Strada privata con servitù di uso pubblico: la servitù di U.P. e la destinazione a O.U. primaria non bastano al Comune per consentire l’apertura di passi carrai ai terzi

16 Mag 2013
16 Maggio 2013

Lo stabilisce il Consiglio di Stato nella sentenza n.  2416 del 2013.

Tenendo conto di tale orientamento, ai Comuni conviene inserire nelle convenzioni urbanistiche o negli atti unilateriali d'obbligo la clausola pattizia contenente il consenso del proprietario della strada a costituitre non solo la servitù di uso pubblico a favore del Com,une, ma anche  a favore di tutti i frontisti. Altrimenti i lotti frontisti possono essere considerati come interclusi, vale a dire privi di accesso.

Scrive il Consiglio di Stato: "2. Il thema decidendum consiste nello stabilire se legittimamente l’amministrazione comunale possa, in sede di rilascio di un permesso di costruire, consentire l’accesso – carrabile e pedonale – da un’area privata su una strada ad uso pubblico, qualora tale strada sia di proprietà di un altro soggetto privato e qualora manchi il consenso (anzi: vi sia l’espresso dissenso) da parte del proprietario.

2.1. Ad avviso del Collegio, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che al quesito debba essere fornita risposta in senso negativo.

Al riguardo si osserva in primo luogo:

- che è pacifico in atti che la via Ateleta è un’arteria viaria in parte di proprietà comunale e in parte di proprietà della cooperativa edilizia appellata e che essa si configura – almeno in parte – come strada privata di suo pubblico in quanto consente il collegamento fra due strade piuttosto importanti per la viabilità cittadina (la Via Abruzzo e la Via della Scuola);

- è parimenti pacifico che l’accesso pedonale e carrabile che il Comune ha ammesso da e per il complesso immobiliare della società appellante ricade in toto nella porzione della via Ateleta di proprietà della cooperativa appellata (in tal senso depone, oltretutto, la relazione tecnica che il primo giudice ha demandato al dirigente del Settore Viabilità – Mobilità della provincia dell’Aquila).

2.2. Ora, risulta in atti che sia sorta fra le parti private una controversia avente ad oggetto la delimitazione della consistenza dei reciproci diritti sulla strada in questione e che essa sia stata definita con sentenza del Tribunale civile dell’Aquila n. 202 del 2009, il quale si è espresso nei termini che seguono: “l’utilizzazione di una strada privata per il transito di veicoli da parte di una pluralità indeterminata di persone, se da un lato vale ad evidenziare l’assoggettamento del bene ad uso pubblico di passaggio, non può dall’altro legittimare il proprietario del fondo confinante all’apertura di accesso alla strada stessa, nemmeno in forza di concessione amministrativa, trattandosi di facoltà che esorbita dai limiti del predetto uso pubblico del bene privato e che correlativamente non può essere neppure oggetto di concessione, essendo a tal fine necessario un più ampio titolo di acquisto del bene rispetto al contenuto minimo qualificante del diritto “uso pubblico”; pertanto, “ [l’assoggettamento] ad uso pubblico della strada Ateleta (…) non poteva certamente legittimare la resistente, una volta acquistato il fondo confinante, ad aprire un accesso sulla strada stessa e ad esercitarvi il passaggio per accedere al proprio fondo; ciò a prescindere dalla presenza di concessione edilizia, che nulla vale a questi fini in mancanza di atti costitutivi di una servitù di passaggio”.

Ritiene il Collegio le conclusioni cui è pervenuto il giudice civile siano condivisibili e applicabili anche ai fini della definizione della presente controversia, nel cui ambito la questione relativa alla delimitazione dei diritti e degli obblighi delle parti private in lite viene in rilievo in quanto incide sulla legittimità degli atti abilitativi rilasciati dall’amministrazione comunale.

In particolare, la sentenza civile è condivisibile laddove ha osservato che la compressione delle prerogative del proprietario conseguenti all’assoggettamento del bene al pubblico passaggio non può spingersi (per evidente eterogeneità di ratio) sino ad ammettere l’adozione di atti abilitativi (nel caso di specie: il permesso di costruire) i quali comportino un’ulteriore forma di compressione volta al soddisfacimento di un interesse squisitamente privato ed individuale, quale l’accesso alla strada di uso pubblico.

Si osserva, d’altronde, che se si ammettesse che in sede di rilascio del permesso di costruire all’autorità amministrativa sia consentito costituire sull’area di un terzo un peso (nel caso si specie: l’obbligo di consentire il passaggio) indipendentemente dal consenso del proprietario, si giungerebbe ad ammettere un modo surrettizio di costituzione di una servitùsostanziale (quale quella che consente il passaggio attraverso e sul fondo del vicino) al di fuori dei tassativi modi di costituzione espressamente richiamati dall’articolo 1032 del Codice civile e in assenza della corresponsione dell’indennità dovuta ai sensi degli articoli 1032 e 1053 del medesimo Codice.

2.3. Si osserva, inoltre, che le conclusioni richiamate non sono in contrasto con i princìpi enucleati dalla sentenza di questo Consiglio di Stato, quinta sezione, 9 giugno 2008, n. 2864 (espressamente richiamata nell’atto di appello).

Si osserva al riguardo:

- che quella sentenza ha compendiato i princìpi giurisprudenziali in tema di presupposti e condizioni per l’assoggettamento all’uso pubblico di una strada privata, ma non ha trattato la questione (che qui viene in rilievo) relativa al se tale assoggettamento ad uso pubblico comporti altresì che l’amministrazione possa – in assenza o in contrasto con la volontà del proprietario – consentire un accesso ad uso esclusivamente privato sull’area;

- che, se per un verso è vero che la sentenza in parola ha affermato che l’assoggettamento ad uso pubblico di una strada privata comporta che questa diviene soggetta alla normale disciplina stradale “e la proprietà privata si riduce al fatto che l'area ritornerebbe nella piena disponibilità del proprietario quando cessasse la destinazione stradale”, per altro verso essa non ha affatto affermato che ciò comporti necessariamente la possibilità di adottare in modo legittimo atti di carattere abilitativo quale quello impugnato in primo grado. Anzi, se si portasse alle estreme conseguenze di sistema l’assunto dell’appellante, si giungerebbe alla conclusione (invero inammissibile) secondo cui, anche una volta venute meno le condizioni che hanno comportato l’assoggettamento ad uso pubblico della strada, non verrebbe meno l’impropria forma di servitù in tal modo costituita (lo si ripete: in assenza di una fonte legale o volontaria di costituzione ai sensi dell’articolo 1032 del Codice civile).

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Per le medesime ragioni deve altresì essere respinto l’appello incidentale proposto dal Comune dell’Aquila il quale (coma anticipato in narrativa) risulta basato essenzialmente sulla tesi secondo cui il primo giudice non avrebbe adeguatamente valutato ai fini del decidere la circostanza per cui la via Ateleta sia qualificabile come strada privata ad uso pubblico, nonché come opera di urbanizzazione primaria nell’ambito del complessivo piano di gestione territoriale".

sentenza CDS 2416 del 2013

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