Princìpi utili in materia di interdittiva antimafia

08 Set 2025
8 Settembre 2025

Il Consiglio di Stato ha affermato che gli elementi posti a base dell’informativa antimafia non devono essere letti e interpretati in una visione atomistica e parcellizzata, ma nel loro insieme, così da avere un quadro complessivo, da cui si possano inferire dati di un possibile condizionamento della libera attività concorrenziale dell’impresa in un’ottica preventiva e non inquisitoria: da ciò l’autonomia tra la sfera dell’indagine penale e quella del procedimento amministrativo finalizzato al  provvedimento interdittivo.

Il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma che implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

I tentativi di infiltrazione mafiosa e la tendenza a influenzare la gestione dell’impresa, quali presupposti per l’adozione dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 84, co. 3 d.lgs. 159/2011, cd. Codice antimafia, delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzata a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità o semplice eventualità che esso si verifichi. Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia non sanziona perciò fatti penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.

Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa non può sostanziarsi in un sospetto della P.A. o in una vaga intuizione del giudice, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (es. art. 84, co. 4 del Codice antimafia), mentre altri, “a condotta libera”, lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale della P.A., che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, co. 6 del Codice, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

Le sopravvenienze favorevoli all’interessato possono giustificare la richiesta di aggiornamento del provvedimento di interdizione antimafia, ma non possono inficiare la valutazione resa dalla P.A. sulla base di circostanze preesistenti, successivamente modificatesi. Peraltro, con riguardo alla rilevanza da attribuire alle risultanze dell’esito positivo del controllo giudiziario in sede penale, il Prefetto può utilizzare elementi preesistenti, ma non precedentemente rilevati, o meritevoli di una diversa valutazione in chiave preventiva, per cui l’interdittiva (la cui disciplina è comune alla fattispecie di diniego dell’iscrizione nella white list) può essere fondata sui medesimi elementi indiziari della precedente, giacché frutto di una nuova istruttoria e di un riesame del già ritenuto pericolo di condizionamento, che la P.A. può ritenere perdurante all’attualità.

Il carattere occasionale dei rapporti tra appartenenti alla impresa (soci o dipendenti) con ambienti della criminalità organizzata può consentire alla società di essere ammessa al controllo giudiziario, il cui buon esito consente all’impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l’interdittiva.

I legami parentali possono legittimamente fondare la formulazione di un pericolo di infiltrazione, secondo un procedimento di inferenza logica, non in assoluto, ma in presenza di una serie di condizioni che colleghino la mera condizione parentale all’attività economica.

Nel caso di specie, era illegittimo il diniego di iscrizione alla white list per difetto di istruttoria e motivazione con riferimento alle conseguenze dei legami di parentela dei soci dell’impresa, non risultando dimostrato in quale misura il semplice legame (di parentela o spesso di affinità) potesse incidere sull’affidabilità dell’impresa stessa, rispetto ai tentativi di ingerenza gestionale da parte della criminalità organizzata.

Post di Alberto Antico – avvocato

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