Il Permesso di Costruire è davvero irrevocabile?

04 Nov 2014
4 Novembre 2014

Secondo il T.A.R. Trento no. L’art. 11, c. 2 del D.P.R. n. 380/2001 (“2. Il permesso di costruire è trasferibile, insieme all’immobile, ai successori o aventi causa. Esso non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio. E’ irrevocabile ed è oneroso ai sensi dell’articolo 16”), infatti, deve essere coordinato con l’art. 21 quinquies della L. n. 241/1990 (“1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. 1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”). Di conseguenza, al ricorrere dei presupposti di cui supra, anche il Permesso di Costruire può essere revocato.

Ecco il passo della sentenza n. 365 del 2014: “9.1. Resta dunque da esaminare la prima parte del primo motivo, con il quale i ricorrenti affermano che il provvedimento gravato è illegittimo perché dispone la “revoca” della concessione edilizia quando tale titolo abilitativo è, ex lege, “irrevocabile”: art. 11, comma 2, del testo unico in materia di edilizia (D.P.R. 6.6.2011, n. 380), e art. 103, comma 7, della l.p. 1/2008.

9.2. Ora, dopo la doverosa precisazione che la concessione edilizia, nella legislazione nazionale denominata permesso di costruire, rimuove il limite allo ius aedificandi riconosciuto in sede di pianificazione urbanistica (cfr., C.d.S., sez. IV, 25.5.2011, n. 3134), occorre osservare che il Legislatore ha intenzionalmente voluto specificare che la concessione edilizia, una volta rilasciata, è irrevocabile perché il titolo non può più essere ritirato dall’Amministrazione a causa di una nuova valutazione degli interessi:

- sulla base di una diversa valutazione degli elementi che hanno portato a staccare il titolo edilizio;

- per la sopravvenienza di motivi, anche di interesse pubblico, alla luce dei quali potrebbe non apparire più opportuno che si edifichi in quel luogo;

- alla luce di una possibile rivalutazione degli interessi urbanistici che avevano condotto a classificare edificabile quell’area.

Costituiscono corollario alla regola dell’irrevocabilità del titolo edilizio le disposizioni in tema di salvaguardia di una nuova pianificazione, e precisamente:

- quelle che stabiliscono che a decorrere dall’adozione di un progetto di p.r.g., o di una sua variante, sono sospese le determinazioni sulle domande di concessione edilizia;

- quelle che prevedono che l’entrata in vigore di una nuova disciplina sulla pianificazione locale non comporta la decadenza di una concessione edilizia se i lavori non sono stati sospesi durante il periodo di salvaguardia e se sono iniziati al momento dell'entrata in vigore delle nuove previsioni (cfr., art. 35 della l.p. 1/2008).

9.3. Tuttavia, è noto che l’istituto della revoca ha un ampio ambito di applicazione (invero, molti atti di ritiro sono, talvolta anche impropriamente, definiti di revoca) e che nell’art. 21 quinquies della l. n. 241 del 1990 il Legislatore ha recepito gli esiti del dibattito giurisprudenziale e dottrinario codificando l’istituto della revoca per plurime ragioni: atto di autotutela decisoria; revoca-decadenza c.d. sanzionatoria; revoca per sopravvenienza, cioè per mutamento del substrato di fatto della decisione amministrativa.

In sintesi, con l'art. 21 quinques il Legislatore ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti alternativi che ne legittimano l'adozione, costituiti da : a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell'interesse pubblico originario(cfr., C.d.S., sez. V, 6.10.2010, n. 7334).

9.4. Tornando al caso in esame, occorre ancora premettere che, nella prassi amministrativa, il termine revoca viene spesso utilizzato genericamente per indicare un qualsiasi provvedimento di ritiro.

È allora evidente che occorre prescindere dal nomen iuris attribuito all’atto e che bisogna analizzare in concreto il potere esercitato (cfr., in tal senso, C.d.S., sez. VI, 27.7.2010, n. 4902). Di conseguenza, per giungere ad una corretta qualificazione dell'atto e quindi all'individuazione del regime giuridico applicabile, occorre fare riferimento allo specifico contenuto dell’atto piuttosto che alla sua formale qualificazione.

Ebbene, nel caso che qui ci occupa, dall'approfondita lettura delle premesse dell'atto di “revoca della concessione edilizia n. 8/2013”, emerge la sostanza di un atto con cui l'Amministrazione, accertata la sopravvenuta impossibilità di realizzare i lavori autorizzati di risanamento conservativo della p.ed. 677, a causa della sopravvenuta mancanza dell’edificio da risanare - visto che lo stesso era stato illegittimamente demolito completamente - ha ritenuto di dover prendere atto che con la demolizione della p.ed 677 era “mutata sostanzialmente la situazione di fatto”, posta a presupposto della concessione edilizia di risanamento; pertanto, quel titolo edilizio non era “più idoneo a permettere il risanamento di un edificio ora non più esistente”.

In altri termini, è stato accertato che il provvedimento amministrativo era divenuto privo, per impossibilità sopravvenuta, di causa ed oggetto, e ciò senza operare alcun ripensamento né alcuna nuova comparazione in ordine al bilanciamento dei contrapposti interessi.

9.5. In definitiva, venuto meno l'edificio da risanare, l'Amministrazione ha semplicemente e legittimamente preso atto del mutamento della situazione di fatto che aveva dato causa all’originario titolo abilitativo, ex comma 1 dell’art. 21 quinquies della l. 241/1990 (cfr., in termini, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 19.10.2011, n. 2478).

Ne consegue, a corollario, che sebbene la demolizione dell’immobile sia stata volontariamente posta in essere dagli stessi ricorrenti, alcun intento sanzionatorio è stato perseguito dall’Amministrazione, la quale, asetticamente, si è limitata a prendere atto che la concessione edilizia era rimasta priva della causa e dell’oggetto per la quale era stata rilasciata”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Trento 365 del 2014

 

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