Il Comune può annullare in autotutela un condono 20 anni dopo per falsità dichiarative?
Nel caso di specie, il Comune annullava d’ufficio, a distanza di circa vent’anni, il condono edilizio rilasciato al privato, in quanto asseritamente rilasciato sulla scorta di una falsa rappresentazione delle distanze tra pareti finestrate, risultando le stesse inferiori alla distanza minima inderogabile di 10 metri stabilita dall’art. 9 d.m. 1444/1968.
Il privato eccepiva di aver rappresentato le reali distanze, di poco inferiori a quelle legali, in un elaborato grafico.
Il TAR Veneto, dopo aver ricostruito l’istituto dell’annullamento d’ufficio, nella specifica ipotesi delle dichiarazioni erronee, ha dato ragione al privato.
Non ogni incompletezza, omissione, errore, imprecisione o contraddizione nella redazione delle istanze, degli elaborati progettuali o nell’interpretazione delle norme che presiedono alla determinazione dei parametri rilevanti ai fini della verifica della conformità di un progetto alla normativa urbanistico-edilizia può essere valorizzata ai fini del legittimo esercizio dell’autotutela oltre il termine previsto dall’art. 21-nonies, co. 1 l. 241/1990. Occorre, invece, che sussista una “falsa rappresentazione” dei fatti idonea ad indurre in errore la P.A., ossia una rappresentazione di fatti divergente dalla realtà (quindi falsa, o anche solo parziale) di cui la P.A. stessa non possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria e che disveli, pertanto, un intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale non meritevole di tutela.
Di contro – al di fuori di tali ipotesi – ove risulti che l’erronea, incompleta o contraddittoria rappresentazione di dati di fatto fosse rilevabile dalla P.A. nel corso dell’istruttoria, le suddette circostanze non possono condurre al superamento del termine ordinario per l’esercizio dell’autotutela.
Post di Alberto Antico – avvocato
Questo contenuto è accessibile solo agli abbonati. Se sei abbonato, procedi con il login. Se vuoi abbonarti, clicca su "Come registrarsi" sulla colonna azzurra a destra
Ma il Tar sa le responsabilità del Tecnico professionista quali sono, e a questo punto allora DIREI quali dovrebbero essere?
DICHIARAZIONI
Il progettista, in qualità di tecnico asseverante, preso atto di assumere la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del Codice Penale e consapevole delle penalità previste in caso di dichiarazioni mendaci o che affermano fatti non conformi al vero, sotto la propria responsabilità.
DICHIARA
……………………..tutta una serie di casi……………
Per cui tutte le dichiarazioni che fa nel modello ” possono essere non vere “; tu Comune devi dimostrare che si tratta di dichiarazioni mendaci(intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale non meritevole di tutela).. che non sono quelle che la PA possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria, quali: incompletezza, omissione, errore, imprecisione o contraddizione nella redazione delle istanze, degli elaborati progettuali o nell’interpretazione delle norme che presiedono alla determinazione dei parametri rilevanti ai fini della verifica della conformità di un progetto alla normativa urbanistico-edilizia .
TUTTO CHIARO
Qualcuno sa dire in quali casi si applica tale parte del comma 6 dell’art. 23 del Dpr n. 30808/2001 (vale anche per l’art. 22) :
….. e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza.
Da quello che dice il Tar MAI.
DA COME SI CAPISCE: non si tratta di una falsa rappresentazione delle distanze tra pareti finestrate, risultando le stesse inferiori alla distanza minima inderogabile di 10 metri stabilita dall’art. 9 d.m. 1444/1968, perchè il privato eccepiva di aver rappresentato le reali distanze, di poco inferiori a quelle legali, in un elaborato grafico.
Dunque, dichiarare una distanza inferiore al dovuto — anche se il Comune non ha effettuato controlli — non costituisce forse un falso? A mio avviso, il TAR Veneto sta assumendo posizioni sempre più incomprensibili e, francamente, insostenibili.
Fino a che punto può essere invocata la buona fede? In questo modo, i tecnici si sentono autorizzati a dichiarare ciò che vogliono, per poi giustificarsi dicendo: “Avevo interpretato così la norma”, o ancora peggio: “Ho dichiarato così, tanto poi sarà il Comune a valutare”.
Resta il fatto che l’atto, in questi casi, è comunque illegittimo immagino.
Leave a Reply
Want to join the discussion?Feel free to contribute!