Lettera aperta a Matteo Renzi: in quale modo risolveremo i grandi problemi dell’Italia se oggi non riusciamo neanche a convincere la Soprintendenza a fissare un appuntamento obbligatorio per legge?
Buongiorno, mi presento, sono Giada Scuccato di Vicenza, dottoressa in Giurisprudenza e praticante avvocato, con una forte passione per il Diritto Amministrativo.
Nel corso della mia carriera universitaria mi sono più volte imbatutta in problemi di presunta semplificazione amministrativa o di mancata sburocratizzazione. Per questo, lo scorso anno ho deciso di scrivere la mia tesi di laurea su una materia molto sentita nel mio Veneto: il peso della burocrazia nelle imprese. In particolare, mi sono occupata dello Sportello Unico attività produttive.
Ho iniziato a scrivere con un intusiasmo degno della mia giovane età, ma purtroppo, man mano che ricercavo e ascoltavo personalmente le persone occupate negli enti interessati (Regione del Veneto, Camera di Commercio, Comuni) ho scoperto che lo Sportello Unico, così come disciplinato dal legislatore, restava nella realtà un’utopia. Nel progetto normativo lo Sportello Unico per le attività produttive doveva essere un importante snellimento burocratico, una semplificazione amministrativa di facile attuazione. Nella realtà, invece, le imprese si trovano ancora schiacciate dal peso crescente della burocrazia, che contribuisce a rendere poco appetibile nel panorama europeo la nostra povera Italia.
Ora, nella mia quotidiana esperienza di praticante avvocato riscontro quotidianamente la non riuscita semplificazione. Un esempio può essere di chiarimento: l’art. 14 ter (Lavori della Conferenza di servizi) della legge n. 241/1990, come modificato dell’art. 49 del decreto legge n. 78/2010 (poi convertito in legge n. 122/2010), stabilisce al comma 2 che “i responsabili degli sportelli unici per le attività produttive e per l’edilizia, ove costituiti, o i Comuni, o altre autorità competenti concordano con i soprintentendi territorialmente competenti il calendario, almeno trimestrale, delle riunioni della conferenza dei servizi che coinvolgano atti di assenso o consultivi comunque denominati di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali”. Sul punto, è intervenuto anche il Ministero per le attività Culturali, con la nota del 24 aprile 2013 stabilendo che “questa disposizione – appositamente inserita, si ripete, per alleviare la difficoltà, ben nota, degli Uffici periferici di assicurare la continua presenza nelle numerose conferenze di servizi indette dagli enti locali – svolge un’efficacia direttamente invalidante, ove non applicata, sulla conferenza di servizi comunque indettaa e celebrata in violazione di tale precetto”.
Purtroppo, però, numerose sono le segnalazioni che mi arrivano, soprattutto da parte di Comuni, i quali non sono mai riusciti a concordare con le Soprintendenze questo indispensabile calendario delle riunioni. Ora mi chiedo come possano le aziende italiane sopravvivere o crescere in un'Italia dove l’istituto creato per semplificare non fa altro che peggiorare ulteriormente le cose? Come è possibile che gli imprenditori, le Amministrazioni importanti ed i Piccoli Comuni (dei quali il mio Veneto è ricco) subiscano il blocco dei loro lavori per la mancata calendarizzazione degli appuntamenti con un Ente Pubblico?
Io, come scrivevo in premessa, sono una neo-laureata, ma mi chiedo: è questa l’Italia che vogliamo per il nostro futuro? Non sarà certo sufficiente far rispettare l'obbligo di fissare un calendario di appuntamenti (o quantomento garantire gli appuntamenti con un Ente come la Soprintendenza) per aver ottenuto l’ambito risultato della semplificazione, ma diciamo che almeno sarebbe un primo punto di partenza.
È per questo che mi rivolgo a Lei. In questi mesi, si è molto sentito parlare di futuro, di un Italia migliore, di cambiamento: ebbene, Le chiedo, perché non partire proprio da qui per costruire la Patria del 2000? Agli occhi di chi, come me, si scontra tutti i giorni con la realtà, sembra che per il Governo e la Politica sia più semplice fare una legge elettorale nuova, o ragionare su massimi sistemi, piuttosto che ottenere cose semplici, come un appuntamento con la Soprintendenza. È proprio da qui, che Le chiedo di partire, dalla base, dalle Amministrazioni: non è sufficiente fare una legge, se poi non ne è garantita l’applicazione, a causa dell'ostruzionismo di un burocrate.
Io credo che per ritornare un Paese competitivo, sia sotto l’aspetto della Pubblica Amministrazione, sia sotto l’aspetto imprenditoriale, sia veramente necessario alleggerire il nostro pesante impianto normativo, di permessi, di pratiche. La asserita semplificazione deve diventare non solo uno spot elettorale, ma una realtà quotidiana effettiva. Solo attraverso una vera responsabilizzazione delle persone che operano negli Enti si riuscirà a realizzare questo progetto di sburocratizzazione. Se un Sindaco non fa il suo dovere, si confronta nell’immediato con i cittadini, con la pubblica opinione, prima ancora che con gli organismi di controllo. Visto che ricreare questo controllo diffuso con Enti così formali e distanti è molto difficile, perché allora, non creare organismi che abbiano un potere forte e di controllo verso chi ostacola il cambiamento? Cosi facendo, i Comuni, gli Enti Locali e le imprese non saranno più ostaggio di cavilli formali o di ritardi, ma potranno far valere i loro diritto ad avere un Paese davvero efficace ed efficiente.
Allargo l’invito ad una riflessione sul punto anche agli altri quarantenni Presidenti di Partito (il sindaco di Verona Flavio Tosi, il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, il segretario del Nuovo Centro Destra Angelino Alfano, la referente dei Fratelli d'Italia Giorgia Meloni) con l’ambizione di cambiare il Paese.
Con osservanza
Dott.ssa Giada Scuccato
Ritengo che le semplificazioni burocratiche sono da perseguire, ma che forse dovrebbe essere percorsa una strada alternativa rispetto a quella tracciato dal ’90 in poi con le conferenze di servizi, silenzio-assenso, scia etc; a mio modesto avviso questo istituti nella pratica si sono rivelati in molti casi forieri di interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali contrastanti e hanno solo portato a molti contenziosi, oltre che a lasciare gli operatori a sbrigarsi da soli intricati casi pratici. Si pensi alla dia/scia e alla diatriba giurisprudenziale se fosse o meno un provvedimento o un atto privato e agli equilibrismi dell’ultima versione dell’art. 19 della l. N. 241/1990 sulla impugnabilità della scia col rito del silenzio. Ma è semplificazione questa?
In fin dei conti anche la procedura autorizzatoria classica ( rilascio del p.c.), se gestita da funzionari pubblici di buon senso, può essere semplice e dare più certezza di una scia, sia alla p.a. che al privato. Una provocazione: forse la semplificazione, per dare i suoi frutti, necessiterebbe di essere accompagnata da un maggiore investimento nella formazione dei pubblici dipendenti, che purtroppo negli ultimi anni si sono visti drasticamente tagliare i fondi per la formazione. Insomma, non si può pretendere che un nuovo istituto funzioni bene se gli operatori non vengono adeguatamente preparati e supportati, abbandonandoli a gestire nella pratica semplificazioni che si rivelano poi complicazioni!
Spett.le d.ssa Giada,
(complimenti per la laurea ed anche per l’ostico argomento di tesi),
è singolare che nell’auspicare il funzionamento dello sportello UNICO Lei proponga di “…creare organismi che abbiano un potere forte e di controllo…” cadendo nello stesso errore del legislatore che ha inteso semplificare aggiungendo piuttosto che sottraendo.
Sarò ingenuo, ma ritengo che una via per la semplificazione possa essere quelle di individuare ruoli ben distinti con le conseguenti responsabilità, senza sovrapposizioni di competenze.
Se poi la certezza fosse di questo mondo, l’Italia, così come la conosciamo, non avrebbe motivo di esistere 🙂
Per quanto poco possa servire il mio parere, concordo con la dott.sa Scuccato. Un viaggio di mille miglia inizia sempre con il primo passo. Soffermandoci solamente all’operatività del Ministero per i beni culturali, al fine di semplificare ed accelerare i procedimenti è mia personale convinzione che il patrimonio culturale italiano sia da diversificare (ed ovviamente anche i rispettivi procedimenti). Cos’è che ha il massimo grado di vincolo (es. colosseo, galleria degli uffizi, ecc.) e cosa ha l’ultimo grado di vincolo (es. muretto in sasso della villa qualunque). Ad oggi rischiamo di finire come in quei programmi dove fanno vedere le persone sepolte in casa dalle loro cose. Mentre chiunque abbia un po’ di buon senso ogni tanto mette in ordine a casa propria, per mostrare agli ospiti i suoi mobili più belli e se ha qualcosa di valore che non riesce ad utilizzare lo vende o lo regala. Senza dilungarci nella metafora casalinga l’Italia potrebbe ricavare ingenti risorse economiche dal convenzionamento con i musei stranieri (non dico vendita) di molti beni culturali sepolti nei meandri delle soprintendenze. E con quello che si potrebbe ricavare si potrebbero restaurare moltissimi altri beni culturali che cadono a pezzi, per valorizzare il nostro bellissimo territorio attraendo nuovo turismo e nuovi capitali per gli investimenti. La mia richiesta, in aggiunta a quella della dott.sa Scuccato è di semplificare i procedimenti a seconda del grado di vincolo e magari responsabilizzando le autorità locali e la cittadinanza per gli interventi su quei beni di minor valore. E sarebbe auspicabile che per attuare queste riforme vi fosse un interessamento degli enti locali e non che dai buoni propositi si arrivi alla solita norma calata in fretta dall’alto per fare il titolone di giornale!
E’ singolare auspicare l’istituzione di organismi che abbiano un potere forte e di controllo verso chi ostacola il cambiamento! Sono proprio queste fantomatiche “istituzioni” che si articolano i comitati, agenzie, autorità, ecc. che il più delle volte si palesano come ulteriore problema piuttosto che soluzione, magari, per esempio, anche con posizioni antagoniste rispetto alla giustizia amministrativa o replicando competenze attribuite già ad altri organi.
Per me lo sportello unico delle attività produttive, proprio perché chiamato “unico”, rappresenta un’idea formidabile, avere un interlocutore esclusivo sembra banale ma in realtà è essenziale perché l’approccio con le questioni deve essere efficace. Se poi l’istituto della conferenza dei servizi risulta inflazionato il motivo sta proprio nell’assurdo di fondo che vede moltiplicarsi le competenze frammentate in mille rivoli ed anche per un banale intervento ci si dovrebbe dotare di un bel tavolo allungabile …. sempre più anziché agevolare l’opera senza indugio! Nel post “Piano casa: cementificazione inutile e dannosa o concretezza veneta?” citando il libro “Privilegium” ho sottolineato degli elementi che ritengo pertinenti. Nutro perplessità circa gli interlocutori destinatari della Sua in quanto portatori di slogan talmente banali da essere quasi sconfortanti. Comunque, secondo me, manca ancora la necessaria consapevolezza nelle persone per capire cosa sta accadendo, avere coscienza che oggi il potere decisionale sta sempre più negli apparati (con mega strutture e mega dirigenti) e sempre meno negli organi democratici (parlamento in primis) e questa cosiddetta crisi economica ci ha messi, ancora una volta, di fronte alle nostre responsabilità. Prima dovremmo ritrovare il senso appartenenza per una identità comune che condivida le norme di una comunità poi si potrebbe fare un passo avanti. (…senza dover interpellare la Soprintendenza anche per poter installare 3 pannelli fotovoltaici sul tetto di casa).
Il tema della conferenza di servizi, lo dimostrano i continui interventi di modifica alla Legge, è purtroppo uno dei nodi sui quali si inceppano molti procedimenti complessi. La non partecipazione delle Soprintendenze penso sia però da ricercare piuttosto nella carenza di personale, cronico in determinati enti dove la mole di lavoro è molta e il personale è poco, o non adeguatamente attrezzato. Penso che la cosa sarebbe risolvibile consentendo eventuali deleghe o surroghe o consentendo la formulazione di un parere della conferenza, anche se eventualmente impugnabile dal ministero se palesemente lesivo degli interessi di salvaguardia o tutela del bene vincolato.
Chiediamoci invece come mai, soprattutto in Veneto, siano così numerosi gli interventi in ambiti di vincolo paesaggistico o monumentale tali da “compromettere” i beni stessi. La tanto famosa Riviera del Brenta è sinonimo di uno sviluppo edilizio e urbanistico che ha gravemente compromesso un paesaggio paragonabile alla famosa zona della Loira….Nel suo sviluppo (proprio indispensabile?) l’italia dovrebbe comunque fare attenzione a non travolgere i suoi beni più preziosi.
In questa corsa verso il futuro cerchiamo di non calpestare il passato!!!
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