Come si fa a stabilire se una strada sia adibita all’uso pubblico

07 Nov 2013
7 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto l'interessante sentenza del Consiglio di Stato n. 5116 del 2013, che  conferma il T.A.R.  Lombardia di Brescia  n. 00833/2005.

Scrive il Consiglio di Stato: "Passando alla quaestio iuris fondamentale qui portata alla cognizione della Sezione, parte appellante non condivide le osservazioni e le prese conclusioni del primo giudice, posto che, a suo avviso, vicolo della Valle non è una strada pubblica , non è soggetta a servitù di uso pubblico e non ha la concreta idoneità a soddisfare esigenze di interesse generale. A sostegno della tesi dell’assenza di un uso di pubblico transito sulla via in questione, la sig.ra Veggio adduce elementi di giudizio così riassumibili:
a) manca un titolo che definisca pubblica la strada in questione;
b) le caratteristiche della via sono quelle che caratterizzano un viottolo privato che potrebbe essere stato utilizzato per il transito solo uti singuli e non uti cives;
c) vicolo della Valle costituisce solo un sentiero che si dirama da via Cantarane, la quale rimane, però, una strada di campagna semiabbandonata per restringersi e terminare in un prato in prossimità del mappale n.178 riguardante le case della sig.ra Veggio, senza che possa ravvisarsi in tale percorso l’utilità di un collegamento con altre strade. All’opposto, il Comune resistente è dell’avviso che la strada in questione rivesta natura pubblica o comunque costituisca strada vicinale, assoggettata a servitù di pubblico passaggio; e tanto per una serie di elementi ed indizi, che, sotto profilo profili sia documentali, sia di fatto, evidenzierebbero l’esistenza di un uso pubblico di transito. Ebbene, ritiene il Collegio che la tesi dell’amministrazione sia condivisibile, atteso che, in particolare, non risulta dimostrato che la strada in questione (vicolo della Valle) sia privata, e sussistendo, invece, precisi indici rivelatori circa l’ esistenza di una servitù di passaggio iure pubblico su detta via. Un’area privata può ritenersi assoggettata ad uso pubblico di passaggio quando l’utilizzo avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse, e non uti singuli (Cons. Stato sez. V 14 febbraio 2012 n.728). Del pari, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare come l’adibizione ad uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario, per le sue caratteristiche, assuma una esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons. Stato Sez. V 7 dicembre 2010 n.8624), oppure quando vi sia stato, con la cosiddetta dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, di talché il bene stesso viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civile Sez. II 21 maggio 2001 n.6924). Ora, alla luce dei parametri giurisprudenziali sopra evidenziati, va dato atto che, nella specie, vengono in rilievo elementi che depongono a favore dell’esistenza di un diritto pubblico di transito lungo vicolo della Valle tali da vincere la tesi contraria sostenuta da parte appellante circa la non esistenza di tale pubblico passaggio. Varie, invero, sono le circostanze favorevoli all’uso pubblico, quali:
1) l’inserimento, con deliberazione del Consiglio comunale n.24 del 17 marzo 1962 di vicolo della Valle nella toponomastica comunale, con la
denominazione “Cantarane”, non coincidente con altra strada, via Cantarane, avente caratteristiche diverse dal tratto viario in discussione;
2) il posizionamento del vicolo più vicino all’agglomerato urbano e il fatto che il tracciato unisce via Marconi e via Cantarane che sono strade comunali, il che induce ragionevolmente a ritenere trattarsi di strada non chiusa, ma di collegamento; sulla scorta di tali caratteristiche fisiologiche la strada è oggettivamente idonea all’attuazione di un pubblico interesse e quindi non si può escludere l’assoggettamento di vicolo della Valle a servitù di passaggio ad uso pubblico.
Al riguardo sovvengono poi altre indicazioni circa la presenza di un uso pubblico, quale la convenzione del 19 marzo 1974, con cui la stessa sig.ra Veggio si è impegnata sistemare 100 metri di via Valle sotto la direzione degli uffici comunali, e la relazione del Comandante dei vigili urbani del 19 gennaio 1995, che riferisce di un uso pubblico consolidato della via. Di contro parte appellante nega, per il vero anche con fermezza, l’esistenza di una pubblica servitù di passaggio con argomentazioni, che, però, non riescono a vincere gli indizi addotti dal Comune. Così si insiste sul fatto che, in realtà, la strada sarebbe solo una sorta di “capezzagna “ e comunque un viottolo di campagna chiuso e come, nella parte prospiciente la proprietà Veggio, sarebbero stati apposti cartelli inibitori e pali di delimitazione, a dimostrazione della natura di area pertinenziale privata del predetto tratto viario. E’ evidente che gli elementi addotti a sostegno della tesi di strada privata , quanto a consistenza e valore probatorio, si rivelano recessivi rispetto agli elementi ed agli indizi di maggiore pregnanza posti a fondamento della tesi relativa all’esistenza su vicolo della Valle di un diritto di pubblico transito; se così è risulta positivamente accertato il presupposto di fatto e di diritto che giustifica l’adozione delle misure di ripristino dello stato dei luoghi da parte dell’Autorità comunale".

sentenza CDS 5116 del 2013

Cosa succede quando la Corte dei Conti regionale erroneamente ritiene che un Comune abbia violato il patto di stabilitĂ 

07 Nov 2013
7 Novembre 2013

La Corte dei Conti del Veneto, con la deliberazione n.  167/2013/PRSP  del 5 aprile 2013 aveva deliberato quanto segue:

"... Vista la deliberazione deila Sezione deile autonomie della Corte dei conti n. 15jSEZAUTj2010 del 22 giugno 2010 recante "Linee guida cui devono attenersi, ai sensi dell'articolo 1, commi 166 e 167, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali neila predisposizione della relazione sul rendiconto deil'esercizio 2009"; Esaminata la relazione sul rendiconto per l'esercizio finanziario 2009, redatta dall'organo di revisione del Comune di Montecchio Maggiore (VI) suila base dei criteri indicati daila Sezione delle Autonomie, con la deliberazione sopra indicata;... la Sezione regionale di controllo per il Veneto, in base alle risultanze della relazione resa dall'organo di revisione e della successiva istruttoria:
1. accerta l'elusione dei vincoli di finanza pubblica, ed in  particolare quello di cui all'art. 77 bis, commi 5, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge' 6 agosto 2008,' n. 133, 'realizzata, nell'esercizio finanziario 2009, dal Comune di Montecchio Maggiore (VI) attraverso l'uso distorto dello' strumento societario e l'indebito ricorso all'istituto della concessione di credito;
2. accerta il conseguente mancato rispetto del patto di stabilitĂ  interno per l'anno 2009;
3. invita l'Amministrazione comunale di Montecchio Maggiore a correggere il prospetto dimostrativo del' raggiungimènto del patto di stabilità per l'anne 2009;
4. invita, ineltre, il respensabile dei servizi finanziari e l'organo di revisione, ciascuno per la propria competenza, anche alla Iuce dell'articolo 147 quinquies del TUEL, a valutare le conseguenze del mancato rispetto del patto di stabilitĂ  2009, sugli equilibri di bilancio degli esercizi finanziari successivi, compreso l'esercizio 2013. Di detta verifica va effettuata apposita dettagliata relazione da trasmettere a questa Sezione;
5. dispone l'invio della presente delibera al Ministero dell'Economie e deile Finanze, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato per gli adempimenti di competenza;
6. dispone l'invio della presente delibera alla Procura Regionale della Corte dei conti, presso la Sezione Giurisdizionale per il Veneto, per gli accertamenti di competenza;
7. dispone la trasmissiene della presente deliberazione, a cura del Direttore della segreteria, al Presidente del Consiglio comunale, al Sindaco nonché all'Organo di revisione economico-finanziaria del Comune di Montecchio Maggiere (VI) per quanto di rispettiva competenza".

DELIBERA_CORTE_CONTI_VENETO 167_2013_PRSP

Il Comune di Montecchio Maggiore ha presentato appello avverso tale deliberazione, che è stato deciso con la sentenza n. 6 del 9 ottobre 2013 dalla Corte dei Conti di Roma a sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione ex art. 243-quater, comma 5, D.Lgs 267/2000, introdotto dall'articolo 3, comma 1, lett. r) D.L. 174 del 2012, converito con L. 213 del 2012.

A proposito della propria giurisdizione scrive la Corte dei Conti di Roma: "  E’ opportuno premettere, in proposito, che la giurisprudenza tradizionale ha da sempre escluso la sindacabilità degli atti attraverso cui si esprime la funzione di controllo della Corte dei conti sulla base di tre presupposti: la mancanza di soggettività amministrativa in capo alla Corte, organo al servizio dello Stato-comunità, collocato in posizione di terzietà rispetto all’organo controllato; la funzione svolta, svincolata dall’indirizzo politico-amministrativo del Governo; l’assenza di lesività immediata dei suoi atti, destinati ad essere recepiti in un atto dell’amministrazione controllata, quest’ultimo sì direttamente impugnabile. Si tratta di una posizione elaborata con riferimento agli atti adottati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità (fin dalle antiche pronunzie della IV Sezione del Consiglio di Stato 30 gennaio 1903, 2 febbraio 1912 e 30 dicembre 1914) e mai posta in discussione: v., ex multis, Consiglio di Stato, Sezione V, 22.3.2012, n. 1618; id., Sezione IV, 19.6.2008, n. 3053, 23.11.2000, n. 6241 e 8.10.1996, n. 1089; id. Sezione I, 25.7.2001, n. 553. Al contrario, appare evidente come, nella fattispecie dedotta in giudizio, emerga un profilo ben differente, giacché non si pone minimamente in discussione, da parte di alcuno, l’esistenza del potere di controllo esercitato dalla Corte nella specie. L’articolo 243-quater del TUEL, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. r), del d.l. n. 174/2012, conv. con L. n. 213/2012, dispone infatti al comma 5 che l’approvazione o il diniego del piano di riequilibrio finanziario degli enti locali, quali deliberati dalla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei conti ai sensi del precedente comma 3 dello stesso articolo, possano essere impugnati “entro 30 giorni, nelle forme del giudizio ad istanza di parte, innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti in speciale composizione che si pronunciano, nell’esercizio della propria giurisdizione esclusiva in tema di contabilità pubblica ai sensi dell’art. 103 secondo comma della Costituzione, entro 30 giorni dal deposito del ricorso”.

Lo stesso comma attribuisce poi, sempre alle Sezioni riunite, la competenza a giudicare “in unico grado nell’esercizio della medesima giurisdizione esclusiva” sui ricorsi avverso i provvedimenti di ammissione al Fondo di rotazione destinato, ai sensi del precedente art. 243-ter TUEL, a supportare l’attuazione delle procedure di riequilibrio pluriennale previste dall’art. 243-bis dello stesso Testo unico.

Il riferimento operato dal legislatore alle materie di contabilità pubblica ex art. 103 Cost. rappresenta una precisazione importante, perchè pone le norme in esame nella logica di una maggiore effettività dei controlli esterni sulle autonomie territoriali ma, più in generale, come sopra accennato, di un rafforzamento degli strumenti per il coordinamento della finanza pubblica, completando il quadro degli strumenti di verifica già introdotti dalla legge n. 266 del 2005 e dal D.lgs. n. 149 del 2011.

In altri termini, dopo l’entrata in vigore di tali norme il merito dell’attività di controllo posta in essere dalla Corte dei conti resta insindacabile da parte di qualsiasi altro Giudice, ad esclusione di quanto previsto, con riferimento alla materia della gestione finanziaria degli enti territoriali, dalle nuove disposizioni del d.l. n. 174/2012, sopra richiamate: cfr., in terminis, quanto già affermato da queste Sezioni riunite in speciale composizione nella sentenza n. 2/2013, cit., le cui argomentazioni vanno qui riaffermate con decisione.

Il punto da delibare, perciò, è solo quello relativo all’ampiezza e ai limiti di tale (nuovo) potere giurisdizionale assegnato dal Legislatore all’odierna composizione delle SS.RR....

La deliberazione impugnata dal comune di Montecchio Maggiore, invero, è stata adottata dalla Sezione regionale di questa Corte all’esito del controllo sul rendiconto del comune medesimo per l’esercizio 2009. Non vi sono dubbi, quindi, sulla natura del controllo (finanziario) esercitato dalla Corte, e neppure sulla strumentalità di tale verifica per il rispetto del patto di stabilità interno, secondo le chiarissime disposizioni della legge n. 266/2005, più volte citata, come precisate e chiarite dalle pronunzie del Giudice delle leggi, pure richiamate.

Allo stesso modo – ed è questo il punto rilevante - non potrebbero sussistere dubbi circa la lesione, immediata e concreta, che l’ente locale interessato andrebbe a subire per effetto di tale delibera: obbligo di rideterminazione e correzione delle poste contabili attive e passive, con evidenti conseguenze anche sugli equilibri dei successivi bilanci.

E dunque, non è pensabile che una pronunzia di tale natura e con tali effetti possa restare priva di giustiziabilità, specie nel quadro di un assetto normativo che, viceversa, tale concreta giustiziabilità prevede, per fattispecie del tutto analoghe.

Detto in altri termini, ritiene il Collegio che un’interpretazione coerente (otre che costituzionalmente orientata) delle norme sopra indicate non possa non condurre ad una soluzione positiva, in ordine alla potenziale impugnabilità, innanzi a queste SS.RR., del provvedimento con il quale la Sezione regionale di controllo, nel decidere sulla correttezza o meno dei documenti contabili dell’ente locale, assuma una determinazione che comporta dirette e concrete misure negative a carico dell’interessato. Ogni altra interpretazione delle norme su dette si porrebbe, ad avviso di queste SS.RR., in contrasto con fondamentali canoni costituzionali, quali quelli di cui agli articoli 24, 97 e 119, c. 6, Cost., nonché all’articolo, 6 comma 1 della CEDU... Va quindi affermata, in riferimento alla presente controversia, la provvista di giurisdizione di queste SS.RR. in speciale composizione, nonché la piena proponibilità della domanda attorea, sussistendo tutti i presupposti di legge per la sua azionabilità".

Nel merito la Corte dei Conti ha annullato la deliberazione della Corte dei COnbti del Veneto, ritenendo che nel caso concreto il Comune di Montecchio Maggiore non abbia violato il patto di stabilitĂ .

SENTENZA_CORTE_CONTI_SEZIONI_RIUNITE_6_2013_NO_ELUSIONE_PATTO_STABILITA'_PER_SOCIETA'_PATRIMONIALE

VIA per grandi strutture di vendita quando manca la compatibilitĂ  urbanistica

06 Nov 2013
6 Novembre 2013

L'articolo 19 della legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 sul commercio disciplina le grandi strutture di vendita, stabilendo che esse sono soggette ad autorizzazione rilasciata dal SUAP, che indice la conferenza di servizi.  Il comma 11 dell'articolo 19 dispone che: "11. La Giunta regionale, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, detta le disposizioni attuative del presente articolo, prevedendo un termine per la conclusione del procedimento non superiore a centoventi giorni; decorso tale termine in assenza di un provvedimento di diniego nel rispetto della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni le domande devono ritenersi accolte".

La Deliberazione della Giunta Regionale N. 455 del 10 aprile 2013 reca "Legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50 "Politiche per lo sviluppo del sistema commerciale nella Regione del Veneto". Disposizioni attuative dell'articolo 19 con particolare riferimento alla disciplina del procedimento di conferenza di servizi per il rilascio delle autorizzazioni commerciali relative alle grandi strutture di vendita".  La deliberazione attua la disposizione di cui all'articolo 19 della legge regionale n. 50 del 2012 con particolare riferimento alla disciplina del procedimento di conferenza di servizi per il rilascio delle autorizzazioni commerciali relative alle grandi strutture di vendita, in virtù della previsione di cui al comma 11 del medesimo articolo 19.

DGRV 455 del 10 aprile 2013

Le disposizioni attuative sono contenute nell'allegato A.  L'articolo 6, comma 3 stabilisce che l’istanza di autorizzazione presentata al SUAP deve contenere, a pena di irricevibilità, una dichiarazione attestante, tra l'altro la sussistenza della conformità urbanistica. Il successivo articolo  7 stabilisce che tra la documentazione  da allegare rientra "il provvedimento favorevole di valutazione di impatto ambientale, laddove richiesto".  Il comma 3 aggiunge che tale documentazione deve essere allegata all’istanza di autorizzazione a pena di inammissibilità dell’istanza medesima.

455_AllegatoA_248203

Questa procedura non appare utilizzabile nel caso in cui manchi la conformità urbanistica, in quanto non è possibile effettuare prima la VIA in variante.

Ricordiamo, infatti, che l'art. 19bis  della LR 10/99 al comma 5 prevede la VIA in variante allo strumento urbanistico solo per gli impianti di smaltimento dei rifiuti e per i depuratori (e, quindi, non per le grandi strutture di vendita).

LR_ 10 del 1999 - Art. 19bis

Ricordiamo anche che l'art. 19 bis de quo è stato ritenuto ancora vigente dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 575 del 03 maggio 2013. Con tale deliberazione vengono individuate nuove disposizioni applicative in adeguamento alla sopravvenuta normativa nazionale e regionale (d.lgs. 14 settembre 2011, n. 162 e l. 17 dicembre 2012, n. 221; l.r. 28 dicembre 2012, n. 50) , in materia di valutazione di impatto ambientale. Contestualmente si revocano le precedenti disposizioni applicative di cui alla Dgr n. 1539 del 27 settembre 2011.

Infatti la deliberazione precisa che  si intendono non più applicabili le seguenti disposizioni della l.r. n. 10/1999 e ss.mm.ii.:

a) articolo 1;

b) articolo 2;

c) articolo 3, comma 1, lettere d) ed e);

d) articolo 3, comma 2;

e) articolo 4, commi 3,5, 6 e 7;

f) articolo 7;

g) articolo 8;

h) articolo 9;

i) articolo 10;

j) articolo 11;

k) articolo 12;

l) articolo 13;

m) articolo 14;

n) articolo 16;

o) articolo 17;

p) articolo 18;

q) articolo 25;

r) articolo 26;

s) articolo 27, commi 1, 2 e 3;

t) articoli dal 28 al 32.

Di conseguenza, se si vuole autorizzare una grande sctruttura di vendita quando manca la compatibilitĂ  urbanistica, sembra ipotizzabile che debba essere applicata la procedura dell'accordo di programma, se rientra nei casi disciplinati dall'art. 26 delle L.R. 50, il quale dispone che:

"LR 50/2013 - Art. 26 - Disciplina delle strutture di vendita a rilevanza regionale.

 1. Sono considerati di rilevanza regionale, se situati al di fuori dei centri storici, i seguenti interventi:

a) apertura di grandi strutture con superficie di vendita superiore a 15.000 metri quadrati in area classificata idonea all’insediamento di grandi strutture di vendita dallo strumento urbanistico comunale;

b) ampliamento, anche in più fasi, in misura complessivamente superiore al 30 per cento della superficie autorizzata, delle grandi strutture con superficie di vendita superiore a 15.000 metri quadrati o ampliamento che comporti il superamento della predetta soglia, in area classificata idonea all’insediamento di grandi strutture di vendita dallo strumento urbanistico comunale;

c) apertura di grandi strutture con superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati qualora l’apertura richieda apposita variante urbanistica di localizzazione;

d) ampliamento, anche in più fasi, in misura complessivamente superiore al 30 per cento della superficie autorizzata, delle grandi strutture con superficie di vendita superiore a 8.000 metri quadrati o ampliamento che comporti il superamento della predetta soglia, qualora l’ampliamento richieda apposita variante urbanistica di localizzazione;

e) apertura di grandi strutture di vendita in aree ricadenti negli ambiti territoriali di rilevanza regionale, come definiti dal regolamento regionale di cui all’articolo 4, qualora l’apertura richieda apposita variante urbanistica di localizzazione.

2. Gli interventi di cui al comma 1 sono soggetti ad un accordo di programma ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000, anche in variante urbanistica e ai piani territoriali e d’area, nel rispetto di quanto previsto dal regolamento regionale di cui all’articolo 4".

In questi casi la VIA viene inclusa nella procedura di accordo di programma e ne costituisce un sub-procedimento presupposto e connesso.

E' corretta questa ricostruzione?

avv. Dario Meneguzzo

 

 

Istituzione, predisposizione e gestione del catasto territoriale degli impianti termici‏

06 Nov 2013
6 Novembre 2013

La deliberazione della Giunta Regionale n. 1824 del 15 ottobre 2013 reca "Adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 192/2005 e s.m.i. e dal D.P.R. n. 74/2013 in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione ed ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e preparazione dell'acqua calda sanitaria. Istituzione, predisposizione e gestione del catasto territoriale degli impianti termici di cui all'art. 10, comma 4, lett. a) e b) del D.P.R. 16 aprile 2013, n. 74".

La deliberazione definisce le prime disposizioni di attuazione di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 192/2005 e s.m.i. e dal D.P.R. n. 74/2013 in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione ed ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e preparazione dell'acqua calda sanitaria e, in particolare, individua le strutture competenti a svolgere le attivitĂ  finalizzate all'istituzione del catasto regionale degli impianti termici.

DGRV 1824 del 2013

 

La c.d. perequazione urbanistica è una imposta che, ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, richiederebbe una legge statale

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

Sulla Rivista di Diritto Tributario, fasc. 5 del 2013, è stato pubblicato un articolo degli avvocati Stefano Bigolaro e Giuseppe Piva di Padova, intitolato: "Perequazione urbanistica e art. 23 della Costituzione: la necessità di una norma di legge statale".

La tesi degli autori è di considerare gli oneri perequativi urbanistici, in analogia al contributo concessorio ad edificare, quale prestazione patrimoniale imposta di natura tributaria.

Ricordiamo che l'articolo 23 della Costituzione dispone che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposra se non in base alla legge. E' una riserva assoluta di legge (statale).

In mancanza di tale legge, la perequazione risulterebbe illegittima.

Pubblichiamo l'articolo, ringraziando gli autori e la Rivista di Diritto Tributario per la concessione di pubblicarlo.

Articolo Perequazione da Rivista di Diritto Tributario

Circolare regionale sul cambio d’uso di cui all’art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004 dopo l’art. 34, comma 1, della L.R. 3/2013

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

La circolare regionale n. 2 del 29 ottobre 2013 fornisce chiarimenti in merito all'articolo 44, comma 5, della L.R. 11/2004, come sostituito dall'articolo 34, comma 1, della L.R. 3/2013.

In particolare la circolare si occupa dell'inciso per il quale il mutamento di destinazione d'uso da edificio con destinazione diversa a edificio abitativo è consentita "purchè la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale". 

La circolare conferma quanto avevamo giĂ  sostenuto in questo sito, vale a dire che la destinazione abitativa deve essere espressamente prevista dallo strumento urbanistico in relazione al singolo edificio di cui si vuole mutare la destinazione d'uso (non piĂą funzionale all'uso agricolo).

Certo però che, se per chiarire un inciso servono quattro pagine di circolare, qualche dubbio sulla qualità tecnica delle leggi regionali magari potrebbe anche spuntare a qualcuno.

avv. Dario Meneguzzo

circolare zone agricole

 

Nel caso di lotto residuo di quale area si deve tenere conto per valutare la sufficienza delle opere di urbanizzazione

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

E' noto che la giurisrpudenza esclude che occorra il piano attuativo (anche se prescritto dal PRG), quando si sia in presenza di un lotto residuo  ed intecluso, il quale  si trovi in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, sia anche dotata delle opere di urbanizzazione.

Ma a quale area di deve fare riferimento per valutare la dotazione delle opere di urbanizzazione?

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5251 del 2013 così precisa: "3 Una volta confermata la permanente vigenza del suddetto vincolo strumentale all’epoca del pronunciamento dell’Amministrazione sul progetto di parte, occorre peraltro ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, previsioni urbanistiche del genere possono, in casi particolari, risultare superate dai fatti e non più vincolanti in concreto, ove sia stato raggiunto il risultato - l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie- cui tali previsioni di “attesa” erano finalizzate. Secondo l’insegnamento giurisprudenziale, infatti, una concessione edilizia può essere rilasciata anche in assenza del piano attuativo pur richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato, vi è già stata, cioè, una pressoché completa edificazione dell'area (come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso), e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione; pertanto, si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano solo, in pratica, nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (C.d.S., V, 5 dicembre 2012, n. 6229; 5 ottobre 2011, n. 5450; IV, 1° agosto 2007, n. 4276; 21 dicembre 2006, n. 7769).
4 Ciò posto, il Collegio deve rilevare la sostanziale fondatezza delle censure con cui la società in epigrafe ha contestato la valutazione comunale espressa nel senso dell’insufficienza, rispetto al sito, degli standards urbanistici per carenze, segnatamente, di servizi e verde pubblico, secondo quanto riportato nell’allegato C della delibera n. 203/1995. In una vicenda del tutto analoga e coeva, in cui il Comune di Roma aveva parimenti denegato una concessione relativamente ad un’area della Capitale classificata in zona D, siccome reputata carente quanto a standards per servizi e verde pubblico alla stregua dei medesimi accertamenti contenuti nell’Allegato C alla delibera n. 203/1995, ed il T.A.R., di diverso avviso, aveva invece censurato il riferimento comunale all’All. C alla delibera n. 203, affermando che i relativi accertamenti non potevano considerasi attendibili, e questo sia per il tempo trascorso dal rilevamento dei dati, sia per la perplessità dei criteri usati per l’individuazione degli standards (perplessità riconosciuta dallo stesso Comune in sede di adozione della successiva variante), questa Sezione ha avuto modo di condividere le critiche in tal modo espresse dal primo Giudice, osservando quanto segue (sentenza n. 448 del 29 gennaio 2003). “Ritiene il Collegio che l’avviso dei primi giudici vada condiviso, e ciò in considerazione, soprattutto, degli elementi desumibili dalle valutazioni espresse dallo stesso Comune in tema di carenza di standards sia all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, sia successivamente... E’ peraltro il caso di aggiungere, a proposito della verifica dello stato delle urbanizzazioni già esistenti, che il principio che “l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato” era stato già enunciato anche nella precedente sentenza della Sezione n. 1341/2001, il cui chiaro passaggio era stato, per la verità, anche citato dal T.A.R. nella decisione in epigrafe, senza che ne fossero tratti, però, i dovuti corollari. Va a questo punto sottolineato che il relativo, decisivo vizio era stato inequivocabilmente dedotto sin dal ricorso introduttivo di prime cure (v. le sue pagg. 20 e segg., e spec. la pag. 22), lamentandosi, appunto, come il Comune, con il più volte menzionato all. C della delibera n. 203, prescindendo anche dalle già individuate Z.T.O. avesse illegittimamente “creato” per la bisogna una categoria del tutto diversa, i c.d. ambiti, estranea alla normativa in vigore. Dall’arbitrarietà del dimensionamento del bacino cui è stata ancorata la verifica degli standards urbanistici si desume, dunque, la fondatezza degli addebiti di difetto di istruttoria e, conseguentemente, di adeguata motivazione ascritti all’Amministrazione comunale, la quale si è sottratta alla necessaria valutazione specifica del progetto sottopostole, nel quadro della situazione urbanistica propria del pertinente bacino territoriale di riferimento".

CDS su decadenza vincoli strumentali

I vincoli strumentali (pianificazione attuativa) decadono solo se è esclusa l’iniziativa privata

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

Segnaliamo la puntualizzazione sulla questione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n.5251 del 2013.

Si legge nella sentenza: "2 Tanto premesso, la prima doglianza riproposta dall’attuale appellante attiene all’intervenuta decadenza del vincolo c.d. strumentale di inedificabilità opposto dal Comune per scadenza del quinquennio previsto dalla legge. Il mezzo non è suscettibile di valutazione positiva. La società si richiama al tradizionale orientamento secondo il quale l'art. 2 comma 1 l. 19 novembre 1968 n. 1187, che prevede la durata quinquennale dei vincoli che comportano l'inedificabilità dei suoli, si riferisce a tutti i vincoli discendenti dal p.r.g., senza possibilità di distinzione tra vincoli di natura sostanziale e vincoli di natura solo strumentale, tra i secondi dei quali rientra la subordinazione dell'edificabilità di un'area alla previa formazione di un piano esecutivo (cfr. ad es. C.d.S., V, 14 aprile 2000, n. 2238; 6 marzo 1991, n. 223). La Sezione deve però osservare che, pur rimanendosi sul terreno dell’orientamento tradizionale appena detto, la censura risulta comunque infondata. La giurisprudenza ha infatti uniformemente escluso che la decadenza ex L. n. 1187/1968 dei vincoli strumentali previsti dallo strumento urbanistico possa applicarsi nei casi in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal piano regolatore la possibilità di ricorso ad un piano di lottizzazione ad iniziativa privata. In questo ultimo caso, infatti, la possibilità di una pianificazione di livello derivato ad iniziativa privata, consentendo di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della P.A., esclude la configurabilità dello schema ablatorio, e quindi, conseguentemente, la decadenza quinquennale del relativo vincolo (C.d.S., IV, 24 marzo 2009, n. 1765; V, 3 aprile 2000, n. 1908). E nella fattispecie concreta si profila proprio una condizione siffatta, atteso che l’art. 7 delle N.T.A. subordinava l’attività edificatoria nelle aree libere della zona D all’adozione non solo di piani particolareggiati, ma anche, in alternativa e senza limitazioni, di “altri strumenti attuativi”. Senza dire che l’indirizzo giurisprudenziale posto a base della doglianza comporterebbe che l'area in precedenza sottoposta a vincoli, anche strumentali, dopo la loro decadenza quinquennale risulterebbe priva di regolamentazione urbanistica (e quindi “bianca”), in quanto, mentre la disciplina preesistente era stata ormai abrogata, quella successiva sarebbe diventata inefficace, con il risultato che all'area in questione si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 4, ultimo comma, della L. 28 gennaio 1977 n. 10 (C.d.S., V, 23 novembre 1996, n. 1413; 30 ottobre 1997, n. 1225). Donde l’onere della ricorrente, rimasto inadempiuto, di giustificare il proprio interesse a base della censura, dimostrando l’utilità effettiva dell’accoglimento della medesima ai fini del positivo corso del proprio progetto edificatorio".

CDS su decadenza vincoli strumentali

Continuano i lavori della seconda commissione consiliare sul nuovo piano casa del Veneto

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

Ordine del Giorno

data seduta: 06.11.2013

luogo di convocazione: Consiglio regionale - Palazzo Ferro Fini

prima convocazione: 09:30

seconda convocazione: 10:30

La Commissione è convocata per mercoledì 06 novembre 2013 alle ore 09:30 in prima convocazione e alle ore 10:30 in seconda convocazione

Argomenti all'ordine del Giorno

1.  Approvazione processo verbale della seduta precedente

2.  Comunicazioni del Presidente della Commissione

3.  Esame e parere - PDLR n. 200 del 09 settembre 2011
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Bruno Pigozzo, Graziano Azzalin, Giuseppe Berlato Sella, Franco Bonfante, Mauro Bortoli, Roberto Fasoli, Stefano Fracasso, Laura Puppato, Sergio Reolon, Piero Ruzzante, Claudio Sinigaglia e Lucio Tiozzo relativa a: “Modifica dell'articolo 2 e dell'articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 in materia di ampliamento di edifici”

4.  Esame e parere - PDLR n. 295 del 03 agosto 2012
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Costantino Toniolo, Davide Bendinelli, Dario Bond, Giancarlo Conta, Piergiorgio Cortelazzo, Nereo Laroni e Carlo Alberto Tesserin relativa a: “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile" e alla legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 "Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche" e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici"”

5.  Esame e parere - PDLR n. 355 del 22 maggio 2013
Disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale relativo a: “Provvedimenti per il sostegno al settore edilizio e per la riqualificazione delle aree degradate del Veneto. Piano di sviluppo edilizio.”

6.  Varie ed eventuali.

La divisione in due di una unità abitativa è ristrutturazione onerosa perchè aumenta il carico urbanistico

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza n. 649 del 2013 del TAR Emilia Romagna - Bologna, relativa a una caso in cui il ricorrente pretendeva che la suddivisione di tre alloggi in sette alloggi fosse da qualificare come risanamento conservativo gratuito.

Scrive il TAR: "Quanto, innanzi tutto, al carattere oneroso o gratuito dell’intervento edilizio in questione, il Collegio ritiene che non si possa prescindere dal preliminare accertamento della reale portata dell’intervento medesimo, alla luce dell’orientamento che vuole che la qualificazione di un intervento edilizio assentito non dipende dal nomen juris impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere compiuta in base a criteri essenziali (v. Cons. Stato, Sez. V, 5 giugno 1991 n. 883). Orbene, a proposito della “ristrutturazione” e del “restauro e risanamento conservativo”, la giurisprudenza individua il tratto differenziale tra le due tipologie di interventi nella presenza o meno di modifiche strutturali incidenti sulla sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella presenza o meno di un incremento del complessivo carico urbanistico derivante dall’edificio, sicché l’elemento decisivo, ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, è costituito non tanto dal dato formale del coinvolgimento delle strutture portanti o delle pareti perimetrali dell’immobile, quanto da quello sostanziale del conseguimento di un maggiore “peso” urbanistico sul territorio, a causa di aumenti di volume, di modifiche di sagoma o di incrementi del complessivo carico urbanistico rispetto al preesistente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2012 n. 5818). Nella fattispecie, in particolare, l’aggravio di carico urbanistico viene fatto discendere  dall’Amministrazione comunale dall’incremento di alloggi che l’intervento determina, aggravio la cui sussistenza la ricorrente invero non contesta, senza tener conto però della circostanza che, in relazione agli interventi che danno titolo al rilascio della concessione edilizia a titolo gratuito, l’elemento di discriminazione tra la concessione onerosa e la concessione gratuita, o tra interventi assoggettati al regime di concessione e opere soggette a mera autorizzazione, deve essere individuato nella modifica o meno del carico urbanistico, che costituisce il limite della differenza di regime giuridico (v., tra le altre, TAR Marche 12 febbraio 1998 n. 250). Ne consegue che, dovendosi ascrivere l’intervento edilizio in questione alla categoria della “ristrutturazione” – nonostante il diverso nomen iuris utilizzato –, correttamente l’Amministrazione ha preteso la corresponsione del contributo ex art. 3 della legge n. 10 del 1977".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Emila Romagna - Bologna n. 649 del 2013

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