Piano casa. Dai Comuni capoluogo (alcuni) s’ode un grido. “O la VAS o la spacca(s)!”

03 Apr 2014
3 Aprile 2014

Ripubblichiamo la nota del Dott. Roberto Travaglini che commenta le deliberazioni dei Consigli comunali di Vicenza, Padova, Venezia, che approvano una proposta di legge regionale per modificare la L. R. Veneto n. 32/2013 c.d. Terzo Piano Casa, aggiornata con le deliberazioni consiliari dei Consigli comunali di Treviso e Belluno.


Lo scorso 25 marzo il Consiglio comunale di Vicenza ha deliberato l’approvazione di una proposta di legge regionale d’iniziativa dal medesimo Consiglio, unitamente a quelli di Belluno, Padova, Treviso e Venezia, avente ad oggetto la modifica della L.R. 29.11.2013, n. 32, meglio nota come “Piano Casa 3”.

Il testo della stessa proposta è stata già approvata dai consigli comunali di Treviso (deliberazione n. 6, del 26 febbraio 2014), Padova (deliberazione n. 20, del 3 marzo 2014) Venezia (deliberazione n. 14, del 17 marzo 2014) e Belluno (deliberazione n. 9 del 17 marzo 2014).

Dalla lettura delle deliberazioni consiliari si possono conoscere i numerosi rilievi di “presunta” illegittimità costituzionale mossi alla L.R. 32/2013, così come quelli concernenti l’altrettanto “presunta” violazione della direttiva 2001/42/CE sulla valutazione degli impatti di determinati piani e programmi sull'ambiente (VAS - valutazione ambientale strategica) e del D. Lgs. 152/2006, per la parte in cui ha recepito la richiamata norma comunitaria.

Quanto alla proposta di legge d’iniziativa dei Consigli comunali dei citati capoluoghi di provincia, ci si limita a richiamare l’attenzione del lettore sul comma 2 dell’articolo unico di cui la proposta si compone.

Detto comma prevede l’inserimento di due nuovi commi in chiusura dell’art. 14 della L.R. 32/2013, rubricato “Disposizioni attuative e transitorie”. Le novità proposte consistono:

a)    nella fissazione di un termine di 90 giorni dalla pubblicazione della legge regionale recante tale nuova disposizione, entro il quale i Comuni “possono deliberare se o con quali limiti e modalità consentire l’applicazione delle disposizioni di cui ai precedenti articoli 3 (ampliamento), 4 (demolizione e ricostruzione con ampliamento), 6 (interventi per favorire la rimozione e smaltimento dell’amianto), 7 (interventi su edifici in aree dichiarate ad alta pericolosità idraulica e idrogeologica), 8 (oneri ed incentivi) e 10 (ambito di applicazione)” della legge regionale sul Piano casa, “in base ad una valutazione della loro sostenibilità”;

b)    nell’assoggettamento della deliberazione comunale di cui alla precedente lett. a) al parere della Commissione VAS regionale, “che si esprime, tenendo conto della Valutazione Ambientale Strategica eseguita per la presente legge, entro e non oltre i 30 giorni successivi al deposito della stessa”, trascorsi i quali il parere si intende reso positivamente;

c)    nella previsione che trascorso il termine di cui alla lett. a) senza che il Comune abbia deliberato, le norme della legge regionale sul Piano casa si applicano integralmente.

La qualità formale della normativa proposta lascia alquanto a desiderare, come dimostrano, ad esempio:

1)    la mancata indicazione dell’organo competente a deliberare, che non può essere altro che il Consiglio comunale;

2)    la previsione di un termine di 90 giorni per deliberare se o con quali limiti e modalità il Piano casa sia applicabile in ciascun Comune, ignorando che la L.R. 32/2013 è già pienamente vigente ed applicabile in tutto il territorio regionale a far data dal 1° dicembre 2013.

Quanto al merito della proposta, l’impressione è che si tratti di un’iniziativa “mediatica”, volta ad accreditare i proponenti come gli unici tutori del territorio, del paesaggio e dell’ambiente, anche in antitesi con l’Associazione dei Comuni del Veneto (ANCI VENETO), fautrice invece di una politica di confronto con la Regione Veneto, che ha portato alla predisposizione del testo del disegno di legge licenziato il 26 marzo dalla Giunta Regionale ed ora assegnato alla II^ Commissione per il parere propedeutico al voto dell’Assemblea.

Ma a parte il marketing politico, va sottolineato che la proposta di legge d’iniziativa dei citati Comuni capoluogo:

·         consente ai Comuni che lo volessero di escludere del tutto l’applicazione del Piano Casa nel loro territorio (“deliberare se … consentire l’applicazione …”), ovvero di assoggettarla, oltre che a “limiti”, anche a”modalità” non previste dalla L.R. 32/2013 (ad es: PUA in luogo dell’intervento edilizio diretto?; permesso di costruire in luogo della DIA?);

·         richiede che la deliberazione comunale sia assoggettata a valutazione ambientale strategica (questo pare essere il significato del non certo impeccabile inciso “tenendo conto della Valutazione Ambientale Strategica eseguita per la presente legge” contenuto nel proposto, nuovo, comma 2 ter) e che su detta VAS esprima entro 30 giorni dal relativo deposito (da intendersi presso la Commissione regionale) il parere la Commissione VAS regionale.

Come sia possibile conciliare la tempistica delineata dal comma 2-ter con la disciplina della VAS dettata dal D. Lgs. 152/2006 e dalle DGR 1717/2013, 384/2013, 791/2009, non è dato sapere ed è più che lecito dubitare!

Ma c’è di più: se si ritiene che “la nuova legge regionale si viene a configurare di fatto sia a livello regionale sia a livello comunale quale vero e proprio piano o programma di interventi edilizi” (cfr. 4° capoverso di pag. 4 della deliberazione del Consiglio comunale di Padova, ma come più volte sottolineato il medesimo testo si trova anche nelle deliberazione degli altri capoluogo), che senso ha prevedere che “decorso inutilmente tale termine si applicano integralmente le disposizioni della presente legge regionale” (cfr. ultimo capoverso del proposto nuovo comma 2 bis dell’art. 14 della L.R. 32/2013)?

Con tale norma “di chiusura”, infatti, viene minata alla radice la stessa ratio della disciplina proposta, in quanto si ammette che nei comuni il Piano casa possa operare, così come astrattamente delineato dalla legge regionale, pur in assenza della valutazione dei relativi impatti sull’ambiente, valutazione che la proposta di legge reputa, al contrario, essenziale e, perciò, irrinunciabile.

Addirittura, la trasposizione normativa “coerente” della filosofia alla base della proposta di legge in esame richiederebbe che ad essere sottoposta alla valutazione ambientale strategica fosse la stessa legge 32/2013, perché potenzialmente applicabile ovunque senza esclusioni e/o limitazioni, essendo quest’ultime rimesse all’iniziativa di ciascun Comune nel termine di 90 gg.!

Tesi, quella della sottoposizione a VAS non già di singoli piani e/o programmi, bensì della legge in quanto tale, del resto adombrata nel già riportato passaggio della deliberazione consiliare (“la nuova legge regionale si viene a configurare di fatto sia a livello regionale sia a livello comunale quale vero e proprio piano o programma di interventi edilizi”), e che non costituisce altro che la riproposizione dell’argomentazione con la quale il Consiglio comunale di Asiago aveva deliberato di “disapplicare” la L.R. 32/2013 (cfr. Gli ammutinati del piano casa – 1, Venetoius 31 dicembre 2013).

Ha certamente ragione Fernando Lucato (cfr. Appunti critici sul Seminario in materia di perequazione, Venetoius 18 marzo 2014) quando invita ad affrontare i temi complessi che sempre più spesso caratterizzano l’urbanistica in chiave multidisciplinare (disciplina e tecnica pianificatoria, diritto, ecc.), ma quando si scrivono norme giuridiche (come quelle contenute nelle proposte di legge, ma lo stesso vale anche per le norme inserite nei piani urbanistici e nei regolamenti edilizi) la precondizione dovrebbe essere quella di conoscere, oltre alla specifica materia di cui le redigende disposizioni si occupano, anche i fondamentali del diritto e della tecnica di produzione normativa.

Ma tant’è: come ormai quotidianamente c’insegna la politica, l’importante non è che le preannunciate norme siano giuridicamente sostenibili e concretamente applicabili, quanto la loro spendibilità mediatica.

Almeno in questo caso, peraltro, c’è da prevedere che il tutto si risolva in una “bolla di sapone” (mediatica, appunto!), e che il “grido” richiamato nel titolo si traduca in una “grida” di manzoniana memoria[1].

                                                                                              Roberto Travaglini


[1] Le "gride" erano i provvedimenti di legge che il governo del Ducato di Milano emanava nel XVII secolo e venivano chiamate così per l'uso da parte dei banditori di gridarle, appunto, sulla pubblica piazza (gran parte della popolazione era infatti analfabeta, anche se una copia di queste leggi veniva affissa nelle strade ed esibita all'occorrenza). Nel 1° capitolo de I Promessi Sposi, Manzoni sottolinea l'assoluta inutilità di questi provvedimenti, che "diluviavano" (erano cioè numerosissimi) e minacciavano pene e castighi assai severi, che naturalmente non venivano mai applicati a causa dell'inefficienza e della corruzione del sistema giudiziario.

 

Venezia_DC_2014_14_DELIBERAZIONE

 

E’ utile anche consultare il comunicato stampa della Regione Veneto al seguente indirizzo:

http://www.regione.veneto.it/web/guest/comunicati-stampa/dettaglio-comunicati?_spp_detailId=2683873

Quali presupposti deve avere la revoca di un atto amministrativo?

03 Apr 2014
3 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 285 chiarisce che la riprogrammazione delle risorse disposte dalla D.G.R.V. n. 2801/2012 non costituisce un atto di revoca e, di conseguenza, non determina la corresponsione di un indennizzo.

Chiarito che l’art. 21 quinquies, c. 1, della L. n. 241/1990 recita: “Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo”, il Collegio asserisce che, per disporre la revoca di un atto amministrativo, non è sufficiente voler ripristinare la legalità violata atteso che: “3. Nemmeno sussiste la violazione dell’art. 21 quinquies della L. n. 241/90 e, ciò, considerando come non integri la fattispecie di un vizio di legittimità dell’atto, la mancata previsione dell’indennizzo in una delibera che, peraltro, dispone la riallocazione delle risorse di un intervento infrastrutturale.

3.1 Sul punto assume carattere dirimente constatare come la delibera n. 2801/2012 non ha le caratteristiche di un atto di revoca, in quanto non determina il ritiro dall’ordinamento di un precedente atto amministrativo.

3.2 Detta delibera n. 2801/2012 non contiene, proprio in ragione delle sue caratteristiche, nessuna valutazione circa l’esistenza di “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, o ipotesi di “mutamento della situazione di fatto” o, ancora, l’individuazione del venire in essere di una “nuova valutazione dell'interesse pubblico originario”, questi ultimi tutti requisiti che l’art. 21 quinquies riconduce all’esercizio di un potere di revoca di un precedente provvedimento.

3.3 Nemmeno è possibile individuare la volontà dell’Amministrazione di procedere al ripristino della legalità violata, requisito quest’ultimo, ulteriore (e peraltro di per sé non sufficiente) affinché l’Amministrazione faccia ricorso ai poteri di autotutela e, ciò, considerando come la sentenza n. 3149/2012 del Consiglio di Stato aveva sancito la legittimità dei provvedimenti di revoca sul punto emanati.

3.4 Detta interpretazione risulta confermata dall’esame del contenuto di tutte le delibere impugnate nell’ambito delle quali non è previsto, in nessuna di esse, una valutazione dell’Amministrazione circa l’esistenza dei presupposti perché l’Amministrazione procedesse ad una liquidazione dell’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies.

3.5 Ne consegue allora, che la delibera impugnata costituisce la conclusione di un diverso procedimento amministrativo, del tutto avulso dall’emanazione di un atto di ritiro o dalla liquidazione di un indennizzo e, in quanto tale, diretto, esclusivamente, a riprogrammare “le risorse della delibera CIPE 84/2000 inizialmente assegnate al progetto “Sistema informativo Territoriale della Venezia Orientale””.

 

Nella stessa sentenza, per quanto concerne il principio del ne bis in idem, ovvero dell’impossibilità per il Giudice di esprimersi due volte sulla medesima fattispecie se vi è già stata formazione del giudicato, si legge che: “L’inammissibilità è allora evidente, laddove si consideri l’applicabilità sul punto del principio del ne bis in idem (Cons. Stato Sez. IV, 28-10-2013, n. 5197) in base al quale si è previsto che "al giudice del medesimo grado di giurisdizione sia precluso il potere di pronunciarsi su questioni già definite con sentenza, con la conseguenza che è inammissibile che una questione già decisa possa essere oggetto di una nuova decisione (sia pure confermativa) dopo il passaggio in giudicato della precedente. Ne consegue che il principio non risulta applicabile alla diversa fattispecie dell'impugnazione, con separati mezzi, di medesimi atti, quando non risulti una pronuncia sull'oggetto della domanda giudiziale (Conferma della sentenza del T.a.r. Campania - Napoli, sez. V, n. 21830/2010)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 285 del 2014

La servitù di pubblico passaggio impedisce l’occupazione dell’area

03 Apr 2014
3 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 20 aprile 2014 n. 375, chiarisce che il suolo privato gravato da una servitù di pubblico passaggio osta ex se all’occupazione pubblica dell’area: di conseguenza l’Amministrazione non può rilasciare alcuna autorizzazione a riguardo. Sul punto si legge infatti che: “Considerato che il motivo unico si rileva infondato, in quanto l’Amministrazione, dopo aver instaurato il contradditorio, ha revocato l’autorizzazione di occupazione pubblica di cui trattasi motivando correttamente con l’incompatibilità di tale uso con la caratteristica di suolo privato gravato da servitù di pubblico passaggio;

Rilevato, infatti, che appare indubbio come la servitù di pubblico passaggio consente all’Amministrazione di disporre e gestire il suolo pubblico solo ai fini, appunto, del pubblico passaggio e non ad altri fini, quali lo svolgimento di attività commerciali da parte di un soggetto privato terzo concessionario (cfr. Cass. S.U., 18.3.99, n. 158; C.d.S., VI, 6/5/2013 n. 2416; Cass. II, 12/7/2007 n. 15661; Cass. II, 14.12.05, n. 27567; TAR Lombardia, III, 11.2.11, n. 466);

Ritenuto che nel senso di cui sopra si deve, quindi, interpretarsi anche il riferimento ai poteri di gestione in tali aree indicati nel regolamento comunale;

Sottolineato come difetti anche l’autorizzazione alla utilizzazione commerciale di tale suolo da parte del soggetto privato proprietario, controinteressato in giudizio”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 375 del 2014

Ecco la Circolare sul Terzo Piano Casa

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Pubblichiamo la Circolare adottata dalla Giunta Regionale del Veneto nella deliberazione n. 24 / CR del 25 marzo 2014 contenente le note esplicative sul c.d Terzo Piano Casa.

CircolarePIanoCasa_25032014

Il Comune non può imporre delle modifiche all’istanza di condono

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 20 marzo 2014 n. 359, afferma che, dinnanzi ad un’istanza di condono edilizio, l’Amministrazione comunale non può imporre al privato la realizzazione di nuovi e/o diversi interventi edilizi subordinanti l’accoglimento dell’istanza, perché il compito dell’ente è soltanto quello di valutare la compatibilità urbanistico-edilizia e paesaggistico-ambientale della richiesta di condono avanzata: “si rileva altresì l’illegittimità del provvedimento impugnato con riferimento all’ulteriore profilo denunciato, con il quale è stata evidenziata la violazione delle normative in materia di procedimento amministrativo, sotto il profilo del divieto di aggravamento procedimentale, nonché, nello specifico, per quanto riguarda il procedimento di sanatoria (recte, condono), nella parte in cui viene richiesta, al fine dell’accoglimento della domanda, la presentazione di un progetto di ricomposizione volumetrica, da esaminare successivamente e contestualmente all’istanza di sanatoria.

Premesso che detta richiesta si pone in palese contrasto con il presupposto da cui parte, ossia la realizzazione di interventi di ricomposizione da realizzare su opere abusivamente realizzate e non sanate, è palese l’illegittimità del provvedimento laddove subordina la concedibilità della sanatoria, mediante condono, all’esecuzione di interventi di adeguamento delle opere abusive.

Invero, l’istanza di condono per opere realizzate in assenza di titolo su aree soggette a vincolo deve essere valutata di per sé, in rapporto alla compatibilità degli interventi realizzati con l’ambito tutelato, senza alcuna possibilità, per l’autorità competente, di imporre prescrizioni o condizioni ai fini del rilascio del parere in termini favorevoli.

Come invero osservato nella pronuncia, C.d.S., IV, n. 2438/2013, richiamata nella memoria finale dalla difesa istante, diversamente da quanto è consentito in occasione del procedimento per il rilascio di un ordinario permesso di costruire, in sede di esame dell’istanza di condono non è prevista la predisposizione di adattamenti progettuali alle opere già realizzate al fine di renderle ammissibili alla sanatoria, essendo compito delle autorità preposte alla tutela del vincolo valutare unicamente la compatibilità degli interventi abusivi, così come realizzati, con il vincolo stesso, senza possibilità di richiedere adattamenti di sorta, anche se finalizzati a rendere compatibile l’opera.

In buona sostanza, l’intervento abusivo, ai fini del condono, deve essere valutato nella sua oggettiva consistenza, senza alcuna possibilità di subordinare la sanatoria a progetti di adeguamento”.

Nella medesima sentenza il T.A.R. indica l’importanza di fornire una motivazione specifica, chiara ed approfondita nei provvedimenti amministrativi de quibus perché: “sussiste il vizio di difetto di motivazione, in quanto il mero riferimento al contrasto dell’opera “per tipologia e forma” con il contesto tutelato costituisce affermazione del tutto priva di contenuto, apodittica, inidonea a rendere edotto il richiedente delle ragioni della ritenuta incompatibilità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2008, n.2111, sez. V, 4 aprile 2006, n. 1750; sez. IV, 22 febbraio 2001 n. 938, sez. V, 25 settembre 2000 n. 5069, T.A.R. Veneto, sez. II, 22.6.2012, n. 866 e 3.4.2013, n. 483)”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 359 del 2014

Il bando di gara vincola anche la stazione appaltante

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 13 marzo 2014 n. 328 dichiara che le indicazioni contenute negli atti di gara sono vincolanti anche per la stazione appaltante. Nel caso di specie il Comune di Padova aveva indetto una procedura negoziata da attribuire con il prezzo più basso ma, successivamente, dopo aver pubblicato il bando, aveva aggiudicato la gara utilizzando una procedura aperta: “Le gare pubbliche hanno, sia la finalità di individuare l'aggiudicatario secondo criteri trasparenti ed imparziali, che di determinare il contenuto del contratto in conformità alle esigenze dell'amministrazione e sulla base di previsioni che siano per essa le più convenienti (Cons. Stato, sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3245).

La stazione appaltante ha adottato, per l’aggiudicazione della fornitura di cui alla gara, una procedura negoziata, provvedendo, però, al contempo ad utilizzare il criterio della procedura aperta, con pubblicazione del bando e del disciplinare.

Ciò ha comportato una significativa limitazione delle prerogative previste per tale metodo di aggiudicazione, in particolare la possibilità di limitare i candidati da invitare, la individuazione discrezionalmente dell’operatore cui stipulare il conseguente contratto secondo una successiva fase negoziata.

Nel caso di specie, pertanto, la stazione appaltante ha ritenuto di utilizzare una procedura non dissimile a quella prevista per l’evidenza pubblica e, segnatamente, dell’appalto di pubbliche forniture.

E’ evidente, quindi, che la disciplina normativa, che nel caso di specie deve trovare applicazione, è quella inerente alla natura sostanziale del contratto previsto dalla stazione appaltante e non il mero nomen iuris ad esso formalmente assegnato.

Pertanto nella presente vicenda, proprio alla luce delle indicazioni fornite dal bando di gara e dal disciplinare, si deve escludere qualsivoglia apporto dialettico, nella definizione dell’offerta, da parte dei concorrenti ammessi alla gara, avendo la stazione appaltante indicato in modo rigido ed esaustivo le caratteristiche del prodotto richiesto.

E’ la volontà espressa nella lex specialis che deve necessariamente prevalere secondo i canoni ermeneutici propri dell’interpretazione dei contratti.

Ciò comporta la immodificabilità della prestazione richiesta nei termini indicati dal bando e dal disciplinare proprio per tutelare la par condicio tra i vari concorrenti e non alterare le condizioni di partecipazioni alla selezione ( TAR Veneto, sez. 1°, 3 novembre 2003, n. 5439)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 328 del 2014

Nuovo Regolamento in materia sanzionatoria per l’A.V.C.P.

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Pubblichiamo il nuovo Regolamento che disciplina il procedimento per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’A.V.C.P. per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, pecuniarie ed interdittive, ai sensi dell’articolo 6, comma 11, articolo 7, comma 8, articolo 38, comma 1-ter, articolo 40, comma 9-quater, articolo 48, commi 1 e 2 del Codice Appalti nonché ai sensi degli articoli 73 e 74 del Regolamento di esecuzione ed attuazione.

RegolamentoSanzionatorio 26.3.14

Nuove norme per l’edilizia residenziale sociale

02 Apr 2014
2 Aprile 2014

Pubblichiamo il Decreto Legge  28 marzo 2014 n. 47 avente ad oggetto le "Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015" (G.U. Serie Gnerale n. 73 del 28 marzo 2014) che è entrato in vigore il 29 marzo 2014: particolarmente interessante è l'art. 10 che introduce delle novità in materia di edilizia residenziale sociale.

Misure urgenti per l'emergenza abitativa

 

La sanzione per omessa D.I.A./S.C.I.A. deve essere calcolata con riferimento all’area effettivamente occupata dall’abuso

01 Apr 2014
1 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 286 chiarisce che la sanzione applicabile ex artt. 22 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 alle opere abusive di manutenzione straordinaria, ex art. 3, c. 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001, deve essere commisurata all’area effettivamente interessata dagli abusi edilizi che necessitavano della previa D.I.A./S.C.I.A. e non alla superficie dell’intero fabbricato: “3.1 Sul punto va, infatti, preliminarmente evidenziato come il provvedimento impugnato deve ritenersi corretto nella parte in cui sottopone gli abusi realizzati, alla fattispecie di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001, risultando dirimente constatare come detti abusi siano relativi alla realizzazione di nuovi servizi igienici e quindi, alla costruzione ex novo di impianti, circostanza quest’ultima che consente di ritenere applicabile la fattispecie della manutenzione straordinaria di cui di all’art. 3 lett. b) del Dpr 380/2001.

3.1 A dette conclusioni è possibile pervenire sia esaminando il disposto di cui alla norma sopra citata laddove qualifica la manutenzione straordinaria nell’ipotesi in cui sussistano “modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari..” (in questo senso si veda TAR Liguria Sez. I 31/10/2007 n. 1895).

4. Ciò premesso va rilevato come il provvedimento deve ritenersi comunque illegittimo nel momento in cui mette in correlazione il mutamento di destinazione, agli abusi in corso di realizzazione e, ciò, considerando come la destinazione a magazzino/deposito fosse già acquisita e con riferimento all’area agricola di cui si tratta.

4.1 L’Amministrazione, pertanto, se ha correttamente individuato la fattispecie applicabile nel connaturato disposto di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001 ha erroneamente fatto riferimento alla circostanza del mutamento di destinazione d’uso nel calcolo della sanzione, assumendo a riferimento l’aumento del valore venale relativo all’intera superficie dell’immobile di cui si tratta (per mq. 1600).

4.2 Detto aumento del valore venale avrebbe dovuto essere calcolato sulla base della sola superficie interna adibita ad ufficio e bagni per una superficie pari a mq. 103,6, ben potendo gli abusi in questione essere funzionali alla destinazione commerciale già acquisita e di cui alla nota del 2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto n. 286 del 2014

Sul risarcimento del danno connesso alla mancata aggiudicazione

01 Apr 2014
1 Aprile 2014

Nella stessa sentenza n. 303/2014 il T.A.R. Veneto si sofferma sul risarcimento del danno per mancata aggiudicazione chiarendo che, laddove non sia più utile il risarcimento in forma specifica, soccorre quello per equivalente in quanto: “atteso, peraltro, che nei procedimenti concorsuali la posizione giuridica sostanziale del partecipante assurge ad interesse legittimo (pretensivo) con riferimento all’ammissione a parteciparvi, e che nel caso di specie l’esecuzione del contratto è in fase conclusiva (cfr. la memoria 27.1.2014 di Viveracqua, pag. 4-5), il risarcimento del danno alla ricorrente non può essere disposto in forma specifica, mediante dichiarazione di inefficacia del contratto ai fini della riedizione della procedura, ma va somministrato per equivalente, in correlazione con la perdita della chance di aggiudicazione dell'appalto. Danno, questo, che si verifica tutte le volte in cui la perdita della possibilità di conseguire un risultato utile a causa dell’adozione colpevole di un atto illegittimo da parte della PA abbia determinato una lesione del diritto all’incremento del proprio patrimonio, e che dovrà calcolarsi in via presuntiva sulla base del valore dell'appalto ridotto in relazione alla chance di aggiudicazione in sede di riedizione della gara. Il danno, pertanto, data l’impossibilità di provarlo nel suo preciso ammontare (si tratta, infatti, della chance, cioè della teorica possibilità di un risultato favorevole), va risarcito ai sensi dell’art. 1226 c.c. ricorrendo al criterio di valutazione del danno globalmente considerato per la mancata aggiudicazione, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato alla misura di probabilità di ottenere l’aggiudicazione. A tal proposito va anzitutto precisato che non si può accedere all’istanza, avanzata dalla parte, di commisurazione della perdita dell'utile di impresa pari al 10% del valore dell'offerta economica secondo il criterio desumibile dall'art. 345 della legge n. 2248/1865, all. F (riprodotto nell'art. 122 del DPR n. 554/1999), e ciò non solo perchè tale disposizione è valida per il settore dei lavori pubblici (e, dunque, non appare suscettibile di pedissequa estensione analogica ai diversi casi di appalti di servizi, come è quello di specie), ma anche perché le citate disposizioni attinenti alla liquidazione del lucro cessante sono state abrogate (cfr. l’art. 256 del DLgs n. 163/2006) e non risultano riformulate nel codice dei contratti e/o nel relativo regolamento. Con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 124 c.p.a., richiamato dall’art. 245-quinquies del DLgs n. 163/2006 (che prevede che, in assenza di dichiarazione di inefficacia del contratto, il risarcimento del danno per equivalente deve essere "provato") e al di fuori dell’ipotesi di liquidazione del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c., è sempre necessaria la prova rigorosa, a carico dell'impresa, della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria. (cfr. CdS, IV, 2.12.2013 n. 5725; VI, 27.4.2010 n. 2384);

che, alla luce delle suesposte considerazioni – ed assodata la colpa dell’Amministrazione: il privato può, infatti, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione: spetterà a quel punto all'Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata – e precisato che in assenza di prova da parte dell’interessato il danno va liquidato in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. (alla stregua dell’attuale crisi economica, invero, il criterio del 10% oltre a non essere, come si è detto, più vigente, sarebbe altresì illogico ed irragionevole, in quanto conduce al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale: è di questi giorni il dato – cfr. “il Sole 24 ORE” del 14 febbraio 2014 – che se nel 2008 “cento euro di fatturato producevano due euro di utili….nel 2013 cento euro di fatturato generano 50 centesimi di utile” al netto delle imposte), nel caso di specie il ristoro del danno da perdita di chance di aggiudicazione può essere quantificato - tenuto conto, altresì, che la ricorrente non ha dimostrato (anche mediante l’esibizione dei libri contabili) di non aver eseguito, nel periodo durante il quale sarebbe stata impegnata dall'appalto in questione, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata esecuzione chiede il risarcimento del danno (cfr., in termini, CdS, IV, 7.9.2010 n. 6485; VI, 21.9.2010 n. 7004) - nella misura del 2% dell'importo contrattuale (tenendo conto che il relativo importo, configurandosi quale lucro cessante, è soggetto alle rituali imposte), somma che, poi, va ridotta all’1% tenendo conto dell'aliunde perceptum dell'impresa, ed ulteriormente ridotta ad 1/3 in ragione del numero dei partecipanti alla selezione (ove deve essere ricompreso pure il soggetto escluso per carenza di requisiti, potendo ricorrere tale evenienza anche nei confronti della ricorrente);

che, pertanto, alla stregua dei suesposti principi il risarcimento del danno per perdita di chance di aggiudicazione (comprensivo del danno curricolare, di regola corrispondente al 10% di quanto liquidato a titolo di lucro cessante: cfr. TAR Veneto, 8.11.2011 n. 1663) da corrispondere all’impresa ricorrente deve essere conclusivamente quantificato in complessivi € (1.678.351 x 1% : 3 =) 5.594,50”.

 

Per quanto riguarda gli interessi compensativi invece si legge: “Non spettano, invece, gli interessi compensativi sulla somma via via rivalutata: nei debiti di valore, infatti, gli interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria dell'eventuale danno da ritardo nella corresponsione dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca della produzione del danno, sicchè essi non sono dovuti ove il debitore non dimostri la sussistenza di una perdita da lucro cessante per non avere conseguito la disponibilità della somma di danaro non rivalutata fino al momento della verificazione del danno ed averla potuta impiegare redditiziamente in modo tale che avrebbe assicurato un guadagno superiore a quanto venga liquidato a titolo di rivalutazione monetaria (cfr., per tutte, Cass. Civ., III, 12.2.2008 n. 3268). A decorrere dalla pubblicazione della sentenza, in conseguenza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta e, pertanto, saranno corrisposti gli interessi legali fino al soddisfo”.

dott. Matteo Acquasaliente

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