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Il potere di annullamento d’ufficio è discrezionale e non può essere sindacato dal tribunale

31 Ott 2012
31 Ottobre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1291 del 2012 esamina l'istituto dell'annullamento d'ufficio in via di autotutela.

Scrive il TAR: "Come insegna sia la dottrina che la Giurisprudenza, l'art. 21-nonies della l. n. 241/90 ha codificato le seguenti condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A.: a) l'illegittimità dell'atto; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere (Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 1946 del 07-04-2010)...

Constatata la legittimità del percorso logico-deduttivo posto in essere, l’esistenza di un’idonea motivazione e, soprattutto, la legittimità dell’applicazione dei presupposti dei principi introdotti dagli art. 21 quinquies e 21 nonies, nessun ulteriore sindacato rientra nella giurisdizione di questo Tribunale.
Va, infatti, ricordato che secondo i principi pacificamente affermati dalla Giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 984 del 23-02-2012) ..” i provvedimenti di autotutela sono espressione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo. Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in autotutela su un proprio provvedimento divenuto inoppugnabile (Conferma della sentenza del T.a.r. Lazio - Latina, sez. I, n. 187/2011)”.
5. L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le forme dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all'autotutela amministrativa. Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti sopra ricordati, non può essere sindacato in sede giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento, degli interessi dei privati concorrenti e del loro affidamento.

sentenza TAR Veneto 1291 del 2012

L’apposizione di un vincolo di tutela indiretta intorno a una villa richiede l’avviso di avvio del procedimento

30 Ott 2012
30 Ottobre 2012

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 1296 del 2012.

Scrive il TAR: "Per un costante orientamento giurisprudenziale il decreto di apposizione di un vincolo sui beni privati deve ritenersi illegittimo laddove non sia preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990. Detta Giurisprudenza ha sancito come l’obbligo di comunicazione in questione costituisca espressione di un principio generale al quale è consentito fare eccezione soltanto nel caso in cui, gli atti prodromici alla concreta imposizione del vincolo stesso, siano stati resi conoscibili dagli interessati con modalità diverse (si veda per
tutti Tar Piemonte n. 1255/2003 e Consiglio di Stato VI Sez. del 03/01/2000 n. 29).
Sempre il ricordato orientamento giurisprudenziale ha affermato come debba ritenersi illegittimo il decreto con cui il Direttore Generale del Ministero per i beni culturali o ambientali che appone un vincolo indiretto ex art. 21 L.1 Giugno 1939 n. 1089 su aree di proprietà privata, nel caso in cui l’adozione di detto decreto non sia stata preceduta dalla comunicazione agli interessati dell’avviso di avvio del procedimento (si veda sul punto anche Tar Lombardia Brescia n. 1360/2004).
2. E’ del tutto evidente che lo scopo perseguito dell’avviso ex art. 7 sopra citato, e per quanto attiene i vincoli indiretti, vada individuato in ordine, non solo alla possibilità del proprietario di partecipare al procedimento, ma contestualmente alla facoltà, dello stesso, di poter contribuire e incidere sulle determinazioni finali e relative all’estensione del vincolo, scelte nell’ambito delle quali non può non essere attribuito un ruolo determinante alla collaborazione del privato.
3. Sul punto va comunque dato atto di un altrettanto costante indirizzo giurisprudenziale, mutuato dalla procedura espropriativa, in base al quale l’Amministrazione ha il solo obbligo di individuare i proprietari sulla base delle risultanze catastali senza necessità di esperire ulteriori indagini sulla titolarità effettiva delle aree (Consiglio Stato sez. IV 28 febbraio 2002).
Tale ultimo orientamento deve ritenersi comunque non applicabile alla materia ambientale e, ciò, in presenza dell’art. 46 del D.Lgs. nella parte in cui detta norma ha ritenuto di attribuire autonomo rilievo ai principi già contenuti nell’art. 7 della L. n. 241/90, prevedendo, espressamente ed autonomamente, che l’avviso del procedimento per la tutela indiretta va comunicato al “proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile cui le prescrizioni di tutela indiretta si riferiscono”.

sentenza TAR Veneto 1296 del 2012

La posizione giuridica del soggetto che presenta un esposto al comune chiedendo che venga dichiarato decaduto un permesso di costruire

29 Ott 2012
29 Ottobre 2012

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con l’ordinanza del 25.10.2012 n. 644, chiarisce come, coloro che presentano un esposto al Comune, chiedendo l’accertamento della decadenza del permesso di costruire del vicino, per mancato inizio dei lavori entro l’anno, non sono da considerarsi ex se come controinteressati: “gli odierni ricorrenti, in qualità di presentatori dell’esposto da cui ha preso avvio l’attività di controllo da parte dell’amministrazione, non assumono la qualifica di contro interessati, per cui il Comune, all’esito dei controlli effettuati, non era tenuto ad effettuare le comunicazioni ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990”.

L’interesse di tali soggetti, infatti, “risulta soddisfatto dall’avvio dei controlli effettuati dall’amministrazione, essendo rimessa alla valutazione della stessa, all’esito degli accertamenti operati, l’adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire”.

Il T.A.R. conferma le considerazione già espresse in un caso analogo: “Premesso che l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 risulta applicabile ai soli atti a istanza di parte, in materia di decadenza (nella specie: decadenza da permesso di costruire ) e con riguardo al caso in cui l'azione d'ufficio sia eccitata da un terzo mediante diffida, posto che la pronuncia di decadenza si configura come atto d'ufficio la diffida ha la sola funzione di far determinare l'amministrazione all'adozione del provvedimento, ma una volta che questa abbia autonomamente deciso di avviare il procedimento di decadenza e, acquisite le deduzioni delle parti interessate, decida per l'archiviazione dello stesso, la posizione del diffidante è del tutto recessiva per non dire irrilevante di fronte all'azione pubblica; in altri termini due sono i procedimenti, quello cui mira la diffida e quello deciso dalla p.a.; la pretesa del diffidante è dunque soddisfatta con l' avvio del procedimento di decadenza , le cui vicende sono tuttavia governate esclusivamente dalla amministrazione, la quale richieste le deduzioni delle parti si determina discrezionalmente; non deve dunque essere attivato il sub procedimento dell'art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 comportante il preavviso di diniego per consentire così agli stessi istanti di controdedurre ulteriormente (fattispecie relativa a richiesta di adozione di decadenza dal permesso di costruire , il cui procedimento , avviato a seguito di diffida, si era concluso con un'archiviazione) (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. II, 14.11.2008, n. 3550).

dott. Matteo Acquasaliente

ordinanza tar Veneto 644 del 2012

sentenza tar Veneto 3550 del 2012

Per la decorrenza del termine per impugnare un permesso di costruire basta conoscere gli elementi essenziali (autorità emanante, data, contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo)

29 Ott 2012
29 Ottobre 2012

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n.  1287 del 2012.

Scrive il TAR: "si ritiene necessario rilevare l’esistenza di un costante, e maggioritario, orientamento Giurisprudenziale che ritiene indispensabile verificare, al fine di individuare il dies a quo dal quale decorrono i termini di impugnativa di cui all’art. 41 del Codice del Processo, in quale momento il ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della lesione eventualmente subita.
Ulteriori pronunce (si veda ad esempio Consiglio di Stato Sez. IV, 13 Giugno 2011, n. 3583) hanno avuto modo di precisare come la nozione di “piena conoscenza…non postula necessariamente la conoscenza di tutti gli elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quindi, l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo”.
4. Sempre per un altrettanto costante orientamento giurisprudenziale si è, inoltre, affermato la non utilizzabilità dello strumento dell’accesso agli atti al fine di far decorrere il termine di impugnativa di cui agli artt. 29 e 41 e, ciò, nella parte in cui si è sancito che ..” la piena conoscenza del provvedimento causativo…non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali ad esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso, istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei controinteressati restano soggette in definitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando l’interessato non si renda parte diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge (Consiglio di Stato 05 Marzo 2010 n. 1298)”.
I principi sopra ricordati affermano come la “piena” conoscenza di un provvedimento lesivo non sia necessaria, così come non è necessario che esso sia conosciuto nella sua integralità e cioè in tutti i suoi elementi.
5. E’ al contrario sufficiente la concreta percezione di quelli essenziali, posto che la successiva completa cognizione di tutti gli aspetti del provvedimento può consentire la proposizione di motivi aggiunti (Cons. St., sez. IV, 9 novembre 2005 n. 6261; Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2006 n. 341).
Nel caso di specie è possibile desumere come detta “effettiva consapevolezza”, sia della lesione che degli elementi essenziali, sia stata acquisita in un momento decisamente anteriore alla data effettiva di proposizione del ricorso".

sentenza TAR Veneto 1287 del 2012

Un esempio di lotto non residuo nel Veneto (cosicchè rimane necessario il piano attuativo)

26 Ott 2012
26 Ottobre 2012

L'esempio è tratto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5411 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "Assume l’appellante che alla luce della disciplina urbanistica locale per le zone ZTO C2, l’edificabilità diretta del lotto in questione sarebbe stata possibile in applicazione del combinato disposto degli artt. 9 e 109 della legge urbanistica regionale n. 61 del 1985.
L’assunto è privo di pregio.
La norma urbanistica derogatoria trova, infatti, applicazione solamente nel caso di lotto residuo rispetto ai lotti contermini interamente edificati o se la zona sia dotata di tutte le opere di urbanizzazioni primarie e secondarie.
Dagli atti depositati in giudizio e, in particolare, dal verbale di sopralluogo dell’U.T.C. del 22 febbraio 1995 e dall’allegato rilievo fotografico, si evince che il lotto di cui si discute rappresenta una limitata porzione di terreno di mq 2.052 all’interno di un’area inedificata di mq 80.0000 circa.
Esso, quindi, non costituisce un lotto residuo e ciò anche a voler considerare il mappale 603 nel solo contesto della zona denominata dall’appellante “distretto A”, cioè quella posta ad ovest del tratteggio riportato sulle tavole di piano.
Infatti la suddetta zona, interessata nel 1990 da un frazionamento che individuava tre lotti, è rimasta inedificata, perché nessuno dei lotti è stato interessato da interventi edilizi (l’unica concessione edilizia rilasciata è stata annullata con sentenza del TAR Veneto n. 102 del 1999).
Quanto alle opere di urbanizzazione, secondo la rappresentazione fatta dal Comune, l’area ne è del tutto carente, mancando addirittura di una strada di accesso, di impianti fognari e di un raccordo con l’aggregato abitativo preesistente.
In conclusione non sussistevano le condizioni per il rilascio della concessione diretta, senza considerare poi che la notevole rilevanza ed impatto urbanistico dell’intervento consistente nella realizzazione di due condomini per un totale di dieci appartamenti, in mancanza di un piano di dettaglio, avrebbe compromesso il corretto ed ordinato assetto urbanistico della zona".

sentenza CDS 5411 del 2012

La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la mediazione civile

25 Ott 2012
25 Ottobre 2012

Con un comunicato stampa del 24 ottobre 2012, l'Ufficio Stampa della Corte Costituzionale informa che la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

CC_CS_mediazione

Quer bosco strano de Roma

25 Ott 2012
25 Ottobre 2012

A seguito di un  accesso degli agenti del Corpo Forestale dello Stato sui terreni di proprietà di una azienda  agricola in data 22 giugno 2005, avendo rilavato lavori abusivi di disboscamento di un'area boscata, la Provincia di Como irrogava il pagamento della somma di euro 6.000,00, a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 167 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e una ulteriore sanzione pecuniaria di euro 10.015,00.

Gli interessati hanno contestato l'esistenza del presupposto per l’applicazione della sanzione, in quanto la zona interessata dall’intervento edilizio (mappale n. 1755) sarebbe un'area prato e non un'area boschiva. Secondo la Provincia, invece, la parte delimitata dalla recinzione di cantiere sarebbe da ritenersi boscata per la presenza di polloni di robinia di anni uno. Le robinie, relicano gli interessati, sono piante che crescono nelle aree incolte e quindi, sarebbero spontaneamente cresciute nell’area delimitata dalla recinzione del cantiere, essendo stata eliminata la copertura d’erba per l’esecuzione dei lavori, ma non per questo l’area potrebbe considerarsi boschiva. Gli interessati, quindi, affermano che che l’autorizzazione paesaggistica non era proprio necessaria, non trattandosi di area boscata.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5410 del 2012, afferma che l'area era boscata, con un ragionamento di difficoltosa comprensibilità.

Scrive il Consiglio di Stato: "La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica ed in particolare nella legge n. 431 del 1985 ora inserita nel testo del d. lgs. n. 490 del 1999, deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ed ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare, alla luce della "ratio" della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la significativa differenza tra bosco e territorio coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona (Cassazione penale, sez. III, 9 giugno1994, n. 7556).
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula "territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella prevista dal d.m. 1° settembre 1984, che sottoponeva a generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste", implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un elemento tipizzante il territorio che non può essere ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a livello eco - sistemico, non solo quale formazione vegetale ma quale insieme di elementi biotici, abiotici e paesaggistici che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del fabbricato rurale.
6.2- In tale prospettiva perde rilievo anche la censura con la quale si imputa al Corpo Forestale dello Stato di aver qualificato l’area come boschiva.
Il Corpo Forestale ha solamente svolto la sua funzione di accertare e descrivere i fatti avvenuti, cioè il taglio di alcune essenze arboree e floreali senza la prescritta autorizzazione in zona boschiva.
Peraltro, la circostanza che l’area di cui trattasi fosse stata invasa dalle robinie dopo lo scavo che aveva tolto il manto erboso non è contestata; la contestazione riguarda la necessità del parere paesaggistico in relazione all’asserita destinazione dell’area a prato e dell’occasionalità della crescita delle essenze arboree.
Infatti, il provvedimento dirigenziale del 27 maggio 2008 (procollo n. 26796), del Settore Pianificazione Territoriale (Settore Aree Protette, Paesaggio e Reti Ecologiche) applicava la sanzione per aver eseguito in assenza di autorizzazione paesaggistica “lavori di disboscamento finalizzati alla costruzione di un fabbricato ad uso agricolo… attuati mediante l’eliminazione di giovani polloni di robinia dell’età di anni uno ed all’eliminazione delle ceppaie su una superficie di 600 metri quadrati in località Campo Amà del Comune di Gironico su parte del mappale 1755 governato a bosco ceduo”
Tale doglianza non può trovare accoglimento perché, come detto sopra, al di là di ogni dissertazione sulla definizione di bosco e di territorio boschivo, la prossimità dell’area interessata dall’intervento edilizio a zona boschiva imponeva l’autorizzazione paesaggistica ex art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2007 e l’autorizzazione al taglio delle essenze arboree".

La sentenza sembra non considerare il Decreto Legislativo 42 del 2004 e che con il Decreto Legislativo n. 227 del 2001, il legislatore ha fornito la definizione di zona boscata. Infatti, il Decreto Legislativo in parola, dedicato specificatamente all’ “Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”, ha previsto all’Art. 2 la Definizione di bosco e di arboricoltura da legno, secondo la quale:

1. Agli effetti del presente decreto legislativo e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica i termini bosco, foresta e selva sono equiparati.
2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le regioni stabiliscono per il territorio di loro competenza la definizione di bosco e:
a) i valori minimi di larghezza, estensione e copertura necessari affinché un'area sia
considerata bosco;
b) le dimensioni delle radure e dei vuoti che interrompono la continuità del bosco;
c) le fattispecie che per la loro particolare natura non sono da considerarsi bosco.
3. Sono assimilati a bosco:
a) i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale;
b) le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali, incendi;
c) le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco.
4. La definizione di cui ai commi 2 e 6 si applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui all'articolo 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
5. Per arboricoltura da legno si intende la coltivazione di alberi, in terreni non boscati, finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e biomassa. La coltivazione è reversibile al termine del ciclo colturale.
6. Nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono
devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. È fatta salva la definizione bosco a sughera di cui alla legge 18 luglio 1956, n. 759. Sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco”.

Il legislatore, dopo il Decreto 227/2001,  ha emanato il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, denominato “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, il cui art. 142, nel definire le aree tutelate per legge, esercita un esplicito richiamo al Decreto Legislativo n. 227 del 2001, ove alla lettera g) prevede che siano da ricomprendersi“i territori coperti da foreste e da boschi, ancorche' percorsi o
danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227".

sentenza CDS 5410 del 2012

Il Consiglio di Stato fa luce sui lumini: è un servizio a rilevanza economica

24 Ott 2012
24 Ottobre 2012

Il Comune di Siena deliberava la riassunzione in forma diretta del servizio di gestione degli impianti di illuminazione votiva dei cimiteri comunali a partire dal 1°gennaio 2010 (delibera GM n. 624 del 23 dicembre 2009).
La scelta era motivata sulla considerazione che la gestione in forma diretta rappresentava sulla base delle esperienze passate e dell’attuale gestione di altri comuni toscani di dimensioni comparabili l’opzione economicamente più conveniente ed idonea ad assicurare all’utenza un servizio di adeguata qualità e che poteva essere gestita integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie.
2.- Le società appellanti operanti nel campo del settore dell’illuminazione votiva all’interno dei cimiteri comunali, con ricorso al TAR Toscana impugnavano la suddetta delibera e gli atti conseguenti, lamentando con unico articolato motivo di censura violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 113 bis del d. lgv. n. 267 del 2000; dell’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008.

Il TAR Toscana, con sentenza n. 593 del 2011, dichiarava infondato il ricorso e lo respingeva. La sentenza è stata appellata.

Con l’appello principale le imprese ricorrenti hanno lamentato in sostanza che il Comune di Siena con l’assunzione diretta del servizio pubblico di illuminazione votiva avrebbe sottratto al mercato e alla concorrenza un servizio pubblico a rilevanza economica, in violazione di principi comunitari recepiti nell’ordinamento italiano con le norme di legge su riportate. Il riferimento è, dunque, all’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, vigente al momento dell’adozione da parte del Comune di Siena del provvedimento impugnato.

Così la questione è stata decisa dal Consiglio di di Stato, con la sentenza n. 5409 del 2012: "L’art. 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, al comma 1 dispone “Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale…
Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”.
Al comma 11, coerentemente con le premesse, è disposta l’abrogazione dell’art. 113 del TUEL nelle parti incompatibili.
Ai commi 2 e 3, è prevista, quale modalità ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici “…a favore di imprenditori o di società di qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità..”.
Quale modalità eccezionale e derogatoria rispetto alle modalità di affidamento ordinario è previsto l’affidamento a favore di società a capitale interamente pubblico, allorquando “a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento…non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”.
Alla stregua della richiamata normativa, non può che condividersi quanto assumono le società appellanti in ordine all’obbligatorietà per l’ente locale di immettere sul mercato e offrire alla concorrenza mediante le procedure competitive i servizi pubblici a rilevanza economica.
Invero, l’affidamento alla concorrenza dei servizi pubblici locali a rilevanza economica risale almeno al 2001, per effetto della modifica introdotta dall'art. 35 della legge n. 448 del 2001 all’art. 113 del TUEL approvato con d.lgs. n. 267 del 2000.
La modifica della stessa rubrica dell’art. 113 del TUEL “i servizi pubblici locali di rilevanza economica e privi di rilevanza economica” in luogo di “servizi pubblici locali di rilevanza industriale e privi di rilevanza industriale” è significativa della più limitata libertà di scelta dell’ente locale circa le modalità di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e preclusiva della gestione in economia per i servizi di rilevanza economica.
Non è, pertanto, condivisibile quanto affermato in sentenza (“la disciplina dettata dall’art. 23 bis non contiene un espresso divieto alla gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, né un divieto di tal genere sembra implicitamente desumibile dal testo della norma…il principio della concorrenza, a cui è ispirata la disciplina del citato art. 23 bis (come enunciato nel primo comma) non può prevalere sui principi di efficienza ed economicità e buon andamento dell’attività amministrativa, laddove una ragionevole valutazione induca a ritenere preferibili (come nel caso in esame, quanto meno in via sperimentale) soluzioni interne all’amministrazione interessata e dunque non competitive”.
Quanto al precedente di questa sezione (Cons. Stato, sez. quinta, 26 gennaio 2011, n. 552), richiamato dal TAR Toscana, atteso il riferimento in essa contenuto ad attività di modesto impegno finanziario (ad esempio di poche migliaia di euro l’anno), esso si riferisce chiaramente alle ipotesi di servizi pubblici privi di rilevanza economica, interpretazione avvalorata dal riferimento a mo’ di esempio ai servizi che notoriamente i comuni possono e gestiscono in economia “illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, assistenza domiciliare, asili nido, mense scolastiche, mense scolastiche..”.
In conclusione può affermarsi che in base alla disciplina dettata dall’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008 e ss.mm.ii., in caso di servizi pubblici a rilevanza economica, non ne era consentita la gestione in economia, salve le deroghe previste dalla normativa richiamata e con le modalità da essa indicate.
8.- Altra questione è se il servizio di pubblica illuminazione votiva sia sussumibile tra quelli privi di rilevanza economica o se il servizio per come svolto dal Comune di Siena debba qualificarsi quale servizio privo di rilevanza economica, tesi sostenuta dal Comune di Siena con l’appello incidentale.
8.1- In via di principio va considerato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura economica (secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).
In sostanza, per qualificare un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno è ragionevole pensare che si debba prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio (vi sono attività meramente erogative come l'assistenza agli indigenti), ma anche la soluzione organizzativa che l'ente locale, quando può scegliere, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio servizi della cultura e del tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell'ente pubblico, con o senza copertura dei costi).
Dunque, la distinzione di cui si sta parlando può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica.
Saranno, quindi, privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo (invero, la dicotomia tra servizi a rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica può anche essere desunta dalle norme privatistiche, coincidendo sostanzialmente con i criteri che contraddistinguono l’attività di impresa nella previsione dell'art. 2082 Cod. civ. e, per quanto di ragione, dell’art. 2195 o, per differenza, con ciò che non vi può essere ricompreso).
Per gli altri servizi, astrattamente di rilevanza economica, andrà valutato in concreto se le modalità di erogazione, ne consentano l’assimilazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica.
8.2- Fermo tanto, quanto al servizio di illuminazione votiva, è indubbia la rilevanza economica di tale servizio.
In tal senso si è espressa la giurisprudenza con orientamento univoco (per tutte, Cons. Stato, sez. quinta, 11 agosto 2010, n. 5620; 29 marzo 2010, n.1790; 5 dicembre 2008, n. 6049; 14 aprile 2008, n.1600), nonché l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici in un parere richiesto dall’ANEILVE (Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche) ed anche il TAR Toscana, con la sentenza appellata, inquadra il servizio di illuminazione votiva all’interno del sistema cimiteriale del Comune di Siena quale “servizio pubblico a rilevanza economica”.
8.3.- Assume il Comune di Siena, con l’appello incidentale, che il servizio di cui trattasi, per come è svolto da esso Comune, è privo di rilevanza economica, avendo una redditività modesta.
La prospettazione del Comune non appare convincente.
Come si è detto, innanzi tutto la qualificazione di un servizio pubblico a rilevanza economica è correlata alla astratta potenzialità di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (cfr. Cons. Stato, n. 5097 del 2009), sicché non rileva l’irrisorietà dell’utile che in concreto un servizio per come svolto produca.
Non è significativa, in conseguenza, la circostanza che l’attività come svolta dal Comune di Siena sia risultata in concreto caratterizzata da un’esigua redditività (dai bilanci di previsione degli anni 2010 e 2011 e dal rendiconto di esercizio dell’anno 2010, a fronte di un fatturato pari a 220.000,00 euro l’anno si sono registrate uscite per 206.645,00 euro con un profitto complessivo di euro 13.000,00 l’anno).
Né risulta, peraltro, che il Comune di Siena abbia offerto il servizio gratuitamente o sopportandone parte dei costi, risultando, al contrario, che ha svolto in proprio un’attività imprenditoriale vera e propria, seppure senza autonoma organizzazione (il servizio sarebbe stato gestito integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie).
Tale circostanza è dirimente per sussumere tale servizio tra quelli a rilevanza economica con la conseguenza che esso doveva essere esternalizzato in base al citato art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, più volte richiamato, non potendo essere sottratto al mercato.
Va, in conseguenza respinto l’appello incidentale proposto dal Comune di Siena".

sentenza CDS 5409 del 2012

Nuovi disposizioni in materia di servizi pubblici locali

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Il decreto legge 179 del 2012, all'articolo 34, commi 13 eseguenti, introduce nuove disposizioni in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, come da estratto che pubblichaimo in allegato.

Il tema verrà trattato nel corso del seminario di Arzignano del 26 ottobre 2012 (si veda il post datato 5 ottobre 2012 nel presente sito).

art 34 commi 13 e seguenti decreto sviluppo bis

Decreto Legge 179/2012: “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”. Novità per i Comuni

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Pubblichiamo il testo del D.L. 179 del 2012, recante: "Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese".

Di seguito pubblichiamo, con alcune note evidenziate, le novità per i Comuni.

In un separato post pubblichiamo le novità in materia di servizi pubblici locali.

Art. 3. Censimento continuo della popolazione e delle abitazioni e Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì stabiliti i contenuti dell’Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici (ANSC), realizzato ed aggiornato dall’ISTAT e dall’Agenzia del territorio, gli obblighi e le modalità di conferimento degli indirizzari e stradari comunali tenuti dai singoli comuni ai sensi del regolamento anagrafico della popolazione residente, le modalità di accesso all’ANSC da parte dei soggetti autorizzati, nonché i criteri per l’interoperabilità dell’ANSC con le altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale, nel rispetto delle regole tecniche del sistema pubblico di connettività di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Art. 4. Domicilio digitale del cittadino

1. Dopo l’articolo 3 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, è inserito il seguente:

«Art. 3 -bis (Domicilio digitale del cittadino). — 1. Al fi ne di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, è facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione, secondo le modalità stabilite al comma 3, un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, quale suo domicilio digitale.

2. L’indirizzo di cui al comma 1 è inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi.

4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell’articolo 21 -bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza oneri di spedizione a suo carico.

Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario.

 

Art. 5. Posta elettronica certificata - indice nazionale degli indirizzi delle imprese e dei professionisti

3. Al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dopo l’articolo 6, è inserito il seguente:

«Art. 6 -bis (Indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti).

1. Al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con le risorse umane, strumentali e fi nanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico.

3. L’accesso all’INI-PEC è consentito alle pubbliche amministrazioni, nonché ai professionisti e alle imprese in esso presenti.

Art. 6. Trasmissione di documenti per via telematica, contratti della pubblica amministrazione e conservazione degli atti notarili

1. Al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, sono apportate le seguenti modifi cazioni:

a) all’articolo 47, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1 -bis . L’inosservanza della disposizione di cui al comma 1 (n.d.r.: 1.  Le  comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono  mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.), ferma restando l’eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.»;

b) all’articolo 65, dopo il comma 1 -bis ), è inserito il seguente: «1 -ter . Il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell’ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione inviate ai sensi e con le modalità di cui al comma 1, lettere a) (a) se sottoscritte mediante  la  firma  digitale  o  la  firma elettronica qualificata, il  cui  certificato  e'  rilasciato  da  un certificatore accreditato;), c) (c) ovvero quando l'autore e' identificato dal sistema informatico con i diversi strumenti di cui all'articolo 64, comma 2,  nei  limiti di quanto  stabilito  da  ciascuna  amministrazione  ai  sensi  della normativa vigente nonche' quando le istanze e le  dichiarazioni  sono inviate con le modalita' di cui all'articolo 38, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.) e c -bis ) (c-bis)  ovvero  se  trasmesse  dall'autore  mediante  la  propria casella  di  posta  elettronica  certificata  purche'   le   relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa  identificazione del titolare, anche per via telematica secondo modalita' definite con regole tecniche adottate  ai  sensi  dell'articolo  71,  e  cio'  sia attestato dal gestore del sistema nel messaggio o in un suo allegato. In tal caso, la trasmissione costituisce dichiarazione vincolante  ai sensi dell'articolo 6, comma 1, secondo periodo. Sono fatte salve  le disposizioni normative che prevedono l'uso di  specifici  sistemi  di trasmissione telematica nel settore tributario;), comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare dello stesso.»;

c) all’articolo 65, comma 1, le parole: «le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica» sono sostituite dalle seguenti: «le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici»;

d) all’articolo 54, comma 2 -ter , dopo le parole: «pubbliche amministrazioni» sono inserite le seguenti: «e i gestori di servizi pubblici».

2. All’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo il comma 2, è aggiunto infine il seguente: «2 -bis . A fare data dal 1° gennaio 2013 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, pena la nullità degli stessi.».

3. All’articolo 11 decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , il comma 13 (13. Il contratto e' stipulato mediante atto  pubblico  notarile,  o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale  rogante dell'amministrazione  aggiudicatrice,   ovvero   mediante   scrittura privata, nonche' in forma elettronica secondo le  norme  vigenti  per ciascuna stazione appaltante.) è sostituito dal seguente:

«13. Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione

appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata.».

4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano a fare data dal 1° gennaio 2013.

D_L_ 179-2012_Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese

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