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Il responsabile del servizio tecnico del Comune può essere membro e presidente di una commisione di gara della quale poi dovrà approvare gli atti

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Il Consiglio di Stato, sez V, con la sentenza del 18 ottobre 2012 n. 5352, dichiara l’inesistenza di un conflitto di interessi laddove il responsabile del servizio tecnico del Comune sia membro della commissione di gara riguardante una concessione per il servizio di distribuzione di gas naturale, della quale rivesta anche la qualifica di presidente.

Nello specifico si afferma che non "coglie nel segno la censura con cui l’appellante”- la terza società classificata - “deduce il conflitto di interessi in cui versava il presidente dell’organo che ha anche proceduto nella predetta veste di responsabile ad approvare gli atti della Commissione da lui stesso presieduta, essendo tale funzione cumulabile in capo alla figura apicale della struttura amministrativa comunale in seguito alle attribuzioni allo stesso della generalità delle funzioni di gestione attiva”.

Ciò è confermato anche da una precedente pronuncia: “la giurisprudenza della Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 22 giugno 2010, n. 3890 e 12 giugno 2009 n. 3716) ha già messo in evidenza che, ai sensi dell’art. 107 D. Lgs. n. 267-00, tra le attribuzioni dirigenziali, figura espressamente anche quella di assumere la presidenza delle commissioni di gara. L’ampliamento della sfera di responsabilità, facenti capo al dirigente, delineatosi a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, ha rafforzato l’esigenza che il medesimo dirigente sia posto in grado di seguire, in prima persona, le procedure dei cui esiti è responsabile. Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso di un dirigente dell’ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara”(Consiglio di Stato, sez. V, 27.04.2012, n. 2445).

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 5352 del 2012

Il Comune ha l’obbligo di rispondere a chi segnala un abuso edilizio, anche se la segnalazione è infondata

22 Ott 2012
22 Ottobre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5347 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "La controversia sottoposta alla Sezione dall’appello in esame verte sulla legittimità di un silenzio serbato da amministrazione comunale su istanza sollecitatoria dei poteri repressivi nei confronti di un intervento edilizio, realizzato da proprietario confinante, ritenuto abusivo perché lesivo delle prerogative della proprietà limitrofa. Con la decisione impugnata il TAR si è espresso negativamente sul dovere dell’amministrazione di pronunziarsi...Il gravame, alla luce della giurisprudenza di questo Consiglio formatasi in materia, è meritevole di accoglimento, non potendosi condividere, per le ragioni che seguono, l’interpretazione restrittiva adottata dal TAR sul dovere di pronunziarsi sull’istanza. In effetti, ricostruiti come sopra i termini della controversia, e ribadito (come già ammesso dalla sentenza) che la stessa verte esclusivamente sulla sussistenza di un obbligo del Comune di pronunziarsi sulla domanda, e non sul merito della controversia (la regolarità o meno dell’intervento edilizio), viene qui in rilievo la giurisprudenza amministrativa per la quale, in via generale, “l'obbligo giuridico di provvedere - ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487). In particolare, poi, il proprietario confinante con l’immobile, nel quale si assuma essere stato realizzato un abuso edilizio, ha comunque un interesse alla definizione dei procedimenti relativi all’immobile medesimo entro il termine previsto dalla legge, tenendo conto dell’interesse sostanziale che, in relazione alla vicinanza, egli può nutrire in ordine all’esercizio dei poteri repressivi e ripristinatori da parte dell’organo competente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4609; Id., IV Sez., 7 luglio 2008, n. 3384)” (Cons. di Stato , sez.IV, n. 2468/2012)”.
Ciò considerato, rileva il Collegio che la decisione del TAR opera una commistione tra le due distinte questioni giuridiche (pronunzia o meno sull’istanza ed esercizio o meno dei poteri repressivi), obliterando che oggetto del ricorso era solo la prima. E con riferimento a questa sussistevano gli elementi legittimanti minimali per ottenere la pronunzia del Comune, costituiti dalla incontestata proprietà da parte istante e dallo stato dei luoghi esposto dal ricorrente.
Come già condivisibilmente affermato in analoga fattispecie (Cons. di Stato n. 2468/2012, cit.), resta poi irrilevante la prospettiva di un esperimento dell’azione possessoria in sede civile, ben potendo la tutela (rimozione del presunto abuso), non conseguita in sede civile, essere realizzarsi mediante il richiesto esercizio dei poteri pubblicistici in materia edilizia.
Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, dunque, l’azione proposta dal sig. Rizzo contro il silenzio era meritevole di accoglimento; conseguentemente l’appello in trattazione, in riforma sul punto della sentenza impugnata, deve essere accolto, dovendosi annullare il silenzio formatosi sulla domanda e dichiarare il dovere dell’amministrazione di pronunziarsi sull’istanza del sig.Rizzo, a norma dell’art. 117, comma 2 del c.p.a..
Conseguentemente l’appello in trattazione, in riforma sul punto della sentenza impugnata, deve essere accolto".

sentenza CDS 5347 del 2012

Nel caso di contrasto tra il Piano commerciale e il Piano regolatore, quale prevale?

22 Ott 2012
22 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5343 del 2012 esamina un caso nel quale il Comune ha negato la costruzione di un supermercato in una zona che il PRG qualifica come "area per servizi", stabilendo che  "“ tali zone comprendono tutte le aree per i servizi della residenza previsti dal D,.M. 2.4.1968 e sono destinate alla realizzazione di attrezzature per l’istruzione (scuola d’obbligo) , attrezzature per attività collettive , a verde pubblico attrezzato e a parcheggi”, con la possibilità di interventi da parte dei privati mediante la stipula di una convenzione con il Comune per le modalità di uso delle attrezzature .

Il Consiglio di Stato, dopo avere chiarito che "il progettato supermercato non è sussumibile nella categoria delle attrezzature per attività collettive", aggiunge: "Parte appellante sostiene poi che l’assentibilità urbanistica del progettato intervento deriverebbe dalla normativa recata sul punto dal Piano commerciale, approvato dal Comune di Ostuni con deliberazione consiliare n.48 del 20 dicembre 2006, nella parte in cui è prevista la possibilità di localizzazione di medie strutture di vendita nelle aree previste nei vigenti strumenti urbanistici “con destinazione a servizi di interesse generale o collettivo” .
L’argomentazione non coglie nel segno.
Le previsioni di un piano commerciale devono avvenire ed attuarsi in conformità e comunque in coerenza con le scelte di pianificazione territoriale recate dallo strumento urbanistico disciplinante i vari modi di utilizzo del territorio, inclusi quelli relativi al commercio , di guisa che la disciplina urbanistica deve essere la prima ad essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale ( Cons. Stato Sez. IV 27 aprile 2004 n.2521; idem 8 maggio- 7 giugno 2005 n.2928) .
Ora, avuto riguardo alla sovraordinazione del procedimento di verifica urbanistica rispetto a quello dell’autorizzazione commerciale, si deve tener conto, in sede di verifica di compatibilità commerciale di un insediamento, delle scelte di pianificazione urbanistica, sicchè in applicazione di tale regola , nella specie la localizzazione di strutture di carattere comune prevista per la zona G1 dal citato art.20 delle NTA del PRG nei sensi limitativi sopra esposti, è comunque preclusiva dell’assentibilità della progettata struttura di vendita, senza che la norma commerciale possa derogare a tale previsione.
Se così non fosse si arriverebbe ad ammettere una portata innovativa e/o modificativa delle previsioni urbanistiche ad opera di un regolamentazione, quella commerciale , che per principio si pone in posizione recessiva, nel senso che la pianificazione commerciale è subordinata a quella urbanistica e comunque rientra nell’orbita di quest’ultima nel senso che con questa deve necessariamente armonizzarsi.
Insomma , come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ( Sez. VI 10 aprile 2012 n.2060; Sez. V 28 maggio 2009 ; Sez. IV 5 agosto 2005 n. 419 ), le prescrizioni contenute nei piani urbanistici in ragione dell’interesse pubblico tutelato impediscono di attribuire prevalenza al piano commerciale rispetto a quello urbanistico e se così è, la previsione recata dal citato art.20 delle NTA del PRG di Ostuni costituisce circostanza di fatto e di diritto giustificativa del diniego di autorizzare sia sotto il profilo urbanistico che, conseguentemente, sotto l’aspetto commerciale la struttura di vendita di che trattasi".

sentenza CDS 5343 del 2012

Utilizzabilità nel giudizio amministrativo o ai fini della emanazione di un provvedimento di una CTU svolta in un processo civile

19 Ott 2012
19 Ottobre 2012

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 17 maggio 2012 n. 2847, sancisce espressamente che il giudice amministrativo può utilizzare le prove, ammesse e prodotte tra le medesime parti – ma anche tra parti diverse – in un altro processo, al fine di accertare l’esistenza di un abuso edilizio: nello specifico ritiene “inaccoglibili” le censure dedotte da parte appellante in quanto “fondate su una asserita acritica utilizzazione da parte del primo giudice di elementi probatori acquisiti nell'ambito di altri procedimenti intercorsi tra l'appellante e l'appellato, anche e soprattutto laddove si spingono a sostenere l'asserita inutilizzabilità degli elaborati peritali ivi formati nell'odierno giudizio”.

La sentenza de qua ammette la piena utilizzazione della CTU disposta nell’ambito del giudizio civile ancora pendente tra le parti, nonché dell’elaborato redatto dal CTU nel corso del giudizio penale, conformandosi a quanto in precedenza già affermato dal Supremo Consesso Amministrativo: “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata”(Cons. Stato, sez. V, 19.01.2009, n. 223) ed in precedenza ribadito anche dalla Cassazione (Cass. civile, sez. II, 19.09.2000, n. 12422)

La sentenza in esame, ancora, sembra indicare il modus procedendi che il giudice amministrativo deve seguire per valutare adeguatamente tali risultanze probatorie: “Sotto altro profilo, il primo giudice non ha affatto acriticamente recepito le indicazioni probatorie contenute negli elaborati resi dai consulenti tecnici d'ufficio nominati sia in sede di giudizio civile che dal pubblico ministero in sede penale” (...) “Dette risultanze sono state accuratamente vagliate dal primo giudice”.

Anche la P.A. può utilizzare e porre alla base di un proprio provvedimento le risultanze di una CTU.

Segnaliamo, peraltro, che la recente sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, n. 1109 del 06.08.2012 (si veda in questa blog il post del 10 settembre 2012) annulla un provvedimento amministrativo di demolizione di opere eseguite in assenza di un permesso di costruire dacché “il provvedimento ora impugnato è unicamente fondato sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio, posta in essere nell’ambito di un distinto e differente giudizio civile instaurato dai ricorrenti” e ancora “sul punto deve verificarsi l’esistenza di un costante orientamento che, in materia istruttoria del procedimento, obbliga l’Amministrazione allo svolgimento di una corretta attività propedeutica e di verificazione dei fatti in causa, attività assolutamente non delegabile ad altre strutture o giudicati peraltro tutt’ora in corso di svolgimento”.”

Lo stesso T.A.R. Veneto quindi, pur riconoscendo che la CTU prodotta dal controinteressato e riguardante il connesso e pendente processo civile, possa chiarire la natura di abuso edilizio dell’opera in esame, ritiene non sufficiente l’istruttoria svolta dall’ente in quanto “l'Amministrazione si è limitata a rappresentare ed a porre a fondamento della determinazione assunta, esclusivamente, quegli elementi contenuti nella consulenza tecnica riferita al diverso giudizio, senza procedere ad un'adeguata valutazione e fondamento degli stessi”.

Va segnalato, peraltro, che la CTU era stata svolta in un processo civile nel quale era parte sia il Comune sia l’autore del presunto abuso, i quali erano assistiti dai rispetti consulenti tecnici di parte, cosicchè le risultanze della CTU sono apparse al Comune sufficienti ai fini dell’emanazione del provvedimento poi annullato dal TAR.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 2847 del 2012

Come influisce il preavviso di ricorso sulle impugnazioni in materia di appalti (male, ovviamente)

18 Ott 2012
18 Ottobre 2012

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 1278 del 2012, riguardante il preavviso di ricorso in materia di appalti, istituto che, visto quello che dice il TAR, sarebbe molto meglio abolire.

Scrive il TAR: "Consta dagli atti di causa che la parte ricorrente, in data 23 dicembre 2011, pervenuta alla parte resistente in data 27 dicembre 2011, ha manifestato l'intenzione – invero inizialmente solo la capo gruppo della costituita ATI - di proporre ricorso avverso l’aggiudicazione... In primo luogo deve osservarsi che l’attivazione della indicata procedura deflattiva non costituisce un requisito di procedibilità del ricorso.
Invero essa impedisce, anche per la parte ricorrente, unicamente l’adozione delle conseguenze negative di cui al 5° comma dell’art. 243 bis citato.
Ad ogni modo, però, una volta attivata tale procedura, il ricorrente è obbligato a contestare le negative determinazioni, espresse o tacite, al riguardo assunte dalla stazione appaltante, nel termine decadenziale di trenta giorni...Ciò detto, recita il 4° comma dell'articolo citato : “ La stazione appaltante. Entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 1, comunica le proprie determinazioni in ordine ai motivi indicati dall'interessato, stabilendo se intervenire o meno in autotutela. L'inerzia equivale a diniego di autotutela”.
Or bene, ritiene il Collegio, che l'incombente imposto alla stazione appaltante dopo l’istanza del ricorrente per la definizione della controversia, comporta la necessità, per quest’ultima, di formulare le proprie determinazioni nel termine perentorio indicato ( quindici giorni) proprio perchè tale fase procedimentale ha la precipua ed esclusiva funzione deflattiva del preannunciato conflitto e, pertanto, deve essere svolta e definita nei tempi rapidi imposti dal rito accelerato di cui al D.Lgs citato.
Consentire alla stazione appaltante di estendere, oltre i tempi normativamente previsti, l'utilizzazione di tale strumento, significherebbe snaturarne la funzione e le precipue finalità dell’istituto.
Non solo. Proprio per determinare tempi certi ed obiettivi della peculiare sub procedimento, il legislatore ha previsto che tale determinazione sia comunicata agli istanti.
Ciò significa che trascorsi i quindici giorni previsti dalla norma senza che la comunicazione sia pervenuta al richiedente l'autotutela, la stazione appaltante perde il diritto di manifestare ed assumere le determinazioni deflattive dell’instaurando conflitto, incorrendo, come detto, nelle conseguenze di cui al comma 5° dell'articolo citato. Ogni eventuale e successivo intervento sull’aggiudicazione dovrà conformarsi, pertanto, esclusivamente ai canoni formali di cui all’art. 21 quinques, 21 sexies, 21 nonies della L.241/91.
Pertanto, proprio per tali finalità di rapida definizione della controversia, il legislatore ha equiparato l'inerzia della stazione appaltante al diniego di autotutela.
Ne consegue che ogni ulteriore e tardiva espressione della stazione appaltante circa la fondatezza o meno della richiesta di autotutela è, nel contesto procedimentale già avviato dalla preannunciata intenzione di proporre ricorso avverso l'assegnazione del lavoro o del servizio, tanquam non essent.
E’, inoltre, irrilevante che la determinazione negativa assunta dalla stazione appaltante sia stata pubblicata negli organi ufficiali della stessa, perché è necessario che il provvedimento, nei termini perentori indicati dalla legge, deve essere comunicato all'interessato.
Di contro è obbligo del ricorrente quello di impugnare, contestualmente al ricorso principale, ovvero con motivi aggiunti, anche la tacita manifestazione di volontà nel consueto termini di trenta giorni che decorrono dalla comunicazione della determinazione, ovvero dallo spirare dei quindici giorni previsti dal comma 4 dell'art. 243 bis D.Lgs 163/2006".

Se il preavviso di ricorso aveva funzione deflattiva e alla fine comporta che, invece di un ricorso, bisogna farne due (pagando anche due volte il contributo unificato di 4000 euro), bisogna pregare Dio che il legislatore non si sogni più di introdurre istituti deflattivi.

Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 1278 del 2012

Il Sindaco firma il mandato all’avvocato senza bisogno della deliberazione di giunta, salvo che lo statuto preveda diversamente

18 Ott 2012
18 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5277 del 2012 si occupa, tra l'altro, dell'organo comunale legittimato a firmare la procura all'avvocato per agire o resistere in giudizio.

Il Consiglio di Stato precisa che la competenza spetta al Sindaco e che non è necessaria la preventiva deliberazione della Giunta, salvo che lo Statuto comunale non preveda diversamente (per esempio che occorreatale deliberazione oppure che firmino i dirigenti).

Si legge nella sentenza: "Quanto poi alla asserita illegittimità del mandato conferito dal Sindaco all’avv. Cerceo il 12.3.2009, in assenza della esplicita autorizzazione della Giunta, che sarebbe tuttora richiesta dallo Statuto, in primo luogo è da ritenere che, a seguito della modifica statutaria mediante l’inserimento della disposizione secondo la quale “i dirigenti sono competenti alla promozione delle liti e alla resistenza alle stesse” sia venuta meno, per incompatibilità tra la nuova disposizione (il citato art. 44, comma 6 bis) e la precedente, vale a dire l’art. 38/s) dello statuto, proprio quest’ultima disposizione la quale, in base a quanto afferma la difesa dell’appellato, richiedeva che la Giunta autorizzasse il Sindaco a promuovere o a resistere alle liti. Si tratta, del resto, di atto gestionale e tecnico che non richiede più l’autorizzazione giuntale. A questo proposito la Corte suprema di Cassazione (sent. n. 21330 del 2006) ha avuto occasione di statuire che “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, in mancanza di una disposizione statutaria che la richieda espressamente, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta municipale non costituisce atto necessario ai fini del promuovimento di azioni o della resistenza in giudizio da parte del sindaco: quest'ultimo, infatti, trae la propria investitura direttamente dal corpo elettorale e costituisce, esso stesso, fonte di legittimazione dei componenti della giunta municipale, nel quadro di un sistema costituzionale e normativo di riferimento profondamente influenzato dalle modifiche apportate al Titolo V della Parte II cost. dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, nonché di quelle introdotte dalla l. 5 giugno 2003 n. 131, con ripercussioni anche sull'impianto del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267, il cui art. 50, peraltro, indica il sindaco quale organo responsabile dell'amministrazione comunale e gli attribuisce la rappresentanza”.
Inoltre, “nel nuovo ordinamento delle autonomie locali, la rappresentanza processuale del comune spetta istituzionalmente al sindaco, cui compete, in via esclusiva, il potere di conferire al difensore la procura alle liti, senza necessità di autorizzazione della giunta municipale, salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, spettando in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione” (Cass. civ. n. 13968/10).

sentenza CDS 5277 del 2012

La domanda di sanatoria ex art 36 DPR 380/2001 può essere presentata una sola volta

17 Ott 2012
17 Ottobre 2012

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5256 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "l’art. 36, d.P.R. n. 380/2001 prevede che i responsabili degli abusi “…possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”.
Il chiaro riferimento al singolare dell’istanza dimostra all’evidenza, a giudizio del collegio, che vi è una sola possibilità di istanza di conformità.
Pertanto una volta notificato il precedente diniego di conformità, la presentazione di una nuova identica istanza per i medesimi immobili abusivi non può di per sé determinare, sul piano procedimentale alcun dovere della P.A. di pronunciarsi e, di conseguenza, non ha neppure alcun effetto processuale nel giudizio di impugnativa delle sanzioni. L’indirizzo giurisprudenziale concernente i rapporti tra ordine di demolizione e richiesta di accertamento di conformità invocato dall’appellante non può, cioè, applicarsi in tutti i casi in cui il privato abbia già presentato una prima istanza e questa sia stata respinta.
Come esattamente rilevato dalla difesa dell’Amministrazione, se così non fosse, al costruttore abusivo basterebbe presentare una successiva indefinita serie di domande senza soluzione di continuità per paralizzare indefinitamente l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione.
Dato che il provvedimento impugnato in primo grado scaturiva proprio dalla precedente istanza del proprietario odierno appellante, l’interessato aveva già consumato la possibilità offerta dalla legge per gli immobili de quo".

sentenza CDS 5256 del 2012

Another brick in the wall?

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

Promemoria per chi pianifica la nostra vita in comune, provincia, regione e a Roma, prima che vangano creati altri buchi nell'edificio della nostra storia e della nostra civiltà : "La politica ha smarrito il senso del passato; perché nei suoi attori e nei suoi istituti - come del resto in tanta parte del Paese - si è spenta ogni idea d'Italia e della sua storia; di che cosa sia l'Italia. Distruggere un paesaggio o deturpare una piazza; lasciare che biblioteche, archivi, musei, siti archeologici si sperdano e di fatto muoiano o cadano in rovina; accettare che nomi e luoghi antichi del lavoro e dell'industriosità italiana siano acquisiti dall'estero; consentire che il sistema d'istruzione escluda sempre più dai suoi programmi interi segmenti della cultura nazionale (a cominciare dalla lingua); è questo il vuoto che abbiamo creato" (Ernesto Galli della Loggia - Corriere della Sera del 16 ottobre 2012).

Ovviamente non tutto il passato è buono e da conservare: per esempio, possiamo migliorare ancora molto sul rispetto sostanziale delle persone e delle loro tante diversità, considerandole ricchezze e non problemi.

Ma quello che è buono è anche straordinariamente bello e importante (paesaggio, piazze, biblioteche, archivi, musei, siti archeologici, lavoro, istruzione, lingua, cucina e molto altro).

Può essere utile dirlo in inglese?

Dario Meneguzzo

Il TAR Lazio boccia la sospensiva nel ricorso della Provincia di Rovigo sul riordino delle province

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

La Provincia di Rovigo ha impugnato davanti al TAR del Lazio la deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012, recante "Determinazione dei criteri per il riordino delle Province, a norma dell'articolo 17, comma 2, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95", pubblicata in Gazzetta Ufficiale - Serie generale n. 171 del 24 luglio 2012.

Il TAR, con l'ordinanza n. 3668 del giorno 11 ottobre 2012 ha respinto la sospensiva, dicendo che: "impregiudicata ogni questione di carattere pregiudiziale, che non sono ravvisabili i paventati profili di immediata lesività dell’atto impugnato. Esso costituisce infatti il primo segmento di una sequenza procedimentale che, a termini dell’art. 17 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, se anche tendenzialmente conformata dai criteri previsti nell’atto stesso (comma 3), è destinata a concludersi con un provvedimento di natura legislativa (comma 4), il quale, fermi naturalmente i limiti costituzionali, è per definizione libero nel contenuto e nel fine".

Leggendo tra le righe, sembra di capire che il TAR non ravvisi neanche profili di illegittimità costituzionale nella riforma delle province  in cantiere.

ordinanza TAR Lazio 3668 del 2012

Revoca incarico: se il direttore dei lavori non è un dipendente pubblico, la controversia spetta al giudice ordinario

16 Ott 2012
16 Ottobre 2012

La controversia avente ad oggetto l’impugnazione della determinazione dirigenziale che revoca il conferimento dell’incarico professionale di direzione dei lavori ad un soggetto esterno all’amministrazione comunale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

Ciò è quanto afferma il T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 10 ottobre 2012, n. 1816 precisando che: “il conferimento, da parte di un ente pubblico, di incarico ad un professionista non inserito nella struttura organica dell’ente medesimo e che mantenga la propria autonomia e l’iscrizione al relativo albo è funzionale all’instaurazione di un rapporto di lavoro autonomo”.

Il T.A.R. si allinea così al pacifico indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione (sezioni unite 3 luglio 2006 n. 15199 e 3 gennaio 2007 n. 4), condiviso anche dal Consiglio di Stato (sez. V, 12 giugno 2009, n. 3737) e dal C.G.A. (sentenza n. 390 del 6 maggio 2008): “il conferimento da parte di un ente pubblico di incarico a un professionista non inserito nella struttura organica dell’ente medesimo (e che mantenga, pertanto, la propria autonomia e l’iscrizione al relativo albo) costituisce espressione non di una potestà amministrativa, bensì di semplice autonomia privata, ed è funzionale all’instaurazione di un rapporto di cosiddetta parasubordinazione - da ricondurre pur sempre al lavoro autonomo - pur nell’ipotesi in cui la collaborazione assuma carattere continuativo, e il professionista riceva direttive e istruzioni dall’ente, onde anche la successiva delibera di revoca dell’incarico riveste natura non autoritativa ma di recesso contrattuale, con conseguente attribuzione della controversia al giudice ordinario”.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 10.10.2012 n. 1816

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