L’azione risarcitoria nei confronti della P.A.
Nel caso di specie, l’ARPA provvedeva, da un lato, a elevare un verbale di contestazione di violazione amministrativa ex art. 29-quattuordecies d.lgs. 152/2006 e, dall’altro, a emettere un provvedimento di diffida ex art. 29-decies, co. 9, lett. a d.lgs. cit. al rispetto di una prescrizione dell’AIA nei confronti di una società agricola.
Onde non incorrere nella revoca dell’AIA e nella chiusura dell’attività, la società impugnava gli atti, ma ottemperava alla diffida.
Nel frattempo, l’ARPA archiviava il procedimento sanzionatorio, in ragione dell’infondatezza dei rilievi relativi all’inosservanza della prescrizione. Successivamente, ritirava la diffida.
Il Consiglio di Stato ha affermato che deve ritenersi sussistente la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento di un atto di diffida derivante, non già dall’intervenuta ottemperanza, ma dal successivo atto di ritiro della stessa, a condizione di interpretare e qualificare tale atto come annullamento d’ufficio, ovvero di esercizio di un potere di secondo grado, finalizzato a rimuovere l’atto (illegittimo) in precedenza adottato.
Alla qualificazione dell’atto di ritiro della diffida adottato dalla P.A. come atto di autotutela consegue la conversione ex art. 32, co. 2 c.p.a. dell’azione di annullamento in azione sull’accertamento dell’illegittimità dell’atto di ritiro, nella parte in cui, pur eliminando la precedente diffida, ne conferma la legittimità, sussistendo un interesse ad accertare tale illegittimità, non solo ai fini risarcitori, ma anche conformativi della futura attività ispettiva. La fondatezza di detta azione è resa manifesta dall’intervenuto atto di autotutela.
Post di Alberto Antico – avvocato
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