Quando si può chiedere il trasferimento per assistere un familiare disabile?
Il T.A.R. Milano si occupa della possibilità per i dipendenti pubblici di chiedere il trasferimento, ex art. 33, c. 5 della L. n. 104/1992, allorquando lo richiedono le esigenze di assistenza dei familiari con disabilità. Nella sentenza che si commenta i Giudici sottolineano la diversità di questo trasferimento rispetto a quello derivante dalla procedura di mobilità ordinaria ed evidenziano come le esigenze dei dipendenti devono essere contemperate con quelle organizzative della Pubblica Amministrazione.
Nella sentenza n. 2771/2014 si legge: “L’evidenza di tale dato, da ritenersi incontestato a sensi dell’art. 64, comma 4 del codice del processo amministrativo, suffraga l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, ad avviso della quale “per poter ottenere la concessione del beneficio, il richiedente deve dimostrare, con dati o riferimenti oggettivi, la necessità di dover assistere un familiare in condizione di handicap grave e che altri parenti e affini non sono in grado o comunque non sono disponibili ad occuparsi dell'assistenza del disabile. Tale diritto, come previsto dalla stessa norma, non è tuttavia incondizionato ma deve essere necessariamente confrontato con le irrinunciabili esigenze organizzative dell’Amministrazione” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5725).
Nel caso di specie, quindi, vi è stata una puntuale valutazione dell’inciso “ove possibile”, previsto dall’art. 33, comma 5 e rimasto inalterato anche dopo la riforma di cui alla legge 183/2010, nel senso che è stata motivatamente verificata la “subordinazione del diritto alla condizione che il suo esercizio non comporti una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, ovvero non determini un danno per la collettività compromettendo il buon andamento e l’efficienza della pubblica amministrazione” (cfr., altresì, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8527): un pregiudizio funzionale che la ricorrente non è stata in grado di efficacemente confutare.
A ciò va aggiunto che non è ravvisabile, nella specie, la disparità di trattamento dedotta nei motivi aggiunti depositati il 7.5.2014 e motivata sull’assunto che un collega della ricorrente sarebbe stato trasferito nonostante l’accertata carenza d’organico.
Il finanziere Castellino, infatti, è stato trasferito al Comando regionale della Sicilia nell’ambito della procedura ordinaria di mobilità di cui al c.d. “piano degli impieghi”, disciplinato da una circolare ministeriale (n. 336000/1241/5 del 30.9.2001), finalizzato “a soddisfare le (…) esigenze organiche e di servizio, le quali, come correttamente precisato nell’incipit, sono prevalenti rispetto alle aspirazioni dei dipendenti. Peraltro, come la stessa circolare non manca di precisare, le circostanze relative alla vita personale dei militari non risultano completamente pretermesse. Ne è testimonianza lo stesso meccanismo posto in essere dalla circolare, volto a contemperare, nell’ipotesi di coincidenza, le aspirazioni del dipendente con l’esigenze della pubblica amministrazione” (cfr. TAR Lazio – Roma, sez. II, 27 giugno 2008, n. 6304, confermata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, 26 marzo 2010, n. 1764).
È, inoltre, profondamente diversa la ratio di tale procedura rispetto a quella di cui alla legge 104/1992, come persuasivamente eccepito dall’Avvocatura dello Stato.
Con la citata circolare è stato, infatti, introdotto “un complesso sistema di ponderazione delle diverse esigenze dei militari in relazione alla diverse tipologie di impiego ed alla situazione di copertura dell’organico dei vari reparti, che si svolge con una rigida cadenza temporale e sulla base di una serie predeterminata di presupposti, anche di permanenza minima nella sede di provenienza”, ma in esito a una selezione di carattere concorsuale, a meno che non emergano “esigenze assolutamente contingenti e temporanee dei militari, nel caso di documentati e gravissimi motivi di carattere personale o familiare, con trasferimenti a tempo determinato della durata massima non superiore a 180 giorni” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 14 maggio 2010, n. 3029).
Non può dunque ammettersi la dedotta comparazione tra una procedura di mobilità ordinaria (quella di cui al piano degli impieghi, che è connotata da profili di merito professionale e di selezione dei dipendenti da trasferire, che direttamente giovano all’efficienza del Corpo della Guardia di Finanza) e una procedura di carattere derogatorio, improntata all’esclusiva valutazione di situazioni personali del dipendente, come nel caso dell’art. 33, comma 5 della legge 104/1992.
Fermo restando, ai fini del decidere, quanto illustrato, occorre, infine, rilevare che, nonostante il requisito di esclusività non sia più valutato per la concessione del trasferimento in questione (ciò rendendo non ostative le dichiarazioni di indisponibilità, molte per vero generiche, dei cinque congiunti della ricorrente), la Suprema Corte ha statuito che “le misure previste dall'art. 33, devono intendersi come razionalmente inserite in un ampio complesso normativo - riconducibile ai principi sanciti dall'art. 3 Cost., comma 2, e dall'art. 32 Cost., - che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e, dall'altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali” (cfr. Corte di Cassazione, sez. lavoro, 27 settembre 2012, n. 16460).
Soprattutto, sembra assai apprezzabile al Collegio l’orientamento più recentemente espresso dalla IV Sezione del Consiglio di Stato in due pronunce (cfr. 2 luglio 2014, n. 3303; id. 6 agosto 2014, n. 4200), le cui statuizioni paiono pertinenti anche al caso di specie.
In particolare:
- nella sentenza n. 3303/2014 si è rilevato che “sulla scorta della interpretazione del disposto legislativo, quella da prestarsi in favore del soggetto portatore di handicap deve essere un’assistenza effettiva (e non solo morale) già in atto e che le esigenze assistenziali del disabile devono essere valutate con riferimento all’intero contesto familiare nel quale è inserita la persona disabile e ai soggetti tenuti all’assistenza nei suoi confronti (Cons. Stato Sez. IV 19 gennaio 2010 n. 545)”;
- nella sentenza n. 4200/2014 il Giudice di seconde cure ha statuito:
- a) che “a seguito della novella di cui alla legge nr. 183 del 2010, è stata eliminata dall’art. 33 della legge nr. 104 del 1992 la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell’assistenza: tali requisiti, pertanto, non possono più essere pretesi dall’Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui al citato art. 33, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione deve valutare se concedere o meno i benefici in questione (…) sono da un lato le proprie esigenze organizzative ed operative e dall’altro l’effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un suo uso strumentale”;
- b) che “non può essere utilmente invocata la circostanza che l’Amministrazione abbia per il passato autorizzato distacchi o trasferimenti di altre unità di personale, atteso che tali provvedimenti potrebbero essere maturati in contesto diverso ed aver condotto – appunto – all’attuale situazione che rende non più sostenibili ulteriori spostamenti di personale”;
- c) che l’esistenza di “altri familiari (…) ben può costituire circostanza di fatto suscettibile di apprezzamento da parte dell’Amministrazione nella complessiva ponderazione degli interessi da comporre, pur dopo la ricordata riforma del 2010 che ha eliminato la previsione dei presupposti della continuità ed esclusività dell’assistenza”.
Ad avviso del Collegio, tali pronunce riflettono una lucida analisi dell’evoluzione normativa che riguarda la disciplina sui trasferimenti per assistere le persone portatrici di handicap, che sembra poter decisivamente favorire un definitivo assestamento dell’interpretazione normativa conseguente all’eliminazione dei requisiti di continuità ed esclusività, quali presupposti per il riconoscimento del cennato beneficio, ma in una prospettiva di meditata compatibilità costituzionale.
Occorre, infatti, considerare che il Giudice delle leggi, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 5, della legge 104/1992, sollevata dal Pretore di Livorno (segnatamente, quest’ultimo aveva ritenuto che fosse irrazionale la distinzione “fra il caso in cui il disabile già riceva assistenza e quello – altrettanto meritevole di tutela – in cui l'esigenza sorga quando il lavoratore non sia convivente e voglia essere trasferito per attendere alle cure del congiunto. Il diverso trattamento di situazioni sostanzialmente simili sarebbe illegittimo alla luce dell'art. 3 della Costituzione”), ha osservato, nella sentenza del 29 luglio 1996, n. 325:
1) che la legge 104/1992 “può (…) considerarsi una prima, significativa risposta al pressante invito, rivolto da questa Corte al legislatore, di garantire la condizione giuridica del portatore di handicap, la cui tutela passa attraverso l'interrelazione e l'integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale (in tal senso v. la sentenza n. 215 del 1987)”;
2) che “non è immaginabile che l’assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare, sì che il legislatore ha, con la legge quadro n. 104, ragionevolmente previsto – quale misura aggiuntiva – la salvaguardia dell'assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche, e dannose, della convivenza”.
Senza contare, in ultimo, che il rischio – innovativamente rilevato nella citata sentenza della IV Sezione n. 4200/2014 – che la legge 104/1992 possa essere oggetto di un uso strumentale da parte di chi persegua esclusivamente un egoistico interesse al trasferimento, ponendo in secondo piano le esigenze assistenziali del disabile (espressione, queste, dell’opposto principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione), è reso vieppiù concreto in ragione del fatto che la disposizione di cui al citato art. 33, comma 5 non è stata ritenuta incostituzionale riguardo all’ipotesi che “il trasferimento alla sede più vicina comporterebbe la perpetuazione dei benefici anche quando siano cessate le esigenze di assistenza del disabile” (cfr. Corte Costituzionale, ordinanza 11 dicembre 1997, n. 396)”.
dott. Matteo Acquasaliente
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