Gli oneri di urbanizzazione producono interessi legali corrispettivi e non moratori dal giorno del rilascio del titolo edilizio

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Un soggetto presenta con DIA un intervento edilizio, qualificandolo come restauro. Dopo alcuni anni il Comune riqyalifica l'intervento come ristrutturazione edilizia e chiede il pagamento degli oneri di urbanizzazione, aumentati degli interessi legali calcolati dalla presentazione della DIA.

L'interessato ricorre al TAR, lamentando, tra l'altro, che si siano applicati gli interessi di mora con decorrenza 26 maggio 1997, nonostante l’Amministrazione abbia avanzato solo nell’ottobre 1999 la pretesa al pagamento degli oneri di urbanizzazione e poi quantificato solo nel marzo 2000 l’entità del dovuto, circostanza che farebbe gravare sull’ente locale la responsabilità del ritardo, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod.civ., e rivelerebbe altresì una condotta scorretta, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod.civ.

Il TAR respinge il ricorso scrivendo che: " Quanto, poi, agli interessi legali pretesi dall’Amministrazione comunale, la ricorrente lamenta che li si sia fatti decorrere dal 26 maggio 1997, benché la comunicazione della debenza del contributo fosse avvenuta solo nell’ottobre 1999 e la prima quantificazione del relativo importo fosse stata operata solo nel marzo 2000, sicché difetterebbero i presupposti legali per l’applicazione di interessi di mora ad una somma il cui ritardato versamento si assume imputabile esclusivamente al creditore. In realtà – osserva il Collegio – la giurisprudenza ha chiarito (v. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 18 luglio 2011 n. 3889) che il contributo diviene certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin dal momento della formazione del titolo edilizio, con la conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.; non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate dalla ricorrente. Si tratta, del resto, di conclusione coerente con quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla disciplina della legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il dovuto é rappresentato dal rilascio della concessione stessa, sicché è a quel momento che occorre avere riguardo non solo per la  determinazione del contributo, ma anche per l’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, divenendo il relativo credito – a tale data – certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile, e ciò anche perché, pur in presenza del potere del Comune di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, per cui la mancata tempestiva adozione dello stesso non implica alcuna facoltà dell’Amministrazione di differire la riscossione del suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il termine di prescrizione (v., in questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5413)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Emila Romagna - Bologna n. 649 del 2013

Il TAR Puglia benevolo sulla questione degli oneri specifici

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Il T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, con la sentenza del 22 ottobre 2013 n. 1429, pur consapevole del contrasto giurisprudenziale riguardante gli oneri specifici, giunge a ritenere che, almeno laddove la lex specialis nulla disponga a riguardo, la loro omessa indicazione non determina l’esclusione della gara: “Ciò che però rileva in questa sede è soprattutto, in sé, la questione delle conseguenze discendenti dalla mancata indicazione nell’offerta economica dei costi aziendali, in ordine alla quale deve registrarsi un contrasto giurisprudenziale tra quanti ritengono che l’esclusione del concorrente sia in tal caso del tutto automatica, facendosi richiamo al concetto di eterointegrazione del bando e qualificando l’indicazione dei costi per la sicurezza da “rischio specifico” come “elemento essenziale” dell'offerta, a norma dell'art. 46, comma 1-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e quanti (compresa l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) invece sostengono che l’omessa specificazione degli oneri da “rischio specifico” non potrebbe mai giustificare la sanzione espulsiva, stante che l’art. 87, quarto comma, del codice dei contratti non prevede l’esclusione dalla gara, ma impone un criterio da seguire per la valutazione della congruità dell’offerta, vietando all’impresa di dimostrare la rimuneratività e l’attendibilità del ribasso effettuato contraendo gli oneri della sicurezza (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 27 settembre 2012, n. 1700; Sez. II, 31 maggio 2013 n. 896; T.A.R. Umbria, 22 maggio 2013 n. 301; AVCP, parere 8 marzo 2012 n. 27).

Occorre rammentare che la base normativa del dibattito è rappresentata dal citato articolo 87, comma quarto, che si limita a prescrivere che “Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza” per poi concludere che “Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

In definitiva la sanzione dell’esclusione non risulta espressamente prevista in alcuna delle norme rilevanti (articoli 87, comma quarto, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 163/2006 e articolo 26, comma sesto, del decreto legislativo n. 81/2008).

Di conseguenza, per assicurare il rispetto del principio di “tassatività delle cause di esclusione”, di cui al comma 1 - bis dell’art. 46 del codice dei contratti pubblici, introdotto dal D.L. n. 70/2011, bisognerebbe dimostrare che l’omessa indicazione dei costi aziendali rientri nell’ipotesi di “difetto di altri elementi essenziali”.

Tale qualificazione è però oltre modo dubbia, considerato che tale dato non rappresenta un elemento decisivo ai fini dell’attribuzione del punteggio sul contenuto dell’offerta, bensì un costo separato da porsi a carico totale dell’impresa; nello stesso senso possono leggersi gli atti dell’Autorità di Vigilanza che, in sede di determinazione sui “bandi - tipo”, ai sensi dell’articolo 64, comma 4-bis, del codice dei contratti pubblici, non ha compreso la mancata indicazione degli oneri di sicurezza da “rischio specifico” tra le cause tassative di esclusione (AVCP, determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012).

In definitiva, occorre riconoscere che l’articolo 87, quarto comma, è collocato sistematicamente non già in sede di disciplina del contenuto essenziale delle offerte, bensì nell’ambito dei “criteri di verifica delle offerte anormalmente basse” e che perciò esso si riferisca alla valutazione che dev’essere effettuata nell’ambito dell’apposito sub-procedimento.

Nell’ipotesi (che ricorre nella fattispecie in esame) dunque in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere d’indicare i corsi di sicurezza aziendale, l’esclusione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) concorrenti che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta; né può ritenersi ammessa la contestazione della mancanza nel bando della clausola che imponesse detta quantificazione a pena di esclusione quando la selezione si è conclusa, in quanto il termine per impugnare tale atto d’indizione deve farsi decorrere dal momento della sua pubblicazione, attesa l'immediata percepibilità del vizio da parte delle imprese interessate alla partecipazione, che non possono strumentalmente riservarsi di chiedere l'annullamento della lex specialis di gara - e dell'intera procedura in via consequenziale - nell'ipotesi di esito non favorevole (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 6 dicembre 2012, n. 2075; Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012 n. 567; Sez. VI, 26 febbraio 2010 n. 1140).

L’articolo 87 può essere invece interpretato nel senso che la stazione appaltante, ritenendo indispensabile acquisire dati certi su questi costi aziendali da utilizzare in sede di verifica dell’anomalia, deve prevedere, già negli atti d’indizione della gara, l’indicazione da parte dei singoli concorrenti degli oneri di sicurezza aziendali e sanzionare la relativa mancanza; ma se ciò non si è verificato, verrebbero poste in danno delle ditte partecipanti le conseguenze negative derivanti dalla stessa omissione della stazione appaltante. D’altronde, a riprova dell’affidamento incolpevole dei concorrenti a poter partecipare alla selezione secondo gli adempimenti formali letteralmente previsti nel bando, rileva l’alto numero di esclusi per questa causa anche nella gara in esame.

Sotto altro profilo, poi, la sanzione espulsiva non risulta conforme alla ratio del paradigma normativo di riferimento, che risponde all’esigenza di consentire alla stazione appaltante di verificare la congruità ed attendibilità dell’offerta, sotto il profilo della garanzia della sicurezza dell’esecuzione dell’appalto: invero, l’automaticità del meccanismo non solo impedirebbe il contraddittorio, ma contrasterebbe con i principi del diritto europeo come enucleati nella sentenza della Corte di giustizia UE 15 maggio 2008 in C-148/2006”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia n. 1429 del 2013

Il riconoscimento del debito fuori bilancio per acquisizioni di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lettera e), del d.lgs. n° 267/2000 è atto discrezionale e non obbligatorio

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Una società ha presentato un ricorso al TAR per domandare la declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia asseritamente serbata dalle amministrazioni intimate sulla richiesta, avanzata dalla medesima ricorrente, rivolta ad ottenere il  riconoscimento, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n° 267/2000, del debito correlativo alla pretesa vantata per euro trecentotremilaquattrocentotrentasette/54 (€ 303.437,54), oltre interessi e rivalutazione, in riferimento a “lavori di somma urgenza di sistemazione dell’alveo e delle sponde di un fiume.

Il TAR Marche, con la sentenza n. 749 del 2013, allegata l post che precede non accoglie il ricorso, scrivendo che: "Il ricorso è inammissibile. Con l’odierna iniziativa giurisdizionale, parte ricorrente insorge avverso il mancato esercizio del potere di riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, primo comma, lett. e), del testo unico degli enti locali, d.lgs. n° 267/2000 (vds. atto introduttivo del giudizio, pag. 20). Dev’essere osservato che il potere, invocato dalla società ricorrente, di riconoscimento del debito fuori bilancio, derivante da acquisizione di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lett. e), del testo unico degli enti locali, d.lgs. n° 267/2000, summenzionato, non può ritenersi vincolato né sotto il profilo dell’an, né sul quantum. A differenza della fattispecie contemplata dalla lettera a) del medesimo art. 194, che configura quale atto dovuto il riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, fattispecie non sussistente in concreto, non essendo stata nemmeno dedotta l’esistenza di un accertamento giurisdizionale in ordine alla pretesa vantata, la fattispecie di cui alla lettera e) dell’art. 194, d.lgs. n° 267/2000, demanda all’amministrazione la valutazione, a carattere discrezionale, concernente l’opportunità e la coerenza con l’interesse pubblico del riconoscimento del debito fuori bilancio. In sede di delibera che disponga il riconoscimento di debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui all’art. 191, commi 1, 2 e 3, del testo unico n° 267/2000, l’ente locale è tenuto ad esplicitare adeguatamente le ragioni per le quali l’accollo del debito sia stato ritenuto non in contrasto con l’interesse pubblico, dovendo, altresì, motivare adeguatamente sulla riconducibilità dell’acquisizione dei beni e servizi in questione all’espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza, nonché sull’utilità e arricchimento per l’ente medesimo. Tali valutazioni, appartenendo alla sfera della discrezionalità amministrativa pura, sono incoercibili con l’azione avverso il silenzio, che non consente una sostituzione delle valutazioni del giudice a quelle riservate all’amministrazione. Per tale ragione, non essendo configurabile un obbligo giuridico dell’ente locale di disporre il riconoscimento del debito fuori bilancio per acquisizioni di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lettera e), del d.lgs. n° 267/2000, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile".

Cosa succede nel processo amministrativo se la parte intimata non si costituisce nel termine di cui all’art. 46 del c.p.a.

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Marche n. 749 del 2013. L'articolo 46 del codice del processo amministrativo stabilisce che le parti intimate (la P.A. e gli eventuali controinteressati) "possono costituirsi" presentando memorie e documenti "nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso". Il termine è dimidiato in casi particolari, come quello degli appalti.

Cosa succede se ci si costuisce dopo tale termine?

Scrive il TAR: "Preliminarmente, dev’essere esaminata l’eccezione, sollevata in udienza dalla difesa di parte ricorrente, con la quale è domandato lo stralcio della costituzione della Provincia di Fermo, perché tardiva. L’eccezione dev’essere accolta limitatamente allo stralcio delle memorie di costituzione e difensiva e dei documenti prodotti dalla Provincia di Fermo in data 8 ottobre 2013. Per ius receptum, il termine di costituzione delle parti intimate, stabilito dall’art. 46 del codice del processo amministrativo, soggetto, nel rito del silenzio, alla dimidiazione di cui all’art. 87, terzo comma, del codice del processo amministrativo, non riveste carattere perentorio, essendo ammissibile la costituzione della parte sino all’udienza di discussione del ricorso. Tuttavia, nella fattispecie di costituzione tardiva, la parte incorre nelle preclusioni e nelle decadenze dalle facoltà processuali di deposito di memorie, documenti e repliche, ove siano decorsi i termini di cui all’art. 73, primo comma, del codice del processo amministrativo, dimidiato nel rito del silenzio, ai sensi dell’art. 87, terzo comma, del codice del processo amministrativo. Per tali ragioni, la costituzione della Provincia di Fermo è ammessa nei limiti delle difese orali, dovendo, per converso, essere stralciate dagli atti del giudizio le memorie e i documenti depositati tardivamente, dei quali non si tiene conto ai fini del decidere".

TAR Marche 749 del 2013

Testo coordinato del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 sulla P.A.

01 Nov 2013
1 Novembre 2013

Pubblichiamno il testo  del  decreto-legge  31  agosto  2013,  n.  101,  (in  Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 204 del 31 agosto  2013),  coordinato con la legge di conversione 30  ottobre  2013,  n. 125, recante:  «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione  nelle pubbliche amministrazioni.». (13A08778) (GU n.255 del 30-10-2013

L. 125 del 30_10_2013

La rappresentazione cartografica degli ambiti di cui all’art. 38 del PTRC

01 Nov 2013
1 Novembre 2013

Segnaliamo il seguente link al sito della Regione Veneto, dove c'è la DGR 1721/2013 e ci sono anche gli allegati. E' interessante (e nuova, in quanto mai visionabile fino ad oggi) la rappresentazione cartografica degli ambiti "vincolati"  ex art. 38 del PTRC.

http://www.regione.veneto.it/web/ambiente-e-territorio/nota-esplicativaptrc

I nuovi indirizzi applicativi per gli appostamenti precari/temporanei di caccia in Veneto

31 Ott 2013
31 Ottobre 2013

Con la DGR. N. 1987 del 28 ottobre 2013 la Regione del Veneto ha stilato gli indirizzi applicativi in materia di allestimento di appostamenti per la caccia. Rilevanti sono i chiarimenti interpretativi relativi agli appostamenti precari/temporanei che, secondo l’emendamennto del 18 settembre 2013 in modifica della L.R. n. 50/1993 (precedentemente pubblicato), sono agevolmente rimovibili e destinati ad assolvere esigenze specifiche, contingenti e limitate nel tempo e ad essere rimossi al cessare della necessità.

Nella DGR si precisa che:

per opera di agevole rimovibilità, si intende ogni opera le cui caratteristiche strutturali siano prive di elementi che in qualsiasi modo possano risultare di ostacolo ad una agevole e rapida rimozione; di conseguenza, affinché possa essere ritenuta di agevole rimovibilità, la struttura in questione deve rispondere a tutti i seguenti requisiti:

a) non comportare modificazioni irreversibili allo stato dei luoghi, nel senso che non deve alterare in modo permanente il terreno su cui viene istallata; il suo allestimento non presuppone cioè alterazioni morfologiche dei terreni, modifiche agli assetti vegetazionali, alterazioni al sistema drenante superficiale;

b) essere appoggiata sul terreno o, eventualmente, ancorata ad esso senza opere di fondazione, basamenti e/o opere in muratura, in modo da poter essere facilmente rimossa, senza modificare l’andamento naturale del terreno per realizzare pavimentazioni;

c) essere realizzata prevalentemente in legno o altro materiale naturale e comunque essere rivestita completamente di legno o altro materiale naturale; l’eventuale impermeabilizzazione della copertura deve essere posizionata sotto il tetto, realizzato quest’ultimo in legno o altro materiale naturale;

d) essere priva di qualunque allacciamento tecnologico per servizi di luce, acqua, riscaldamento e scarico di acque;

e) essere priva di qualsiasi tipo di recinzione;

per quanto concerne la condizione relativa all’assolvimento di “esigenze specifiche contingenti e limitate nel tempo”, essa si intende rispettata in presenza di strutture che vengono allestite non prima del 1° settembre, data di inizio della stagione venatoria, e che vengono completamente rimosse entro la fine della stagione venatoria stessa e comunque non oltre la fine del mese di febbraio dell’anno successivo a quello di allestimento.”

Per tali opere la norma prevede che venga presentata una DIA e che, ove le stesse ricadano in aree tutelate ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, siano assoggettate a procedimento semplificato per l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’allegato 1, punto 39, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139. Qualora tali strutture precarie vengano rimosse entro 90 giorni, è sufficiente, dal punto di vista del titolo abilitativo edilizio, la semplice comunicazione al Comune territorialmente competente (si veda il comma 2 dell’articolo 3), mentre permane l’obbligo di acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica con procedura semplificata se si ricade in area a vincolo paesaggistico.

Con la stessa precisione vengono esamitate le ulteriori strutture di appostamento caccia a seconda del tipo di caccia o della tipologia di appostamento (fisso o che non costituiscono opera edilizia).

Dott.ssa Giada Scuccato

1987 CACCIA_DGR appostamenti caccia

1987_CACCIA_All A_appostamenti caccia

Il confinante ha diritto all’accesso alle pratiche edilizie anche indipendentemente dall’esistenza di una lesione della sua posizione giuridica

31 Ott 2013
31 Ottobre 2013

Lo afferma la stessa sentenza del TAR Veneto n. 1211 del 2013, già allegata al post che precede.

Scrive il TAR: "8. Per quanto concerne l’esame del merito va rilevato come a parere di questo Collegio sussista l’obbligo dell’Amministrazione comunale di esibire la documentazione richiesta e, in ciò, accogliendo il ricorso di cui si tratta.
8.1 Sul punto va, in primo luogo, chiarito che la posizione giuridica del soggetto che chiede l’esibizione di atti amministrativa è, per costante giurisprudenza, del tutto autonoma rispetto a quelle valutazioni circa la fondatezza delle pretese alla cui tutela viene svolta l’acquisizione della documentazione.
8.2 Ciò premesso, alla fattispecie in esame, è possibile applicare un altrettanto e costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. V, 14-05-2010, n. 2966) nella parte in cui ha sancito che “al proprietario del fondo vicino a quello su cui siano state realizzate nuove opere edilizie spetta il diritto di accesso a tutti gli atti abilitativi edilizi quando faccia valere l'interesse ad accertare il rispetto delle previsioni urbanistiche. Tale  posizione, in quanto qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell'azione amministrativa, basta ai sensi dell'art. 22 della L. n. 241 del 1990 a legittimare il diritto di accesso alla documentazione amministrativa richiesta (Riforma della sentenza del T.a.r. Liguria - Genova, sez. I, n. 2791/2009)”.
8.2 Si consideri ancora che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione comunale, il diritto di accesso può essere esercitato anche indipendentemente dall'esistenza di una lesione della posizione giuridica del richiedente, essendo invece sufficiente un interesse personale e concreto, serio e non emulativo, a conoscere gli atti già posti in essere. Per l'ordinamento, infatti, l'ostensione dei documenti è strumentale alla tutela di un interesse meritevole di tutela (in questo senso T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 09-07-2013, n. 598).
9. Non può nemmeno essere condivisa l’interpretazione dell’Amministrazione comunale laddove ritiene che non sussista l’interesse della ricorrente in considerazione della distanza tra le proprietà in questione, quest’ultima pari a circa 46 metri.
9.1 Al contrario è proprio l’esiguità di detta distanza a costituire una dimostrazione del fatto che le proprietà di cui si tratta incidano sulla stessa zona di riferimento. Ne consegue che sulla base di quanto esposto, in accoglimento del ricorso, deve essere ordinato all'Amministrazione Comunale sopra citata di procedere all'esibizione dei documenti richiesti con la domanda del 27 febbraio 2013 nel termine di giorni trenta dalla comunicazione della presente sentenza".

Quando è possibile reiterare una istanza di accesso agli atti?

31 Ott 2013
31 Ottobre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1211 del 2013 si occupa, tra l'altro, della questione della reiterazione di una istanza di accesso agli atti. E' opinione diffusa che reiterazione sarebbe inammissibile, ma il TAR puntualizza che la questione non può essere risolta  in termini così secchi e rigidi.

Scrive il TAR: "1. In primo luogo va esaminata l’eccezione preliminare di irricevibilità proposta dai controinteressati, nella parte in cui è sostenuto che l’istanza ora denegata costituirebbe, in realtà, una mera reiterazione di precedenti richieste già denegate dall’Amministrazione comunale.
2. Sul punto va applicato quell’orientamento giurisprudenziale, citato dallo stesso controinteressato, che a sua volta, ha sancito l’inammissibilità della reiterazione dell’istanza di accesso e, ciò, con l’eccezione di specifiche ipotesi (per tutti si veda Cons. Stato Sez. IV, 13-06-2013, n. 3267). Detta Giurisprudenza ritiene, infatti, che “La reiterazione in sé di una  istanza di accesso agli atti della P.A. ove non acquisti un contenuto pretestuoso, o contrario alla legge, non è illegittima qualora si sia in presenza di fatti nuovi sopravvenuti, non rappresentati nell'originaria istanza, o anche a fronte di una diversa prospettazione dell'interesse giuridicamente rilevante”.
2.1 Un’ulteriore, e altrettanto recente, pronuncia (Cons. Stato Sez. VI, 02-09-2013, n. 4354) ha sancito che “L'interessato può risultare legittimato a reiterare l'istanza di accesso agli atti della P.A. tacitamente disattesa o respinta dalla medesima amministrazione (con determinazione non tempestivamente impugnata), solo in presenza cumulativa o alternativa di: a) fatti nuovi, sopravvenuti o anche solo successivamente conosciuti, non rappresentati nell'istanza originaria; b) una diversa e fondata prospettazione della consistenza dell'interesse giuridicamente rilevante ovvero della posizione legittimante l'accesso invocato (artt. 22 ss. L.n. 241/1990) (Conferma della sentenza del T.a.r. Puglia, Bari, sez. II, n. 1912/2012)”.
3. Nell’ultima istanza di accesso è possibile individuare proprio detta evidenziata fattispecie e, quindi, una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante e, ciò, considerando come parte ricorrente abbia – ora e a differenza delle precedenti istanze - espressamente motivato l’ultima richiesta “nella tutela dei diritti e degli interessi legittimi della Sig.ra Flavia Bolzon”.
3.1 Si consideri ancora che nelle precedenti istanze è possibile evincere che le ragioni che avevano determinato il Si. Mazzacca Marino nella richiesta dei documenti sopra citati era individuata “nella verifica correttezza e tempistica azione dell’Ufficio Tecnico (istanza del 25/11/2011) e nell’esistenza di un diverso contenzioso con i soggetti controinteressati (istanza del 23/02/2012) e, ancora, nella “verifica e controllo con Ente terzo di fiducia del richiedente”.
4. Ne consegue come i precedenti dinieghi devono essere strettamente correlati alla motivazione all’accesso cui si riferiscono, senza poter costituire un presupposto idoneo ad inficiare l’attuale posizione qualificata della ricorrente.
5. Va in ultimo evidenziato che il diniego ora impugnato non può essere considerato (come sostiene l’Amministrazione comunale) un atto di mera conferma e, ciò, avendo presente che secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, ricorre l'atto meramente confermativo (di cd. conferma impropria) allorchè l'Amministrazione, a fronte di un'istanza, si sia limitata a dichiarare l'esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione, espressiva di una nuova valutazione (in termini, tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 3 ottobre 2012, n. 5196; 29 ottobre 2012, n. 5509).
5.1 Nel caso di specie, una nuova valutazione è stata evidentemente posta in essere e, ciò, in presenza di nuove e differenti ragioni poste a fondamento del provvedimento di diniego sopra citato. 6. Pur considerando dirimente quanto sopra affermato va, altresì, evidenziato come l’istanza di cui si tratta sia stata proposta da un soggetto diverso (Sig.ra Flavia Bolzon) in luogo del Sig. Mazzocca Marino.
7. L’eccezione preliminare sopra ricordata è, pertanto, respinta".

sentenza TAR Veneto 1211 del 2013

Spetta davvero al Sindaco emettere il provvedimento di rimozione dei rifiuti?

30 Ott 2013
30 Ottobre 2013

Nella sentenza del T.A.R. Veneto n. 1181/2013, commentata nel post del 23 ottobre 2013, si affermava che la competenza in materia di rimozione dei rifiuti spetterebbe al Sindaco e non al Dirigente perché: “l’art. 192, comma 3, del D.lgs. n. 152 del 2006, che è norma speciale sopravvenuta rispetto all`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000, attribuisce espressamente al Sindaco la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti, prevalendo per il criterio della specialità e quello cronologico sul disposto dell`art. 107, comma 5, del D.lgs. n. 267 del 2000 (cfr. Consiglio di Stato, Sez.V, 25 agosto 2008, n. 4061)”.

Ma è davvero così?

Sebbene l’art. 192, comma 3, D. Lgs. 13 aprile 2006 n. 52 (T.U. Ambiente) reciti: “Fatta salva l'applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”, tale disposizione deve essere coordinata con l’art. 107 del D. Lgs 267/2000 (T.U. Enti Locali), al fine di individuare l’organo competente ad emanare l’ordinanza di rimozione e di smaltimento di rifiuti abbandonati.

 L’art. 107, comma 1 e 2, del D. Lgs. 267/2000, infatti, sancisce il principio di separazione tra l’attività gestionale e l’attività di indirizzo politico-amministrativo: “1. Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico- amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

2. Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”. Tale principio era già affermato dall’art. 51, comma 2, della legge 8 giugno 1990 n. 142 con riferimento alle Provincie ed ai Comuni, poi esteso dall’art. 3, D. Lgs 3 febbraio 1993, n. 29 a tutte le Pubbliche Amministrazioni.

 La giurisprudenza, analizzando la natura giuridica dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti e la connessa disciplina normativa, è giunta a negare che sia il Sindaco l’autorità competente ad emanarla. A tal fine è utile evidenziare il sillogismo giuridico che permette di arrivare a tale conclusione.

 Il T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 11 maggio 2012, n. 198 si sofferma sulla portata dall’art. 107, comma 5, D. Lgs. 267/2000, il quale recita: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III” - cioè al Consiglio comunale/provinciale, alla Giunta comunale/provinciale ed al Sindaco/Presidente della Provincia – “l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall'articolo 50, comma 3, e dall'articolo 54”, per evidenziare come l’ordinanza di rimozione dei rifiuti, non concernendo né quanto previsto dall’art. 50, comma 3, né dall’art. 54 del D. Lgs. 267/2000, rientri nella competenza dirigenziale e non del Sindaco.

 Infatti l’art. 50, comma 3, TUEL, pur riconoscendo le funzioni sindacali attribuite dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti, specifica che tale funzioni devono essere svolte salvo quanto previsto dall'articolo 107, cioè nel rispetto del principio di separazione dell’attività gestionale e di quella di indirizzo politico-amministrativo.

 Per quanto riguarda l’art. 54, comma 4, TUEL (che riconosce il potere del Sindaco di adottare con atto motivato i provvedimenti contingibili ed urgenti atti a prevenire ed eliminare i gravi pericoli che minacciano l’incolumità e la sicurezza pubblica), un’interpretazione ragionevole e sistematica del medesimo impone una lettura congiunta all’art. 50, comma 5, TUEL, che attribuisce al Sindaco l’adozione di ordinanze contingibili ed urgenti in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale.

 Applicando il combinato disposto, si evince che la competenza sindacale ad emettere ordinanze di rimozione dei rifiuti è ammissibile solamente laddove vi sia una situazione di concreto ed imminente pericolo per l’incolumità e la salute pubblica, ovvero laddove vi sia una situazione di emergenza che non può essere procrastinata: in tali circostanze è il Sindaco l’unica autorità competente ad adottare simili provvedimenti, purché adeguatamente motivati in tal senso.

 Correttamente difatti il TA.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 12 luglio 2011, n. 255, ribadisce che l’ordinanza di rimozione dei rifiuti adottata ai sensi dell’art. 192 T.U. Ambiente non può essere sussumersi nell’ordinanza prevista dall’art. 54 TUEL “in quanto, anche ove il Sindaco avesse inteso esercitare il potere di ordinanza ai sensi dell'art. 54 d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, non sono esplicitati nel provvedimento, al di là della mera citazione dell'art. 54 d.lgs. 2000 n. 267 nelle premesse, i presupposti di fatto che hanno determinato l'urgenza e la contingibilità dell'intervento, in termini di rischio sanitario e ambientale”.

Da ciò emerge anche la profonda differenza tra la natura dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 192 D. Lgs. 152/2006 avente carattere sanzionatorio-ripristinatorio e l’ordinanza “urgente” emessa ai sensi degli artt. 50 e 54 del D. Lgs. 152/2006. In merito il T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 05 maggio 2012, n. 714, afferma che l’ordinanza di rimozione dei rifiuti non ha i connotati tipici della ordinanza contingibile ed urgente prevista dall’art. 54 TUEL in quanto “il profilo della “contingibilità” delle ordinanze, infatti, indica l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza in odine a situazioni eccezionali di pericolo attuale ed imminente per l’incolumità pubblica, che impone al sindaco di dare adeguata contezza delle ragioni che lo hanno spinto ad usare tale strumento “extra ordinem”, la cui “ratio” non consiste tanto nell’imprevedibilità dell’evento, quanto nell’impossibilità di utilizzare tempestivamente i rimedi normali offerti dall’ordinamento laddove i potere di ordinanza previsto dall’art. 192 del D. Lgvo 3.4.2006 n. 152, invece, ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall’art. 54 t.u. enti locali. Ed invero, mentre il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti è atipico e residuale e, cioè, esercitabile, sussistendone i presupposti, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore, viceversa l’art. 192 del D.Lgs. n. 152 del 2006 configura una specifica normativa con la previsione d’un ordinario potere d’intervento, attribuito all’autorità amministrativa, a carattere sanzionatorio” (sul punta si veda anche Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2009 n. 3765 e Cons. Stato, sez. V, 08 febbraio 2005 n. 323).

 Alla luce di tali necessarie premesse riguardanti la natura giuridica dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti adotta ai sensi dell’art. 192 T.U. Ambiente, parte della giurisprudenza ritiene che: “n via preliminare, va precisato che non sussiste il vizio di incompetenza (sul punto cfr. TAR Basilicata Sentenze n. 388 del 9.7.2008 e n. 198 dell'11.5.2012), in quanto ai sensi dell'art. 107, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000 "a decorrere dall'entrata in vigore del presente Testo Unico" (cioè dal 13.10.2000) "le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al Capo I del Titolo III" (cioè il Consiglio Comunale, la Giunta Comunale ed il Sindaco: cfr. artt. 36-54) "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai Dirigenti, salvo quanto previsto dall'art. 50, comma 5, e dall'art. 54. Pertanto, poiché la fattispecie in esame non rientra nell'ambito oggettivo delle Ordinanze contingibili ed urgenti di cui agli artt. 50, comma 5, e art. 54, comma 2, D.Lg.vo n. 267/2000, va inquadrata nell'ambito dell'art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997 (ora sostituito dall'art. 192, comma 2, D.Lg.vo n. 152/2006), in quanto l'Ordinanza dirigenziale, impugnata con il ricorso in commento, assume la configurazione di un atto vincolato rientrante nell'ordinaria gestione amministrativa. Ed il principio stabilito dall'art. 107, comma 5, D.Lg.vo n. 267/2000 si applica anche alle norme emanate successivamente all'entrata in vigore del D.Lg.vo n. 267/2000 e perciò anche all'art. 192, comma 3, D.Lg.vo n. 152/2006, in quanto ai sensi dell'art. 1, comma 4, D.Lg.vo n. 267/2000 "le Leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente Testo Unico, se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni” (T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 21.06.2013, n. 363), ed ancora:la competenza ad adottare ordinanze di rimozione di rifiuti abbandonati in base all’art. 192, comma 3, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 spetti al dirigente e non al Sindaco, in virtù del principio della separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni gestionali, di cui all’art. 107, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali, d. lg. 18 agosto 2000 n. 267” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 10.02.2012, n. 730), oltre a: “Con il secondo motivo d'appello viene dedotta l'erroneità della gravata sentenza, per non aver rilevato l'incompetenza del Dirigente comunale ad emanare provvedimenti ex art. 14 D.Lgs. n. 22/1997, asseritamente di competenza del sindaco. La censura non coglie nel segno. Ed invero, dopo l'entrata in vigore del t.u. enti locali (D.Lgs. n. 267/2000), la più recente e perspicua giurisprudenza anche di questa Sezione ha avuto modo di precisare che il provvedimento in questione rientra nella competenza del responsabile dell'area tecnica, e non del sindaco. Infatti, la lettura della disposizione di cui al 3º comma dell'art. 14 del d.lgs. n. 22/1997 che attribuisce al sindaco la possibilità di emanare ordinanze di ripristino dello stato dei luoghi, deve tenere in considerazione l' art. 107, comma 5, t.u. enti locali, secondo cui le disposizioni che conferiscono agli organi di governo del comune e della provincia "l'adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti..."; pertanto, la competenza ad emettere l'ordinanza di rimozione dei rifiuti in un'area interessata da deposito abusivo, spetta al dirigente dell'ufficio tecnico comunale a ciò preposto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009 n. 3765” (Consiglio di Stato, sez. V, 10.09.2012, n. 4790), nonché: “l’ordinanza con la quale l’amministrazione comunale ingiunge di provvedere a redigere un programma di smaltimento, rimozione, ed avvio al recupero o allo smaltimento di rifiuti, e al ripristino dello stato dei luoghi, in applicazione dei poteri attribuiti dall’art.14, d.lg. n. 22 del 1997, è di competenza del dirigente, in quanto lo stesso art. 14 (che attribuisce bensì’ al Sindaco, quale capo dell’amministrazione locale e non in veste di ufficiale di governo, la competenza ad emettere l’ordinanza de qua) va coordinato con l’art. 107, commi 2 e 5, d.lg. n. 267 del 2000” (T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, 24.01.2006, n. 130, ma si vedano anche T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 04.10.2012, n. 457; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 02.01.2012, n. 6; Cons. Stato, sez. V, 12.06.2009, n. 3765; T.A.R., Lombardia, Milano, sez. IV, 10.06.2009, n. 3942; T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 13.10.2009, n. 6453; T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. II, 04.11.2009, n. 1598; T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 31.03.2009; Cass. penale, sez. III. 15.06.2006, n. 23930; T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. III, 24.01.2005, n. 104.).

 Al contrario, altra parte della giurisprudenza, a cui il T.A.R. Veneto sembra aderire, ritiene che la competenza del Sindaco sancita dall’art. 192 D. Lgs. 152/2006 “prevalga” sulla disposizione dettata dall’art. 107 TUEL in forza del principio lex posterior specialis derogat anteriori generali: “stabilisce, infatti, il comma 3 dell'art. 192 del d.lgs. 152 del 2006 che chiunque viola i divieti di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, "è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate." Tale norma, che sancisce la competenza sindacale in luogo di quella dirigenziale, viene interpretata, dalla giurisprudenza maggioritaria, quale norma speciale rispetto all'art. 107 del T.U. enti locali (che affida ai dirigenti i compiti relativi alla gestione delle attribuzioni amministrative dell'ente locale) (cfr. ex multis, Cons. St., sez. V, 29 agosto 2012, n. 4635; id., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3765; id., sez. V, 10 marzo 2009, n. 1296; ord. sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061); Tar Lazio, sez. II, 01 febbraio 2013 n. 1142; Tar Salerno, sez. I, 17 settembre 2012 n. 1644; Tar Brescia, sez. I, 09 giugno 2011, n. 867). Infatti, non può essere accolta la tesi, ormai minoritaria in giurisprudenza, in base alla quale essendo tale norma, in parte qua, riproduttiva del precedente art. 14, d.lgs. n. 22 del 1997, essa andrebbe applicata nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza che attribuisce la relativa potestà ordinatoria ai dirigenti, in base all'ordine di competenze, fra livello dirigenziale e politico, delineato dall'art. 107 T.U. Enti locali. Tale costrutto logico non è condivisibile (cfr. Cons. St. 3675/2009) perché:

a) è insuperabile il dato testuale dell'art. 192, co. 3, secondo periodo, che fa riferimento espresso al " Sindaco";

b) trova applicazione, per il caso di conflitto apparente di norme, il tradizionale canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali;

c) lo stesso art. 107, co. 4, ha cura di precisare che "Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative", che è quanto verificatosi a seguito dell'entrata in vigore della norma sancita dall'art. 192, co. 3, cit., sicuramente speciale rispetto all'ordine generale di competenze previsto dall'art. 1, co. 4, e 107, co. 2, T.U. enti locali” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 04.06.2013, n. 1218, ma si veda anche recentemente T.A.R. Catanzaro, Calabria, sez. I, 07.05.2013, n. 514; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 01.02.2013, n. 1142; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 17.09.2012, n. 1644; T.A.R Lombardia, Brescia, sez. I, 09.06.2011, n. 867).

 A modesto avviso di chi scrive, però, tali assunti potrebbero essere smentiti proprio dall’art. 1, comma 4, D. Lgs. 152/2006 secondo cui: “Ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.

Nel caso di specie, infatti, non contenendo l’art. 192 D. Lgs. 152/2006 una espressa deroga al tradizionale criterio di riparto delle competenze delineato dal TUEL, si può (forse) affermare la competenza del dirigente comunale nell’adottare le ordinanze di rimozione dei rifiuti, come sottolineato anche da attenta giurisprudenza (vedi T.A.R. Basilicata, sez. I, 11 maggio 2012, n. 198).

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Sicilia, Palermo n. 1218 del 2013

TAR Basilicata n. 363 del 2013

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