Author Archive for: SanVittore

Il casotto dei “casoti”

12 Ott 2016
12 Ottobre 2016

Casoti da caccia: il Comune e la Soprintendenza possono non applicare la legge regionale del Veneto che non richiede un’autorizzazione paesaggistica?

Sembrerebbe proprio di no.

Post di Matteo Acquasaliente - avvocato

Come noto l’art. 20 quater della L.R. Veneto n. 5071993 (“Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), introdotto dall’art. 1 della L.R. Veneto n. 1/2016 esenta i c.d. casoti da caccia di carattere precario e temporaneo dalla necessità di munirsi sia del titolo edilizio sia dell’autorizzazione paesaggistica.

Questo articolo recita: “1. Fatte salve le preesistenze a norma delle leggi vigenti l'autorizzazione degli appostamenti fissi di cui alle lettere b) e c) del comma 5 dell’articolo 12 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 costituisce, ai sensi del comma 3 bis dell’articolo 5 della medesima legge, titolo abilitativo edilizio e paesaggistico e condizione per la sistemazione del sito e l'installazione degli appostamenti strettamente funzionali all’attività per la durata dell'autorizzazione stessa. 

2. Gli appostamenti di cui al comma 1 non devono comportare alterazione permanente dello stato dei luoghi, devono avere natura precaria e siano realizzati in legno, utilizzando materiali leggeri o tradizionali della zona, o con strutture in ferro anche tubolari, o in prefabbricato quando interrati o immersi, purché privi di opere di fondazione e facilmente ed immediatamente rimuovibili alla scadenza dell'autorizzazione, e devono osservare le seguenti dimensioni massime:

3, a) appostamenti fissi di caccia allestiti a terra:

- base metri quadrati 12; 

- altezza metri 3 dal piano di calpestio; 

b) appostamenti fissi per la caccia ai colombacci:

- base metri quadrati 12; 

- altezza massima non superiore il limite frondoso degli alberi”.

Nonostante ciò, alcuni Comuni ci hanno comunicato che la Soprintendenza sembra continuare a richiedere l’autorizzazione paesaggistica, affermando che la suddetta disposizione normativa sarebbe incostituzionale.

A questo punto ci si chiede se la SS.BB. possa legittimamente fare ciò.

In dottrina si è sostenuto che la P.A. avrebbe l’obbligo di disapplicare una legge (statale o regionale) che sia palesemente incostituzionale, ma il Consiglio di Stato non è d’accordo.

Ecco il passaggio della sentenza del Consiglio di Stato n. 1862/2015 che interessa: “Come è noto, infatti, l’Autorità amministrativa, dinanzi al principio di legalità costituzionale, non ha un potere di sindacato costituzionale in via incidentale, nonostante l’autorevole e suggestiva tesi di un Autore, che affermava in capo alle Amministrazioni il dovere di disapplicazione di una legge ritenuta palesemente illegittima.

Tale dottrina, tuttavia, non ha trovato seguito nelle evoluzioni del sistema di giustizia costituzionale; coloro che esercitano le funzioni amministrative hanno, infatti, l’obbligo di applicare le leggi (anche se ritenute illegittime), in ossequio al principio di legalità, visto che l’ulteriore dimensione della legalità costituzionale ha il proprio presidio naturale nella competenza (esclusiva) della Corte costituzionale.

Soltanto quando la Pubblica amministrazione assiste alla sopravvenienza di una dichiarazione di incostituzionalità di una norma sulla base della quale abbia in precedenza adottato un atto amministrativo, vi potrebbe essere una valutazione da parte dell’amministrazione procedente dell’impatto della pronuncia costituzionale sull’atto amministrativo ai fini dell’esercizio dei poteri di autotutela.

Pertanto, nella ricostruzione della giurisprudenza amministrativa, un atto emanato sulla base di una norma (successivamente) dichiarata illegittima è qualificabile come viziato in via derivata (o sopravvenuta) e quindi riconducibile al regime processuale dell’annullabilità, dovendo, invece, certamente escludersi il regime della inesistenza e quindi la logica della rimozione ipso iure dell’atto stesso.

Non può negarsi, però, come nel periodo precedente alla dichiarazione di incostituzionalità l’atto risulti conforme alla norma (non ancora dichiarata incostituzionale) e quindi legittimo, dovendo così essere il ricorrente (o in via diretta, come nel caso di specie, lo Stato o e Regioni) a provocare l’incostituzionalità della norma e quindi l’illegittimità dell’atto in via derivata, attraverso una impugnazione per motivi di incostituzionalità.

Con la conseguenza che, se nel periodo precedente alla dichiarazione di incostituzionalità l’atto risulti conforme alla norma e quindi, legittimo, nessun presupposto per il risarcimento del danno richiesto può riconoscersi.

Peraltro, giova osservare che una responsabilità dello Stato “legislatore” è stata riconosciuta soltanto per violazione del diritto comunitario, per la prima volta in via giurisprudenziale con la sentenza 19 novembre 1991, pronunciata a definizione del celebre caso Francovich (Cause riunite C-6/90 e C-9/90, in Racc. p. I-5357): la fattispecie concerneva il mancato recepimento della direttiva 80/97/CEE, che imponeva agli Stati membri la predisposizione di un meccanismo di tutela volto a garantire la liquidazione dei salari dei lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro.

Tale ipotesi non è chiaramente esportabile nel caso di supposta responsabilità del legislatore regionale, come nell’ipotesi di specie”.

In altre parole la Pubblica Amministrazione è sempre tenuta ad applicare una legge anche laddove sia incostituzionale, mentre la giurisprudenza afferma che la P.A. deve disapplicare una legge in contrasto con i principi comunitari ((Cassazione civile,  sez. I, 10/09/2013, n. 20695; Cassazione civile,  sez. VI, 12/04/2013, n. 9026; T.A.R. Toscana, Firenze , sez. II, 11/11/2013, n. 1540; Cassazione civile,  sez. lav., 18/07/2012, n. 12367; Consiglio di Stato,  sez. VI, 23/02/2009, n. 1054; Corte giustizia UE,  sez. II, 29/04/1999, n. 224; Consiglio di Stato, sez. IV, 18/01/1996, n. 54; Corte Costituzionale, 11/07/1989, n. 389; Corte Giustizia UE, 22/06/1989, n. 103).

 

I limiti stabiliti dal D.P.C.M. 14 novembre 1997 si applicano anche se il confinante è una azienda agricola?

12 Ott 2016
12 Ottobre 2016

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“bassa intensità” della presenza umana.

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12 Ott 2016
12 Ottobre 2016

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12 Ott 2016
12 Ottobre 2016

 

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12 Ott 2016
12 Ottobre 2016

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11 Ott 2016
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sentenza-tar-Veneto-1113-del-2016

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