L’ultimazione di un edificio ai fini del condono edilizio
Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 2032 del 2014, dove si legge che: "il Collegio ritiene fondata e assorbente la censura di violazione dell’art. 32, comma 25, del d.-l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali). La norma sopra citata, infatti, rende esplicitamente applicabili a opere abusive, ultimate entro il 31 marzo 2003, “le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47”, come successivamente modificate ed integrate, entro determinati limiti di cubatura. Tra le disposizioni richiamate, al capo IV della citata legge n. 47 del 1985 (norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) è rilevante nel caso di specie l’art. 31, comma 2, in cui è precisato il concetto di “ultimazione” delle opere ammesse al condono, nei seguenti termini: “si intendono ultimati gli edifici, nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”. Nella situazione in esame, il Comune di Altamura contesta genericamente che l’immobile fosse completato, sul piano strutturale, entro il 31 marzo 2003 (termine ultimo per l’ammissione al condono), ma tali affermazioni non trovano conferma nella documentazione fotografica in atti, che reca il timbro dello stesso Comune come allegato all’istanza di sanatoria e che mostra un edificio effettivamente allo stato di rustico, fornito di copertura, ma completamente privo di finiture interne, idonee a caratterizzarne le possibili destinazioni d’uso. Deve quindi ritenersi, in effetti, che l’immobile fosse non “già esistente” (locuzione la cui rilevanza in questi termini è riservata ai meri mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere), ma appunto in via di completamento, con un grado di avanzamento dei lavori che ne consentiva, nei termini riportati, la condonabilità sul piano strutturale, per quanto riguarda le variazioni essenziali, che si riconoscevano apportate al progetto originariamente assentito (incremento di volumi e superfici su ogni piano). In assenza di finiture, tali da consentire l’esplicitazione della destinazione d’uso compatibile con le caratteristiche funzionali dell’immobile, il solo utilizzo in effetti ipotizzabile era quello residenziale, evidentemente privilegiato dalla legge perché stimato meno grave di quello non residenziale e, quindi, riconosciuto condonabile per edifici ancora in grado di completamento alla data indicata. Le ragioni sopra illustrate appaiono sufficienti per evidenziare l’illegittimità dell’atto di diniego impugnato e delle relative misure consequenziali, con assorbimento di ogni altra argomentazione difensiva".
Dario Meneguzzo - avvocato
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