme degli strumenti urbanistici comunali che fissino specifiche condizioni. Nello specifico, ostava al cambio d’uso il fatto che la scheda del PRG relativa all’immobile non prevedesse la destinazione turistico-ricettiva, nonché che il regolamento edilizio richiedesse un accesso separato per le attività ricettive e determinati obblighi relativi agli scarichi delle acque reflue. Non bastasse, lo strumento urbanistico prevede che l’insediamento e l’ampliamento dell’attività ricettiva alberghiera e complementare siano autorizzati con deliberazione consiliare, ove il Comune ne ravvisi il pubblico interesse.
Il TAR Veneto ha respinto il ricorso del privato.
La richiesta del privato cozzava con lo spirito informatore della novella legislativa che ha condotto alla modifica dell’art. 23-ter d.P.R. 380/2001 e, prima ancora, con il canone della «natura delle cose» (sic), così come inteso da un’autorevolissima dottrina che ne predica l’applicazione anche nel campo del diritto amministrativo.
Siffatto stato delle cose contribuisce a delineare quell’unicità del contesto della realtà veneziana, dove una normativa nazionale – diretta sia a semplificare sia a stimolare un andamento positivo dei valori sia di acquisto che di locazione dei beni immobili ad uso residenziale – è andata ad impattare, misurandosi con disposizioni legislative regionali ovvero regolamentari comunali che, da sempre, mirano a preservare la Città antica di Venezia favorendo, ormai da tempo, l’uso residenziale.
In ambiti di così alto pregio storico-artistico, i fattori che ostano a un’applicazione tranchant della nuova disciplina sono molteplici: la chiara vocazione della riforma Salva casa alla tutela del fabbisogno abitativo; l’esistenza di un ordito normativo stratificatosi nel tempo a presidio dello spopolamento della Città e contro lo sviluppo incontrollato di attività turistico-ricettive; l’ammissibilità di un diverso utilizzo dell’unità immobiliare, per il tramite del mutamento della destinazione d’uso, purché conforme a quello caratterizzante in modo prevalente l’immobile ove la stessa singola unità è ubicata.
Da parte sua, il legislatore regionale ha riscritto l’art. 42-bis l.r. Veneto 11/2004 stabilendo, in sostanza, l’efficacia condizionante degli strumenti urbanistici vigenti (cfr. commi 4 e 8 art. cit.).
In definitiva, tra tutte le opzioni ermeneutiche possibili relative all’art. 23-ter d.P.R. 380/2001, è da preferire, in quanto maggiormente compatibile con lo spirito della norma emendata, quella che fa salve le specifiche prescrizioni contenute nello strumento urbanistico vigente notoriamente finalizzate a salvaguardare l’«assetto territoriale della convivenza» così come disegnato nel tempo, al di là dell’uso in concreto delle singole unità immobiliari destinate alla residenzialità in senso stretto ovvero allo svolgimento di un’attività ricettiva complementare.
Post di Alberto Antico – avvocato
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