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L’art. 96 lett. f) del r.d. n. 523 del 1904 e la distanza “stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località”

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5619 del 2012 interveniene sulla questione di cui al titolo del post.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’art. 96 citato elenca una serie di “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
Come afferma costantemente la giurisprudenza, il divieto di costruzione di opere sugli argini dei corsi d’acqua, previsto dalla lettera f) dell’art. 96, è informato alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche (e soprattutto) il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici (cfr. Cass. civ., SS.UU., 30 luglio 2009, n. 17784) e ha carattere legale e inderogabile: ne segue che le opere costruite in violazione di tale divieto ricadono nella previsione dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. V, 26 marzo 2009, n. 1814; Id., Sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 772; Id., Sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3781; Trib. Sup. acque pubbl., 15 marzo 2011, n. 35; ivi riferimenti ulteriori).
E’ ben vero che la lettera f) dell’art. 96, che qui viene in questione, commisura il divieto alla distanza “stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località” e in mancanza di queste lo stabilisce alla distanza “minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
Senonché – come è stato più volte affermato in giurisprudenza – alla luce del generale divieto di costruzione di opere in prossimità degli argini dei corsi d’acqua, il rinvio alla normativa locale assume carattere eccezionale. Tale normativa, per prevalere sulla norma generale, deve avere carattere specifico, ossia essere una normativa espressamente dedicata alla regolamentazione della tutela delle acque e alla distanza dagli argini delle costruzioni, che tenga esplicitamente conto della regola generale espressa dalla normativa statale e delle peculiari condizioni delle acque e degli argini che la norma locale prende in considerazione al fine di stabilirvi l'eventuale deroga. Nulla vieta che la norma locale sia espressa anche mediante l'utilizzo di uno strumento urbanistico, come può essere il piano regolatore generale, ma occorre che tale strumento contenga una norma esplicitamente dedicata alla regolamentazione delle distanze delle costruzioni dagli argini anche in eventuale deroga alla disposizione della lettera f) dell’art. 96, in relazione alla specifica condizione locale delle acque di cui trattasi (cfr. Cass. civ., SS. UU., 18 luglio 2008, n. 19813; Cons. Stato, Sez. IV, 29 aprile 2011, n. 2544).
In mancanza di una difforme disciplina sul punto specifico nel P.R.G. dell’epoca, deve ritenersi non sussistere una normativa locale derogatoria di quella generale, alla quale dunque occorre fare riferimento.
Neppure giova alla tesi, infine, il richiamo alla presenza in zona di altri manufatti, trattandosi di circostanza che, genericamente affermata più che effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con riguardo ai singoli casi concreti".

sentenza CDS 5619 del 2012

Il decreto legge 188 del 2012 in materia di Province e Città metropolitane

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

E' stato pubblicato sulla GU n. 259 del 6-11-2012 ed è entrato in vigore il 7-11-2012 il DECRETO-LEGGE 5 novembre 2012, n. 188, recante "Disposizioni urgenti in materia di Province e Citta' metropolitane. (12G0210)".

DECRETO-LEGGE 5 novembre 2012, n. 188
  Disposizioni urgenti in materia di Province e Citta' metropolitane. (12G0210)  
 

 

Le slides ARPAV per il convegno del 26 ottobre 2012 sulla gestione ottimale del servizio di raccolta dei rifiuti nel Veneto

08 Nov 2012
8 Novembre 2012

L'ing. Silvia Rizzardi dell'Osservatorio Regionale Rifiuti dell'ARPAV, che sentitamente ringraziamo, ci ha fornito le slides della sua relazione sulla gestione ottimale del servizio di raccolta dei rifiuti nel Veneto, tenuta nel convegno del 26 ottobre 2012 ad Arzignano.

GESTIONE DEI RIFIUTI_ARPAV 26_10_2012

Il vincolo idraulico (art. 96 r.d. 523 del 1904) vale per tutte le acque pubbliche (compreso il lago di Garda) e comporta inedificabilità assoluta

07 Nov 2012
7 Novembre 2012

La questione è esaminata dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 5620 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "L’art. 96 del regio decreto n. 523 del 1904 reca l’elenco dei “lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese”.
Nello specifico, la lettera f) vieta “le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi”.
In punto di fatto, non è contestato che i lavori di ampliamento dell’hotel Venezia si siano svolti a distanza inferiore a dieci metri dalla sponda del lago. Gli appellanti sostengono però l’inapplicabilità alla fattispecie della disposizione in questione.
La tesi, però, non è fondata.
Il divieto di edificazione in oggetto ha carattere assoluto e riguarda in genere le acque pubbliche; tale è senz’altro il lago di Garda, sul quale l’albergo è costruito.
Nessuno dei rilievi opposti per affermare l’inapplicabilità del divieto alle sponde dei laghi resiste alla critica. Ciò si deve dire, in particolare, per gli argomenti che gli appellanti vorrebbero trarre dall’analisi delle norme contenute nel regio decreto citato.
Osservano gli appellanti che dal complesso delle disposizioni recate dall’art. 96 emergerebbe l’intento del legislatore dell’epoca di limitare la disciplina ai soli corsi d’acqua. Questa sembra piuttosto una petizione di principio, per di più in contrasto con l’alinea dell’articolo, che, nel fare riferimento alle acque pubbliche in genere, non pone alcuna restrizione del genere diversamente da quanto invece dispone l’art. 98, la lettera d) del quale testualmente è circoscritta a “le nuove costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali”.
E’ poi irrilevante la circostanza che solo il successivo art. 97 menzioni espressamente i laghi. La disposizione della lettera n), alla quale ci si richiama, reca infatti una previsione particolare riferita al regime delle spiagge dei laghi e nulla dice circa la disciplina delle sponde, per la quale dunque non può non valere la norma generale dell’art. 96.
Il rilievo secondo cui l’inciso della lettera f) dell’art. 96 “dal piede degli argini e loro accessori come sopra” richiamerebbe “i fiumi, torrenti e canali navigabili” previsti dalla lettera e) che precede è del pari fallace, apparendo invece chiaro che esso, rispetto agli argini, si riferisce alle loro “banche o sottobanche”.
Che questa sia la corretta interpretazione delle norme lo dimostra poi una considerazione ulteriore di carattere generale. Se la finalità delle disposizioni in oggetto è quella di consentire il libero deflusso delle acque, è evidente che la medesima esigenza si pone con riguardo alle acque dei laghi, anch’esse soggette a innalzamenti di livello. Mentre infine non può rilevare che la violazione della regola sulla distanza non riguarderebbe il piano terra, ma un piano superiore, perché, così argomentando, si vuole introdurre una deroga, che la legge non conosce, al divieto di edificare, assoluto e inderogabile.
A una diversa conclusione, infine, non è possibile giungere prendendo in considerazione l’esistenza di altri manufatti a ridosso della riva del lago di Garda. Si tratta di circostanza che, genericamente affermata più che effettivamente dimostrata, andrebbe comunque esaminata con riguardo ai singoli casi concreti. Dato il divieto di edificabilità, peraltro, l’esistenza di eventuali abusi edilizi non potrebbe di per sé legittimare la pretesa a identico trattamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2105; Id., Sez. IV, 24 febbraio 2011, n. 1235).
L’accertata violazione della norma sulla distanza della costruzione dalle acque pubbliche è di per sé ragione sufficiente per giudicare illegittimo il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Malcesine".

sentenza cds 5620 del 2012

Cosa facevi di sera sotto le piante di kiwi?

06 Nov 2012
6 Novembre 2012

Una struttura in legno delle dimensioni di m 30,30 x 4,40, aperta sui lati e originariamente coperta da un telo (poi rimosso), è un pergolato per la coltivazione dei Kiwi o un riparo per le autovetture?

Se si valuta la questione in termini di et-et, è evidente che sotto i kiwi ci possono stare anche le macchine (quante cose si possono fare sotto le fronde degli alberi!).

Il TAR Veneto, invece, nella sentenza n. 1290 del 2012 valuta la faccenda in termini di aut-aut e conclude dicendo che è possibile distinguere tra un garage e una coltivazione di Kiwi e che le due cose non possono coesistere.

Scrive il TAR: "La descrizione dell’opera realizzata, sopra riportata, permette di evidenziare come si sia in presenza di un manufatto di dimensioni considerevoli e, ciò, a prescindere dal fatto che la copertura sia stata rimossa, ipotesi quest’ultima che se, da un lato, ha permesso al Giudice penale di ritenere non configurabile il reato di cui all’art. 44 lett. b) del Dpr 380/2001, non permette, ora, di qualificare lo stesso manufatto quale “pergolato” e di renderlo così astrattamente compatibile con l’incidenza su un area agricola.
5. Sul punto va ricordato l’esistenza di una pronuncia del Consiglio di Stato (sez. IV del 29 settembre 2011 n. 5409) che ha affermato come …”il pergolato, rilevante ai fini edilizi, deve essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, a mezzo delle quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni; di conseguenza non è riconducibile alla nozione di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, possa essere ricondotta alla nozione di pergolato .
6. Si consideri ancora come la Giurisprudenza prevalente (per tutti si veda T.A.R. Napoli Campania sez. VII 10 giugno 2011 n. 3099) ha sancito che ….” non rientra nella nozione di pergolato - e pertanto non è soggetta a d.i.a., bensì al rilascio di un permesso di costruire - un'opera costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, atti a rendere la struttura solida e robusta. In tal caso, infatti, le rilevanti dimensioni e consistenza delle travi utilizzate, il loro stabile collegamento (nella specie a mezzo di bulloni e perni metallici) con una platea cementizia appositamente realizzata, la notevole estensione superficiaria ricoperta e la presenza di una copertura (ancorché precaria) risultano chiaro indice dell'essere preordinata, l'opera, ad un utilizzo prolungato nel tempo e non certo provvisorio”.
7. E’, inoltre, necessario evidenziare come il semplice esame della documentazione fotografica addotta dalla stessa parte ricorrente, non solo consente di ritenere ai fini urbanistici “non provvisorio” detto manufatto, ma, al contrario, consente di ritenere verosimile la qualificazione operata dal Comune nel momento in cui lo ha qualificato quale “struttura in legno adibita al riparo delle autovetture”.
8. E’ allora evidente la legittimità del provvedimento impugnato che ha ritenuto il manufatto di cui si tratta in contrasto con le vigenti disposizioni urbanistiche che, come ricordato nei provvedimenti impugnati, consentono soltanto la realizzazione di opere a servizio del fondo rustico e dell’azienda agricola ad esso collegata".

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto 1290 del 2012

Modifiche alla legge regionale veneta 15 del 2004 in materia di commercio

06 Nov 2012
6 Novembre 2012

Sul Bur n. 90 del 02 novembre 2012 è stata pubblicata la legge regionale veneta n. 42 del 26 ottobre 2012, recante "Interpretazione autentica degli articoli 8, 10 e 12 e novellazione dell'articolo 12 della legge regionale 13 agosto 2004, n. 15 "Norme di programmazione per l'insediamento di attività commerciali nel Veneto".

legge regione Veneto n. 42 del 2012

Anche le opere monetizzate sono scomputabili dagli oneri di urbanizzazione

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1293 del 2012.

Scrive il TAR: "per il maggior carico urbanistico derivante dall’intervento è stata prevista la possibilità per i ricorrenti di procedere alla monetizzazione degli standard necessari e di tale importo è espressamente riportato l’ammontare in convenzione, sia per le aree necessarie a parcheggio che per quelle destinate a verde attrezzato primario.
Il ricorso alla monetizzazione è, come noto, ammesso ogni qual volta non sia possibile, proprio in considerazione del livello di urbanizzazione presente nelle aree interessate, dare luogo alla realizzazione diretta degli interventi necessari da parte del soggetto lottizzante e la cessione a favore dell’amministrazione delle aree utilizzate.
L’ipotesi della monetizzazione è quindi equiparabile all’ipotesi ordinaria, nella quale il concessionario ha titolo allo scomputo totale o parziale della quota di contributo per oneri di urbanizzazione qualora, in luogo totale o parziale della stessa, si obblighi verso il Comune alla cessione delle aree e delle opere da realizzare o già esistenti.
Orbene, atteso che sia la normativa statale che quella regionale prevede che il richiedente il titolo edilizio per la realizzazione delle opere possa scomputare dagli oneri di urbanizzazione (fermo restando quanto dovuto per il costo di costruzione) il valore delle opere di urbanizzazione realizzate in attuazione di una convenzione urbanistica, proprio al fine di non dare luogo ad una duplicazione di prestazione a fronte della medesima causa (cfr. sul punto C.d.S., V, n. 807/1998 e T.A.R Veneto, II, n. 1132/2003), ne deriva l’illegittimità della previsione contenuta nella convenzione proprio nella parte in cui ha escluso il futuro scomputo dei suddetti oneri all’atto del rilascio del titolo edilizio (fermo restando, così come previsto dall’ultimo comma dell’art. 6, che dovrà in ogni caso essere versta l’eventuale maggior somma che dovesse determinarsi con riguardo agli oneri di urbanizzazione primaria)".

sentenza TAR Veneto 1293 del 2012

La cassazione penale sul “carico urbanistico”

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Allo stato attuale, manca una definizione legislativa di carico urbanistico: di regola,  sono i Piani Regolatori dei Comuni – o deliberazioni comunali ad hoc - a definire i criteri e le tabelle per calcolare il carico urbanistico dei diversi interventi edilizi.

La Corte di Cassazione, III sez. penale, con la sentenza del 5.10.2011, n. 36104, affronta il tema del carico urbanistico e degli interventi che ne determinano un aggravio, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza 29.01.2003 n. 12878), secondo cui la nozione di carico urbanistico “deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio. Si tratta di un concetto, non definito dalla vigente legislazione, ma che è in concreto preso in considerazione in vari istituti di diritto urbanistico: a) negli standards urbanistici di cui al D.M. 02/04/1968, n. 1444 che richiedono l'inclusione, nella formazione degli strumenti urbanistici, di dotazioni minime di spazi pubblici per abitante a seconda delle varie zone; b) nella sottoposizione a concessione e, quindi, a contributo sia di urbanizzazione che sul costo di produzione, delle superfici utili degli edifici, in quanto comportino la costituzione di nuovi vani capaci di produrre nuovo insediamento; c) nel parallelo esonero da contributo di quelle opere che non comportano nuovo insediamento, come le opere di urbanizzazione o le opere soggette ad autorizzazione; d) nell'esonero da ogni autorizzazione e perciò da ogni contributo per le opere interne (art. 26, L. 47/1985 e art. 4 comma 7, L. 493/1993) che non comportano la creazione di nuove superficie utili, ferma restando la destinazione dell'immobile; e) nell'esonero da sanzioni penali delle opere che non costituiscono nuovo o diverso carico urbanistico (art. 10, L. 47/1985 e art. 4, L. 493/1993)”.

dott. Matteo Acquasaliente

La Corte Costituzionale giudica legittimo il computo degli iscritti all’AIRE per le elezioni nei comuni fino a 15.000 abitanti

05 Nov 2012
5 Novembre 2012

Segnaliamo la sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2012, in materia di elezioni nei comuni fino a 15.000 abitanti.

La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 71, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) per sospetto contrasto con gli articoli 1, secondo comma, 3, 48, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione.
La norma denunciata, in tema di elezioni nei comuni sino a 15.000 abitanti, per quanto nel presente giudizio rileva, testualmente dispone che, «ove sia stata ammessa e votata una sola lista, sono eletti tutti i candidati compresi nella lista, e il candidato sindaco collegato, purché (…) il numero dei votanti non sia inferiore al 50 per cento degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, la elezione è nulla».
Poiché nelle liste elettorali del comune, ai sensi dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960 n. 570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali) e successive modificazioni, risultano iscritti anche i cittadini «compresi nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE)» – con la possibile conseguenza, che nei comuni ad alto tasso di emigrazione, ciò possa condizionare in negativo il raggiungimento del quorum e quindi la validità della elezione – si denuncia dal rimettente che, appunto «nella parte in cui include i cittadini iscritti all’AIRE nel numero degli aventi diritto al voto al fine del calcolo percentuale, non inferiore al cinquanta per cento dei voti espressi, ai fini della validità del voto ottenuto dall’unica lista ammessa», la norma in questione contrasti con i richiamati precetti costituzionali, per la sua irragionevolezza e per violazione dei principi di partecipazione popolare e del diritto all’elettorato passivo, quanto ai candidati, nonché di quello di elettorato attivo di coloro che hanno espresso il proprio voto in favore della lista ammessa, in relazione anche al principio di uguaglianza, discriminando di fatto gli enti locali caratterizzati da fenomeni di migrazione rispetto agli altri comuni.

La Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione.

sentenza Corte Costituzionale 242 del 2012

Decreto legge 185 del 2012 in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici

02 Nov 2012
2 Novembre 2012

E' stato pubblicato sulla GU n.254 del 30-10-2012 il decreto legge 29 ottobre 2012, n. 185, recante: "Disposizioni urgenti in materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici. (12G0207)".

decreto legge 185 del 2012

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