Il termine per impugnare il titolo edilizio da parte del confinante non decorre sempre e necessariamente da un suo accesso agli atti
Il TAR Veneto ribadisce che il termine per impugnare il titolo edilizio del confinante non decorre sempre e necessariamente da un suo accesso agli atti. Nel caso esaminato, al momento della presentazione di tale istanza di accesso agli atti, i lavori assentiti con tale permesso di costruire erano già iniziati da oltre un mese (dal 30 aprile 2013) ed erano sicuramente conosciuti dal ricorrente che risiedeva nel terreno confinante e aveva sempre mantenuto una costante vigilanza sugli interventi in questione. Il vicino, pertanto, era in grado di conoscere gli elementi essenziali del titolo edilizio del confinante già da prima del giorno in cui aveva fatto l'accesso e perciò il termine per impugnare il titolo edilizio aveva cominciato a decorrere da prima ed era già scaduto quando ha proposto il ricorso.
Si legge nella sentenza n. 1368 del 2014: "3.2. Tuttavia, al riguardo, il Collegio non può che condividere anche le ulteriori eccezioni d’irricevibilità di tale ricorso sollevate dal Comune di Santa Margherita d’Adige e dall’Unione dei Comuni Megliadina.
Ed infatti, il ricorrente procede all’impugnativa di tale permesso di costruire del 30 gennaio 2013, ricollegando detta impugnativa – portata alla notifica il 24 dicembre 2013 - al positivo esperimento di un’istanza di accesso presentata il 14 giugno 2013, grazie alla quale egli avrebbe avuto conoscenza, in data 30 ottobre 2013, del provvedimento impugnato.
3.3. A tal fine va ricordato il maggioritario orientamento giurisprudenziale che ritiene indispensabile verificare, al fine di individuare il dies a quo dal quale decorrono i termini d’ impugnativa di cui all’art. 41 del Codice del Processo, in quale momento il ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della lesione eventualmente subita.
Ulteriori pronunce (si veda ad esempio Consiglio di Stato Sez. IV, 13 Giugno 2011, n. 3583) hanno avuto modo di precisare come la nozione di “piena conoscenza…non postula necessariamente la conoscenza di tutti gli elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali, quindi, l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo”, perché tali elementi sono sufficienti a rendere il legittimato all’impugnativa consapevole dell’incidenza dell’atto nella sua sfera giuridica e della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione di motivi aggiunti.
Sempre per un altrettanto costante orientamento giurisprudenziale si è, inoltre, affermata la non utilizzabilità dello strumento dell’accesso agli atti al fine di far decorrere il termine di impugnativa di cui agli artt. 29 e 41 e, ciò, nella parte in cui si è sancito che .. “la piena conoscenza del provvedimento causativo…non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali ad esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso, istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei controinteressati restano soggette indefinitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando l’interessato non si renda parte diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge (Consiglio di Stato 05 Marzo 2010 n. 1298)”.
I principi sopra ricordati affermano, dunque, come la “piena” conoscenza di un provvedimento lesivo non sia necessaria, così come non è necessario che esso sia conosciuto nella sua integralità e cioè in tutti i suoi elementi.
E’ al contrario sufficiente la concreta percezione di quelli essenziali, posto che la successiva completa cognizione di tutti gli aspetti del provvedimento può consentire la proposizione di motivi aggiunti".
Dario Meneguzzo - avvocato
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