In materia di distanze dai confini si applica lo jus superveniens

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Cosa succede in una causa civile riguardante la distanza di una costruzione dai confini se nel frattempo cambiano le regole del PRG sulle distanze dai confini?

La Suprema Corte di Cassazione, sez. II, nella sentenza del 09.08.2013 n. 19142 afferma che l'art. 9, comma 1, punto 06 - Distanza dai Confini - delle NTO del P.I. di Verona  deve essere interpretato ed applicato alla luce del principio dello jus superveniens (tale articolo delle NTO stabilisce che: “Distanza dai confini: rappresenta la lunghezza minima tra il filo di fabbricazione di una costruzione e la linea di confine della proprietà; è rappresentata dal raggio della minima circonferenza avente centro in uno dei due elementi e tangente all’altro. Ai fini della presente norma, il filo di fabbricazione, è dato dal perimetro esterno delle pareti della costruzione, con esclusione degli elementi decorativi, dei cornicioni, delle pensiline, dei balconi e delle altre analoghe opere, aggettanti per non più di 1,50 m; sono inclusi nel perimetro anzidetto i "bow window", le verande, gli elementi portanti verticali in risalto, gli spazi porticati, i vani semiaperti di scale ed ascensori. Tale valutazione si applica anche ai piani interrati, nel caso in cui sia stabilita, per questi, una distanza ai sensi delle presenti disposizioni. 

Salvo che non sia diversamente stabilito dalle presenti norme, tale distacco viene fissato in via generale, ad esclusione della Città storica, in mt. 5,00. 

Salvo che non sia esplicitamente escluso o diversamente disciplinato dalle presenti norme o dai PUA, fermo restando, salvi i casi puntualmente disciplinati dal PI e dai PUA, il rispetto delle distanze minime inderogabili tra fabbricati previste dal D.M. 1444/68, è sempre ammessa l’applicazione delle norme civilistiche sulla distanza dai confini, sulla sopraelevazione e sulla prevenzione ai sensi degli artt. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico”) 

Nello specifico si legge che: “L'art. 885 cod. civ. è volto a consentire al proprietario che vi abbia interesse la facoltà di utilizzare il muro comune e costituisce una lex specialis nel senso che introduce una deroga sia al normale regime della comunione sia al normale regime della accessione; infatti, l'esercizio di detta facoltà, non essendo subordinata al consenso dell'altro comproprietario del muro, da luogo ad una proprietà separata ed esclusiva della sopraelevazione, la quale appartiene al comproprietario che per primo abbia innalzato il muro comune. Tale disposizione non interferisce con (e non deroga alla) disciplina dettata in materia di distanze legali che ha la funzione di evitare intercapedini dannose tra fabbricati (normativa codicistica) e anche di tutelare l'assetto urbanistico di una data zona e la densità degli edifici in relazione all'ambiente (disciplina regolamentare, richiamata dall'art. 873 cod. civ.)” (...) “La previsione, consentendo espressamente l'edificazione in aderenza, deroga, evidentemente, per il suo carattere di specialità, alla generale disciplina in materia di distanze dal confine, escludendo l'applicabilità, quando esistano fabbricati sul confine, della norma generale della variante” nonché: “L'art. 9 comma primo 06 del Piano di intervento approvato dal Comune di Verona, con Delib. C.C. 23 dicembre 2011, n. 91 in attuazione di quanto previsto dalla L.R. n. 11 del 2004, art. 17, lett. C) stabilisce, in tema di distanza dai confini, fra l'altro, ...". Salvo che non sia esplicitamente escluso o diversamente disciplinato dalle presenti norme o dai PUA, fermo restando, salvi i casi puntualmente disciplinati dal PI e dai PUA, il rispetto delle distanze minime inderogabili tra fabbricati previste dal D.M. n. 1444 del 1968, è sempre ammessa l'applicazione delle norme civilistiche sulla distanza dai confini, sulla sopraelevazione e sulla prevenzione ai sensi dell'art. 873 c.c. e segg., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell'alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dall'art. 875 c.c. e dall'art. 877 c.c., comma 2), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico".

A stregua di tale normativa, deve comunque ritenersi legittima la costruzione del terzo piano, edificata dai convenuti in soprelevazione del preesistente manufatto realizzato in aderenza (oggetto della domanda di cui al capo 1 dell'atto di citazione indicato nell'esposizione della sentenza impugnata), giacche assume rilievo decisivo la verifica della conformità della costruzione alle previsioni urbanistiche attualmente vigenti, eventualmente più favorevoli di quelle esistenti al momento della realizzazione del manufatto.

Se, d’altra parte, anche i resistenti hanno convenuto sulla legittimità delle edificazione in base a tale normativa , appare del tutto inutile verificare la denunciata illegittimità della costruzione alla luce della pregressa normativa, posto che non è stata pronunciata alcuna domanda di risarcimento del danno conseguente alla suddetta sopraelevazione”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza Cassazione Civile 19142 del 2013

Le dichiarazioni ex art. 38 D. Lgs. n. 163/2006 si applicano anche alla società che redige il progetto

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, con la sentenza n. 130 del 30 gennaio 2014, afferma che, nel caso di un appalto integrato di progettazione esecutiva e di esecuzione di lavori pubblici, l’obbligo delle dichiarazioni di inesistenza delle cause di esclusione ex art. 38 D. Lgs. n. 163/2006 sussiste anche nei confronti delle persone fisiche che siano indicate quali effettivi redattori del progetto ex art. 90, c. 7, D. Lgs. n. 163/2006.

 Nello specifico si legge che: “La risposta –re melius perpensa rispetto a quanto diversamente prospettato, ancorchè in forma certamente non perentoria (ma soltanto “possibilista”), nella sentenza n. 1389/2013 di questa sezione - non può che essere affermativa.

Dal punto di vista normativo, invero, deve richiamarsi la previsione contenuta nell’art. 53, III comma del DLgs n. 163 cit., a tenore del quale “quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta, o partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione”. Stabilisce, poi, il successivo art. 90, VII comma che “indipendentemente dalla natura giuridica del soggetto affidatario dell'incarico di cui al comma 6, lo stesso deve essere espletato da professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell'offerta, con la specificazione delle rispettive qualificazioni professionali. Deve inoltre essere indicata, sempre nell'offerta, la persona fisica incaricata dell'integrazione tra le varie prestazioni specialistiche”.

L’obbligo, dunque, di indicare i professionisti a cui è concretamente demandata l’elaborazione del progetto deve essere adempiuto – come, peraltro, è stato effettivamente adempiuto nel caso di specie da Modonuovo srl, società di progettazione individuata dalla ricorrente - già in sede di presentazione dell’offerta, e non avrebbe senso l’imposizione di siffatto obbligo (con cui, appunto, l’Amministrazione viene messa al corrente del nominativo delle persone fisiche che si rapporteranno direttamente con essa e che saranno personalmente responsabili) senza che i progettisti specificamente incaricati fossero tenuti a rilasciare le dichiarazioni (ex art. 38) garantiste della loro affidabilità, serietà e moralità (cfr., a tal proposito, CdS, V, 9.5.2012 n. 1752 che, nel respingere in sede cautelare l’appello avverso la sentenza TAR Sardegna n. 306/2012, ha osservato che “anche nel caso di appalto integrato, pare necessaria l’indicazione specifica del progettista o dei progettisti persone fisiche, potendosi altrimenti eludere (se venisse solamente indicata la società che si occupa del progetto) le norme che impongono determinati requisiti, anche di ordine generale, in capo ai soggetti che materialmente redigono i progetti”).

Risponde infatti ad elementari ragioni di trasparenza e di tutela effettiva degli interessi dell’Amministrazione che tutti gli operatori economici che a qualsiasi titolo eseguono prestazioni di lavori, servizi e forniture nei suoi confronti abbiano i requisiti morali di cui all’art. 38 del codice.

Se in caso di società di professionisti tali requisiti andassero accertati solo in capo alla società e non anche in capo ai soci che eseguono le prestazioni, la società potrebbe agevolmente costituire un elemento di copertura consentendo la partecipazione di professionisti privi dei necessari requisiti: ai professionisti che non avessero i requisiti dell’art. 38 sarebbe sufficiente, infatti, anziché concorrere direttamente (andando incontro a sicura esclusione), avvalersi di una società da utilizzare come copertura” ed ancora: “Il Barbetti, dunque – è appena il caso di osservare che l’art. 38, II comma del DLgs n. 163/2006 stabilisce inequivocabilmente che “il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva….in cui indica tutte le condanne penali riportate, ivi comprese quelle per le quali abbia beneficiato della non menzione” -, ha reso una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà mendace che si configura come causa autonoma di esclusione dalla gara (cfr., ex pluribus, CdS, VI, 6.4.2010 n. 1909; V, 2 febbraio 2010 n. 428; TAR Veneto, I, 19.3.2013 n. 425), anche avuto riguardo alla previsione contenuta nell’art. 75 del DPR 28.12.2000 n. 445, secondo cui “il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”: art. 75 che prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante e da eventuali, diverse determinazioni (precariamente) assunte dalla stazione appaltante, attestandosi sul dato oggettivo della "non veridicità".

Né può concordarsi con il raggruppamento ricorrente sull’inefficacia del decreto penale per sopravvenuta estinzione della contravvenzione irrogata al Barbetti: è appena il caso di evidenziare, infatti, che la riabilitazione (combinato disposto dagli artt. 683 cpp e 178 cp) e l'estinzione del reato/contravvenzione (combinato disposto dagli artt. 676 cpp e 151 seg. cp) per decorso del termine di legge devono essere giudizialmente dichiarate, giacché il giudice di sorveglianza nel primo caso ed il giudice dell'esecuzione nel secondo caso sono gli unici soggetti al quale l'ordinamento conferisce la competenza a verificare che siano venuti in essere tutti i presupposti e sussistano tutte le condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, in mancanza, la dichiarazione di assenze di condanne penali equivale a dichiarazione mendace e giustifica l'esclusione dalla gara del concorrente che l'abbia resa (cfr. CdS, V, 20.10.2010 n. 7581)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR n. 130 del 2014

Per gli atti vincolati ammissibile l’integrazione della motivazione del provvedimento nel corso del giudizio

04 Feb 2014
4 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 23 del 2014.

Scrive il TAR: "3.4 Costituisce dato acquisito che, dall’esame dei provvedimenti impugnati, era comunque possibile desumere le circostanze ostative all’accoglimento della domanda.

4. Ne consegue come siano applicabili quei principi giurisprudenziali, peraltro confermati da una recente pronuncia (per tutti si veda Consiglio di Stato sez. V 20/08/2013) che, seppur in una fattispecie differente, hanno sancito che “il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all'art. 21 octies l. n. 241- 1990, nei quali l'amministrazione può dare anche successivamente l'effettiva dimostrazione in giudizio dell'impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell'atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale”.

4.1 Se, infatti, il divieto di integrazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, rappresenta un presidio
essenziale dell'onere stesso di motivazione dei provvedimenti, l’applicazione di detto principio all’attività vincolata va opportunamente contemperato in presenza di un vizio formale, quale è il difetto di motivazione e, ancor di più nella fattispecie in esame, laddove era comunque possibile evincere gli elementi ostativi alla realizzazione del manufatto di cui si tratta. La censura è, pertanto, non accoglibile".

sentenza TAR Veneto n. 23 del 2014

Per qualificare come “annesso rustico” un edificio da costruire occorre dimostrarne la funzione produttiva

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 24 del 2014.

Scrive il TAR: "3. Non può condividersi nemmeno l’eccezione contenuta nel secondo  motivo, mediante il quale si contesta l’affermazione del Comune, diretta a rilevare che l’intervento di demolizione e ricostruzione non rientrava nella definizione di “annesso rustico” di cui all’art. 2 della L. reg. 24/85.

3.1 Nel corso del giudizio il Comune di Vicenza ha dimostrato come non corrisponda alla realtà quanto affermato dal ricorrente. Nel caso di specie non si era in presenza della costruzione di un “annesso rustico”, quanto nella demolizione e nella realizzazione di un nuovo  fabbricato con conseguente ampliamento del manufatto originario e, ciò, in assenza di alcun titolo edilizio.

3.2 Nel provvedimento di rigetto del 26/07/2004 l’Amministrazione comunale ha correttamente evidenziato come, l’intervento di cui si
richiedeva la sanatoria, non rientrava nella definizione di “annesso rustico” di cui all’art. 2 della L. Reg. 24/85, evidenziando la circostanza in base alla quale non risultava dimostrata la funzione produttiva del manufatto.. Si consideri ancora, che parte ricorrente non aveva depositato la relazione tecnica idonea ad evidenziare il miglioramento fondiario perseguito, documentazione indispensabile alla qualificazione del manufatto quale “annesso rustico”.

sentenza TAR Veneto n. 24 del 2014

L’inedificabilità della fascia di rispetto stradale riguarda anche le opere arretrate rispetto ad opere preesistenti

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

Lo dice il TAR Veneto nella sentenza n. 24 del 2014, dove si legge che: "Tale intervento ricadeva all’interno di una fascia di rispetto stradale che, ai sensi, dell’art. 39 comma 1 delle NTA, costituisce area “destinata alla conservazione, alla protezione, all’ampliamento e alla creazione di spazi per il traffico pedonale e veicolare”.

2.3 Ne consegue come risulti evidente la legittimità del provvedimento e, ciò, considerando che l’ampliamento proposto andava a costituire un avanzamento verso la strada, ipotesi quest’ultima espressamente vietata dalle disposizioni sopra citate.

2.4 Si consideri, inoltre, che un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, 24-01-2013, n. 112) ha affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal D.M. 1 aprile 1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente ……. ma appare correlato alla più  ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti”.

sentenza TAR Veneto n. 24 del 2014

Rapporto tra ordinanza di demolizione e accertamento inottemperanza: dove vanno indicati i mappali?

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 25 del 2014 afferma che i mappali vanno indicati già nell'ordinanza di demolizione.

Si legge nella sentenza: "4.4 Costituisce espressione di un costante orientamento (per tutti si veda T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 2 gennaio 2012, n. 9) in base al quale “in materia di abusivismo edilizio l'individuazione dell' area di pertinenza della "res abusiva" deve compiersi al momento dell'emanazione del provvedimento con il quale viene accertata l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione e con cui si procede all'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune, ai sensi dell'art. 7 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, indicazione che deve, quindi, essere contenuta nell'atto d'acquisizione, a pena d'illegittimità di quest'ultimo, costituendo esso titolo per l'immissione in possesso dell'opera e per la trascrizione nei registri immobiliari".                                                                                     

4.5 Si è altresì, affermato che l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, prevista dall'art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, è collegata direttamente all'accertamento dell'inottemperanza (volontaria) all'ordine di demolizione, accertamento che ha carattere dichiarativo, mentre gli effetti della trascrizione sono collegati dalla legge direttamente alla inosservanza del termine (in questo senso si veda Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 333 del 20-04-1994).

5. Ne consegue che l’Amministrazione comunale, una volta che aveva verificato che l’abuso contestato non riguardava solo i mappali 272, 273 e 270, avrebbe dovuto notificare, alle attuali ricorrenti, un nuovo ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ricomprendendo anche il mappale successivamente ritenuto ricompreso negli abusi di cui si tratta.
5.1 E’ del tutto evidente che, sulla base degli orientamenti sopra citati, l’ordinanza di demolizione costituisca il necessario presupposto dell’atto di acquisizione in proprietà, nell’ambito del quale, la stessa Amministrazione avrebbe dovuto indicare esattamente le aree da
acquisire in proprietà. 

5.2 Nemmeno è possibile accogliere le tesi di parte resistente, laddove ritengono che il mappale n. 271 sia stato “implicitamente” ricompreso nella descrizione del manufatto contenuta nell’ordinanza di demolizione.
5.3 Non solo detta affermazione non trova una conferma dall’esame degli atti impugnati, ma va rilevato come restasse comunque indispensabile che l’Amministrazione determinasse, con certezza, i mappali interessati dagli abusi di cui si tratta e, ciò, considerando l’effetto di acquisizione della proprietà conseguente all’inadempimento dell’ordinanza di demolizione.
5. E' inoltre necessario ricordare che nel caso di specie sussiste, altresì, la violazione dell'art. 31 del Dpr 380/2001 nella parte in cui attribuisce rilievo sostanziale alla “notifica” all’interessato, per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, notifica che nel caso di specie e con riferimento al mappale n. 271 non era avvenuta nemmeno nei confronti dell’originario destinatario dell’ordinanza di demolizione del 1988".

sentenza TAR Veneto n. 25 del 2014

Beni Culturali: per le opere che modificano il perimetro (aderenza / appoggio) occorre l’autorizzazione della Soprintendenza senza necessità della previa imposizione di un vincolo indiretto

03 Feb 2014
3 Febbraio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato 427 del 2014.

Scrive il Consiglio di Stato: "....Ciò comporta l’applicazione della regola generale, anch’essa risalente alla legge n. 1089 del 1939 e ora contenuta nell’art. 21, comma 4, del medesimo Codice, secondo cui occorre l’autorizzazione della Soprintendenza per “l’esecuzione di opere e di lavori di qualunque genere su beni culturali”.

Con tale risalente disposizione, il legislatore non si è inteso riferire soltanto ai lavori ed alle opere da realizzare sul bene sottoposto al vincolo (cioè al suo interno o sulle sue facciate), ma anche ai lavori ed alle opere realizzate all’esterno dell’edificio stesso, che alterino la consistenza dell’edificio nel suo complessivo perimetro.

Mentre per le opere ‘staccate’ dall’edificio sottoposto a vincolo rilevano le disposizioni e gli atti riguardanti il c.d. vincolo indiretto (volto a salvaguardare la visibilità e lo stesso decoro e il pregio artistico e storico dell’edificio tutelato in via diretta), per le opere che comportino la modifica del perimetro, e comunque implichino ‘l’aderenza’ o ‘l’appoggio’ di un nuovo manufatto a quello vincolato, occorre senz’altro l’autorizzazione della Soprintendenza, senza necessità della previa imposizione di un vincolo indiretto: non v’è dubbio che, nel realizzare l’edificio in aderenza o in appoggio, siano ‘toccate’ le stesse strutture dell’edificio sottoposto al vincolo e cioè vi sono opere e lavori “su” un bene culturale...".

geom. Daniele Iselle

sentenza CDS 427 del 2014

Riaperto il condono edilizio per la valorizzazione degli immobili pubblici

31 Gen 2014
31 Gennaio 2014

TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 30 novembre 2013, n. 133, coordinato con la legge di conversione 29 gennaio 2014, n. 5 

Vigente al: 29-1-2014   
 Titolo I Disposizioni fiscali ed in materia di immobili pubblici 

                               Art. 3
Disposizioni in materia di immobili pubblici

  1.  Ai  fini  della  valorizzazione  degli  immobili  pubblici,  in relazione ai processi di  dismissione  finalizzati  ad  obiettivi  di finanza  pubblica  ((,  anche   allo   scopo   di   prevenire   nuove urbanizzazioni e di ridurre il consumo di suolo )) le disposizioni di cui al (( sesto comma )) dell'articolo 40  della  legge  28  febbraio 1985, n. 47, si applicano anche alle alienazioni di immobili  di  cui all'articolo 11-quinquies del decreto-legge  30  settembre  2005,  n. 203, convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248; per esse la domanda di sanatoria di cui al citato ((  sesto  comma  ))  dell'articolo  40 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, puo' essere presentata entro  un anno dall'atto di trasferimento dell'immobile.

Riferimenti normativi: 
 
Si riporta il testo vigente  dell'articolo  40  della legge  28  febbraio  1985,  n.  47  (Norme  in  materia  di controllo 

dell'attivita'  urbanistico-edilizia,  sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie):
             

Art. 40 (Mancata presentazione dell'istanza).
 
comma 6.  Nella  ipotesi  in   cui   l'immobile   rientri   nelle previsioni di sanabilita' di cui al capo IV della  presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria puo'  essere  presentata entro  centoventi   giorni   dall'atto   di   trasferimento dell'immobile purche' le ragioni  di  credito  per  cui  si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge.". 
geom. Daniele Iselle

I chiarimenti della regione (FAQ) sull’applicazione delle nuove disposizioni regionali per l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita

31 Gen 2014
31 Gennaio 2014
Adeguamento dello strumento urbanistico comunale

D: Il comune che ad oggi non sia dotato di Piano di Assetto del Territorio (PAT) e di Piano degli Interventi (PI) può rimuovere eventuali limitazioni contenute nel proprio strumento urbanistico generale (PRG) al fine di consentire l’insediamento di medie e grandi strutture di vendita nei centri storici ?

R: Sì, il comune ad oggi non dotato di PAT e PI può rimuovere eventuali limitazioni all’insediamento di medie e grandi strutture di vendita all’interno dei centri storici con una variante al vecchio PRG secondo la procedura prevista dall’articolo 50, commi 6, 7 e 8 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 6 (vedasi in tal senso l’articolo 48, comma 7 octies della legge regionale urbanistica 23 aprile 2004, n. 11)

D: Entro quale termine devono essere adeguati gli strumenti urbanistici e territoriali ai criteri del regolamento regionale ?

R: Entro il termine di un anno dalla pubblicazione del regolamento regionale nel Bollettino Ufficiale della Regione, ossia entro il 25 giugno 2014.

D: Cosa accade nelle more dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali ai criteri fissati dal regolamento regionale oppure in caso di inosservanza del termine di adeguamento ?

R: Il comune non può individuare nuove aree o ampliare le aree esistenti con destinazione commerciale per grandi strutture di vendita o medie strutture con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 al di fuori dai centri storici e non può rilasciare l’autorizzazione commerciale in presenza di una variante approvata in violazione del predetto divieto (vedasi in tal senso l’articolo 4, comma 3 della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50)
 
Perimetrazione del centro urbano e individuazione delle aree dismesse e degradate

D: Ai fini degli adempimenti comunali relativi alla perimetrazione del centro urbano e  all’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica, è necessaria l’approvazione di una deliberazione del Consiglio comunale oppure è sufficiente una deliberazione della Giunta comunale ?

R: La competenza ad adottare gli adempimenti relativi alla perimetrazione del centro urbano e all’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica va individuata all’interno della vigente normativa che disciplina l’ordinamento degli enti locali e secondo i rispettivi statuti.
Ciò premesso, trattandosi di adempimenti di carattere ricognitivo volti ad effettuare una fotografia della situazione esistente, può risultare idonea una deliberazione della Giunta comunale, fermo restando che detta deliberazione deve essere preceduta da adeguate forme di pubblicità, come previsto dal regolamento regionale n. 1 del 2013.

D: La perimetrazione del centro urbano e l’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica, costituiscono variante allo strumento urbanistico ?

R: No. Si tratta di adempimenti necessari ai fini della variante allo strumento urbanistico comunale per la localizzazione degli interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 fuori dei centri storici, ma non costituiscono essi stessi variante.

D: L’individuazione delle aree oggetto di riqualificazione urbanistica può avvenire anche su indicazione del soggetto privato ?

R: Sì, il regolamento regionale prevede che la deliberazione comunale con la quale sono individuate le aree oggetto di riqualificazione urbanistica sia preceduta da adeguate forme di pubblicità che consentano all’amministrazione comunale di acquisire eventuali proposte da parte di soggetti privati.
 
Interventi commerciali in aree per grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 

D: Cosa s’intende per compatibilità urbanistica per grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 ?

R: S’intende la previsione urbanistica di aree idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita (o parchi commerciali) da parte del PRG oppure da parte del PI alla data del 1 gennaio 2013, data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012.

D: I criteri per la pianificazione locale di cui all’articolo 2 del regolamento regionale debbono essere applicati anche per le aree già idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale ?

R: I criteri per la pianificazione locale di cui all’articolo 2 del regolamento trovano applicazione ai fini della localizzazione urbanistica di nuove aree per gli interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 da ubicarsi fuori dai centri storici; in caso di interventi in aree urbanisticamente idonee all’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale, la conferenza di servizi in materia di commercio valuta la compatibilità dell’intervento commerciale applicando la cd. “valutazione integrata degli impatti” di cui all’articolo 4 del regolamento regionale.
Rimane inteso, tuttavia, che qualora l’intervento commerciale in aree urbanisticamente idonee per l’insediamento di grandi strutture di vendita alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 50 del 2012 non risponda ai criteri di cui alla lettera A.2 dell’articolo 4 del regolamento regionale, si rende necessaria una nuova localizzazione dell’area secondo il criterio dell’approccio sequenziale previsto all’articolo 2 del regolamento medesimo.

Varianti di trasformazione da destinazione agricola a destinazione commerciale

D: Possono essere approvate varianti di trasformazione da destinazione agricola a destinazione commerciale per interventi commerciali con superficie di vendita superiore a mq. 1.500 ?

R: No, tranne che per gli interventi di cui all’articolo 9, comma 2 del regolamento regionale, oggetto di accordi di programma ai sensi dell’articolo 26 della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali, relativi a:
a) varianti funzionali ad un intervento commerciale di ampliamento;
b) varianti funzionali ad interventi commerciali di valorizzazione di complessi sportivi di interesse regionale situati all’interno dei comuni capoluogo.

Accordi di programma per interventi di rilevanza regionale

D: I criteri per l’approccio sequenziale di cui all’articolo 2 del regolamento regionale trovano applicazione anche nelle fattispecie di accordo di programma in variante di cui all’articolo 26 della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali (es. art. 32 della legge regionale n. 35 del 2001)?

R: Sì, detti criteri di cui all’articolo 2 del regolamento regionale si applicano anche agli accordi di programma in variante ai sensi della legge regionale n. 50 del 2012 ovvero ai sensi delle vigenti normative regionali, ad eccezione delle fattispecie previste dall’articolo 9, comma 2 del regolamento regionale ed elencate nella risposta che precede.

Tutela ambientale in tema di medie strutture di vendita

D: Quale effetto si è determinato nell’ordinamento regionale a seguito della sentenza n. 251 del 28 ottobre 2013, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge regionale n. 50 del 2012 in materia di requisiti ambientali delle strutture commerciali ?

R: La Corte Costituzionale, con la citata sentenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge regionale n. 50 del 2012 nella parte in cui non prevede l’assoggettamento delle medie strutture di vendita in forma di centro commerciale alla procedura di verifica di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni.
A seguito della citata sentenza non si è verificato alcun effetto nell’ordinamento regionale poiché già con deliberazione n. 575 del 10 maggio 2013, la Giunta regionale aveva emanato alcuni criteri di indirizzo e coordinamento normativo tra le disposizioni regionali e le disposizioni statali in materia di tutela ambientale, precisando in sostanza che le medie strutture di vendita, qualora articolate in forma di centro commerciale, debbano rimanere assoggettate alla procedura di verifica prevista dalla citata normativa statale.

Ultimo aggiornamento: 18/12/2013

DGRV n. 2879 del 30/12/2013: Modifica atti d’indirizzo per la predisposizione del Piano Aziendale ai fini dell’edificabilità del territorio agricolo

31 Gen 2014
31 Gennaio 2014

Sul Bur n. 11 del 28 gennaio 2014 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 2879 del 30 dicembre 2013, recante "Semplificazione dei procedimenti nel Settore primario. Atti di indirizzo ai sensi dell'art. 50, comma 1, lett. d), della LR 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio". Modifiche alla lett. d) "Edificabilità zone agricole", punto 1): "Definizione dei parametri di redditività minima delle imprese agricole sulla base di quanto stabilito dalla Giunta regionale ai sensi dell'articolo 18 della LR 40/2003" e punto 2): "Definizione dei parametri per la redazione e per la valutazione della congruità del piano aziendale di cui all'articolo 44, comma 3.".

Secondo le note per la trasparenza "Il provvedimento, sulla scorta di quanto elaborato dai 2 Gruppi tecnici di semplificazione del settore Primario, 01.217-A e 01.105-N, introduce una modifica del procedimento per l'edificabilità in territorio agricolo in grado di snellire il carico degli oneri documentali che le imprese agricole sono chiamate a compiere per poter edificare, garantendo nel contempo la tutela del territorio rurale".

DGRV 2879 del 2013

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