Come si applica l’art. 14 del decreto-legge n. 669 del 1996 che stabilisce il termine di 120 giorni per pagare quanto stabilito nelle sentenze di condanna
Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 4155 del 2013, la quale precisa che il termine di 120 giorni vale per qualsiasi procedura esecutiva attivata dall'interessato e non soltanto per l'esecuzione disciplinata dal codice di procedura civile.
Scrive il Consiglio di Stato: "L’appello rimprovera al T.A.R. di avere erroneamente fatto applicazione dell’art. 14 del decreto-legge n. 669 del 1996.
Il comma 1 dell’art. 14 stabilisce che “le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto”.
Nei casi di specie, come detto in narrativa, i privati non hanno richiesto il pagamento all’Amministrazione competente secondo i termini e con le modalità ora riferite, agendo invece direttamente in via di ottemperanza per ottenere l’esecuzione del decreto della Corte d’appello.
La censura è infondata.
La ricordata disposizione del decreto-legge intende consentire all'Amministrazione, la quale va direttamente compulsata, di attivare e concludere il procedimento di pagamento nell'arco temporale a essa assegnato; e ciò prima che sia introdotta la procedura giudiziale di esecuzione, che può comportare anche un ulteriore aggravio di spese processuali. La notifica del titolo esecutivo con siffatte modalità tende dunque a far sì che presso la Pubblica Amministrazione si avvii il procedimento contabile atto a realizzare l'adempimento spontaneo (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158).
Peraltro l’esecuzione può avvenire nelle forme ordinarie disciplinate dal codice di procedura civile o nelle forme specifiche regolate dal codice del processo amministrativo.
Anche se il giudizio di ottemperanza, nella sua attuale configurazione, “presenta un contenuto composito, entro il quale convergono azioni diverse”, non c’è dubbio che esso continui a veicolare anche un’azione di esecuzione delle sentenze o di altro provvedimento ad esse equiparabile (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 15 gennaio 2013, n. 2).
L’esigenza, a tutela della quale è posto l’art. 14 del decreto-legge, è strettamente connessa all’interesse pubblico, di cui l’Amministrazione è titolare. Pertanto, essa merita tutela qualunque sia la procedura esecutiva attivata dal privato, cosicché sarebbe incongruo limitare la portata della norma al processo esecutivo disciplinato dal codice di rito civile.
In questo senso, d’altronde, è orientata la giurisprudenza assolutamente prevalente del Consiglio di Stato (cfr. per tutte sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2158; Id., 23 agosto 2010, n. 5897; 13 giugno 2013, n. 3280, n. 3281, n. 3292 e n. 3293; C.G.A.R.S., 27 luglio 2012, n. 725; ivi riferimenti ulteriori), che non può ritenersi contraddetta da un’isolata pronuncia di segno contrario, forse anche determinata dalla particolarità del caso di specie (sez. IV, ordinanza 30 gennaio 2013, n. 591, citata dagli appellanti, è resa in sede di regolamento di competenza)".
Dario Meneguzzo
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