La non costante giurisprudenza del TAR Veneto sul potere dei comuni di disciplinare le distanze del Piano Casa
Il TAR Veneto si è recentemente riespresso sul tema del potere dei comuni di disciplinare l’applicazione del Piano Casa con la sentenza n. 01105/2012.
I ricorrenti sono proprietari di un immobile (edificio e terreno circostante) ad uso promiscuo, commerciale e residenziale, sito nel Comune di Vicenza, zona S. Croce.
L'edificio è destinato al piano terra, all'esercizio del commercio (rivendita complementi d'arredo), ai piani superiori, ad abitazione.
II terreno è invece tutto destinato a parcheggio.
Per effetto di una variante al P.R.G. allora vigente, la porzione di terreno di proprietà dei ricorrenti è stata parzialmente compresa in un ambito urbano, gravato da un vincolo strumentale. Per effetto di detta variante l'area di proprietà dei ricorrenti veniva individuata come area a servizi di interesse generale e, più precisamente, da destinarsi a parcheggio pubblico.
Al fine di soddisfare l'esigenza di realizzare taluni parcheggi coperti a servizio dell'attività commerciale nella porzione non compresa nell'area di pianificazione attuativa, i ricorrenti presentavano un’istanza di rilascio di titolo edilizio (p.g. n. 6173/10 e 7928/2010) ai sensi e per gli effetti della L.Reg. 14/09.
Con preavviso di diniego, comunicato in data 20 gennaio 2011, il Comune di Vicenza preannunciava il rigetto dell'istanza.
In data 21 aprile 2011 i ricorrenti ricevevano la comunicazione del provvedimento di diniego opposto dal Comune di Vicenza che cosi motivava: "l'intervento edilizio proposto non è conforme alla normativa urbanistico edilizia per contrasto, sul confine di zona, con il disposto dell'art. 1.1. della Delibera del Consiglio Comunale n.71 "Limiti e criteri e modalità applicative ai fini dell'attuazione della L.R.14/09" in quanto ".. . non sono ammesse deroghe alle disposizioni degli strumenti urbanistici comunali vigenti riguardanti le distanze dai confini, le distanze dalle strade, ecc... ".
Detto provvedimento veniva impugnato unitamente alla delibera del Consiglio comunale del Comune di Vicenza, n. 71 del 30 ottobre 2009, con cui venivano introdotte deroghe all'ambito di applicazione della l.r. 14/09 e, ancora, unitamente alle delibere adottate in variante del Prg e con riferimento alle aree in questione in epigrafe citate.
Il TAR Veneto ha dichiarato il ricorso infondato e lo ha rigettato per i motivi di seguito precisati.
Con il primo motivo il ricorrente fonda l’illegittimità del diniego impugnato sostenendo, a sua volta, l’illegittimità della delibera n. 71/09 adottata dal Comune di Vicenza in attuazione della L. Reg.14/2009. A parere della ricorrente solo le distanze fissate dalla Legge statale devono considerarsi pienamente vigenti, stante l’impossibilità per l’Amministrazione di prevedere limiti ulteriori. Solo quindi la violazione di detta peculiare tipologia di distanze avrebbe potuto legittimare l’adozione di un provvedimento di rigetto a fronte della presentazione di un’ istanza di costruire.
Il TAR afferma nella sentenza che “...Detta ricostruzione deve ritenersi non condivisibile…”.
Afferma infatti che il connaturato disposto degli art. 9 comma 5 della L. reg. 14/2009 e art.8 comma 4 dell’art.13/2001 ha attribuito ai Comuni il potere di adottare specifiche delibere attuative della Legge c.d. “Piano casa”, in quanto tali, suscettibili di prevedere ” se e con quali limiti e modalità applicare la normativa di cui agli art. 2 e 3, compiendo all’uopo….specifiche valutazioni di carattere urbanistico ed edilizio paesaggistico ed ambientale”. Rientrava quindi nei poteri dei Comuni dare attuazione alla normativa soprarichiamata, ponendo in essere degli atti di vera e propria pianificazione urbanistica, provvedimenti questi ultimi che, per assurdo, avrebbero potuto non solo limitare, ma anche escludere (entro determinate eccezioni) l’applicazione della normativa di cui si tratta. L’esercizio di detto potere, espressamente delegato per volontà del Legislatore Regionale al Comune, ha attribuito allo stesso la facoltà di esercitare un’attività tipicamente di “discrezionalità tecnica”, obbligando l’Amministrazione al solo rispetto di prederminati limiti (si veda l’artt. 2 -9 della L.reg.14/2009) contenuti nella stessa disciplina, tra i quali, è opportuno ricordare proprio le norme sulle distanze di derivazione statale.
Continua il TAR Veneto affermando che ricordata così la ratio alla base della normativa sopra richiamata risulta evidente come sia da considerare pienamente legittima la scelta posta in essere dal Comune di Vicenza di “non introdurre deroghe alle disposizioni vigenti degli strumenti urbanistici comunali vigenti riguardanti le distanze dai confini, le distanze dalle strade ecc..”, intendendo così attuare una forma di politica urbanistica del territorio strettamente rispettosa dei limiti previgenti e, ciò malgrado le possibilità di deroga consentite dalla normativa citata.
Ne consegue, afferma il TAR, la legittimità della delibera del Consiglio Comunale di Vicenza e, nel contempo, la contestuale infondatezza del motivo di impugnativa addotto dalla ricorrente.
Ma vi è di più.
Il TAR Veneto dichiara altrettanto infondato il secondo motivo alla base del ricorso nella parte in cui assume ostativo al rilascio del permesso di costruire quanto contenuto nell’art. 8 punto 4 delle NTA laddove ritiene illegittima l’equiparazione – disposta ai fini del calcolo delle distanze – tra il “confine delle zone urbanistiche” e i “confini di proprietà”. Per il ricorrente non sarebbe possibile fondare il diniego del permesso impugnato sulla violazione della distanza dal confine da un’area di interesse pubblico in quanto mancherebbe il piano attuativo idoneo a individuare, e localizzare, la specifica opera che persegue l’interesse pubblico e, ancora, a concretizzare così una classificazione urbanistica ritenuta di mero indirizzo in quanto contenuta nel solo Piano Regolatore.
E’ del tutto evidente, afferma il TAR Veneto la non ammissibilità di detta argomentazione e, ciò, laddove si consideri come la legittimità dell’equiparazione tra le zone urbanistiche ai “confini in proprietà” è il risultato della asserita indispensabilità di fissare un limite che sia il presupposto per un corretto calcolo delle distanze e, ciò, anche in mancanza di un opera pubblica già realizzata. La stessa norma risponde, inoltre, all’applicazione di un principio equitativo – così come avviene per i “confini in proprietà” - in ragione del quale il rispetto delle norme in materia di distanze viene ripartita – equamente - tra le due aree confinanti in funzione della loro destinazione e zonizzazione prevista nel Piano regolatore e, ciò, quindi a prescindere se la classificazione, delle une, preveda la realizzazione di un interesse personale e privatistico o, al contrario, la tutela di un interesse generale e proprio della collettività che incide su quel determinato territorio.
Prosegue il TAR Veneto affermando che è inoltre del tutto evidente come la suddivisione in zone costituisca il compito “primario” cui è deputato proprio il Piano regolatore (o le sue varianti), non essendo necessario l’emanazione di un piano attuativo se non per stabilire modalità di esecuzione e prescrizioni che nulla hanno a che vedere con la destinazione già impressa e definita dallo stesso Prg. Laddove si facesse propria l’interpretazione del ricorrente ne verrebbe svilita la stessa concreta applicazione della normativa sulle distanze che, resterebbe quasi “sospesa”, e comunque non applicabile, in mancanza dell’emanazione degli strumenti di pianificazione secondaria.
I principi desumibili dalla sentenza sopra illustrata appaiono però sigificativamente diversi da una precedente sentenza del TAR Veneto già commentata su blog venetoius.myblog.it in data 22/10/2010.
Un Comune, in sede di approvazione della deliberazione comunale prevista dall'articolo 9, comma 5, della legge regionale veneta n. 14/2009 (piano casa), probabilmente per arginare gli effetti dannosi che deriverebbero dalla interpretazione del piano casa in senso ampio, vale a dire nel senso che l'ampliamento in deroga in esso previsto (articolo 2, comma 1) consenta di derogare a tutte le previsioni del regolamento edilizio e degli strumenti urbanistici, ha previsto che “la norma statale in materia di distanze tra i confini e tra gli edifici è integrata dalle previsioni in materia del vigente P.R.G. del Comune di R. e comunque fatti salvi i diritti dei terzi nel rispetto del codice civile".
Tenendo conto del fatto che il comma 8 dell'art. 9 della legge fa già "salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente" e che, di conseguenza, il piano casa non consente di derogare alla distanza di 3 metri tra costruzioni, prevista dal'art. 873 del codice civile, e alla distanza di 10 metri tra pareti finestrate, prevista dal decreto ministeriale del 1968 (che sono normative statali), è evidente che il Comune voleva soprattutto dire che il piano casa non può derogare alle distanze dai confini previsti dalla normativa comunale (di solito sono previsti 5 metri).
Il TAR Veneto, però, con la sentenza n. 5694 del 2010, ha annullato tale previsione limitativa introdotta dal comune, affermando che:
“… 4.4. Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione adottata dal Comune di R. tenda a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia edilizia, possano limitare la forza espansiva della disciplina di cui alla l.r. 14/09…”.
dott. David De Arena
….efettivamente in quella di Rosolina non è chiaro se si tratti di prima o seconda casa….
Scusate
RItenevo che si trattase non di prima casa sulla base di questa frase riportata:
Al fine di soddisfare l’esigenza di realizzare taluni parcheggi coperti a servizio dell’attività commerciale nella porzione non compresa nell’area di pianificazione attuativa, i ricorrenti presentavano un’istanza di rilascio di titolo edilizio (p.g. n. 6173/10 e 7928/2010) ai sensi e per gli effetti della L.Reg. 14/09.
Qundi non prima casa.
Se non ricordo male la sentenza del 2010 faceva riferimento ad una prima casa di abitazione per mle quali le amministrazioni con le delibere comunali non hanno alcun potere di porre limiti; nel caso di quest’ultima sentenza, non trattandosi di prima casa di abitazione, l’amministrazione con la delibera del 2011 ha posto i limiti che a suo giudizio ha ritenuto opportuno introdurre su tutto quanto non sia prima casa di abitazione. Non mi sembra ci sia incostanza, almeno sulla L.R. 14/2009, da parte del TAR.
Non mi pare che la sentenza evidenzi il riferimento all’ipotesi di prima casa… forse il commentatore è in possesso di elementi non riportati in sentenza?
N. 05694/2010 REG.SEN.
N. 01610/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 c.p.a., nel giudizio introdotto con il ricorso 1610/10, proposto da Maurizio Striolo e Roberta Zambon, rappresentati e difesi dagli avv. ti Dal Pra’, Farina e Furlan, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. Veneto, giusta art. 25 c.p.a.;
contro
il Comune di Rosolina (Rovigo), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. L. Migliorini, con domicilio eletto in Venezia Mestre, via G. Pepe 6, presso lo studio dell’avv. M. Cappelletto;
per l’annullamento:
a) del provvedimento comunale 19 luglio 2010, n. 2010/01424, d’archiviazione della pratica edilizia di cui alla d.i.a. n. 10/2010, presentata dagli odierni ricorrenti in data 27 gennaio 2010;
b) in parte qua, della deliberazione 23 giugno 2010, n. 40, del consiglio comunale di Rosolina.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rosolina;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza camerale del giorno 6 ottobre 2010 il cons. avv. A. Gabbricci e uditi per le parti l’avv. Farina per i ricorrenti e Maturi, in sostituzione di Migliorini, per il Comune intimato;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Nel gennaio 2010 Roberta Zambon e Maurizio Striolo presentarono al Comune di Rosolina una denuncia d’inizio attività (d.i.a.) per l’ampliamento di un fabbricato residenziale, in asserita applicazione del combinato disposto dell’art. 2, I e V comma, della l.r. 14/09, per il quale “è consentito l’ampliamento degli edifici esistenti nei limiti del 20 per cento del volume se destinati ad uso residenziale” (I comma), percentuale “elevata di un ulteriore 10 per cento nel caso di utilizzo di tecnologie che prevedano l’uso di fonti di energia rinnovabile con una potenza non inferiore a 3 Kwh., ancorché già installati”.
2. Il Comune, al termine di un articolato procedimento, assunse la determinazione negativa 19 luglio 2010, con la quale respinse la domanda.
Nella motivazione si osserva, anzitutto, come l’art. 9, VIII comma, della l.r. 14/09 prescriva che “sono fatte salve le disposizioni in materia di distanze previste dalla normativa statale vigente”, mentre l’art. 873 c.c., dopo aver stabilito che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri”, soggiunge che “nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.
In base al combinato disposto di queste disposizioni, sarebbe allora “evidente che la norma statale è integrata con la norma di piano del Comune di Rosolina”, segnatamente, nella fattispecie, con quella che prescrive, per le costruzioni su lotto di superficie maggiore a m² 950, una distanza minima dal confine di m. 6.00: mentre, con l’ampliamento richiesto, l’edificio sarebbe venuto ad insistere ad una distanza dal confine inferiore a quella indicata.
Da ciò la decisione negativa assunta dal Comune, il cui consiglio comunale aveva, poco tempo prima, assunto la deliberazione 23 giugno 2010, n. 40, nella quale, tra l’altro, aveva dato atto “che la norma statale in materia di distanze tra i confini e tra gli edifici è integrata dalle previsioni in materia del vigente P.R.G. del Comune di Rosolina e comunque fatti salvi i diritti dei terzi nel rispetto del codice civile”.
3.1. Entrambi i provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso in esame, rubricato nella violazione degli artt. 2 e 9 della l.r. 14/09, nonché dell’ art. 873 c.c., e ancora, nell’eccesso di potere per falsa rappresentazione della realtà, contraddittorietà manifesta e difetto di motivazione, nonché nello sviamento di potere.
3.2. Anzitutto, secondo i ricorrenti, l’art. 873 si riferisce alle distanze tra costruzioni e non alla distanza delle costruzioni dai confini, come nel caso.
Inoltre, il citato art. 2, I comma, l.r. 14/09, consente espressamente l’ampliamento “in deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e degli strumenti urbanistici e territoriali, comunali, provinciali e regionali”, e dunque anche alle norme comunali sulle distanze.
4.1. Il ricorso è fondato, con specifico riguardo al secondo profilo.
Ad avviso di questo giudice, infatti,l’art. 873, nella seconda parte, in cui stabilisce che “nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”, determina la natura parzialmente dispositiva della previsione contenuta nella prima parte, ma non comporta, atteso il suo tenore letterale, un rinvio formale ai regolamenti locali, i quali non completano dunque la norma di legge e non ne acquistano comunque la forza.
4.3. Inoltre, anche se non si volesse accedere senz’altro a tale impostazione, bisogna osservare che tra i “regolamenti locali”, i quali concorrono a disciplinare la materia delle distanze, devono essere incluse tutte le disposizioni conferenti non statali e, dunque, anche quelle di fonte regionale (conf. Cass. 10 maggio 2004, n. 8848).
Di tali “regolamenti locali”, pertanto, fanno parte anche le norme, di cui alla l.r. 14/09, le quali consentono gli ampliamenti in deroga a tutti i regolamenti comunali, e dunque anche a quelli sulle distanze: che poi tali norme di legge regionale, sempre intese come “regolamenti locali”, prevalgano sul regolamenti comunali non sembra dubbio, atteso il grado superiore di quelle.
4.4. Infine, non si può mancare di osservare come la soluzione adottata dal Comune di Rosolina tenda a comprimere l’efficacia di una disciplina di legge in una materia, come il governo del territorio, dove la potestà legislativa è affidata alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, di competenza statale, tra i quali non pare tuttavia rientrare il disposto di cui all’art. 873 c.c.: sicché non vi è ragione di ritenere che specifiche previsioni, contenute in un regolamento comunale in materia edilizia, possano limitare la forza espansiva della disciplina di cui alla l.r. 14/09.
5.1. Il provvedimento che ha archiviato la d.i.a. presentata dai ricorrenti va dunque annullato, e, con esso, la disposizione, prima ricordata, di cui alla deliberazione consiliare 40/10.
5.2. Le spese di lite possono essere parzialmente compensate, attesa l’indubbia novità della questione proposta e sono liquidate per il resto come da dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti in epigrafe impugnati.
Compensa le spese di lite tra le parti in ragione della metà e condanna il Comune di Rosolina al pagamento del residuo, che liquida in € 1.500,00 per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. ed alla rifusione del contributo unificato, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio addì 6 ottobre 2010 con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Italo Franco, Consigliere
Angelo Gabbricci, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
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