Il danno da ritardo è risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale?

04 Dic 2012
4 Dicembre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1443 del 2012, in un caso nel quale la ricorrente, allegando un ingiustificato ritardo (tre anni) da parte della Motorizzazione civile nel rilascio della documentazione idonea allo svolgimento del servizio di trasporto pubblico – documentazione asseritamente rilasciata nell’ottobre 2004, a fronte di una domanda proposta agli inizi del 2001 -, ha chiesto il risarcimento del danno economico conseguente al predetto ritardo, asseritamente imputabile all’Amministrazione.

Scrive il TAR: "In tema di danno da ritardo sussiste in giurisprudenza una diversità di opinione su un punto centrale: se il danno sia risarcibile o meno indipendentemente dalla spettanza del bene della vita, cioè indipendentemente dal fatto che il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento richiesto. In altri termini, la domanda che si pone è se a fondare un titolo risarcitorio sia sufficiente o meno la mera violazione di obblighi di correttezza e buona fede nello svolgimento del procedimento.
Un primo orientamento giurisprudenziale, nel delineare una responsabilità dell’Amministrazione da contatto qualificato (Cass. Civ., I, 10.1.2003 n. 157; CdS, VI, 20.1.2003 n. 204 e 15.4.2003 n. 1945), ha posto in rilievo come nel nuovo modello di azione amministrativa introdotto dalla legge n. 241/90 possano assumere rilevanza autonoma, rispetto all’interesse legittimo al bene della vita, posizioni soggettive di natura strumentale che mirano a disciplinare il procedimento amministrativo secondo criteri di correttezza idonei a ingenerare, con l’affidamento del privato, “un’aspettativa qualificata” al rispetto di queste regole, con la conseguenza che “la selezione degli interessi giuridicamente rilevanti non può essere effettuata con riguardo al solo bene finale idealmente conseguibile”
(Cass. Civ., I, n.157/03 cit.): sicché il privato ha titolo a una risposta certa e tempestiva a prescindere dal contenuto della stessa.
In tale prospettiva, dal novero degli interessi pretensivi sarebbe enucleabile un ambito di interessi procedimentali la cui violazione integrerebbe un titolo di responsabilità idoneo a fondare un danno risarcibile diverso e autonomo rispetto alla lesione del bene della vita. A tale categoria di interessi procedimentali sarebbe ascrivibile il danno da ritardo, sicché il privato avrebbe titolo ad agire per il risarcimento del danno subìto in conseguenza della mancata emanazione del provvedimento richiesto nei tempi previsti, indipendentemente dalla successiva emanazione e dal contenuto di tale provvedimento.
Secondo un altro orientamento - che è prevalente nella giurisprudenza amministrativa - il danno da ritardo è risarcibile solo se il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento finale, se cioè gli spetti il “ bene della vita” (Ap, 15.9.2005 n. 7).
Nell’ambito di tale indirizzo giurisprudenziale vi è poi chi ritiene che il titolo andrebbe accertato azionando il procedimento del silenzio e sindacando il successivo diniego espresso, e chi, invece, è dell’avviso che il giudice adito in sede risarcitoria dovrebbe effettuare un giudizio prognostico sulla spettanza del titolo, ai soli fini del risarcimento.
Va, peraltro, aggiunto che sulla questione influisce anche un principio cardine del diritto processuale, quello della domanda.
Non di rado, infatti, la pretesa risarcitoria, in ispecie quando è azionata da soggetti che entrano in contatto con l’Amministrazione in quanto portatori di interessi economici di rilievo, non ha ad oggetto il mero pregiudizio derivante dalla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’Amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione dell’interesse finale, ma, al contrario,
proprio il pregiudizio connesso alla preclusione frapposta dall’Amministrazione alla realizzazione del bene finale.
In queste ipotesi il giudice non può né eludere la domanda, nè tanto meno accoglierla a prescindere dalla formulazione di un giudizio, laddove possibile, sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene dell’utilità finale.
Questo giudizio prognostico si presenta particolarmente delicato, specie quando vi sia necessità di distinguere a seconda della tipologia dell’attività amministrativa dal cui concreto esercizio dipende il conseguimento del bene della vita: il giudizio prognostico, difatti, pone problemi diversi e si atteggia in modo differenziato a seconda che il soddisfacimento della pretesa sia correlato ad attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura.
Secondo quanto rilevato, il rischio che il giudice si sostituisca all’Amministrazione, sia pure in modo virtuale e nella sola prospettiva risarcitoria, diventa tanto più consistente quanto più sono intensi i margini di valutazione rimessi alla seconda nel riconoscere al privato, asseritamente leso, il bene della vita.
Evenienza questa che viene individuata in quelle ipotesi in cui l’attività dell’Amministrazione sia connotata da margini di discrezionalità amministrativa pura, anziché solo tecnica: in questa ipotesi si prospetta il rischio di un’ingerenza del giudice - chiamato a formulare il giudizio prognostico sulla spettanza del bene non ottenuto con la determinazione illegittima ed annullata - nella sfera davvero esclusiva dell’Amministrazione, quella afferente al merito amministrativo ed alle valutazioni di pura opportunità e convenienza alla stessa spettanti nella prospettiva dell’ottimale perseguimento dell’interesse pubblico.
In questi casi, connotati dalla persistenza in capo all’Amministrazione di significativi spazi di discrezionalità amministrativa pura, si esclude che il giudice possa indagare sulla spettanza del bene della vita, ammettendo il risarcimento solo dopo e a condizione che l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia
riconosciuto all’istante il bene stesso: nel qual caso, il danno ristorabile non potrà che ridursi al solo pregiudizio determinato dal ritardo nel conseguimento di quel bene.
E’ in applicazione di questi principi, dai quali il collegio non ravvisa motivi per discostarsi, che va risolto il caso di specie – in realtà di assai semplice soluzione - nel quale la società ricorrente chiede il ristoro del danno conseguente al ritardo nel rilascio della carta di circolazione definitiva: di assai semplice soluzione, come s’è accennato, in quanto, come risulta dal resoconto in narrativa, “La Linea” non ha mai dimostrato, nemmeno nel corso del presente giudizio, il possesso del titolo amministrativo – in particolare, la partecipazione al consorzio CONAM, concessionario del servizio per il trasporto pubblico locale –, reiteratamente richiesto dall’Ufficio, necessario ai sensi dell’art. 87 del c.d.s. per l’ottenimento della carta di circolazione, e, peraltro, ha giammai avuto intestata una efficace carta di circolazione (definitiva) che le consentisse di svolgere legittimamente il servizio con l’automezzo targato BC 327 KT (che, invece, l’Ufficio della Motorizzazione ha rilasciato a CONAM: cfr. la nota 1.3.2005 dell’Ufficio DTT di Venezia).
Donde l’infondatezza della pretesa risarcitoria per mancata spettanza – espressamente sancita dall’Amministrazione e non ritualmente impugnata dall’interessata - del “bene della vita” richiesto con il procedimento amministrativo che si assume pregiudizievolmente ritardato.
Il ricorso va, conseguentemente respinto, le spese potendo essere compensate in ragione della particolarità della controversia".

D.M.

sentenza TAR Veneto 1443 del 2012

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