Author Archive for: SanVittore

I parcheggi interrati della legge Tognoli non si possono realizzare in zona agricola

11 Mar 2013
11 Marzo 2013

L’art. 9, c.1, l. 122/1989 (c.d. legge Tognoli), recante le “Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale”, prevede che: “I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché‚ non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela dei corpi idrici. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle regioni e ai Ministeri dell’ambiente e per i beni culturali ed ambientali da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni. I parcheggi stessi ove i piani del traffico non siano stati redatti, potranno comunque essere realizzati nel rispetto delle indicazioni di cui al periodo precedente”.

La giurisprudenza è unanime nell’affermare che i parcheggi disciplinati dalla normativa suddetta, possono essere realizzati solamente all’interno delle aree urbane: “Va poi ribadito che trattandosi di intervento in zona agricola non è applicabile, per giurisprudenza pacifica, la normativa della cosiddetta “legge Tognoli” che consente la realizzazione di autorimesse nel sottosuolo anche in deroga gli strumenti urbanistici, essendo questa consentita solo nelle zone residenziali, e ciò a prescindere dall'ulteriore considerazione postulante l'esclusione della deroga in presenza di vincoli ambientali” (T.A.R. Veneto, sez. II, 25.01.2007, n. 1331, ma si veda anche T.A.R., Piemonte, Torino, sez. I, 27.05.2011, n. 566; T.A.R. Toscana, sez. III, 16.06.2009, n. 1037; T.A.R., Campania, Napoli, sez. II, 08.06.2009, n. 3134; Consiglio di Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7324).

Inoltre la Regione Piemonte nel parere n. 7/2009 afferma che: “Deve ritenersi, inoltre, che la disposizione di cui all’art. 9 L. 122/1989 vada considerata nell’ambito della disciplina complessiva dettata dalla L. 122/1989, in cui essa si inserisce.

Tale legge appare inequivocabilmente deputata a dettare regole ed a disciplinare interventi relativi ai centri urbani, ed in particolare ai centri urbani afflitti da gravi problemi di traffico. La fonte legislativa, infatti, non si occupa soltanto dei parcheggi pertinenziali agli edifici, ma anche e soprattutto dei “programmi urbani dei parcheggi” e, in generale, delle “realizzazioni volta a favorire il decongestionamento dei centri urbani, mediante la creazione di parcheggi finalizzati all’interscambio con i sistemi di trasporto collettivo”.

Procedendo ad un’interpretazione logica e sistematica dell’art. 9, quindi, deve ritenersi che la disposizione in esame sia applicabile soltanto alle aree urbane e non a quelle agricole ed extraurbane in genere.

In tal senso, peraltro, si è più volte espressa la giurisprudenza amministrativa: “La possibilità di realizzare parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, consentita dall'art. 9 l. n. 122 del 1989, costituisce disposizione di carattere eccezionale da interpretarsi nel suo significato strettamente letterale ed in considerazione delle finalità della legge nel cui contesto risulta inserita. Pertanto tale articolo è applicabile alla costruzione di spazi parcheggio nelle sole aree urbane, mentre la realizzazione di parcheggi in aree extraurbane resta soggetta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie necessitando della normale concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 11.11.2004, n. 7325; conf. TAR Piemonte, sez. I, 07.03.2007, n. 1157; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 06.09.2002, n. 5259, ove si precisa che “l’operatività della disposizione non può ritenersi estesa alle zone agricole”; TAR Toscana, Firenze, sez. III, 19.12.2000, n. 2533).

In conclusione, per rispondere al quesito posto a questo Servizio, deve affermarsi che la facoltà di costruire autorimesse pertinenziali anche in deroga agli strumenti urbanistici è prevista dalla Legge Tognoli soltanto relativamente alle aree urbane. Al di fuori di tali aree, l’edificazione di parcheggi pertinenziali sarà comunque possibile, ma non potrà attuarsi nelle forme e nei modi di cui all’art. 9 L. 122/1989, rimanendo invece sottoposta alle ordinarie prescrizioni urbanistiche ed edilizie”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 1331 del 2007

Parere Regione Piemonte n. 7 del 2009

L’udienza del 26 febbraio 2013 davanti alla Corte Costituzionale sulla VAS nel Veneto

11 Mar 2013
11 Marzo 2013

La Corte costituzionale rende disponibili i filmati delle singole cause di ogni udienza pubblica nei giorni successivi allo svolgimento della stessa.

Il ruolo delle cause di ciascuna udienza pubblica è consultabile nella pagina Calendario lavori della sezione.

La visione di tali filmati è possibile direttamente selezionando il filmato in formato flash o previo download del file in formato mp4. Qualora si scelga di vedere i filmati direttamete dal sito devono essere abilitati i pop up.

Al n. 6 di ruolo del 26 febbraio 2013 si è tenuta l'udienza pubblica relativa alla esenzione, prevista dalla legge regionale veneta, della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), prevista dall'art. 6 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Codice dell'ambiente), solo dei piani ed accordi contenenti progetti o interventi sottoposti a VIA.

Partecipanti all'udienza:IORGIO LATTANZI (GIUDICE RELATORE), Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri (AVVOCATO DELLO STATO),Paolo Stella Richter,  Stefano Baciga e Daniela Palumbo per la Regione  Veneto (AVVOCATI)

 Gli interventi in udienza si possono ascoltare on line sul sito:
Download del file:   wmv
Per quanto riguarda la posizione della REgione Veneto su VAS e PI, si consulti il sito:
 

Convegno di Venetoius sulla L.R. 55/2012 (SUAP – sportello unico per le attività produttive)

09 Mar 2013
9 Marzo 2013

Per la partecipazione al convegno del 22 marzo, il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Vicenza riconoscerà 4 crediti formativi.

Locandina 22 marzo 2013

L’Amministrazione comunale ha diversi “poteri di controllo” su DIA/SCIA, a seconda del momento in cui viene proposta l’istanza del privato

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 15 febbraio 2013 n. 230, affronta la tematica del silenzio serbato dall’Amministrazione comunale in seguito alla diffida del privato confinante di verificare la legittimità della D.I.A. (ora S.C.I.A.) ottenuta dal vicino.

Nel caso di specie il privato, dopo aver chiesto all’Amministrazione comunale di porre in essere le verifiche previste dall’art. 19, c. 6-ter, l. 241/1990, secondo cui: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”, proponeva ricorso al T.A.R. Veneto ex art. 31 c.p.a., essendo decorsi 30 giorni senza aver ottenuto un provvedimento espresso.

La sentenza de qua si chiude con l’obbligo dell’Amministrazione comunale di istruire ed attivare nuovamente il procedimento e di concluderlo con un provvedimento espresso, soffermandosi però sul momento temporale in cui il privato ha presentato la diffida: solamente qualora avvenga entro il periodo di tempo nel quale l’Amministrazione può ancora esercitare i poteri inibitori sanciti dall’art. 19, c. 1, l. 241/1990, ossia nei 30 giorni decorrenti dalla presentazione della S.C.I.A. (come si ricava dal combinato disposto dell’ art. 19, c. 3 e 6-bis), l’accertamento dell’Amministrazione avrà ad oggetto la verifica ex art. 19, c. 6-ter, l. 241/1990, negli altri casi “solleciterà” solamente l’esercizio del potere di autotutela o sanzionatorio/repressivo, indipendentemente dal momento in cui ha avuto conoscenza della S.C.I.A. o della sua illegittimità.

La medesima sentenza, inoltre, approfondisce la natura della D.I.A. (ora S.C.I.A.) e del connesso procedimento attivato su impulso del vicino avverso il silenzio dell’Amministrazione comunale: “Sul punto va, preliminarmente, ricordato quanto disposto dall’Adunanza Plenaria n.15/2011 (nel risolvere il conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.) nella parte in cui ha sancito la natura perentoria del termine per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione, rilevando come, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, residui all’Amministrazione un potere di autotutela in applicazione dei principi fondamentali sulla legge sul procedimento.

3. Va, altresì, ricordato come il comma 6 ter dell'art. 19 della L. n. 241/1990 (introdotto dall'art. 6, D.L. n. 138/2011) ha, di fatto, determinato il superamento, quanto meno parziale, proprio delle conclusioni cui era giunta l’Adunanza Plenaria n.15/2011 e per quanto attiene il proponimento di un’azione (atipica) di accertamento dell’obbligo di provvedere.

3.1 Detta ultima disciplina legislativa ha, come è noto, previsto che la tutela della posizione giuridica soggettiva del terzo, avverso il deposito di una DIA (ora SCIA) ritenuta lesiva, debba comportare l’esperimento “in via esclusiva”, dell’azione in materia di silenzio e di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3, D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104".

3.2 E’ ancora utile ricordare come questo Tribunale abbia già avuto modo di precisare, in una precedente decisione (Sez. II, 05 marzo 2012, n. 298), che l'azione avverso il silenzio ex art. 31 c.p.a., è ora esperibile anche prima della scadenza del termine assegnato all'Amministrazione per effettuare il controllo sulla s.c.i.a., azione che in tal caso, ha ad oggetto direttamente l'accertamento dei presupposti per l'esercizio dell'attività dichiarata.

4. Da quanto sopra precisato ne consegue che l’applicazione della disciplina ora vigente ha l’effetto di attribuire efficacia dirimente al momento in cui la domanda del terzo viene presentata, mutando le caratteristiche del potere e dei controlli esperibili e, ciò, nel tentativo posto in essere dalla modifica legislativa sopra ricordata, di operare un non facile contemperamento tra l’interesse del privato a non rimanere perennemente esposto alle conseguenze di un ricorso di un soggetto terzo e, ancora, la necessità di consentire un’effettività della tutela della posizione giuridica del terzo presumibilmente leso da un atto di iniziativa privata.

E’ del tutto evidente che, argomentare in modo differente - e non circoscrivere un preciso limite temporale all’esperimento del potere inibitorio – avrebbe l’effetto di legittimare il riesercizio dello stesso potere in qualunque tempo, a seguito di una semplice istanza proposta da un terzo, con l’inevitabile conseguenza di ritenere ammissibile una disciplina in cui la vicenda correlata alla s.c.i.a./dia (e la posizione del dichiarante in particolare) potrebbe rimanere instabile a tempo indefinito e, ciò, quanto meno entro i termini entro i quali è esperibile l'azione avverso il silenzio secondo i principi generali dell’istituto di cui si tratta.

5. Una volta esaurito il periodo di tempo entro il quale l’Amministrazione può esercitare i poteri inibitori, l'istanza del terzo potrà essere diretta a sollecitare l'esercizio del “solo” potere di autotutela e di quello sanzionatorio/repressivo, senza che rilevi il momento in cui l'interessato abbia effettivamente appreso della s.c.i.a. o constatato la lesività dell'attività dichiarata.

Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore (in questo senso di recente si veda anche Consiglio di Stato n. 5751/2012) e le rimanenti ipotesi dirette a prevenire un danno al patrimonio artistico e culturale” ed ancora: “6.1 E’, altresì, del tutto evidente come non sia possibile condividere l’argomentazione di parte resistente che vorrebbe far decorrere il periodo di tempo per l’esercizio del potere inibitorio dall’ acquisizione delle cinque DIA e dall’avvenuto esperimento dell’istanza di accesso agli atti, ciò, in considerazione dei principi di affidamento del privato sopra ricordati.

6.2 Ne consegue come nel caso di specie sia esperibile solo l’esercizio di un potere di autotutela che, in quanto tale, non può prescindere dall’applicazione dei principi regolatori sanciti dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo (Cons. St., ad. plen., 29 luglio 2011 n. 15).

7. Ne consegue che se il potere di autotutela resta pur sempre un potere in cui sussiste la discrezionalità dell’Amministrazione è, comunque, necessario che il corretto esercizio di detto potere sia preceduto da una previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse e, quindi, da un’attività istruttoria diretta a verificare l’istanza del privato, attività istruttoria che deve ritenersi ancora più indispensabile nelle materie sottoposte a DIA o Scia nelle quali la tutela ex art. 31 comma 4 del codice del processo costituisce l’unica forma di tutela possibile.

7.1 Deve, infatti, ritenersi che l’attuale disciplina vigente, nel prevedere il ricorso allo strumento del “silenzio”, abbia di fatto inevitabilmente anticipato la tutela del terzo ad una fase di partecipazione procedimentale, il cui mancato esperimento ha l’effetto di privare il terzo di un’effettiva forma di tutela.

Come hanno evidenziato altre pronunce …”una volta formatosi il titolo edilizio della d.i.a., l'intervento dell'amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21 nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di avvio di procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 13-04-2012, n. 299)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 230 del 2013

Le Camere di Commercio non possono più rilasciare certificati con dicitura “antimafia”

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

Dal 14 febbraio 2013 sono in vigore le disposizioni integrative e correttive del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione: da tale data la documentazione antimafia deve essere richiesta alla Prefettura da parte delle Pubbliche Amministrazioni, da parte dei concessionari di opere pubbliche e da parte dei contraenti generali di cui all’art.76 del D.Lgs. n.163/06. Le Camere di Commercio non possono più rilasciare certificati con dicitura antimafia, in quanto viene meno la loro competenza sulla materia. Le imprese che effettuavano la richiesta di tale documento alle Camere di Commercio competenti, pertanto, potranno sostituire il certificato antimafia con una autocertificazione ai sensi dell’art.38 del DPR n.445/00 nei seguenti casi:
 contratti e subcontratti relativi a lavori o forniture dichiarate urgenti;
 provvedimenti di rinnovo conseguenti a provvedimenti già disposti;
 attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività alla P.A. competente;
 attività provate sottoposte alla disciplina del silenzio-assenso, indicate nella tabella C annessa al regolamento approvato con DPR n.300/92.
(D.Lgs. n.218 del 15/11/2012, G.U. n.290 del 13/12/2012)

Nuovi chiarimenti sulla responsabilità fiscale solidale nei contratti di appalto di opere e servizi

08 Mar 2013
8 Marzo 2013

L'Agenzia delle Entrate ha fornito nuovi chiarimenti sull’applicazione operativa della norma introdotta dall’art.13-ter del D.L. n.83/12, che prevede la responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore per il versamento all’Erario dell’Iva e delle ritenute fiscali sui redditi dei lavoratori dipendenti dovute dal subappaltatore e l’applicazione di sanzioni in capo al committente che non ha effettuato i dovuti controlli (rilascio di autocertificazione o asseverazione) sulla regolarità dei versamenti fiscali dell’appaltatore e del subappaltatore. I principali dubbi risolti sono i seguenti:
- la norma va applicata esclusivamente in relazione alle fattispecie contrattuali ricadenti nei contratti di appalto di opere e di servizi ai sensi  ell’art.1655 del codice civile indipendentemente dal settore economico in cui operano le parti contraenti (non solo nel settore dell’edilizia);
- sono esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in commento gli appalti di fornitura di beni, i contratti d’opera, i contratti di trasporto, i contratti di subfornitura e le prestazioni rese nell’ambito del rapporto consortile;
- sono esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della disciplina le stazioni appaltanti, le persone fisiche prive di partita Iva e i condomìni;
- ricadono nell’applicazione della norma tutti i contratti di appalto stipulati a decorrere dal 12 agosto 2012 ovvero i contratti già in essere e rinnovati in data successiva al 12 agosto 2012.
(Agenzia delle Entrate, Circolare n.2, 01/03/2013)

Il Governo impugna alcune parti delle Leggi Regionali Venete nn.rr. 50/2012 e 55/2012

07 Mar 2013
7 Marzo 2013

La mal ponderata riforma del Titolo V° della Costituzione produce l'ennesimo conflitto di competenze legislative tra lo Stato e la Regione.

Il Governo in data 26/02/2013 ha infatti impugnato alcuni articoli delle neonate Leggi Regionali Venete:

LRV. n. 50 del 31/12/2012 recante le "Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto."
LRV. n. 55 del 31/12/2012 recante le"Procedure urbanistiche semplificate di sportello unico per le attività produttive e disposizioni in materia urbanistica, di edilizia residenziale pubblica, di mobilità, di noleggio con conducente e di commercio itinerante"

per presunta violazione dei principi di concorrenza e di tutela ambientale.

Si allega documento riassuntivo.

Avv. Gianluca Ghirigatto

Impugnazione_Leggi_Regionali_50_e_55___2012

La discrezionalità tecnica è soggetta ad un sindacato giurisdizionale debole

07 Mar 2013
7 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 04 marzo 2013 n. 321, si sofferma sulla discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione delle offerte da parte della Commissione di gara: la possibilità di un sindaco giurisdizionale è ammesso solamente in caso di evidente contraddittorietà, illogicità manifesta o travisamento dei fatti, poiché: “il giudizio espresso dalla commissione giudicatrice attiene e riguarda la discrezionalità tecnica che necessariamente presiede il giudizio delle diverse offerte e che, in quanto tale, può essere oggetto solo di un sindacato “ debole” da parte del Tribunale, ossia limitato agli aspetti di palese ed univoca contraddittorietà, illogicità manifesta ovvero di un chiaro travisamento dei fatti, aspetti non provati dalla parte ricorrente che, invece, si è limitata a segnalare la priorità valoriale del proprio progetto rispetto a quello avversario.

E’ di tutta evidenza che tale giudizio pertiene alla esclusiva valutazione del seggio di gara proprio perché attiene ad una valutazione oggettivamente opinabile, il cui esito dipende da una pluralità di fattori, tutti scelti ed individuati dalla stessa commissione, in uno con la legge di gara, sicché una diversa ed antitetica opzione costituirebbe non già uno scrutinio di legittimità dell’atto contestato, bensì una nuova e sostitutiva valutazione operata, sine titulo, dal Tribunale”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto 321 del 2013

Le casette da giardino sono soggette a permesso di costruire?

07 Mar 2013
7 Marzo 2013

La questione era sorta in riferimento ad una casetta da giardino in legno di dimensioni 4.00 m X 4.00 m, con altezza media di 2,90 m, pavimento in getto di calcestruzzo e con copertura in tavole di legno con sovrastante guaina catramata. In esisto ad un sopralluogo della Polizia Locale veniva accertata la natura abusiva di tale opera e veniva emessa un’ordinanza di demolizione. I proprietari sostenevano che la casetta in legno sarebbe stata una mera pertinenza, avente un volume inferiore al 20% del manufatto principale e, quindi, non soggetta a permesso di costruire ai sensi dell’artt. 3, comma 1, lett. e.6) e 10) del D.P.R. n. 380/2001.

Di diversa opinione è il TAR Veneto il quale, con la sentenza n. 214 del 2013, preso atto che la casetta è completamente separata dall’edificio principale e allacciata alla rete elettrica, con la sentenza n. 214/2013 ha stabilito che “..non svolge alcuna funzione servente rispetto all’immobile principale e può avere un proprio autonomo valore di mercato. Inoltre, le caratteristiche dimensionali e di finitura della costruzione ne consentono qualsiasi autonoma destinazione. È pertanto evidente che la stessa non presenta alcuno degli aspetti tipici dei manufatti pertinenziali prima evidenziati, trattandosi, invece, di una nuova costruzione che comporta una permanente e rilevante trasformazione dell’assetto territorio, pertanto, soggetta a permesso di costruire. L’intervento, in conclusione, non poteva che essere sanzionato con l’ordine di demolizione.

dott.sa Giada Scuccato

sentenza TAR Veneto 214 del 2013

La sanzione pecuniaria ex art. 167 D. Lgs. 42/2004 non è alternativa al ripristino dei luoghi

06 Mar 2013
6 Marzo 2013

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 14 febbraio 2013 n. 217, ritiene che la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 167 D. Lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) non sia alternativa al ripristino dei luoghi.

L’articolo dispone che:“1. In caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4.

2. Con l'ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un termine per provvedere.

3. In caso di inottemperanza, l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d'ufficio per mezzo del prefetto e rende esecutoria la nota delle spese. Laddove l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d'ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall'accertamento dell'illecito, previa diffida alla suddetta autorità competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi dell'apposito servizio tecnico-operativo del Ministero, ovvero delle modalità previste dall'articolo 41 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione che può essere stipulata d'intesa tra il Ministero e il Ministero della difesa.

4. L'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

5. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma.

6. Le somme riscosse per effetto dell'applicazione del comma 5, nonché per effetto dell'articolo 1, comma 37, lettera b), n. 1), della legge 15 dicembre 2004, n. 308, sono utilizzate, oltre che per l'esecuzione delle rimessioni in pristino di cui al comma 1, anche per finalità di salvaguardia nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici e di riqualificazione degli immobili e delle aree degradati o interessati dalle rimessioni in pristino. Per le medesime finalità possono essere utilizzate anche le somme derivanti dal recupero delle spese sostenute dall'amministrazione per l'esecuzione della rimessione in pristino in danno dei soggetti obbligati, ovvero altre somme a ciò destinate dalle amministrazioni competenti”.

Giustamente il T.A.R. Veneto ricorda “quel consolidato orientamento giurisprudenziale in relazione al quale l’indennità di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004, “costituisce una vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 2160 del 16-04-2010)”.

3.2 La sanzione pecuniaria di cui si tratta deve, pertanto, ritenersi diretta a reprimere, con effetto deterrente oltre che ripristinatorio, ogni tipo di violazione, essendo dovuta anche in mancanza di un concreto danno ambientale.

Come ha correttamente rilevato la Regione Veneto l’orientamento giurisprudenzale oramai consolidato ritiene che “la misura pecuniaria prevista dall'art. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine "indennità", non costituisce un'ipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa, applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dell'indennità paesaggistica, sia nell'ipotesi di illeciti formali, quale è, appunto, da ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione”. (Cons. di Stato Sez. VI, n. 912 del 2001, cit. n. 3184 del 2000 Cons. Stato Sez. VI, 15-05-2003, n. 2653)”.

 La sentenza chiarisce inoltre come tale sanzione, soggetta ai principi sanciti dalla l. 689/1981, si applica allorquando vi è un illecito sostanziale, e non un illecito formale come sostenuto da parte ricorrente: “come ha affermato l’orientamento sopra ricordato la sanzione pecuniaria ex art. 164 D.Lgs. n. 490 del 1999 è immediatamente collegata non tanto ad un danno inferto al paesaggio, ma alla violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi tutelati, quindi principalmente ad un illecito formale: (T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, 26-07-2011, n. 1508).

Si consideri, ancora, che come ha avuto modo di precisare anche questo Tribunale, la valutazione dell’Amministrazione di optare per la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non è configurabile come una sorta di autorizzazione postuma implicita, presupponendo comunque l'accertamento di una violazione rispetto al valore paesaggistico (T.A.R. Veneto Venezia Sez. II Sent., 18 dicembre 2009, n. 3635)”.

Infine, soffermandosi sull’art. 8 dell’abrogata l.r. Veneto 63/1994, il Collegio evidenzia che: “Sul punto va evidenziato, in primo luogo, l’inesistenza di un potere discrezionale dell'Amministrazione nell'applicare la sanzione di cui all'art. 8, L.R. 31 ottobre 1994 n. 63, così come peraltro già sancito in alcuni precedenti da questo stesso Tribunale (TAR Veneto Sez. II, sent. n. 1277 del 03-07-2000) e in luogo del provvedimento di ripristino.

5.2 La semplice lettura del testo dell’art. 8 L. Reg. 63/94 consente, poi, di non condividere l’argomentazione diretta a qualificare come residuale il criterio del doppio del costo di produzione e, ciò, nella parte in cui si prevede che…” salvo diversa motivata valutazione dell'autorità competente, il danno di cui all'articolo 15, legge 29 giugno 1939, n. 1497, è pari a due volte il costo teorico di realizzazione delle opere e/o dei lavori abusivi”. La necessità della previsione di un espresso onere motivazionale a carico dell’Amministrazione non può non essere interpretato come l’intento di prevedere come “principale” il criterio sopra specificato e residuale, al contrario, ogni differente e motivata valutazione”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 217 del 2013

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC