La Corte Costituzionale dichiara non fondata la q.l.c. sui termini di impugnazione della SCIA da parte del terzo

14 Mar 2019
14 Marzo 2019

La Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 19, co. 6-ter l. n. 241/1990 con riferimento alla mancanza di un termine "chiaro", da parte del terzo, per chiedere al Comune di inibire una SCIA illegittima. 

In particolare, la Consulta ha rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente (che sosteneva l’assenza di un qualsiasi termine, esplicito o implicito), tale termine è ricavabile, implicitamente, dalla disciplina prevista dagli altri commi dell’art. 19.

A detta della Corte, infatti, le verifiche dell’Amministrazione sono disciplinate dall’art. 19, ovvero possono essere svolte entro i 60 giorni dalla presentazione della SCIA (30 se si tratta di SCIA edilizia; art. 19, co. 3 e 6-bis) od entro i diciotto mesi (co. 4). E, in quest’ultimo caso, si presume che la verifica della P.A. dovrà rispettare le rigide condizioni previste dall’art. 21-novies l. n. 241/1990 per inibire legittimamente il titolo.

Superato tale ultimo termine, la situazione soggettiva del richiedente la SCIA si consolida definitivamente sia nei confronti della P.A. sia nei confronti del terzo che, quindi, non potrà più sollecitare l'intervento c.d. inibitorio del Comune.

La scelta della Consulta lascia evidentemente scoperta la posizione soggettiva del terzo che, nell'attuale sistema normativa, non gode di un'effettiva tutela, dato che non appare chiaro da quando decorra il termine per chiedere al Comune di inibire la SCIA illegittima, ovvero da quando inizierebbe a decorrere il termine di 30 giorni o dei 18 mesi dalla "piena conoscenza" dell’attività segnalata.

La Corte ne è peraltro conscia, invitando  il legislatore a colmare tale vuoto di disciplina; nel frattempo, ribadisce la possibilità, per il terzo, di agire in via risarcitoria verso la P.A. nel caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica (ex art. 21, co. 2-ter), ovvero in sede civile mediante una richiesta di risarcimento del danno, anche in forma specifica.

Post di Alessandra Piola – dottoressa in Giurisprudenza

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