Raccolta dei pareri della Corte dei Conti del Veneto sull’applicazione dell’art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 (trenta per cento della tariffa professionale per la redazione di un atto di pianificazione)

30 Gen 2014
30 Gennaio 2014
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/382/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, in particolare:se il riferimento ad "un atto di pianificazione" contenuto al comma 6 dell'art. 92 è da intendersi limitato agli atti che abbiano ad oggetto la pianificazione collegata alla realizzazione di opere pubbliche; se il Piano degli Interventi di cui alla L.R. 11/2004 art. 17, dovendosi rapportare con il Bilancio Pluriennale Comunale, con il programma triennale delle opere pubbliche e con altri strumenti comunali settoriali previsti da leggi statali e regionali possa essere comunque considerato oggetto di pianificazione collegato alla realizzazione di opere pubbliche; se l'attività di redazione di un Piano di cui alla L.R. 11/2004 possa essere affidata in parte al personale interno e in parte attribuita all'esterno riducendo proporzionalmente il premio incentivante attribuito ai dipendenti.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/381/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/380/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006 che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto.
 
Sezione Controllo Regione Veneto - SRCVEN/361/2013/PAR
Parere formulato ai sensi dell'articolo 7, comma 8, della Legge 131/2003, in merito alla corretta interpretazione dell _ art. 92, comma 6, del D.Lgs. n. 163/2006, disposizione che prevede che il trenta per cento della tariffa professionale relativa alla redazione di un atto di pianificazione comunque denominato, sia ripartito tra i dipendenti che lo hanno redatto, con le modalità ed i criteri previsti nel regolamento in materia approvato dall _ Amministrazione; in particolare se tale dettato riguardi anche la redazione degli atti di pianificazione urbanistica non esclusivamente finalizzati alla realizzazione di un _ opera pubblica, come è stato recentemente confermato dall _ Avcp _ Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture con parere n. AG 22/12 del 21 novembre 2012
 
geom. Daniele Iselle

PTRC: presa d’atto delle valutazioni tecniche per l’analisi delle osservazioni

30 Gen 2014
30 Gennaio 2014

Sul Bur n. 12 del 28 gennaio 2014 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 2610 del 30 dicembre 2013, recante la presa d’atto del parere del Comitato previsto ai sensi dell'art. 27 della L.R. 11/2004 (Allegato A) e della Valutazione Tecnica Regionale n. 66 dell’18 dicembre 2013 (Allegato A1), in ordine a “Valutazioni tecniche per l’analisi delle osservazioni pervenute al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC 2009) - Variante parziale con attribuzione della valenza paesaggistica – DGR n. 427 del 10 aprile 2013. L.R. 23 aprile 2004, n. 11”.

DGRV 2630 del 2013

La motivazione del diniego paesaggistico può essere sintetica (“uso di materiali impropri”) se le ragioni risultino evidenti dal contesto

30 Gen 2014
30 Gennaio 2014

La sentenza del TAR Veneto n. 21 del 2014 si occupa ancora una volta della motivazione dei dinieghi in materia di vincolo paesaggistico.

Nel caso specifico il diniego era stato motivato dicendo che “l’uso di materiali impropri altera negativamente il sito tutelato”.

Anche se tale motivazione risulta piuttosto trasandata, il TAR non ha accolto il ricorso, dicendo sostanzialmente che basta poco per rendersi conto che il Comune aveva ragione (evidentemente chi ha ragione non sempre però riesce a spiegarlo adeguatamente agli altri).

Dice, infatti, il TAR: "Invero, esaminati gli atti di causa e rilevate le caratteristiche dei due manufatti abusivi, risulta agevole comprendere le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a non concedere la sanatoria. Infatti, tenuto conto dell’espresso riferimento all’uso di materiali impropri, la rilevabile presenza di lastre ondulate in plastica e di una tettoia in lamiera, consentono di comprendere in maniera adeguata le motivazioni, seppure succintamente espresse, che hanno determinato l’amministrazione a non concedere la sanatoria. Come già affermato da questa Sezione, in materia di dinieghi di condono, le specifiche caratteristiche dei manufatti, nel concreto spazio in cui insistono, possono consentire al giudice, cui sia offerto un adeguato supporto probatorio, di intendere ed eventualmente approvare (sempre, naturalmente, nei limiti del sindacato di legittimità) le ragioni del diniego stesso, per quanto solo compendiate nel provvedimento: ed in tal senso va intesa la decisione (T.A.R. Veneto, II, 24 gennaio 2009, n. 151) in cui la Sezione ha rammentato che l'obbligo di motivazione, ex art. 3 l. 241/90, può essere assolto in forma sintetica, laddove le ragioni della determinazione amministrativa risultino dal contesto evidenti (cfr. anche T.A.R. Veneto, II, n. 6427/2010). La fattispecie all'esame del Collegio rientra in quest'ultima ipotesi. Come già osservato, infatti, dalla documentazione prodotta in giudizio dall’amministrazione, emerge che i due manufatti hanno caratteristiche tali, proprio con riferimento ai materiali utilizzati, da porsi in contrasto con l’ambito tutelato nel quale insistono, da cui la ritenuta in suscettibilità alla sanatoria. Esclusa ogni rilevanza dell’invocato affidamento, stante la permanenza dell’illecito derivante dalla realizzazione di opere abusive, e ritenuto quindi che il diniego, seppure sinteticamente motivato, abbia adeguatamente focalizzato le problematiche ostative al rilascio del condono, il ricorso non può trovare accoglimento e va pertanto respinto".

sentenza TAR Veneto n. 21 del 2014

Il rinnovo del permesso di costruire comporta il pagamento di un nuovo contributo di costruzione?

29 Gen 2014
29 Gennaio 2014

La risposta è positiva (perchè non si tratta della proroga di un titolo già esistente), ma con qualche precisazione:

1) questo non significa  che il richiedente perda il contributo versato in precedenza;

2) il contributo per il rinnovo si calcola con le tabelle vigenti al momento del rinnovo.

Dalla somma risultante dall’applicazione delle tabelle vigenti al momento della richiesta del rinnovo, va sottratto l’importo già pagato, in relazione alle opere che non si sono realizzate e di cui il privato ha diritto di chiedere il rimborso all’Amministrazione. Di conseguenza, l’Amministrazione dovrebbe compensare questa somma con quella risultante dall’applicazione della tabelle di cui supra. Questo vale anche per il costo di costruzione.

Ovviamente, se con il rinnovo del Permesso di Costruire venissero previsti degli ulteriori opere, per queste è dovuto ex se il pagamento del costo di costruzione, salvo detrarre l’importo già pagato per le opere non realizzate.

A tal fine il T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, nelle sentenza del 31.01.2011, n. 188 ha deciso che: “II. Sull’an della pretesa del ricorrente va osservato quanto segue.

Il contributo di costruzione è il corrispettivo del diritto di costruire e quando il diritto di costruire non è esercitato viene meno il titolo in forza del quale il Comune ha incassato il contributo di costruzione. Questo principio vale anche quando il titolo edilizio è stato utilizzato soltanto in parte, nel qual caso esso viene meno pro quota (T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 728 del 24/03/2010: il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato soltanto parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pure sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione. L'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie consentite da un permesso di costruire comporta dunque il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata).

Il ragionamento del Comune - secondo cui occorre pagare tutto ciò che è dovuto per la nuova concessione senza stornare il pregresso di cui al limite verrà chiesto il rimborso -, al di là del fatto che il rimborso è stato chiesto e non ottenuto, non può reggere perché la seconda concessione, rilasciata dal Comune ai ricorrenti sullo stesso edificio del titolo precedente e per completare i lavori rimasti in sospeso a seguito dell’abbandono di quel titolo edilizio, è di rinnovo della concessione.

L’argomento della unicità del titolo è stata quindi valutata anche dal Comune e risolta in senso positivo. Nel momento in cui si ragiona in termini di titolo unico tra concessione del 1994 e concessione del 1998 non si può far pagare il contributo di costruzione due volte, e doveva quindi stornarsi per sottrazione quanto pagato dai ricorrenti in occasione della prima concessione.

II. Sul quantum della pretesa del ricorrente.

Della somma originariamente chiesta dal Comune (lire 8.057.423) almeno 302.850 lire erano dovute, perché nella concessione rinnovata erano stati aggiunti lavori ulteriori che contribuivano ad aumentare l’importo del contributo e che non erano assorbiti dal pagamento precedente.

Lo stesso ricorrente riconosce la circostanza nella memoria conclusiva, rettificando parzialmente la somma richiesta.

Ne consegue che il Comune deve essere condannato alla restituzione di soli 7.754.573 lire”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Brescia n. 188 del 2011

Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici

29 Gen 2014
29 Gennaio 2014

Il Parlamento Europeo, nella seduta del 15 gennaio 2014, ha approvato i testi concernenti le tre nuove direttive sui contratti pubblici:

-        la Direttiva sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (COM (2011) 895):

-        la Direttiva sugli appalti pubblici (COM (2011) 896);

-        la Direttiva sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (COM (2011) 897).

Le maggiori novità delle nuove direttive, che andranno a sostituire le precedenti 2004/17/CE e 2004/18/CE, sono così riassumibili:

  • semplificazione e maggiore flessibilità delle procedure d'appalto, attraverso il crescente ricorso all'autocertificazione ed una rivisitazione delle procedure;
  • promozione degli appalti elettronici in grado di favorire efficienza e risparmi di spese;
  • miglioramento dell'accesso al mercato delle piccole e medie imprese;
  • vigilanza della correttezza delle procedure, mediante le norme dedicate ai conflitti di interesse ed al comportamento illecito.

In materia di concessioni, invece, l'introduzione di una direttiva appositamente dedicata permette:

  • la definizione di un chiaro quadro giuridico della materia ed un maggior dettaglio della procedura di aggiudicazione;
  • l'applicazione della normativa per concessioni di servizi e di lavori con valore pari o superiore ad euro 5.000.000,00;
  • l'introduzione di una definizione più precisa di contratti di concessione con particolare riferimento al concetto di "rischio operativo sostanziale";
  • la precisazione dei casi in cui i contratti di concessione non sono soggetti all'applicazione delle norme sull'aggiudicazione delle concessioni, ovvero il c.d. "in house providing".

Dal momento della pubblicazione in gazzetta ufficiale, gli Stati membri avranno due anni di tempo per provvedere al recepimento.

dott. Matteo Acquasaliente

Direttiva Settori Ordinari

Direttiva Settori Speciali

Direttiva Concessioni

 

Obbligo POS: (purtroppo) pubblicato il decreto

29 Gen 2014
29 Gennaio 2014

Dopo le anticipazioni e le smentite arriva in Gazzetta Ufficiale il testo del Decreto Ministeriale che disciplina l’ambito di applicazione del nuovo obbligo relativo ai pagamenti mediante carte di debito. 

È stato infatti pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.21 del 27.01.2014 il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, con il quale espressamente si stabilisce che l’obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti a favore di “imprese” e “professionisti”, per l'acquisto di prodotti o la prestazione di servizi.

Il decreto entrerà in vigore decorsi 60 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, quindi per fine marzo.

Come già anticipato nei giorni scorsi, fino al 30 giugno 2014 l'obbligo riguarderà soltanto i soggetti il cui fatturato dell'anno precedente sia stato superiore a duecentomila euro
.

Sarà infatti necessario un successivo decreto, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in oggetto, per definire le modalità di adeguamento per i soggetti con fatturato inferiore a 200 mila euro inizialmente esclusi. Il decreto che verrà emanato potrà pertanto fissare nuove soglie minime di importo e nuovi limiti minimi di fatturato. 
Ma, cosa ancora più importante, con il futuro decreto potrà essere prevista l’estensione dell’obbligatorietà di pagamento agli strumenti di pagamento basati su tecnologie mobili 

Le finalità - Il provvedimento in oggetto è stato emanato in attuazione dell’art. 15 del decreto legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto “Decreto Crescita 2.0”). 
Tuttavia, sebbene le finalità inizialmente previste erano quelle di favorire i consumatori nei pagamenti, ridurre l’uso del contante per accrescere tracciabilità e sicurezza delle transazioni, il nuovo obbligo aveva sin da subito destato moltissime perplessità, soprattutto tra i professionisti, i quali vedevano nel nuovo adempimento un ennesimo, inutile, costo. 

Piano casa: trovato un accordo tra il Governo e la Regione Veneto per modificare la legge e ridurre l’impugnazione a due questioni marginali

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Il piano casa va avanti e resta applicabile.

Un comunicato di ieri sera del Governo informa che è stato trovato un accordo con la Regione Veneto, la quale si è impegnata a modificare la legge, per eliminare i punti contestati.

L'impugnazione davanti alla Corte Costituzionale rimane per due questioni marginali.

Si possono leggere le modifiche che verranno apportate alla legge nel comunicato allegato.

www.governo.it_Presidenza_Comunicati

Nel caso di rilascio di una serie di titoli edilizi per il medesimo intervento è ammissibile l’impugnazione solo dell’ultimo?

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Dalla lettura della sentenza del TAR Veneto n. 22 del 2014 si capisce che la risposta dipende dal contenuto dell'ultimo titolo.

Scrive infatti il TAR: "Per altro verso, anche volendo seguire l’interpretazione più favorevole che ritiene sufficiente la sola condizione di vicino per legittimare l’interesse alla proposizione del ricorso, non può essere ignorata l’ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dalle difese resistenti con riferimento alla mancata impugnazione, entro i termini di decadenza e comunque neppure con il gravame in oggetto, dei precedenti titoli rilasciati con riferimento al medesimo intervento di cui ora si discute. Al fine di superare detta eccezioni, la difesa ricorrente sostiene che il permesso di costruire impugnato non costituisce una variante dei  precedenti permessi rilasciati all’allora proprietario Sartori Antonio, bensì un titolo nuovo, più precisamente rinnovato in capo a soggetti diversi che, per effetto della donazione e successivo frazionamento dell’originario compendio, sono divenuti i nuovi titolari del permesso a realizzare il capannone. In realtà, i dati oggettivi non consentono di giungere a tale conclusione, bensì a quella opposta, così come sostenuta dai resistenti, circa la riconducibilità del provvedimento impugnato all’unica fattispecie traente origine dal permesso di costruire del 2006, successivamente integrato dalla variante del 2009 e quindi da quella del 2010, in applicazione della normativa sul Piano Casa. Non solo, infatti, entrambi i titoli rilasciati successivamente al primo riportano il medesimo numero di protocollo e sono riferiti al medesimo intervento, il cui progetto non risulta modificato se non entro i limiti che non ne consentono la qualificazione come variante essenziale, ma lo stesso provvedimento impugnato richiama a sua volta quello originario per confermarne e ribadirne le condizioni, affinché queste vengano rispettate anche in occasione dell’ulteriore ampliamento assentibile per effetto della normativa sul Piano Casa, senza stabilire un nuovo termine per l’avvio dei lavori, bensì stabilendo la proroga del termine per la loro conclusione, grazie proprio all’ulteriore variante assentita per l’ampliamento del progetto iniziale. E’ quindi condivisibile l’assunto di controparte che lamenta la mancata impugnazione dei precedenti titoli conseguiti dai contro interessati e che costituiscono i presupposti dell’intervento ora assentito ulteriormente, quale variante dei precedenti, seppure non essenziale, al fine di usufruire dei benefici della legge sul Piano Casa: la corretta qualificazione di tale ulteriore atto quale variante dei precedenti, con la sola diversa intestazione in capo ai soggetti divenuti titolari per effetto dei frazionamenti dell’originario unico compendio immobiliare, non consente quindi di prescindere dall’impugnazione, ovviamente  tempestiva, dei precedenti permessi di costruire rilasciati dall’amministrazione. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui venisse annullato il provvedimento de quo, rimarrebbero efficaci a tutti gli effetti i precedenti permessi conseguiti nel 2006 e nel 2009, trattandosi di atti comunque non impugnati, benché conosciuti dal ricorrente, in tal modo evidenziandosi ancora una volata come l’ulteriore incremento di volumetria assentito si incardini pacificamente nell’unitario procedimento avente per oggetto la realizzazione del contestato capannone ad uso deposito attrezzi a prodotti agricoli.Per dette considerazioni, attesa la fondatezza delle eccezioni preliminari sollevate dalla difese resistenti, il ricorso risulta inammissibile".

sentenza TAR Veneto n. 22 del 2014

Il TAR Veneto ritorna sulla questione della “vicinitas”

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Veneto n. 22 del 2014 relativa alla questione se il vicino sia legittimato a impugnare i titoli edilizi del vicino.

Scrive il TAR: "Conformemente all’orientamento più volte seguito dalla Sezione, difetta nella specie l’interesse e la legittimazione alla proposizione del ricorso da parte dell’odierno istante, in quanto non risulta dal medesimo comprovato il reale pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato. Il profilo attiene ancora una volta all’idoneità del mero requisito della vicinitas ossia la condizione di soggetto confinante o comunque proprietario di terreni posti nelle vicinanze di quelli interessati dagli interventi contestati, quale elemento di per sé solo sufficiente a legittimare la proposizione del ricorso. Come più volte ritenuto al riguardo, il Collegio condivide la rilevanza del requisito della vicinitas, quale elemento sicuramente qualificante la posizione processuale e sostanziale del ricorrente, a fronte di un titolo edilizio che consente al confinante di realizzare un intervento in qualche misura pregiudizievole della proprietà altrui. Tuttavia, proprio in considerazione del fatto che detto pregiudizio deve comunque sussistere e non deve tradursi in una mera ipotesi, solo prospettata dalla parte ricorrente, si è giunti in più occasioni a ritenere, anche con l’avallo del giudice d’appello, che il requisito della vicinitas debba essere integrato dalla esternazione del pregiudizio che deriverebbe al ricorrente per effetto della realizzazione degli interventi edilizi assentiti dai provvedimenti impugnati. Se è indubbiamente corretto ritenere che la vicinitas può costituire l’elemento principale, che anche da solo può giustificare l’interesse ad agire, è tuttavia evidente che tale ipotesi è ravvisabile tutte le volte in cui sia palesemente evidente che la vicinanza della nuova costruzione costituisce oggettiva fonte di pregiudizio per le ragioni del confinante. Tuttavia, al di là di tali evidenti situazioni di fatto, il solo dato oggettivo della vicinitas non sempre costituisce sicuro elemento di individuazione dell’interesse e della legittimazione ad agire, dovendosi comprovare il reale pregiudizio che potrebbe derivare dalla realizzazione dell’intervento assentito alle ragioni del confinante.  Una diversa interpretazione, che non tenga conto di una più attenta  disamina della situazione di fatto, al di là della mera rappresentazione formulata dal ricorrente, finirebbe per assicurare, come già osservato in fattispecie analoghe, una sorta di azione popolare nei confronti dell’operato dell’amministrazione, per conseguire l’annullamento di ogni provvedimento che consenta interventi non graditi da parte dei vicini. Proprio per evitare simili evenienze, appare coretto ricondurre la disamina dei presupposti dell’azione entro binari più rigorosi che, senza ignorare il principale elemento che, lo si ribadisce, è la vicinitas, debbono contribuire a qualificare anche sotto il profilo del reale pregiudizio (in termini di diminuzione del valore economico del bene o della sua fruibilità) la posizione del soggetto ricorrente. Ciò premesso, nel caso di specie, l’interesse fatto valere dall’odierno istante è pacificamente basato sulla sola vicinitas, essendosi il ricorrente limitato a paventare un possibile e non comprovato futuro utilizzo del campanone per finalità diverse da quelle dichiarate nella richiesta del rilascio del permesso di costruire. In realtà trattasi, allo stato, di mere presupposizioni, che non trovano dati oggettivi di riscontro, se non nel fatto che i due mappali sui quali insiste l’edificio sono ora di proprietà di un soggetto, S. S., che non è imprenditore agricolo. Tuttavia, le controdeduzioni svolte al riguardo dalla difesa istante – che ha precisato come sui mappali in esame sarebbe proseguita l’attività agricola del signor S. A., giusto assenso del figlio S. – non consentono di condividere i timori di parte ricorrente e quindi di configurare l’interesse alla proposizione del gravame.  Da ultimo, va ulteriormente sottolineato, come anche il possibile pregiudizio che parte ricorrente potrebbe lamentare dalla realizzazione dell’intervento contestato e consistente nella compromissione della preesistente servitù di passaggio, oggetto già di giudizio possessorio instaurato davanti al giudice civile, risulta superato per effetto dell’atto di conciliazione e transazione del 11.7.2012, che ha risolto anche tale profilo, a comprova dell’insussistenza di ogni residuo interesse all’annullamento del provvedimento impugnato proprio con riferimento all’esistenza di un qualche pregiudizio derivante a carico del ricorrente per la libera fruizione del proprio bene".

sentenza TAR Veneto n. 22 del 2014

Il nuovo ISEE

28 Gen 2014
28 Gennaio 2014

Sulla GU Serie Generale n.19 del 24-1-2014 è stato pubblicato il DPCM 5 dicembre 2013, n. 159, recante il Regolamento concernente la revisione delle modalita' di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). (14G00009)

Nuovo ISEE

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