Illeciti in materia di cave
Il TAR Veneto ha offerto una pregevole ricostruzione dell’apparato sanzionatorio in materia di cave previsto dagli artt. 29 e 33 l.r. Veneto 44/1982, vigente ratione temporis.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha offerto una pregevole ricostruzione dell’apparato sanzionatorio in materia di cave previsto dagli artt. 29 e 33 l.r. Veneto 44/1982, vigente ratione temporis.
Post di Alberto Antico – avvocato
L’ultima (o quasi) novità in materia di stazioni radio base e impianti di comunicazione elettronica riguarda la modifica, da parte del d.l. n. 50/2022 (conv. con modificazioni in l. n. 91/2022), della disciplina in materia di esproprio.
Si evidenzia che, in origine, l’art. 90, co. 3 del d.lgs. n. 259/2003, cd. Codice delle Comunicazioni Elettroniche (oggi art. 51, co. 3, a seguito della riforma di cui al d.lgs. n. 207/2021), affermava che “Per l’acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla realizzazione degli impianti e delle opere di cui ai commi 1 e 2, può esperirsi la procedura di esproprio prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327”. E pertanto, l’intero procedimento di esproprio delle aree necessarie alla realizzazione degli impianti – e in particolare l’apposizione del vincolo – spettava, originariamente, all’Ente locale, che operava di fatto come longa manus dell’operatore di comunicazione.
Ma, come si accennava, la modifica del suddetto nuovo art. 51, co. 3, prevede oggi che “Per l’acquisizione patrimoniale dei beni immobili o di diritti reali sugli stessi necessari alla realizzazione degli impianti e delle opere di cui ai commi 1 e 2, l’operatore può esperire la procedura di esproprio prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327”. Ne consegue che, per effetto della riforma, la competenza per il procedimento di espropriazione è stata trasferita direttamente all’operatore economico.
Rimane però il dubbio su quella fase del procedimento riguardante l’apposizione del vincolo, considerata la formulazione degli artt. 9 e 10 d.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropri) in materia: e infatti da una parte l’art. 9 si riferisce all’approvazione degli strumenti urbanistici, competenza degli Enti che li approvano; dall’altra invece l’art. 10, che riguarda le opere pubbliche o di pubblica utilità, parla di predisposizione del vincolo “su richiesta dell’interessato” o di un’altra Amministrazione.
La regola, pertanto, prevede che l’apposizione del vincolo venga effettuata dalla P.A. titolare del potere pianificatorio, e non dai terzi: e mentre un’espressa deroga è prevista per gli espropri di ANAS, per cui l’art. 7, co. 2 del d.l. n. 138/2002 (conv. con modificazioni in l. n. 178/2002) dichiara che “l’ANAS Spa approva i progetti dei lavori oggetto di concessione… e ad essa compete l’emanazione di tutti gli atti del procedimento espropriativo”, nulla viene espressamente previsto per gli operatori elettronici, ad eccezione di quanto detto.
Pertanto, rimane quindi il dubbio se il nuovo art. 51, co. 3 C.C.E. sia sufficiente a fondare tutti i poteri espropriativi degli operatori di telecomunicazione, costituendo una deroga alla norma generale, o se invece il potere di apporre il vincolo si mantenga in capo all’Amministrazione pianificatrice ai sensi dell’art. 10 T.U. Espropri.
Inoltre, relativamente alle fasi che possono portare all’esproprio, la normativa è sempre stata chiara nell’evidenziare che tale procedimento è da considerarsi una mera possibilità e non un obbligo in capo all’operatore economico-soggetto espropriante, possibile solo dopo aver valutato e ponderato tutti gli interessi in conflitto.
Post di Alessandra Piola – avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che compete alla Provincia decidere sia sotto il profilo paesaggistico, sia sotto il profilo edilizio-urbanistico, sull’istanza di autorizzazione alla ricostruzione e all’esercizio di un tratto di linea a 20 kV aerea in conduttori nudi ed in cavo sotterraneo con demolizione linea MT aerea esistente.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha ricordato che, in caso di provvedimento plurimotivato, la legittimità di uno solo degli autonomi motivi è sufficiente a sorreggerlo, mentre l’eventuale illegittimità di uno solo o più degli altri motivi non basta a determinarne l’invalidità.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che il ricorrente, sino al momento in cui la causa è trattenuta per la decisione, ha piena disponibilità dell’azione e, quindi, può dichiarare di non avere più interesse alla stessa decisione.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che il principio di equivalenza è finalizzato ad evitare che un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici precluda l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta.
Post di Alberto Antico – avvocato
La Sezione II del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria il quesito su quale sia la disciplina giuridica applicabile alle opere parzialmente eseguite in virtù di un titolo edilizio decaduto e che non siano state oggetto di intervento di completamento in virtù di un nuovo titolo edilizio.
Da un lato, la giurisprudenza dominante ritiene che la decadenza dal titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori nei termini – cioè per fatto imputabile al titolare e relativo alle modalità di (in)utilizzo del titolo – ha efficacia ex nunc e non ex tunc e, quindi, non implica l’obbligo di disporre la demolizione delle opere realizzate nel periodo di validità del titolo edilizio (le quali, perciò, non possono essere ritenute abusive), ove queste risultino conformi al progetto approvato con il PdC, ma comporta semplicemente la necessità, per il titolare decaduto, di chiedere un nuovo permesso per l’esecuzione delle opere non ancora ultimate. Con la conseguenza che, in mancanza di proroga o rinnovo del titolo, gli interventi effettuati successivamente alla decadenza del titolo risultano abusivi, con conseguente legittimità dell’ordine di demolizione solo per quanto realizzato successivamente all’intervenuta decadenza, ma non per quanto realizzato in precedenza.
A sostegno, si afferma che, se l’art. 31 d.P.R. 380/2001 ha previsto per gli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire” l’ingiunzione alla rimozione o alla demolizione, il successivo art. 38 ha disciplinato il particolare caso di “interventi eseguiti in base a permesso di costruire annullato”, prevedendo la possibilità che in luogo dell’ingiunzione a demolire possa essere applicata una sanzione pecuniaria che quindi lasci salve le opere.
E tuttavia, nel caso di specie il TAR Napoli, in prime cure, aveva affermato che, sebbene il PdC decada – decorso inutilmente il termine di conclusione dei lavori – per la sola parte non eseguita, il mantenimento delle opere presuppone la possibilità di portare a compimento l’opera iniziata; diversamente opinando, dovrebbe ammettersi la possibilità per il privato titolare di un PdC di abbandonare l’opera incompiuta – specie se funzionalmente non autonoma – con ingiustificato deturpamento del contesto circostante, specie se l’opera contrasti con la regolamentazione urbanistica dell’area (peraltro nel caso in questione, il privato si è visto respingere per due volte un progetto di completamento, in virtù di atti cui prestava acquiescenza).
La Sezione II del Consiglio di Stato ha ritenuto questa tesi “non irragionevole”, ma “in frizione” con la giurisprudenza prevalente, da cui la rimessione all’Adunanza Plenaria.
Si osserva che questa vicenda suscita degli interrogativi di più ampio respiro. Supponiamo che un privato ottenga un PdC per realizzare un condominio di 12 metri, ma ne realizzi uno di 11 metri, che però rispetta tutte le possibili norme edilizie, urbanistiche, igienico-sanitarie ecc.: quel condominio è abusivo? Oppure il PdC – che ha natura autorizzatoria, cioè è volto a rimuovere un limite all’esercizio dello ius aedificandi insito in ogni diritto di proprietà immobiliare, attribuendo così una facoltà, non un dovere, al privato – può essere legittimamente sfruttato “solo in parte”?
In alcuni casi, peraltro, sembra di poter dire che i lavori non completati costituiscano di fatto una totale difformità oppure una variazione essenziale rispetto all'opera assentita e, quindi, assomigliano molto a un abuso edilizio.
Post di Dario Meneguzzo – avvocato
Nel caso di specie, il Comune chiedeva al privato di pagare la somma di euro 553.267,37 (10% del costo di costruzione), per aver realizzato un Parco eolico non conforme al progetto approvato, a titolo di asserita intervenuta decadenza dal beneficio dell’esenzione (per le opere destinate alla produzione di energia da fonti rinnovabili) disciplinata dall’art. 49 d.P.R. 380/2001.
Il TAR Sardegna ha affermato che l’art. 49 d.P.R. 380/2001 contempla due distinti termini:
Nel caso di specie, il TAR non ha ravvisato alcuna difformità dell’opera realizzata dal titolo rilasciato, cosicché mancava la causa dell’obbligazione e il Comune non poteva esigere alcunché, al di là del rispetto dei termini di prescrizione.
Si segnala, per completezza, che sulla sentenza in commento grava un appello, non ancora deciso dal Consiglio di Stato.
Post di Daniele Iselle
Il TAR Veneto ha affermato che la chiusura del portico costituisce un intervento edilizio che determina una trasformazione edilizia e incrementa la superficie e la volumetria dell’immobile.
Post di Alberto Antico – avvocato
Il TAR Veneto ha affermato che è legittimo il diniego di permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune senza prima acquisire i necessari pareri della Commissione edilizia e della Commissione per la salvaguardia di Venezia, poiché il diniego era motivato in ragione del contrasto degli interventi realizzati con le disposizioni urbanistiche ed edilizie, senza compiere valutazioni discrezionali.
Post di Alberto Antico – avvocato
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