Discrezionalità tecnica della commissione giudicatrice e limiti del sindacato giurisdizionale

14 Apr 2014
14 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 08 aprile 2014 n. 488 chiarisce l’ambito del sindacato giurisdizionale con riferimento alle scelte della stazione appaltante che implicano la c.d. discrezionalità tecnica: “l’infondatezza della censura con cui la ricorrente contesta il giudizio della commissione giudicatrice è correlata al fatto che, come è stato ripetutamente affermato, i provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione avente natura tecnica sono sindacabili dal giudice amministrativo per vizi di legittimità e non di merito, nel senso che non è consentito al giudice amministrativo esercitare un controllo c.d. di tipo "forte" sulle valutazioni tecniche opinabili, che si tradurrebbe nell'esercizio da parte del giudice di un potere sostitutivo spinto fino a sovrapporre la propria valutazione a quella dell'amministrazione. È ben vero che l'esercizio della discrezionalità tecnica non è di per sè idoneo a determinare l'affievolimento dei diritti soggettivi di coloro che dal provvedimento amministrativo siano eventualmente pregiudicati, ma è anche vero che il ricorso a criteri di valutazione tecnica conduce sovente ad un ventaglio di soluzioni possibili, destinato inevitabilmente a risolversi in un apprezzamento non privo di un certo grado di opinabilità: in situazioni di tal fatta il sindacato del giudice, essendo pur sempre un sindacato di legittimità e non di merito, è destinato ad arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell'apprezzamento operato dall'amministrazione impedisce d'individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell'apprezzamento illegittimo. Con la conseguenza che compete al giudice di vagliare la correttezza dei criteri giuridici, la logicità e la coerenza del ragionamento e l'adeguatezza della motivazione con cui l'amministrazione ha supportato le proprie valutazioni tecniche. In altre parole, quando il giudizio presenta valutazioni ed apprezzamenti che presuppongono un oggettivo margine di opinabilità, il sindacato giurisdizionale, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica che quel medesimo provvedimento non abbia esorbitato dai margini di opinabilità sopra richiamati, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell'amministrazione che si sia mantenuta entro i suddetti margini”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 488 del 2014

Mancata conclusione procedura di project financing e risarcimento del danno

14 Apr 2014
14 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 08 aprile 2014 n. 487 si occupa del risarcimento del danno connesso da c.d responsabilità precontrattuale connesso alla procedura del project financing: “che oggetto della presente controversia è il ristoro della lesione della posizione soggettiva inerente l'affidamento ingenerato nel privato circa l'osservanza da parte della Pubblica amministrazione del dovere di comportarsi secondo buona fede in un procedimento in cui il privato stesso era rimasto coinvolto: la ricorrente chiede, in particolare, il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale per non avere il Comune portato a conclusione la procedura avviata nel 2008 con la pubblicazione di un avviso inerente ad un intervento di riqualificazione di un’area del litorale del lago di Garda e del relativo parcheggio da realizzarsi con il sistema della “finanza di progetto”, relativamente al quale l’impresa aveva presentato la “proposta”;

che tale questione rientra pacificamente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, I comma, lett. “e”, sub 1) del DLgs n. 104/2010;

che, quanto alla tutelabilità della pretesa ai fini risarcitori, l’assenza di atti illegittimi non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell'Amministrazione con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza (da intendersi in senso oggettivo) nell'ambito di un procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente: la responsabilità precontrattuale deve, infatti, ritenersi sempre configurabile quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche nel caso di assenza di provvedimenti illegittimi può scaturire l'obbligo di risarcire il danno nel caso di affidamento suscitato da un comportamento contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti;

che sussiste la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 e 1338 c.c. di un ente locale che abbia improvvisamente ed immotivatamente interrotto il procedimento in corso relativo alla prima fase di una procedura di "project financing", nel caso – come quello di specie - in cui l'inerzia sia consistita anche nella omissione di qualsivoglia spiegazione alla ditta interessata sulle ragioni dell'improvviso abbandono del procedimento stesso, nonostante le ripetute richieste di chiarimenti da parte della ditta interessata che aveva depositato il progetto ai fini della declaratoria di pubblico interesse;

che, a tal proposito, è affatto inconferente la sentenza CdS, III, 20.3.2014 n. 1365 depositata dall’Amministrazione, atteso che la procedura di finanza di progetto ivi considerata era espressamente subordinata alla “formale, propedeutica autorizzazione alla realizzazione dell’opera”, autorizzazione che non è stata rilasciata dalla Regione (Campania) per contrasto con la disciplina pianificatoria a livello regionale in materia di rete ospedaliera: in quel caso si era verificato, cioè, un evento impeditivo alla prosecuzione della procedura di "project financing" rappresentato dal mancato realizzarsi della condizione sospensiva cui era legata l’acquisizione di efficacia delle delibere che avevano approvato la procedura stessa, e che era perfettamente nota ai concorrenti;

che la domanda di risarcimento del danno proposta dall’odierna ricorrente è tempestiva sia in relazione al disposto di cui all’art. 30, IV comma c.p.a. (il termine per la proposizione della domanda di risarcimento non decorre, infatti, fino a quando persista il comportamento inadempiente, e nel caso di specie l’Amministrazione non ha ancora ritenuto consumato il proprio potere provvedimentale: cfr. la DGC 3.6.2013 n. 88 e la nota 3.9.2013 del Comune), sia, comunque, in considerazione della natura extracontrattuale del pregiudizio di cui si chiede il ristoro;

che, quanto all’elemento psicologico dell’illecito precontrattuale, la Corte di giustizia ha reputato incompatibile con l'ordinamento comunitario la normativa nazionale che subordini il diritto ad ottenere il risarcimento al carattere colpevole del comportamento della PA (sent. 30.9.2010, C-314/09), configurando invece in modo affatto oggettivo la responsabilità dell'Amministrazione;

che, però, affinchè sussista la responsabilità per "culpa in contrahendo" a carico della Pubblica amministrazione occorre, da un lato che il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. e, dall'altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno effettivo in capo al soggetto che chiede il risarcimento;

che, nella specie, è pacifica la responsabilità dell’Amministrazione per avere immotivatamente receduto dalla procedura, atteso che l'interruzione del procedimento ad evidenza pubblica si qualifica come violazione della legge (art. 1337 c.c.) che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nelle trattative, cagionando, conseguentemente, l'ingiusto sacrificio dell'affidamento ingenerato nella ricorrente dal pubblicato avviso di procedura, così integrando una responsabilità di tipo precontrattuale;

che - in disparte la considerazione che la clausola contenuta nell’avviso di project financing in esame, secondo cui “in nessuna delle ipotesi…i promotori avranno titolo a richiedere al Comune indennizzi o rimborsi di sorta”, riguarda esclusivamente le “ipotesi soprammenzionate” di ritenuta non fattibilità della proposta sotto il profilo tecnico, economico o del pubblico interesse (ipotesi, queste, non ricorrenti nel caso di specie) – deve considerarsi nulla, ai sensi dell'art. 1355 c.c. (che prevede il divieto di inserire condizioni meramente potestative), un’eventuale clausola secondo cui la presentazione della proposta non vincola in alcun modo l'Amministrazione, nemmeno sotto il profilo della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.;

che il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, la cui dimostrazione spetta alla parte lesa (in linea con l'inquadramento di tale responsabilità nell'ambito della responsabilità aquiliana), riguarda il solo interesse negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del procedimento e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non sono risarcibili il mancato utile correlato all’eventuale aggiudicazione ed il danno curriculare, in quanto assolutamente ipotetici (si era, infatti, nemmeno conclusa la prima fase della procedura con la declaratoria, del tutto eventuale, di rispondenza al pubblico interesse di una delle proposte presentate);

che, dunque, ai fini della prova del danno l'istante deve assolvere l'obbligo di allegare e provare i fatti posti a fondamento della domanda, dovendosi escludere la liquidazione equitativa di cui all'art. 1226 c.c., che presuppone l'impossibilità di dimostrare l'ammontare del pregiudizio subito;

che, pertanto, in ordine alla quantificazione del danno ritiene il Collegio che nella specie debba farsi applicazione del disposto di cui all'art. 34, IV comma del c.p.a. che consente al giudice, in caso di condanna pecuniaria, di stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine;

che, dunque, nel liquidare il pregiudizio patito dall’odierna ricorrente l'Amministrazione dovrà attenersi nel prosieguo alle seguenti regole d'azione:

a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla notificazione, ove anteriore) il Comune di Torri del Benaco provvederà a proporre alla ricorrente il pagamento di una somma a corrispettivo del danno, danno relativamente al quale parte ricorrente dovrà fornire in maniera rigorosa ogni utile elemento per la sua determinazione, escludendosi - come si è detto - una liquidazione equitativa: in particolare, il lucro cessante conseguente alla “perdita di altre occasioni lavorative” potrà essere risarcito se e in quanto l'impresa documenterà di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri lavori (qualora tale dimostrazione non possa essere offerta è da ritenere, infatti, che l'impresa abbia ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altre attività: va da sé, invero, che l'imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili). In sede di quantificazione del danno, pertanto, spetterà all'impresa dimostrare, anche mediante l'esibizione all'Amministrazione di libri contabili e di proposte di contratto, di non aver eseguito, nel periodo che l’avrebbe vista impegnata nella redazione del progetto, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata prosecuzione chiede il risarcimento del danno (cfr., in termini, CdS, IV, 7.9.2010 n. 6485; VI, 21.9.2010 n. 7004; TAR Veneto, I, 5.3.2014 n. 303; 8.11.2011 n. 1663)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 487 del 2014

Il permesso di Costruire non va comunicato al vicino-confinante

11 Apr 2014
11 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 415 chiarisce che il rilascio di un Permesso di Costruire non deve essere comunicato anche al vicino-confinante perché: “E’ infondato il primo motivo mediante il quale si sostiene la violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90 in quanto non appare sussistere l’obbligo da parte dell’Amministrazione comunale di comunicare l’avviso di avvio del procedimento nei confronti di un proprietario confinante e a seguito di un’istanza di permesso di costruire.

Sul punto è possibile condividere l’applicazione di un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda (T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, 05-07-2012, n. 696) nella parte in cui ha sancito che “Il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7, l. n. 241 del 1990, pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto confinante. Non vi è, infatti, identità tra le posizioni di coloro che siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento. Infatti, ove sia stata proposta una domanda di concessione edilizia, il vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento che accoglie l'istanza, ma non hanno titolo a ricevere l'avviso di avvio del procedimento. Il vicino, infatti, anche se ha provocato interventi repressivi, non assume la veste di controinteressato nei procedimenti per il rilascio della concessione edilizia: di conseguenza non esiste alcun obbligo nei suoi confronti di comunicazione di avvio del procedimento, che comporterebbe solo un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa””. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 415 del 2014

In che cosa consistono gli interventi realizzati in difformità del Permesso di Costruire?

11 Apr 2014
11 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 412, dopo aver evidenziato che è sufficiente notificare l’ordinanza di demolizione ad un solo dei comproprietari dell’opera di cui è stato chiesto il condono: “2.3 Sul punto va, infatti, considerato applicabile quell’orientamento giurisprudenziale che in materia di ordinanza di demolizione ritiene sufficiente la notifica dello stesso provvedimento ad uno solo dei comproprietari (in questo senso si veda T.A.R. Campania Napoli Sez. IV, 22-05-2013, n. 2648)”, chiarisce che cosa si intende per interventi realizzati in totale/parziale difformità dal Permesso di Costruire o con variazione essenziali ex artt. 31, 32 e 34 del D.P.R. n. 380/2001: “La descrizione delle opere consente di ritenere come gli stessi abusi non avrebbero potuto non rientrare nella fattispecie di cui all’art. 31 del Dpr 38072001 e, ciò, considerando come nel caso di specie si era in presente di interventi realizzati in totale difformità dal permesso di costruire.

Va, inoltre, rilevato che per un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. IV, 10-07-2013, n. 3676) “a norma degli artt. 31 e 32 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), si verificano difformità totale del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera (Riforma della sentenza del T.a.r. Liguria - Genova, sez. I, n. 169/2011)””.

Nella stessa sentenza si sottolinea che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva non demolita costituisce un atto dovuto per l’Amministrazione: “Devono, in ultimo, essere respinte le censure relative ai secondi motivi aggiunti, risultando dirimente constatare come i provvedimenti di accertamento dell’inottemperanza e acquisizione gratuita delle opere abusive costituiscono degli atti dovuti, in quanto conseguenza ineluttabile dell’accertamento dell’inottemperanza e, ciò, senza che per questo sia necessaria una particolare motivazione.

Si è, infatti, sostenuto (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 16-07-2013, n. 3709) che “l'ingiunzione di demolizione di un manufatto abusivo è sufficientemente motivata con il riferimento al diniego di condono e al conseguente carattere abusivo delle opere di nuova costruzione eseguite sine titulo, rispetto alle quali la sanzione demolitoria di cui all'art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) si pone come atto dovuto. Infatti, la natura interamente vincolata del provvedimento di demolizione esclude la necessaria ponderazione di interessi diversi da quelli pubblici tutelati e non richiede motivazione ulteriore rispetto alla dichiarata abusività”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 412 del 2014

Le concessioni demaniali marittime turistico-ricreative sono prorogate di diritto

11 Apr 2014
11 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 27 marzo 2014 n. 393 indica che le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreative che scadono entro il 31 dicembre 2015 sono prorogate di diritto fino al 31 dicembre 2020 ex art. 1 del D. L. n. 194/2009 secondo cui: “Ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di  beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5  maggio  2009,  n.  42, nonche'  alle  rispettive  norme  di  attuazione,  nelle   more   del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalita' turistico-ricreative ,  ad  uso  pesca,  acquacoltura  ed attivita' produttive ad essa connesse, e sportive,  nonche'  quelli destinati a porti turistici, approdi e  punti  di  ormeggio  dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto  ai  criteri  e  alle modalita' di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 8,  comma  6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che e' conclusa nel  rispetto  dei principi di concorrenza, di liberta'  di  stabilimento,  di  garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle  attivita' imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonche'  in  funzione del superamento del diritto di insistenza  di  cui  all'articolo  37, secondo comma, secondo periodo,  del  codice  della  navigazione,  il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31  dicembre  2015 e' prorogato fino al 31 dicembre 2020 , fatte salve  le  disposizioni di cui all'articolo 03, comma  4-bis,  del  decreto-legge  5  ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4  dicembre 1993, n. 494.  All'articolo  37,  secondo  comma,  del  codice  della navigazione, il secondo periodo e' soppresso”. 

Alla luce di ciò, chiarito che l’area oggetto della sentenza sia un bene demaniale marittimo: “Svolta tale premessa è necessario considerare che l’art. 28 del cod. nav. include, nel demanio marittimo, le lagune, ossia gli specchi d’acqua in immediata vicinanza al mare e con questi comunicanti ( lagune vive) ovvero separati e stagnanti ( lagune morte). A tale rilievo deve aggiungersi che l’art. 29 del cod. nav. considera pertinenze del demanio marittimo le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato che insistono entro i limiti del demanio marittimo. Allora, se si considera la peculiare e singolare conformazione dell’isola di S.Giacomo in Paludo sopra ricordata, si può, attraverso un mero processo sillogistico, configurare l’indicata isola, a tutti gli effetti, parte del demanio marittimo, indipendentemente dagli altri vincoli che su di essa insistono a titolo culturale e paesistico. In altre parole. L’isola in questione è, in buona sostanza, completamente urbanizzata, con manufatti di proprietà statale che, in relazione alla loro peculiare ubicazione costituiscono certamente una pertinenza della laguna, questa, incontrovertibilmente, con carattere di demanio marittimo necessario. Quindi il bene demaniale in argomento è, di fatto e di diritto, una generalizzata pertinenza lagunare, quindi, conseguentemente, compreso nel contesto demaniale marittimo”, il Collegio afferma che: “Tale evenienza comporta, in uno con la riconosciuta demanialità marittima del bene, l’applicazione dell’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, così come convertito nella L. 25/2010 che statuisce, ex lege, la proroga, sino al 31 dicembre 2020, delle concessioni demaniali marittime con finalità turistiche-ricreative in scadenza entro il 31 dicembre 2015”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 393 del 2014

La sanzione per omessa D.I.A./S.C.I.A. deve essere calcolata con riferimento all’area effettivamente occupata dall’abuso

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 05 marzo 2014 n. 286 chiarisce che la sanzione applicabile ex artt. 22 e 37 del D.P.R. n. 380/2001 alle opere abusive di manutenzione straordinaria, ex art. 3, c. 1, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001, deve essere commisurata all’area effettivamente interessata dagli abusi edilizi che necessitavano della previa D.I.A./S.C.I.A. e non alla superficie dell’intero fabbricato: “3.1 Sul punto va, infatti, preliminarmente evidenziato come il provvedimento impugnato deve ritenersi corretto nella parte in cui sottopone gli abusi realizzati, alla fattispecie di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001, risultando dirimente constatare come detti abusi siano relativi alla realizzazione di nuovi servizi igienici e quindi, alla costruzione ex novo di impianti, circostanza quest’ultima che consente di ritenere applicabile la fattispecie della manutenzione straordinaria di cui di all’art. 3 lett. b) del Dpr 380/2001.

3.1 A dette conclusioni è possibile pervenire sia esaminando il disposto di cui alla norma sopra citata laddove qualifica la manutenzione straordinaria nell’ipotesi in cui sussistano “modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari..” (in questo senso si veda TAR Liguria Sez. I 31/10/2007 n. 1895).

4. Ciò premesso va rilevato come il provvedimento deve ritenersi comunque illegittimo nel momento in cui mette in correlazione il mutamento di destinazione, agli abusi in corso di realizzazione e, ciò, considerando come la destinazione a magazzino/deposito fosse già acquisita e con riferimento all’area agricola di cui si tratta.

4.1 L’Amministrazione, pertanto, se ha correttamente individuato la fattispecie applicabile nel connaturato disposto di cui agli art. 22 e 37 del Dpr 380/2001 ha erroneamente fatto riferimento alla circostanza del mutamento di destinazione d’uso nel calcolo della sanzione, assumendo a riferimento l’aumento del valore venale relativo all’intera superficie dell’immobile di cui si tratta (per mq. 1600).

4.2 Detto aumento del valore venale avrebbe dovuto essere calcolato sulla base della sola superficie interna adibita ad ufficio e bagni per una superficie pari a mq. 103,6, ben potendo gli abusi in questione essere funzionali alla destinazione commerciale già acquisita e di cui alla nota del 2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 286 del 2014

Le controversie in materia di DURC spettano al giudice amministrativo

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 08 aprile 2014 n. 486 si occupa del D.U.R.C. e della relativa giurisdizione del G.A.: “che, preliminarmente, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento espresso, da ultimo, da TAR Lecce 7.11.2013 n. 2258 che ha ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa in merito all’impugnazione del DURC sulla base della considerazione che tale atto - interno alla fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal partecipante ad una gara e, quindi, impugnabile non già autonomamente, ma unitamente al provvedimento conclusivo della fase stessa - inerisce al procedimento amministrativo di aggiudicazione di un appalto (SS.UU. 9 febbraio 2011 n. 3169; CdS, V, 11.5.2009 n. 2874);

che l'art. 31, VIII comma del DL n. 69 del 2012, entrato in vigore il 22.6.2013, prevede che in caso di mancanza dei requisiti per il rilascio del documento unico di regolarità contributiva (che le stazioni appaltanti debbono acquisire d’ufficio, attraverso strumenti informatici, ai fini della verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art. 38, I comma, lett. “i” del codice dei contratti: cfr. il precedente IV comma) “gli Enti preposti al rilascio, prima dell'emissione del DURC….invitano l'interessato……a regolarizzare la propria posizione entro un termine non superiore a quindici giorni, indicando analiticamente le cause della irregolarità”;

che, dunque, la citata disposizione - che stabilisce che gli enti previdenziali deputati all’emanazione del DURC debbono attivare un procedimento di regolarizzazione mediante il quale i concorrenti ad una procedura concorsuale che fossero privi del requisito della regolarità contributiva possono sanare la loro posizione prima dell’emissione di un documento di irregolarità – ha modificato (per incompatibilità) la prescrizione dell’art. 38 del DLgs n. 163/2006 laddove il requisito della regolarità contributiva, necessario per la partecipazione alle gare pubbliche, è stato pacificamente inteso che deve sussistere al momento della presentazione della domanda di ammissione alla procedura: dovendosi ora, invece, ritenere che il predetto requisito deve sussistere al momento di scadenza del termine quindicennale assegnato dall’Ente previdenziale per la regolarizzazione della posizione contributiva”.

Nella stessa sentenza il Collegio si occupa anche delle “gravi violazioni” connesse alla presentazione del D.U.R.C. chiarendo che: “il ricorso è fondato anche alla stregua del secondo motivo di gravame con cui viene denunciata la violazione del combinato disposto dagli artt. 38, I comma, lett. “i” e II comma del DLgs n. 163/2006 (che escludono i soggetti “che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana”, intendendosi “gravi le violazioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto-legge 25 settembre 2002, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n. 266”) e 8, III comma del DM 24.10.2007 (che, relativo alle “cause non ostative al rilascio del DURC” prevede che “non si considera grave lo scostamento inferiore o pari al 5% tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascun periodo di paga o di contribuzione….fermo restando l'obbligo di versamento del predetto importo entro i trenta giorni successivi al rilascio del DURC”): ebbene, atteso che l’omesso pagamento di € 646,00 si riferiva al mese di settembre 2013 (relativamente al quale la società ricorrente avrebbe dovuto corrispondere € 16.599,00, mentre aveva aveva pagato € 15.953,00: cfr. il mod F24 e la dichiarazione asseverata 28.3.2014, in atti), è “ictu oculi” evidente che lo scostamento tra il dovuto ed il versato è inferiore alla soglia del 5%: con la conseguenza che l’INPS era tenuta a rilasciare un DURC di regolarità contributiva”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 486 del 2014

Il silenzio-rigetto non può essere impugnato per vizio di motivazione

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 421 conferma che, essendo il silenzio-rigetto un provvedimento amministrativo tacito, ovvero un provvedimento amministrativo che si forma per mero decorso dei termini previsti ex lege senza una pronuncia espressa dell’Amministrazione, lo stesso non può essere censurato per vizio di motivazione perché: “Ciò premesso, con riferimento a tale ultimo ricorso e all’eccepito - con il primo motivo - difetto di motivazione del silenzio-rigetto, si osserva che tale vizio non è predicabile nei confronti dei provvedimenti impliciti come quello in esame, i quali sono ontologicamente privi di motivazione.

Tale provvedimento tacito di diniego del permesso di costruire è invece impugnabile per il suo contenuto precettivo, con onere in capo al ricorrente di dimostrare la compatibilità del progetto presentato rispetto alla normativa urbanistico- edilizia vigente.

Tale dimostrazione, nel caso di specie, non è stata fornita dal ricorrente”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 421 del 2014

Quando l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento e della motivazione non si applica al D.A.S.P.O.?

10 Apr 2014
10 Aprile 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 31 marzo 2014 n. 436 si sofferma sul provvedimento che impone il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, c.d. D.A.S.P.O., alle persone pericolose e che trova applicazione anche nei confronti dei tesserati: “Va ricordato che la Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui le misure adottabili ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 6 si applicano anche nei confronti di tesserati di federazioni sportive ed indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva.(cass. Pen. 33864/2007) ciò in relazione ad atti di violenza causati da tesserati nei confronti di altri tesserati nell'ambito della competizione sportiva cui stavano partecipando”.

 Nella sentenza che si commenta il Collegio afferma che l’urgenza di adottare il D.A.S.P.O. prevale sull’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento: “5.1. Secondo la prevalente giurisprudenza , il provvedimento che inibisce l'accesso agli stadi e ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive calcistiche, disposto ai sensi dell'articolo 6, della legge 401/1989, mirando alla più efficace tutela dell'ordine pubblico e a evitare la reiterazione dei comportamento vietati, non deve necessariamente essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento (cfr. TAR Umbria, sez. 1, 18 giugno 2010 n. 379).

5.2. E’, in ogni caso, sufficiente che sia menzionata la ragione di urgenza per cui è omessa la garanzia partecipativa, come è avvenuto nella specie, ove si da specificamente atto della “sussistenza di oggettivi motivi cautelari e di urgenza, volti a prevenire ulteriori pericoli per l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché di celerità, vista la pericolosità mostrata in tale occasione , per cui non si è ritenuto di dover dare avviso di avvio del procedimento” .(cfr.T.A.R. Emilia Romagna Parma sez. I, 22 febbraio 2012, n. 111).

L’onere dell’amministrazione, di recente affermato, di informare tempestivamente il soggetto dell’avvio del procedimento volto ad adottare la misura interdittiva denominata DASPO, non essendo ammissibile il protrarsi di accertamenti e attività istruttorie inaudita altera parte” (Cons. St., sez. I, parere 29 maggio 2012 n. 2603), non è sostenibile alla luce dell’urgenza connessa al succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate nel campionato che rappresentano occasione di scontro fra tifoserie e all’esigenza di garantire l’ordine pubblico evitando la possibilità di scontri e violenze sulle persone e sulle cose (Cons. St., sez. VI, 2 maggio 2011 n. 2569; 8 giugno 2009 n. 3468; 16 ottobre 2006 n. 6128; 15 giugno 2006 n. 3532).

Nella specie, il provvedimento interdittivo è stato emesso il giorno 4 gennaio 2013 , laddove i fatti risalgono al 29 dicembre 2012, sicchè la celerità con la quale è stato portato a termine il procedimento comprova l’urgente necessità di evitare il ripetersi di analoghi episodi e di impedire la reiterazione dei comportamenti vietati, di fronte alle quali la tutela degli interessi del destinatario e la garanzia della partecipazione appaiono decisamente recessivi”.

 Per quanto riguarda la motivazione si legge: “Va ricordato che il legislatore ha emanato una disposizione che eleva la soglia di prevenzione in considerazione della rilevanza sociale dei comportamenti di natura violenta tenuti in occasione di manifestazioni sportive alle quali possono partecipare anche molte migliaia di persone.

Per questo l’art. 6, comma 1, della legge n. 401 del 1989, considera rilevanti non solo il compimento di atti di violenza, e quindi di atti che hanno prodotto un danno all’integrità delle cose o all’incolumità delle persone, ma anche la semplice partecipazione attiva ad episodi di violenza.

Con la conseguenza che il Daspo può essere irrogato anche nei confronti di chi ha "incitato, inneggiato o indotto alla violenza" in occasione o a causa di manifestazioni sportive.

La giurisprudenza ha affermato, in proposito, che la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come accade nel caso di condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo. Ne consegue che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione a ulteriori episodi di violenza.

Al riguardo, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l’art. 6 di cui sopra non impone indagini specifiche sulla pericolosità del soggetto, ossia non richiede alcun previo accertamento attinente – in generale – alla personalità del destinatario del provvedimento, in quanto presuppone e, dunque, si fonda precipuamente sulla pericolosità specifica dimostrata dal soggetto in occasione di manifestazioni sportive (cfr., tra le altre, TAR Umbria, Sez. I, 15 dicembre 2009, n. 767; TAR Campania, Napoli, 13 settembre 2010, n. 17403).

In altri termini, si tratta di una norma introdotta al fine esclusivo di fronteggiare il fenomeno della violenza negli stadi, ispirata dalla necessità di offrire idonea salvaguardia a interessi primari, quali l’incolumità personale, e, quindi, richiede – ai fini della sua applicazione – che un soggetto si sia reso responsabile di comportamenti atti a rivelare la ridetta pericolosità.

Tale misura si connota di un'ampia discrezionalità, in considerazione della sua finalità di tutela dell'ordine pubblico, e non può essere censurata se congruamente motivata con riferimento alle specifiche circostanze di fatto che l’hanno determinata (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2572 del 2 maggio 2011).

In ragione di tale rilievo, non è rinvenibile alcun obbligo per l’Amministrazione di correlare il divieto di cui trattasi con i fatti accaduti nel senso di imporre lo stesso solo in relazione allo svolgimento di ben determinate partite di un determinato sport, disputate dalle squadre interessate dall’incontro in occasione del quale si sono verificati gli atti di violenza contestati al destinatario del provvedimento”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 436 del 2014

L’acquisizione gratuita non si applica alla ristrutturazione abusiva

09 Apr 2014
9 Aprile 2014

 Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 28 marzo 2014 n. 403 afferma che l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un immobile ex art. 31, c. 3 del D.P.R. n. 380/2001 non può legittimamente avvenire se l’Amministrazione ha configurato l’intervento edilizio abusivo in termini di ristrutturazione ex art. 33 del D.P.R. n. 380/2001:“Risulta infatti fondato il primo motivo di ricorso, con il quale viene denunciata l’illegittimità di tale ordinanza per violazione del disposto di cui all’art. 31, terzo comma del D.P.R. 380/01.

Premesso, infatti, che è stata la stessa amministrazione a qualificare gli interventi abusivamente realizzati sull’immobile della ricorrente quali opere di ristrutturazione mediante demolizione e successiva ricostruzione, così escludendo la riconducibilità delle stesse ad un intervento di nuova costruzione, ne consegue l’illegittima l’applicazione della sanzione irrogata in conseguenza dell’inosservanza dell’ordine impartito.

Invero, l’acquisizione al patrimonio pubblico dell’opera abusiva non può conseguire ad una violazione contestata ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 380/01.

Ribadito, infatti, per le considerazioni già svolte, che l’abuso è stato contestato dall’amministrazione ai sensi dell’art. 33, risultano illegittimamente disposte le conseguenze dell’acquisizione ex lege dell’immobile e dell’area di sedime e di pertinenza dello stesso, in quanto ricollegabili soltanto alla diversa ipotesi in cui sia stata contestata la realizzazione abusiva di una nuova costruzione, ai sensi dell’art. 31.

Soltanto in tale diversa ipotesi è possibile dare luogo alle specifiche conseguenze dettate da tale disposizione, le quali vengono a colpire non l’abuso in sé (che resta sanzionato in via diretta per mezzo dell’ordine di demolire e rimessione in pristino), ma la circostanza sopravvenuta, in questo caso imputabile anche alla proprietà che nulla ha opposto al riguardo nei confronti del responsabile materiale degli abusi, di non aver eseguito la demolizione nel termine assegnatogli.

E’ quindi evidente che l’acquisizione gratuita non può prescindere da un ordine di demolizione spiccato ai sensi dell’art. 31 e dato atto che questa non è l’ipotesi manifestatasi nel caso in esame, il provvedimento così assunto dall’amministrazione nei riguardi della società ricorrente è illegittimo..

Per detti motivi, quindi, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile ed in parte fondato, da cui il suo parziale accoglimento, con conseguente annullamento della sola ordinanza n. 4/2013”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 403 del 2014

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