La previsione a “verde sportivo” è un vincolo espropriativo o conformativo?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

La questione è stata esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 20 del 2014, in relazione ad alcune previsioni del PRG di Rovigo. Secondo le previsioni dettate dall’art. 67 delle N.T.A., l’area di interesse del ricorrente risulta ora destinata all’insediamento di attrezzature sportive e per il tempo libero. Di conseguenza, risultano dettate le seguenti prescrizioni: “In questa zona possono sorgere anche eventuali attrezzature di servizio degli impianti (locali di ristoro e sedi di attrezzature sportive), attrezzature ricettive per gli atleti. E’ vietata la costruzione di edifici residenziali, ad eccezione di quelli strettamente necessari per i custodi.   L’attuazione delle opere sopra descritte compete ai soli Enti Pubblici (Amministrazione Comunale, Amministrazione Provinciale, Federazione e Associazioni sportive del CONI). Con delibera del Consiglio Comunale, il Sindaco, su parere conforme della Commissione Edilizia, può utilizzare interventi di privati in attuazione totale o parziale delle opere previste”. Ritenendo che dette prescrizioni abbiano imposto sull’area un vincolo preordinato all’espropriazione - attesa la sostanziale riserva alle pubbliche amministrazioni dell’attuazione della destinazione di zona, risultando del tutto eccezionale l’eventualità che anche soggetti privati possano dare esecuzione alle previsioni, previa in ogni caso l’approvazione del progetto da parte dell’amministrazione - il ricorrente ha evidenziato come detto vincolo fosse ormai decaduto per decorso del quinquennio dalla sua introduzione con la Variante Generale, per cui, invocando l’applicazione del combinato disposto di cui all’art. 2 della legge n. 1187/68 ed all’art. 76 della L.r. 61/85, ha formulato istanza per il rilascio della concessione edilizia per la costruzione di un capannone adibito a magazzino per l’attività artigianale in atto. L’intervento sarebbe quindi divenuto assentibile sulla base della disciplina transitoria, propria della cc.dd. “zone bianche”, nell’attesa della nuova previsione pianificatoria, che consente la realizzazione di un edificio a destinazione produttiva entro il limite del 10% dell’area disponibile. La richiesta veniva, tuttavia, respinta dall’amministrazione con il provvedimento dirigenziale del 29.3.2001, con il quale è stata ritenuta l’insussistenza di un vincolo preordinato all’espropriazione gravante  sull’area di proprietà del ricorrente, in quanto la destinazione a verde sportivo dettata dalle N.T.A. non ha precluso la possibilità di intervento da parte dei privati, pur nel rispetto della destinazione impressa dalle previsioni di piano, senza così svuotare del tutto il contenuto del diritto ad edificare.

Il TAR ha ritenuto il vincolo conformativo, scrivendo che: "La controversia sottoposta all’esame del Collegio investe l’interpretazione data alle prescrizioni contenute nell’art. 67 delle N.T.A.  del P.R.G. di Rovigo, in base alle quali, per quanto riguarda specificatamente l’area di interesse di parte ricorrente, la destinazione impressa dallo strumento urbanistico è quella di “verde sportivo”. Secondo l’interpretazione seguita dall’Amministrazione e posta a fondamento del diniego impugnato, tenuto conto della natura della destinazione assegnata e della possibilità comunque prevista per i soggetti privati di dare attuazione alle prescrizioni, eseguendo interventi rispettosi della suddetta destinazione (salva l’approvazione da parte del Comune), si tratterebbe di un vincolo conformativo. In quanto tale, detto vincolo non risulta soggetto a decadenza, ma impone che gli interventi da eseguire sull’area de qua siano rispettosi della destinazione urbanistica ad essa impressa. Diversamente opinando, parte istante ritiene che la reale portata della previsione urbanistica di cui all’art. 67 N.T.A., dia luogo ad un vincolo preordinato all’espropriazione, che svuota del tutto ogni possibilità di sfruttamento edificatorio dell’area, come tale soggetto ai termini di decadenza, salvo la necessaria reiterazione del vincolo da parte del’amministrazione, previa corresponsione dell’indennità prevista dalla legge n. 1187/68. Ritiene il Collegio, esaminate le opposte conclusioni rese dalle difese di parte, che il ricorso sia infondato. Invero, atteso il contenuto e la portata prescrittiva delle disposizioni dettate dall’art. 67 delle N.T.A, non sono rinvenibili i caratteri del vincolo preordinato all’espropriazione e quindi non sono desumibili nella specie le conseguenze prospettate dalla difesa istante circa la decadenza del vincolo asseritamente imposto e la conseguente  applicabilità della speciale disciplina delle cd “zone bianche”, che come tale avrebbe consentito, entro i limiti stabiliti (10% dell’area), la realizzazione di interventi a destinazione produttiva. Come è stato affermato dalla Corte Costituzionale nella nota pronuncia n. 179/99 e, quindi, ribadito sulla base di tale insegnamento dalla successiva giurisprudenza, non è configurabile un vincolo preordinato all’espropriazione ogni qual volta l’amministrazione imponga con gli strumenti urbanistici vincoli di inedificabilità in aree destinate a verde attrezzato o per la realizzazione di un parco o più in generale per la destinazione di zone a verde pubblico o, come nel caso in esame, quale “verde sportivo”. In queste ipotesi è stata ritenuta la natura conformativa delle previsioni  urbanistiche, trattandosi di previsioni che interessano categorie generali di beni, strettamente connesse alla pianificazione urbanistica, senza implicare alcun effetto ablatorio o limitativo, sino a privarne di contenuto, del diritto di proprietà. La previsione a verde pubblico o, più specificatamente, per quel che interessa nel caso in esame, a verde sportivo, non esaurisce, svuotandolo, il diritto di proprietà, non elide totalmente la possibilità di sfruttamento economico della proprietà, ma orienta l’intervento, anche del privato, entro i limiti derivanti dalla programmazione pianificatoria del Comune. Sebbene, quindi, in quell’area ogni intervento deve rimanere circoscritto entro i limiti di rispetto della destinazione urbanistica assegnata alla zona, ciò non esautora completamente, con valenza sostanzialmente  espropriativa, il privato proprietario delle possibilità di sfruttamento economico dell’area. La stessa disposizione contenuta nell’art. 67 delle N.T.A. ammette, seppure invia residuale, che gli interventi ammessi siano realizzati anche dai privati, seppure previa autorizzazione da parte dell’amministrazione, che con delibera del Consiglio Comunale dovrà valutare la corrispondenza del progetto alla destinazione di zona, con ciò concretando proprio una di quelle ipotesi in presenza delle quali la stessa Corte Costituzionale, nella richiamata pronuncia, ha ritenuto non sussistere il vincolo preordinato all’esproprio. E’ quindi possibile ricondurre il caso in esame ad ipotesi analoghe, per le quali è stato affermato che :”Sono conformativi e al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo dell’area de qua (non comportano indennizzo, non decadono al quinquennio e quindi non sussiste un dovere di ritipizzazione) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di ablazione del bene”(cfr. C.d.S., IV, n. 3797/2011). La previsione, quindi, in alternativa o in via derogatoria rispetto all’intervento pubblico, di progetti che attuino la destinazione impressa all’area quale verde sportivo anche da parte di soggetti privati, esclude il temuto svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, permanendo in capo ai privati la possibilità di presentare un progetto che,  soddisfacendo le previsioni di zona, assicuri comunque il godimento economico del bene. Non si deve, invero, confondere la limitazione derivante dalla destinazione di zona impressa dallo strumento urbanistico, espressione della potestà pianificatoria comunale che ben può assicurare ad un determinato ambito una specifica destinazione, dall’imposizione di un vincolo, preordinato all’esproprio, che privi del tutto il privato di ogni possibilità di utilizzo e sfruttamento dell’area. Ciò ritenuto ed escluso quindi che nella fattispecie sussistesse un vincolo preordinato all’esproprio, decaduto per decorrenza quinquennale, non sono ravvisabili i vizi di legittimità denunciati in ricorso, non potendosi ammettere un intervento, quale quello progettato dal ricorrente, che chiaramente contrasta con le previsioni di zona. Per detti motivi, ritenuta la legittimità del provvedimento impugnato, il ricorso va respinto".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 20 del 2014

Gli oneri specifici devono essere indicati a pena di esclusione un giorno si e uno no

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. III, nella sentenza del 23 gennaio 2014 n. 348, afferma che sia gli oneri di sicurezza da rischio specifici o aziendale sia gli oneri di sicurezza da interferenza devono essere indicati a pena di esclusione atteso che: “Nel merito, ritiene il Collegio che la mancata indicazione dei costi di sicurezza nelle offerte delle prime due graduate costituisca causa di esclusione delle relative offerte.

Tale omissione determina l’esclusione sia in forza delle plurime concordanti disposizioni di gara contenute nel Bando, nei Chiarimenti, nel Capitolato e nel DUVRI, sia in quanto le norme in materia di oneri per la sicurezza hanno valore cogente ed immediatamente precettivo.

Premessa la distinzione tra oneri di sicurezza per le cc.dd. “interferenze” (che sono predeterminati dalla stazione appaltante e riguardano rischi relativi alla presenza nell’ambiente della stessa di soggetti estranei chiamati ad eseguire il contratto) ed oneri di sicurezza da rischio “specifico” o “aziendale” (la cui quantificazione spetta a ciascuno dei concorrenti e varia in rapporto alla qualità ed entità della sua offerta), va chiarito che secondo il Collegio l’omessa indicazione specifica sia dell’una che dell’altra categoria di oneri comporta la sanzione espulsiva, ingenerando incertezza ed indeterminatezza dell’offerta e venendo, quindi, a mancare un elemento essenziale, ex art. 46, comma 1-bis, del codice dei contratti pubblici.

La giurisprudenza di questo Consiglio si è già pronunciata nel senso di riconoscere ai costi per la sicurezza da c.d. “rischio specifico” la valenza di un elemento essenziale, sulla scorta del dato normativo di cui agli artt. 86, comma 3 bis, e 87, comma 4, del Codice dei contratti, nonché dell'art. 26, comma 6, del d.lgs. 81/2008, “sul fondamentale rilievo del carattere immediatamente precettivo delle norme di legge che prescrivono di indicare tali costi distintamente, norme idonee come tali ad eterointegrare le regole della singola gara, ai sensi dell'art. 1374 c.c., e ad imporre, in caso di loro inosservanza, l'esclusione dalla procedura” (v. C.d.S., III, 19/1/2012, n. 212, 29 febbraio 2012 n. 1172, 28/08/2012, n. 4622, 3 ottobre 2011, n. 542; V, 8 febbraio 2011, n. 846 e 23 luglio 2010, n. 4849).

Sotto tale profilo, l’offerta dell’aggiudicataria Siemens andava esclusa, essendo pacificamente ammesso tra le parti che la ditta non ha incluso i costi inerenti la sicurezza aziendale nella sua offerta.

2.4. – Secondo il Collegio, poi, cui pure l’omessa specificazione dei costi per la sicurezza c.d. “da interferenza” è causa di esclusione dalla gara, sebbene essi vadano indicati nell’esatto ammontare predeterminato dalla stazione appaltante.

Beckam in proposito non contesta la circostanza dell’omissione, ma si difende sostenendo che, essendo i costi “da interferenza” valutati a monte dalla stazione appaltante, si tratterebbe di costi “identificabili” e “scorporabili” ed, inoltre, essendo essi immodificabili, non vi sarebbe obbligo di evidenziarli nell’offerta; essa si è, pertanto, limitata ad indicare espressamente solo i costi aziendali, per un ammontare di euro 1.855,00 annui.

Osserva il Collegio, invece, che la loro mancata indicazione è causa di indeterminatezza dell’offerta al pari della mancata specificazione dei costi cc.dd. “aziendali”.

Ai sensi dell’art. 86, comma 3 bis, del D. Lgs. n. 163/2006 (ma v. anche il già citato art. 26, comma 6, del D. Lgs. n. 281/2008 ), l’offerta deve essere rispettosa del costo relativo alla sicurezza, senza alcuna distinzione; e tale costo nel suo complesso deve risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche della fornitura, in ragione degli interessi di ordine pubblico sottesi a tale previsione, posta a presidio di diritti fondamentali dei lavoratori e della stessa sicurezza pubblica.

Peraltro, l’art. 87, comma 4, sopra citato dispone a sua volta che "nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture".

Se gli oneri da interferenza non vengono dunque espressamente indicati, non è possibile dimostrare che tali costi siano stati presi in considerazione ed effettivamente calcolati in sede di predisposizione dell’offerta, né è possibile dedurre la necessaria consapevole formulazione dell’offerta stessa con riguardo ad un aspetto essenziale d’essa.

L’indicazione di tutti i costi di sicurezza, sia da interferenza che specifici, è rilevante ai fini della valutazione di anomalia dell’offerta e non può ipotizzarsi un potere di soccorso della stazione appaltante dopo l’apertura delle offerte economiche, in sede di verifica dell’anomalia, perché si determinerebbe una lesione della par condicio tra i concorrenti se si consentisse l’integrazione postuma di un’offerta originariamente incompleta; peraltro, l'omessa specificazione degli oneri di sicurezza in questione configura un'ipotesi di "mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice", idoneo a determinare "incertezza assoluta sul contenuto dell'offerta" per difetto di un elemento essenziale di quest'ultima.

La sanzione per l’omessa indicazione degli oneri stessi – sia aziendali che da interferenza – è, dunque, l’esclusione dell’offerta dalla procedura perché incompleta e/o indeterminata; in caso contrario si giungerebbe alla conseguenza della vanificazione delle disposizioni del codice dei contratti sopra citate, che ne impongono la specifica indicazione”.

 Anche il T.A.R. Toscana, Firenze, nella sentenza del 20 gennaio 2014 n. 106, giunge alle medesime conclusioni: “- questa Sezione ha più volte avuto modo di ritenere l’assoggettamento ai principi di cui all’art. 30 d.lgs. n. 163/2006 della tipologia di gare quale quella per cui è causa (T.A.R. Toscana, sez. II, 21 ottobre 2013, n. 1424; 6 luglio 2010, n. 2313; nello stesso senso, Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2011, n. 3019);

- quanto alla doglianza esaminata con priorità, il Collegio ritiene non vi siano motivi per discostarsi dal recente specifico precedente della Sezione secondo cui “l’indicazione degli oneri per la sicurezza costituisce un requisito ineliminabile, quanto meno per gli appalti di forniture e di servizi, e comporta in caso di omissione, anche a prescindere dalla mancata indicazione nel bando, l’esclusione dalla gara”, vertendosi in “uno dei casi di eterointegrazione del bando con le norme di legge” (T.A.R. Toscana, sez. II, 26 novembre 2013, n. 1630);

- “l'indicazione in sede di offerta degli oneri aziendali di sicurezza, non soggetti a ribasso, costituisce - sia nel comparto dei lavori che in quelli dei servizi e delle forniture - un adempimento imposto dagli artt. 86, co. 3 bis, e 87, co. 4, del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 ss.mm.ii. all'evidente scopo di consentire alla stazione appaltante di adempiere al suo onere di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela dei fondamentali interessi dei lavoratori in relazione all'entità ed alle caratteristiche del lavoro, servizio o fornitura da affidare” ( Cons. Stato, sez. III, 3 luglio 2013 nr. 3565);

- pertanto, l’offerta dell’aggiudicataria, per le ragioni esposte avrebbe dovuto essere esclusa”.

Per completezza si evidenzia che, con riferimento alle gare pubbliche relative a servizi di carattere intellettivo-culturale, il Consiglio di Stato, nella sentenza del 22 gennaio 2014 n. 330, giunge a conclusioni diametralmente opposte: “Ritenuto che è pacifico nel caso di specie che la legge di gara non prevedesse alcunché in ordine alla sussistenza ed alla quantificazione degli oneri per la sicurezza, né chiedesse comunque una specificazione circa la loro entità;

Considerato che la prestazione posta in gara concerneva la realizzazione del Servizio di Mediazione Culturale, quindi una prestazione la cui formazione aveva natura prettamente intellettuale e nessuna attività era richiesta al di fuori della sede di lavoro della aggiudicataria o comunque presso le sedi della stazione appaltante;

Ritenuto che il Consiglio di Stato ha già affermato che la “sicura assenza, nell’ambito delle lavorazioni oggetto della gara, di profili di interesse in tema di salute e sicurezza sul lavoro, rendeva inessenziale l’inserimento di una clausola della lex specialis la quale comminava la più grave sanzione (quella espulsiva) a fronte di una violazione meramente formale (quella di dichiarare oneri per la sicurezza, per giunta nella consapevolezza che l’importo dichiarato non poteva essere pari a zero” (Sez. VI, 19 ottobre 2012 n. 5389);

Considerato che nel caso di specie non è dimostrata la presenza di fattori che imponessero la previsione specifica di profili di sicurezza connessi alle prestazioni in gara e vista la riconosciuta illegittimità di clausole che obbligano i concorrenti a specificare nella propria offerta la consistenza degli oneri per la sicurezza in assenza conclamata di rischi, appare assolutamente meccanicistico e del tutto non pertinente con gli interessi sostanziali dell’Amministrazione l’applicazione di una norma basilare nel presidio di situazione giuridiche massimamente rilevanti, ma che anch’essa, anche per la sua natura centrale, va rispettata nei casi in cui sussistano quelle ragioni che è chiamata a presidiare”. 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 330 del 2014

TAR Toscana n. 106 del 2014

CdS n. 348 del 2014

Si deve produrre l’autocertificazione antimafia con riferimento ai componenti dei collegi sindacale e dei revisori?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 22.01.2014 n. 89 ritiene che la mancata allegazione della dichiarazione antimafia nel caso in esame non possa determinare l’esclusione dalla gara della ditta perché: “l’esclusione della ricorrente dalla procedura concorsuale – disposta dal concessionario per mancata allegazione della dichiarazione antimafia da parte del sindaco unico effettivo con funzioni di revisore legale dell’impresa capogruppo Minotti srl - è illegittima per violazione dell’art. 46, comma I e I-bis del codice, applicabile , come si è detto , in virtù del richiamo contenuto nel successivo art. 142, IV comma. Se è vero, infatti, che – pur in disparte la non inequivoca formulazione usata dal bando (punto IV.2.1) e dal disciplinare (artt. 2, lett. “b” e 7.1.A.7) che richiedevano, genericamente, di allegare la “dichiarazione sostitutiva antimafia redatta secondo le vigenti disposizioni di legge” - le dichiarazioni rese dal costituendo raggruppamento ricorrente sono incomplete alla stregua delle prescrizioni contenute nell’art. 85 del DLgs n. 159/2011 (con riferimento ai commi 2-bis e 3), è altresì vero che le dichiarazioni stesse non sono mancanti: è orientamento giurisprudenziale consolidato che nelle gare pubbliche di appalto l'art. 46 DLgs n. 163/06, nel disporre che le amministrazioni invitano, se necessario, le ditte partecipanti a fornire chiarimenti e ad integrare la carente documentazione presentata, non ha inteso assegnare alle amministrazioni una mera facoltà o un potere eventuale, ma ha inteso codificare un ordinario modo di procedere volto a fare valere, entro certi limiti, la sostanza sulla forma, orientando l'azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione, senza che l'esercizio di tale facoltà possa configurare una violazione della par condicio dei concorrenti rispetto ai quali, al contrario, assume rilievo l'effettività del possesso del requisito (cfr., ex pluribus, TAR Veneto, I, 20.11.2012 n. 1422). Nel caso di specie, dunque, sarebbe stato corretto e ragionevole il ricorso del concessionario al potere di integrazione documentale di cui all'art. 46 cit., atteso che le dichiarazioni antimafia rese dalle imprese partecipanti al costituendo raggruppamento erano non già del tutto mancanti ma, piuttosto, incomplete e, quindi, suscettibili di essere completate. Ma la disposta esclusione dalla gara viola anche l’art. 46, comma I-bis del codice, che stabilisce che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti….; i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”: nessuna norma del codice dei contratti e del connesso regolamento, del codice antimafia o di altra legge impone, infatti, ai concorrenti di una gara di appalto di produrre l’autocertificazione antimafia con riferimento ai componenti dei collegi sindacale e dei revisori”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 89 del 2014

I concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti a rispettare il codice degli appalti?

27 Gen 2014
27 Gennaio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 22.01.2014 n. 89 precisa che anche i concessionari di lavori pubblici che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono tenuti ad osservare gran parte delle norme del Codice Appalti atteso che: “sussiste la giurisdizione esclusiva dell’intestato Tribunale atteso che, ogni qual volta i concessionari di lavori pubblici che non siano amministrazioni aggiudicatrici – così si è qualificata la “Scuola della Misericordia di Venezia spa” e, comunque, tale qualificazione non è oggetto di contestazione – affidano a terzi l’appalto dei lavori oggetto della concessione (è irrilevante, a tal proposito – stante la chiara enunciazione della norma e la mancanza di ulteriori precisazioni - che l’affidamento a terzi sia discrezionale o imposto ai sensi dell’art. 146 del DLgs n. 163/2006), sono tenuti, ai sensi dell’art. 142, IV comma del codice dei contratti, all'osservanza della sezione IV del capo II del medesimo codice, nonchè, in quanto compatibili, delle disposizioni della parte I (sui principi), parte IV (sul contenzioso), parte V (norme di coordinamento, finali e transitorie) e della parte II, titolo I e titolo II limitatamente a pubblicità dei bandi, termini delle procedure, requisiti generali e qualificazione degli operatori economici, subappalto, progettazione, collaudo e piani di sicurezza: in conclusione, dunque, mentre il concessionario che sia amministrazione aggiudicatrice/organismo di diritto pubblico è sempre tenuto al rispetto delle procedure di evidenza pubblica nell’individuazione dell’aggiudicatario dei lavori, il concessionario che, invece, non sia amministrazione aggiudicatrice è tenuto al rispetto delle procedure di evidenza pubblica solo nei limiti della quota entro cui sia obbligato (ex art. 146), ovvero decida autonomamente, ad esternalizzare i lavori, con affidamento a terzi. Ne consegue che le relative controversie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, I comma, lett. e) del DLgs n. 104/2010”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 89 del 2014

Il governo impugna davanti alla Corte Costituzionale il terzo piano casa del Veneto

25 Gen 2014
25 Gennaio 2014

Pubblichiamo il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 46 del 24 gennaio 2014, contenente l'annuncio che il Governo ha deliberato la parziale impugnativa davanti alla Corte Costituzionale  della Legge Regione Veneto n. 32 del 29/11/2013 “ Nuove disposizioni per il sostegno e la riqualificazione del settore edilizio e modifica di leggi regionali in materia urbanistica ed edilizia” in quanto contiene disposizioni in contrasto con gli artt. art. 3, 9, 97, 117 comma 1, 117 comma 2, 117, comma 3 (con riferimento alla materia “governo del territorio”) e 118 della Costituzione.

Nel post che precede pubblichiamo un primo commento sulla questione da parte del prof. Alessandro Calegari. 

Delibera Consiglio Ministri 46.2014

Quale futuro per il terzo “piano casa” del Veneto ?

25 Gen 2014
25 Gennaio 2014

Il prof. Alessandro Calegari, che sentitamente ringraziamo, ci invia un primo commento relativo alla impugnativa da parte del Governo del terzo piano casa del Veneto.

Quale futuro per il terzo piano casa del Veneto - di Alessandro Calegari 

Sulla formazione del silenzio-assenso per le stazioni radio base

24 Gen 2014
24 Gennaio 2014

Con due sentenze (n. 15 e n. 26 del 2014), il TAR Veneto censura i provvedimenti comunali finalizzati a vietare l'installazione di stazioni radio base per telefonia emanati dopo la formazione del silenzio-assenso, ai sensi dell'articolo 87 comma 9 del D.lgs. 259/03. In particolare, le sentenze spiegano in quali casi il termine viene interrotto.

Nella sentenza n. 15 si legge che: " il termine di novanta giorni per la formazione del silenzio assenso di cui all'art. 87, comma 9, del D.Lgs. n. 259 del 2003 decorre dalla presentazione della domanda corredata dal progetto, avvenuta nel caso di specie il 10 maggio 2012, ed integrata, in seguito alla prima richiesta dell’amministrazione, il 29 giugno 2012. Da tale data, nei successivi novanta giorni non è pervenuta alcuna comunicazione negativa.

2. Né, la nota del 25 luglio 2012 (di richiesta di ulteriori simulazioni fotografiche), può ritenersi idonea ad interrompere il termine per la
formazione del silenzio assenso, giacché ai sensi del comma 5 dell'art. 87 del D.Lgs. n. 259 del 2003 "Il responsabile del procedimento può richiedere, per una sola volta, entro quindici giorni dalla data di ricezione dell'istanza, il rilascio di dichiarazioni e l'integrazione della documentazione prodotta"; mentre nel caso in esame, a fronte della domanda di autorizzazione ricevuta il 10 maggio 2012, già era stata richiesta una prima integrazione documentale, eseguita la quale, in data 29 giugno 2012, con il deposito della rappresentazione grafica degli apparati a terra e della simulazione fotografica del palo, la domanda era obiettivamente completa ed idonea a porsi come presupposto per la formazione del silenzio- assenso; non essendo consentito dal D.lgs n. 259/2003 alcun aggravamento del  procedimento da parte dell'ente locale, che può chiedere una sola integrazione documentale entro quindici giorni dalla ricezione della domanda: solo tale adempimento consente di spostare la decorrenza del termine di novanta giorni che rappresenta il termine massimo entro cui comunicare il provvedimento di diniego.

3. Va peraltro evidenziato come la ricorrente non abbia prestato alcuna acquiescenza alla richiesta d’integrazione del 25 luglio 2012 (come
invece eccepito dalla difesa comunale), avendo espressamente dichiarato, con la nota di riscontro a tale richiesta, di fornire le integrazioni richieste “a mero titolo collaborativo in quanto pervenute dopo i quindici giorni dalla data di presentazione dell’istanza” e con riserva di far valere il decorso dei termini procedimentali fissati dall’art. 87 comma 5 del D.lgs. n. 259/2003.
4. Ne deriva che il silenzio assenso si è formato il 28 settembre 2012, ben prima, dunque, della comunicazione del provvedimento di diniego avvenuta il 5 ottobre 2012.
5. Conclusivamente l’autorizzazione richiesta da Ericsson si è perfezionata per effetto del trascorrere del tempo, in mancanza di un
provvedimento di diniego tempestivamente espresso".

La sentenza n. 26 precisa che: "L’istanza diretta a realizzare l’impianto di cui si tratta era stata presentata in data 18/07/2012 senza che nei successivi novanta giorni fosse intervenuto alcun provvedimento inibitorio, circostanza quest’ultima dirimente al fine di considerare formato il silenzio assenso di cui all’art. 87.

1.2 Sul punto va ricordato come costituisce principio oramai consolidato (si veda per tutti Consiglio di Stato n. 7128 e T.A.R. Molise Sez. I, 19-12-2005, n. 1196) quello in base al quale il termine per la formazione del silenzio assenso decorre dalla data di presentazione dell'istanza.
1.3 Ne consegue che il provvedimento di sospensione è illegittimo, in quanto si inserisce in un periodo di tempo in cui la Dia si era già
consolidata e, quindi, in un momento in cui la ricorrente aveva già acquisito il diritto alla realizzazione dell’impianto di cui si tratta e, ciò, a
prescindere dal fatto che i lavori fossero o meno iniziati, circostanza quest’ultima irrilevante al fine del consolidarsi del diritto sopra citato.
1.4 Si consideri, ancora, che l'art.. 87 del d.lgs. n. 259/2003 non contempla l'esercizio del potere di sospensione al di fuori di alcuni casi
tassativamente stabiliti, quali l'integrazione documentale (comma 5), ovvero la convocazione della Conferenza di Servizi, nell'ipotesi di
motivato dissenso di una delle Amministrazioni interessate (comma 6).
2. Ne consegue che sussiste l’illegittimità anche un sotto altro profilo e, ciò, considerando come il provvedimento impugnato sospende i lavori dell’impianto in considerazione dell’imminente approvazione di un  piano di riordino locale e, quindi, in un’ipotesi non prevista dalla disciplina sopra citata.

2.1 Come ha affermato, anche qui, un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda T.A.R. Liguria Genova Sez. I, 22-05-2006, n. 480) la circostanza della prossima approvazione di un regolamento o piano urbanistico non può essere posta a fondamento del diniego o della sospensione delle autorizzazioni.
2.2 E’ del tutto evidente che l’esistenza dei presupposti per il formarsi del silenzio assenso sull’istanza presentata ai sensi dell’art. 87 del D. Lgs. 259/2003 va valutata sulla base della disciplina urbanistica e locale esistente nel momento in cui la stessa istanza viene presentata, non potendosi reputare legittimo, in mancanza di un’espressa motivazione, una disposizione che sia diretta ad incidere, con effetti retroattivi, su autorizzazioni oramai consolidate".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 15 del 2014

sentenza TAR Veneto n. 26 del 2014

Il piano comunale non può imporre che gli impianti di telefonia siano installati condividendo il sito di un altro operatore

24 Gen 2014
24 Gennaio 2014

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 26 del 2014.

Si legge nella sentenza: "3. Ciò premesso è evidente come sia, altresì, illegittimo anche il piano comunale 2013, relativo all’installazione degli impianti di telefonia mobile e, ciò, nella parte in cui impone a Ericsson la condivisione del sito con un altro operatore, in accoglimento del secondo motivo, lett. b), del ricorso in esame.

3.1 Il Comune, infatti, nell’emanare il piano sopra citato, non solo ha omesso di considerare come la realizzazione dell’impianto di cui si tratta fosse oramai assentita, ma nel contempo ha espresso un sostanziale “diniego”, senza nemmeno esplicitare le ragioni a fondamento dello stesso. 

3.2 Si è così, seppur indirettamente, introdotto un limite all’installazione degli impianti che non trova riscontro nella previsione legislativa, non essendo giustificato da ragioni urbanistiche o, più in generale, dalla necessità di tutelare una determinata area del territorio. Ne consegue come la previsione di detto divieto ha l’effetto di introdurre una misura surrettizia, essenzialmente diretta alla tutela della
popolazione da immissione radioelettriche, ipotesi quest’ultima che, la legge n. 36/2000, riserva espressamente alla competenza dello Stato.

3.3 Va, altresì, ricordato che l’impianto in questione è ubicato nelle immediate vicinanze dell’impianto appartenente ad altro operatore, in
relazione al quale la ricorrente aveva già manifestato allo stesso Comune l’impossibilità di una condivisione.

3.4 Sul punto è possibile richiamare quell’orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda Consiglio di Stato n. 3493 Sez. IV del 03/06/2010) mediante il quale si è sancito che “muovendo dalla nozione di rete di telecomunicazione che, per definizione, richiede una distribuzione capillare nei diversi punti del territorio - nozione, che ha poi condotto all'assimilazione in via normativa delle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, poste al servizio dell'insediamento abitativo di cui devono seguire lo sviluppo, con conseguente compatibilità dell'installazione di tali manufatti con qualunque destinazione di zona - si devono ritenere illegittime le prescrizioni di piano edilizio, e di regolamento, che si traducono in limiti alla localizzazione e allo sviluppo della rete per intere zone, per di più con scelta generale ed astratta ed in assenza di giustificazioni afferenti alla specifica tipologia dei luoghi o alla presenza di siti che per destinazioni d'uso possano essere qualificati come sensibili  (Conferma della sentenza del Tar Campania - Napoli, sez. I, n. 18934/2004)”.

3.5 Non solo nella fattispecie in esame è del tutto evidente come sia assente una benché minima motivazione, ma va nel contempo rilevato
come nessuna disposizione di legge consente al Comune di imporre la condivisione tra diversi operatori di tali infrastrutture e, ciò, ancor di più in presenza di ragioni ostative, la cui esistenza, era stata affermata da parte ricorrente e manifestata al Comune.

4. E’ possibile, di conseguenza, annullare anche la previsione del Piano comunale del 2013, limitatamente alla parte in cui impone ad Ericsson di installare la stazione radio base in condivisione con la struttura preesistente di altro operatore".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Veneto n. 26 del 2014

Nelle gare di appalto vanno escluse le ditte in concordato?

24 Gen 2014
24 Gennaio 2014

Il Consiglio di Stato con la pronuncia della V^ Sezione  del 27 dicembre 2013, n. 6272, relativa ad una gara di appalto in cui l’aggiudicazione era avvenuta a favore di una ditta che aveva chiesto l’attivazione della procedura di concordato preventivo il giorno successivo alla presentazione  dell’offerta, ha stabilito che l’impresa può partecipare alla gara anche se ha formulato la domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, a condizione  che produca la  documentazione di conformità del piano e che un’altra impresa fornisca i requisiti e assicuri le risorse per eseguire l’appalto.

Per i Giudici è sufficiente, quindi, che l’impresa presenti in gara la relazione di un professionista abilitato che attesti la conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento del contratto e una dichiarazione di un’altra impresa che metta a disposizione  i requisiti e le risorse per svolgere l’appalto. Diversamente, il Consiglio di Stato riterrebbe che, impedire all’impresa di partecipare alle gare per l’affidamento dei pubblici contratti, nelle more tra il deposito della domanda  e l’ammissione al concordato, confliggerebbe con la ratio della legge, che vuole consentire all’impresa  (anche) di acquisire contratti per superare la crisi.

Il problema da risolvere riguarda la legittimità della partecipazione alla gara di una ditta aggiudicataria  che aveva, come sopra riferito, presentato domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo con continuità aziendale dopo la scadenza del termine  per la presentazione dell’offerta.

Ciò, a rigor di logica avrebbe determinato il mancato rispetto del possesso del requisito  avente ad oggetto l’assenza di procedure concorsuali in capo  all’impresa aggiudicataria e, quindi, la necessità di escluderla dalla gara.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto invece legittima l’ammissione alla gara della ditta e l’aggiudicazione dal momento che  l’impresa non era “in stato “ di concordato preventivo al momento della presentazione  dell’offerta e, quindi era in situazione regolare. In base, poi, al codice dei  contratti pubblici, l’esclusione scatta soltanto per i soggetti che “si trovano  in stato di fallimento , di liquidazione  coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’art. 186 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.

Tuttavia un’altra sentenza della Sezione III^ del Consiglio di Stato , la n. 101/2014 decisa il  3 dicembre 2013 e depositata il 14.01.2014, è arrivata a conclusioni opposte a quella succitata n. 6272/2013, creando così notevole incertezza sulla questione.

In tale sentenza si trattava del caso di affidamento, con bando dell’agosto 2012 da parte di un  Complesso Ospedaliero  dei lavori di scavo archeologicamente assistito propedeutici all’ampliamento e ristrutturazione del presidio ospedaliero.

Alla gara partecipavano dieci concorrenti, tra cui una costituenda a.t.i., che risultava aggiudicataria provvisoria e poi definitiva.

Tuttavia, l'ATI seconda classificata preannunciava ricorso contro l’aggiudicazione in quanto l'aggiudicataria aveva presentato il 3 dicembre 2012 istanza per l’ammissione al concordato preventivo, con termine di 90 giorni per il deposito della domanda di concordato preventivo “in continuità”, sicchè allo stato la società non risultava ammessa. Ricevuto riscontro negativo, con atto notificato il 18 gennaio 2013 l'ATI  proponeva ricorso davanti al TAR per la Valle d’Aosta, che lo accoglieva con sentenza 18 aprile 2013, n. 23.

In sintesi,  il primo giudice ha ritenuto che le norme relative al concordato con continuità aziendale, derogatorie rispetto alle regole ordinarie , quindi di stretta interpretazione, non consentivano l’aggiudicazione dell’a.t.i. a cui partecipava la ditta,  in quanto non ancora ammessa al concordato, né aveva presentato in sede di gara la prescritta documentazione (piano di concordato, attestazione di conformità al piano, dichiarazione di altro operatore all’eventuale subentro).

La Sezione III^ del Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR Valle d’Aosta.

Nel merito il Giudice  di seconde cure ha ricordato che la lettera a) del primo comma dell’art. 38 del d.lgs 12 aprile 2006, n. 163, come modificato dall’art. 33, co. 2 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83  (conv. con mod. dalla l. 7 agosto 2012, n. 134), vieta la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, l’affidamento di subappalti e la stipula dei relativi contratti ai soggetti “ che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso di cui all’art. 186 – bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”.

La norma fa salvo, secondo il Consiglio di Stato sez. III^, solo il caso regolato dal menzionato art. 186 bis della legge fallimentare (introdotto dall’art. 33, co. 1, del cit. d.l. n. 83 del 2012), il quale disciplina il “concordato con continuità aziendale”, ossia l’ipotesi in cui il concordato preventivo, come da relativo piano delle modalità e dei tempi dell’adempimento della proposta concordataria, contempli (ancorchè possa essere prevista la liquidazione  di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa) la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, ovvero la cessione o il conferimento in una o più società dell’azienda “in esercizio”.

In particolare, per quanto riguarda la partecipazione a nuove procedure di affidamento non è dubbio che la norma include tra gli effetti dell’ammissione al concordato con continuità, alle dettate condizioni, il ripristino del requisito di cui trattasi; specularmente, deve ritenersi che la stessa norma escluda un effetto siffatto nel periodo intercorrente tra il deposito della relativa istanza- ricorso ed il decreto del Tribunale conclusivo del procedimento di ammissione (artt 162 o 163 l.f.).

Il disposto  dell’art. 38, co. 1, lettera a) conferma puntualmente siffatta conclusione, laddove fa “salvo il caso di cui all’art. 186-bis” della legge fallimentare ponendone il relativo inciso tra la prevista preclusione per le imprese che versino nello stato fallimentare, liquidazione coatta e concordato preventivo e la disposizione che equipara tali imprese a quelle in cui in corso il procedimento per la  dichiarazione di tali situazioni.

Più precisamente, l’inciso “salvo il caso di cui all’art. 186 – bis “ fa seguito all’elencazione dei soggetti esclusi in quanto “si trovano in stato (……..) di concordato preventivo”, quindi si riferisce  al soggetto che “si trova” nello stato  di concordato preventivo con continuità aziendale, cioè nei cui confronti il tribunale abbia dichiarato  detto stato ai sensi  dell’art. 163 l.f.; lo stesso inciso è conchiuso, precede ed è separato con virgola dalla successiva  dizione “o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni”, cioè degli ulteriori soggetti esclusi, tra i quali, dunque, rientra l’impresa nei cui riguardi sia in corso il procedimento per l’anzidetta dichiarazione. Vale a dire che, diversamente (ed a prescindere dall’inequivoco testo dell’art. 186 bis l.f. a cui fa rinvio) la norma sarebbe stata formulata ponendo l’inciso derogatorio al termine della disposizione, mentre, poiché la disgiuntiva “o” è collocata dopo ed al di fuori della deroga, la deroga stessa non comprende  l’ipotesi in cui sia pendente la procedura per l’ammissione al concordato con continuità aziendale.

Inoltre, trattandosi appunto di deroga all’ordinario regime dei requisiti di carattere generale (i quali, com’è noto, devono sussistere al momento della scadenza del termine per la presentazione  delle domande di partecipazione alla gara e permanere per tutta  la durata dell’appalto), non ne è consentito il superamento del dato letterale mediante un’interpretazione estensiva (o analogica), peraltro non autorizzata neppure dalla ratio legis desumibile dalla normativa in parola.

Invero, ove si accedesse alla tesi dell’effetto escludente dalla gara non al momento della presentazione dell’istanza  ex art. 161 l.f., bensì a quello della non ammissione ex successivo art. 162, non v’è dubbio che si verrebbe a creare una situazione di incertezza ed indeterminatezza  anche temporale della gara stessa, quindi resterebbero disattesi i predetti principi, segnatamente , oltre che di par condicio tra concorrenti, di economicità, efficacia e tempestività con ovvia ricaduta sull’intera attività amministrativa e sul perseguimento dell’interesse pubblico generale, tenuto altresì conto – come bene sottolineato dal primo giudice – del caso frequente in cui il finanziamento degli appalti sia condizionato dal rispetto dei termini perentori per la conclusione  delle procedure e l’esecuzione degli appalti stessi.

In conclusione, secondo il suddetto pronunciamento del Consiglio di Stato Sez. III^, il legislatore ha inteso, si incentivare la tempestiva emersione di criticità ed il ritorno in bonis dell’impresa  o la conservazione dell’azienda “in esercizio”, ma nella materia delle gare pubbliche ha circondato di cautele l’applicazione di tale normativa di favore, sia richiedendo in ogni caso  opportune garanzie, sia limitando la partecipazione al concorrente in status di suttoposto a concordato  con continuità, con conseguente permanere della preclusione qualora prima della scadenza del termine  prefissato per la presentazione delle istanze di partecipazione alla gara l’iter iniziato dall’imprenditore non sia approdato al decreto del tribunale di ammissione  al concordato con continuità e di formale apertura della procedura di concordato finalizzata all’omologazione.

avv. Giamartino Fontana

sentenza CDS 6272 del 2013

Cons_Stato_III_101-2014

Non spetta al Comune disporre l’affidamento del servizio idrico integrato

23 Gen 2014
23 Gennaio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza del 21 gennaio 2014 n. 79, dopo aver chiarito la normativa relativa alle Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (c.d. A.T.O.), afferma che il Comune non è competente a disporre l’affidamento del servizio di distribuzione dell’acqua poiché, a partire dalla L. R. Veneto n. 36/1994, la gestione del servizio idrico è stata estesa all’intero Ambito Territoriale Ottimale e risulta essere affidata in via esclusiva alle c.d. A.T.O. e, successivamente, al Consigli di Bacino destinati a subentrare a queste ultime.

A tal fine si riporta il passo della sentenza che si sofferma sulla normativa di cui supra: "Giova preliminarmente ricostruire il quadro normativo di riferimento. Le autorità d’Ambito erano già previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del 1994 e dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano l’istituzione, da parte delle Regioni, con strutture e forme giuridiche diverse alle quali partecipavano necessariamente gli enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni, l’esercizio associato delle funzioni, con conseguente passaggio dalle gestioni municipali dirette alle gestioni estese all’intero ambito, e assegnazione della specifica legittimazione a compiere tutti gli atti necessari allo svolgimento del servizio idrico all’Autorità d’Ambito medesima. La legge regionale n. 5/98, in attuazione della L. n. 36/94, ha individuato gli ambiti territoriali ottimali, ribadendo che l’Autorità d’Ambito svolge «funzioni di programmazione, organizzazione e controllo del servizio idrico integrato, ivi comprese quelle concernenti il rapporto con il gestore del servizio anche per quanto attiene alla relativa instaurazione, modifica o cessazione» (cfr. art. 3, comma 5).

7.2. Tale impianto risulta sostanzialmente confermato dagli artt. 142, 147 e 148 del Codice dell’ambiente (d.lgs. n.152/2006), in base ai quali:

a) «Gli enti locali, attraverso l’Autorità d’ambito di cui all’articolo 148, comma 1, svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato, di scelta della forma di gestione, di determinazione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo, secondo le disposizioni della parte terza del presente decreto» (art. 142, comma 1);

b) «L’Autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1» (art. 148, comma 1);

c) «L’Autorità d’ambito, nel rispetto del piano d’ambito e del principio di unitarietà della gestione per ciascun ambito, delibera la forma di gestione fra quelle di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. L’Autorità d’ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all’articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nel rispetto delle competenze regionali in materia. La gestione può essere altresì affidata a società partecipate esclusivamente e direttamente da comuni o altri enti locali compresi nell’ambito territoriale ottimale, qualora ricorrano obiettive ragioni tecniche od economiche, secondo la previsione del comma 5, lettera c), dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o a società solo parzialmente partecipate da tali enti, secondo la previsione del comma 5, lettera b), dell’articolo 113 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, purché il socio privato sia stato scelto, prima dell’affidamento, con gara da espletarsi con le modalità di cui al comma 2. I soggetti di cui al presente articolo gestiscono il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, salvo quanto previsto dall’articolo 148, comma 5» (art. 148, commi 1, 2,3, e 4).

La Corte costituzionale, inoltre, con la sentenza n. 246 del 2009, ha affermato la legittimità costituzionale dell’art. 148 del Codice dell’ambiente rilevando, fra l’altro, che la disposizione attiene «anche alla tutela dell’ambiente, perché l’allocazione all’Autorità d’Ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l’uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa come “sistema” [...] nel suo aspetto dinamico» (sentenze n. 168 del 2008, n. 378 e n. 144 del 2007). E che «tanto il comma 5 dell’art. 148 quanto la legge n. 36 del 1994, …, fissano il principio del “superamento della frammentazione delle gestioni” ».

Successivamente, con l’art. 2, comma 186 bis, della L. n. 191/2009 (Legge Finanziaria per il 2010), è stata disposta la soppressione delle Autorità d’Ambito Territoriali di cui all’art. 148 del d.lgs. n. 152/2006, prevedendosi che le Regioni attribuiscano con legge le funzioni esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Con la legge regionale n. l 7/2012 la Regione del Veneto ha quindi attribuito «le funzioni amministrative relative alla programmazione e controllo del servizio idrico integrato di cui agli art. 147 e seguenti del D.lgs n. 152/2006» per ciascun ambito territoriale ottimale ai Consigli di Bacino (cfr. art. l, comma 5, della L.R. n. 17/2012), quali specifiche forme di cooperazione tra i Comuni per la programmazione e l’organizzazione del servizio idrico integrato, a cui spetta la funzione di approvare le modalità organizzative del servizio in questione e di procedere al relativo affidamento in conformità alla normativa vigente, fermo rimanendo che, fino alla costituzione dei nuovi Consigli di Bacino, continuano ad operare, ex art. 13, comma l, L.R. n. 17/2012, le Autorità d’Ambito, costituite con la legge regionale n. 5/98, con i propri organi e, dal l gennaio 2013, con il Commissario Straordinario.

L’organizzazione dei servizi pubblici in ambiti territoriali risulta, infine, confermata dall’art. 3 bis, comma 1, del D.L. n. 138/2011, il quale, prevede che « (…), è fatta salva l’organizzazione di servizi pubblici locali di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista in attuazione di specifiche direttive europee nonché ai sensi delle discipline di settore vigenti o, infine, delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali in coerenza con le previsioni indicate nel presente comma»”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 79 del 2014

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