Il valore delle opere realizzate da scomputare va calcolato al momento del rilascio delle concessioni a costruire

22 Ott 2013
22 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5045 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Il T.A.R., infatti, ha correttamente ritenuto che la quantificazione del contributo relativo agli oneri di urbanizzazione secondaria andava fatta, come si è detto, con riferimento ai valori vigenti al momento del rilascio della concessione, nel caso concreto al 1989, ma, come evidenziato dall’impresa Ortica Giuseppe s.p.a., occorre allora rispettare l’omogeneità dei dati tra cui effettuare la sottrazione, per cui la quota di opere realizzate da scomputare deve essere determinata sulla base del valore delle opere per sua natura variabile nel tempo e rilevabile al momento del rilascio delle concessioni a costruire, con riferimento alle quali vengono calcolati gli oneri di urbanizzazione secondaria. Il Comune, per correttezza di calcolo ,non può non tenere conto, così, che la prima concessione rilasciata ha assorbito una parte dell’importo totale, originariamente previsto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria, che ad avviso dell’appellante rappresenterebbe circa il 70% del predetto totale, ma che per una sua corretta quantificazione deve essere oggetto di precisa verifica da parte dell’ufficio tecnico comunale. Per determinare, quindi il valore residuo delle opere di cui alla convenzione del luglio 1981 da portare a scomputo degli oneri calcolati con il prezzario del 1989, il Comune deve calcolare il valore del residuo delle opere realizzate dall’impresa, da portarsi correttamente a scomputo, ma con lo stesso riferimento al 1989 (per il principio arg, da. Cons. Stato, sezione V, 28 luglio 1987 n. 477 e 25 marzo 1991 n. 367). Tanto premesso l’appello va parzialmente accolto e, per l’effetto la sentenza appellata, deve essere riformata nei termini sopra evidenziati, con obbligo del Comune di Treviso, sulla base dei conteggi da effettuarsi da parte dell’ufficio tecnico comunale, di restituire alla stessa le sole somme indebitamente pagate a titolo di maggiore contribuzione per gli oneri di urbanizzazione secondaria, addizionate degli interessi legali dalla data della domanda o, se posteriori, dai pagamenti effettuati dall’appellante, sino all’effettivo soddisfo, ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, con esclusione quindi della rivalutazione monetaria (cfr.Consiglio Stato sez. V. 24 luglio 1993, n. 799)".

sentenza CDS 5045 del 2013

Ai fini dello svolgimento di una attivitĂ  commerciale l’autorizzazione sanitaria non sostituisce il certificato di agibilitĂ 

22 Ott 2013
22 Ottobre 2013

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5025 del 2013 decide un  ricorso col quale è stato impugnato un provvedimento con cui un comune ha inibito la prosecuzione di una attività di somministrazione alimenti e bevande, per mancanza del certificato di agibilità.

Il Consiglio di Stato respinge l'appello, precisando che: "Né , al riguardo,può essere condiviso l’assunto dell’appellante, secondo cui l’autorizzazione sanitaria (di cui è in possesso ) sarebbe sostitutiva del certificato di agibilità. Tra i due documenti,infatti, non sussiste equipollenza né sul piano
formale né su quello sostanziale atteso che, come già precisato, il secondo presuppone rispetto all’autorizzazione sanitaria anche l’accertamento della conformità urbanistico-edilizia del manufatto. Per lo stesso motivo,inoltre,l’autorizzazione commerciale ( anche se automaticamente rinnovatasi come sostenuto dall’appellante ) non può di certo ritenersi sostitutiva del certificato di agibilità,sia perché ontologicamente diversa,sia perché presuppone a sua volta ( piuttosto che accertare ) la conformità urbanistica ed edilizia dei locali a cui si riferisce".

sentenza CDS 5025 del 2013

La DGR 1721/2013 approva il parere della VTR su art. 38 PTRC

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

La deliberazione della Giunta regionale n. 1721 del 3 ottobre 2013 ha preso atto della Valutazione Tecnica Regionale n. 44 del 18 settembre 2013, riguardante l'art. 38 del PTRC.

dgr 1721 del 2013

A che punto è il nuovo piano casa del Veneto?

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

A che punto è il nuovo piano casa del Veneto? Il 23.10.2013 la Seconda Commissione del Consiglio Regionale inizia le audizioni sulle proposte di legge.

Ordine del Giorno

data seduta: 23.10.2013

luogo di convocazione: Consiglio regionale - Palazzo Ferro Fini

prima convocazione: 09:30

seconda convocazione: 10:30

La Commissione è convocata per mercoledì 23 ottobre 2013 alle ore 09:30 in prima convocazione e alle ore 10:30 in seconda convocazione

Argomenti all'ordine del Giorno

1.  Approvazione processo verbale della seduta precedente

2.  Comunicazioni del Presidente della Commissione

3.  AUDIZIONE in ordine a:

4.  Illustrazione - PDLR n. 200 del 09 settembre 2011
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Bruno Pigozzo, Graziano Azzalin, Giuseppe Berlato Sella, Franco Bonfante, Mauro Bortoli, Roberto Fasoli, Stefano Fracasso, Laura Puppato, Sergio Reolon, Piero Ruzzante, Claudio Sinigaglia e Lucio Tiozzo relativa a: “Modifica dell'articolo 2 e dell'articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 in materia di ampliamento di edifici”

5.  Esame e parere - PDLR n. 295 del 03 agosto 2012
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Costantino Toniolo, Davide Bendinelli, Dario Bond, Giancarlo Conta, Piergiorgio Cortelazzo, Nereo Laroni e Carlo Alberto Tesserin relativa a: “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile" e alla legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 "Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche" e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici"”

6.  Esame e parere - PDLR n. 355 del 22 maggio 2013
Disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale relativo a: “Provvedimenti per il sostegno al settore edilizio e per la riqualificazione delle aree degradate del Veneto. Piano di sviluppo edilizio.”

7.  Ore 10,30 con: - Anci - Urpv - Conord - Uncem - Confindustria Veneto - Ance Veneto - Arav Veneto - ConfcooperativeVeneto - Frav Veneto - CNA Veneto - Lega Coop Veneto - Unci Veneto - Casartigiani Veneto - Confagricoltura Veneto - Cia Veneto - Coldiretti Veneto Ore 11,00 con: - Federazione Ordine Ingegneri Veneto - Federazione Ordine Architetti Veneto - Assurb Veneto - Centro regionale studi urbanistici Veneto - CUP Veneto - Federazione Ordine dottori agronomi e dottori forestali Veneto - Collegio Geometri Veneto - Collegio Periti agrari e Periti agrari laureati - Inu Veneto - Inarch Veneto - Facoltà Architettura di Venezia - Facoltà Ingegneria di Padova - IUAV Dipartimento Urbanistica - CGIL Veneto - CISL Veneto - UIL Veneto - CISAL Veneto

Quando il Comune può limitare l’apertura di medie strutture di vendita in zona residenziale?

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

Nel post del 15.05.2013 si era detto che, secondo il T.A.R. Veneto n. 877/2013, la liberalizzazione delle attività commerciali non “non incide né condiziona di per sé le scelte di carattere urbanistico” del Comune, il quale può legittimamente organizzare il proprio territorio imponendo delle limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali.

 Il T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, nella sentenza del 10 ottobre 2013 n. 2271, torna sulla questione precisando però che la pianificazione urbanistica del Comune non può ex se legittimamente incidere sulla libertà di iniziativa economica: a tal fine sono necessari dei “motivi imperativi di interesse generale”.

Nel caso di specie una media struttura di vendita di 600 m.q. di superficie aveva chiesto di ampliare la propria superficie, senza modificare né il volume né la sagoma. Il Comune, però, aveva negato l’intervento perché, in base alle le disposizioni commerciali recepite dal PGT, le strutture di vendita con superficie maggiore di 600 m.q. non possono essere realizzate in zona residenziale.

Il Collegio, alla luce dei numerosi provvedimenti legislativi che, nel corso del tempo, hanno disciplinato la materia de qua, giunge a ritenere che il divieto incondizionato di apertura di medie strutture di vendita superiori ai 600 m.q.. in zona residenziale è in contrasto con la direttiva servizi n. 132/2006/CE (c.d. Direttiva Bolkestein) che ha liberalizzato le attività commerciali.

A riguardo si legge che: “Occorre ricordare che la disciplina nazionale relativa all’apertura di nuovi esercizi commerciali è stata oggetto di una lunga e travagliata evoluzione.

Il decreto legislativo n. 114 del 1998, nell’intento di superare la precedente normativa dirigistica di cui alla L. 426 del 1971, che sottoponeva l’apertura di nuovi esercizi ad un rigido sistema di contingentamento basato sulla pianificazione del rapporto fra domanda ed offerta, aveva completamente liberalizzato il segmento degli esercizi di vicinato e rimesso, invece, alle regioni la regolamentazione della apertura delle medie e grandi strutture di vendita, la cui apertura restava (e resta ancora oggi) soggetta a specifica autorizzazione.

In particolare, il predetto decreto legislativo aveva prefigurato un meccanismo di forte integrazione fra urbanistica e disciplina economica delle attivitĂ  commerciali di maggiore rilevanza, prevedendo che le regioni dovessero dettare indirizzi generali per il loro insediamento e criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale destinati ad essere recepiti in sede di pianificazione del territorio da parte dei comuni (art. 7, comma 5).

Tale sistema aveva dato luogo a interpretazioni non univoche, sostenendosi da parte di alcuni che il piano regolatore generale, per effetto delle previsioni contenute nel D.lgs. n. 114 del 1998, avrebbe mutato la sua natura, divenendo uno strumento misto di pianificazione economica oltre che urbanistica, mentre altri avevano, al contrario, ritenuto che, scomparsi i piani del commercio, le uniche limitazioni all’apertura di medie e grandi strutture di vendita potessero fondarsi su esigenze di ordine territoriale, non potendo la disciplina urbanistica essere piegata a finalità di controllo autoritativo delle dinamiche fra la domanda e l’offerta di servizi di intermediazione commerciale.

Sul punto, alcuni anni più tardi, è intervenuto il legislatore che, con il D.L. n. 223 del 2006, ha definitivamente sancito il divieto (valevole anche per le regioni) di sottoporre l’apertura di nuovi esercizi commerciali (ivi comprese medie e grandi strutture) a limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale.

Il settore dei servizi privati, nell’ambito del quale rientra il commercio, è stato poi oggetto di una specifica direttiva comunitaria (n. 123/2006 altrimenti detta “Bolkestein”) volta alla riduzione dei vincoli procedimentali e sostanziali gravanti sugli stessi al fine di favorire la creazione nei vari Stati membri di un regime comune mirato a dare concreta attuazione ai principi di libertà di stabilimento e libera prestazione.

La direttiva Bolkestein ha profondamente inciso sullo statuto delle libertà economiche rispetto alle quali, in passato, l’art. 41 Cost. ha costituito un assai debole presidio, consentendo che il loro esercizio potesse essere incondizionatamente subordinato nell’an e nel quomodo a qualunque tipo interesse pubblico assunto dal legislatore (ed a cascata dalla p.a.) ad oggetto di tutela.

La normativa comunitaria prevede, invece, che l’iniziativa economica non possa, di regola, essere assoggettata ad autorizzazioni e limitazioni (specie se dirette al governo autoritativo del rapporto fra domanda ed offerta), essendo ciò consentito solo qualora sussistano motivi imperativi di interesse generale rientranti nel catalogo formulato dalla Corte di Giustizia. La medesima normativa stabilisce, inoltre, che, anche qualora sussistano valide ragioni per adottare misure restrittive della libertà d’impresa, queste debbano essere adeguate e proporzionate agli obiettivi perseguiti.

La direttiva Bolkestein è stata recepita nell’ordinamento interno dal D.lgs. n. 59 del 2010 e ad essa sono ispirati tutti i numerosi provvedimenti di liberalizzazione varati nella scorsa legislatura, i quali ne hanno precisato la portata e gli effetti.

Costituisce una costante di tutti questi atti normativi la distinzione fra atti di programmazione economica – che in linea di principio non possono più essere fonte di limitazioni all’insediamento di nuove attività – e atti di programmazione aventi natura non economica, i quali, invece, nel rispetto del principio di proporzionalità, possono imporre limiti rispondenti ad esigenze annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale (art. 11, comma 1, lett. e) del D.lgs. n. 59 del 2010, art. 34, comma 3, lett. a) del D.lgs. 201/2011).

Tale distinzione deve essere operata anche nell’ambito degli atti di programmazione territoriale, i quali non vanno esenti dalle verifiche prescritte dalla direttiva servizi per il solo fatto di essere adottati nell’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, dovendosi verificare se in concreto essi perseguano finalità di tutela dell’ambiente urbano o, comunque, riconducibili all’obiettivo di dare ordine e razionalità all’assetto del territorio, oppure perseguano la regolazione autoritativa dell’offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di insediamento delle imprese.

Il legislatore ha stabilito, infatti, che:

a) ricadono nell’ambito delle limitazioni vietate (salvo la sussistenza di motivi imperativi d’interesse generale) non solo i piani commerciali che espressamente sanciscono il contingentamento numerico delle attività economiche, ma anche gli atti di programmazione che impongano “limiti territoriali” al loro insediamento (artt. 31, comma 1 e 34, comma 3 del D.L. 201/2011)

b) debbono, perciò, considerarsi abrogate le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongano limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare impediscano, condizionino o ritardino l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici (art. 1 del D.L. n. 1/2012).

Le norme sopra menzionate impongono al giudice chiamato a sindacare la legittimità degli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, l’obbligo di effettuare un riscontro molto più penetrante di quello che si riteneva essere consentito in passato; e ciò per verificare, attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio sotto il profilo della viabilità, della necessaria dotazione di standard o di altre opere pubbliche, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime (sul punto si veda la sentenza 15/3/2013 n. 38 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 31 del D.L. 201 del 2011 dell’art. 5, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e dell'art. 6 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 16 marzo 2012, n. 7, perché con essi veniva precluso l’esercizio del commercio al dettaglio in aree a destinazione artigianale e industriale, in assenza di plausibili esigenze di tutela ambientale che potessero giustificare il divieto)”.

 Per quanto concerne l’efficacia retroattiva o meno delle suddette disposizioni, il T.A.R. asserisce che: “i provvedimenti legislativi sopra menzionati non dispongono solo per il futuro, ma contengono clausole di abrogazione attraverso le quali il legislatore statale ha manifestato la volontà di incidere sulle norme regolamentari e sugli atti amministrativi generali vigenti, imponendo alle regioni ed agli enti locali una revisione dei propri ordinamenti finalizzata ad individuare quali norme siano effettivamente necessarie per la salvaguardia degli interessi di rango primario annoverabili fra i motivi imperativi di interesse generale e quali, invece, siano espressione diretta o indiretta dei principi dirigistici che la direttiva servizi ha messo definitivamente fuori gioco (vedasi l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 31 del D.L. 201 del 2011 e il comma 4 dell’art. 1 del D.L. n. 1 del 2012).

Il problema se, una volta decorso il periodo assegnato agli enti territoriali per recepire i nuovi principi nei propri ordinamenti, le norme regolamentari e gli atti amministrativi generali con essi incompatibili debbano o considerarsi automaticamente abrogati (e, quindi, non più applicabili anche nei giudizi concernenti l’impugnazione di atti applicativi) ha già trovato risposta nella giurisprudenza amministrativa, la quale ha sancito che l'inutile decorso del termine assegnato dal legislatore statale per l’adeguamento degli ordinamenti regionali e locali ai principi in materia di concorrenza determina la perdita di efficacia di ogni disposizione regionale e locale, legislativa e regolamentare, con essi incompatibili. E ciò in forza di quanto sancito dal comma 2 dell’art. 1 della L. 131 del 2003 a mente del quale le disposizioni regionali vigenti nelle materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni statali in materia (Cons. Stato, V, 5/5/2009, n. 2808; TAR Toscana 6400/2010; TAR Sicilia, Palermo, 6884/2010, TAR Friuli Venezia Giulia 145/2011)”.

 Chiarito ciò, i Giudici affermano che la norma delle NTA del PTG impugnata deve “ritenersi abrogata per incompatibilità con la normativa sopravvenuta in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi, non avendo il Comune adempiuto all’obbligo di adeguare alla stessa i propri atti di pianificazione entro il termine previsto dall’art. 31 comma 2 ultimo periodo del D.L. 201 del 2011”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 877 del 2012

TAR Lombardia n. 2271 del 2013

Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013

Sulla GU n.244 del 17-10-2013 è stato pubblicato il decreto 1 ottobre 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico, recante "Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali. (13A08393)".

Specifiche tecniche delle operazioni di scavo e ripristino per la posa di infrastrutture digitali nelle infrastrutture stradali

Interessi passivi e interessi del debito pubblico in Italia

21 Ott 2013
21 Ottobre 2013
"Mi capita sempre più spesso di partecipare a questo o quel talk show all'interno del quale l'interlocutore di turno a cui viene data la parola sputa sentenze sul debito pubblico, su che cosa si dovrebbe fare e su come si dovrebbe intervenire una volta per tutte per risolvere l'annosa vicenda di questo debito. Per cui si va da chi propone con grande disinvoltura la cosidetta ristrutturazione del debito senza sapere che con questo termine sul piano tecnico significa effettuare solitamente un haircut su un determinato ammontare da rimborsare. Tradotto per il piccolo risparmiatore ed investitore questo produce un default parziale assistito, vale a dire che se avevate investito Euro 100.000 su un determinato titolo di stato quest'ultimo vi potrebbe essere rimborsato al 60/70/80/90% del valore facciale oppure essere sostituito con un titolo di nuova emissione con una scadenza più lunga, un interesse inferiore e un importo nominale scontato al 60/70/80/90% rispetto a quello che avevate sottoscritto. Recentemente oltre alla famosa patrimoniale o all'ipotetico prelievo del 10% sulle giacenze bancarie, si vocifera nelle sale di negoziazione anche del congelamento degli interessi sui titoli italiani nei confronti dei soli soggetti fisici detentori del titolo. 
Prima di proseguire voglio aprire una parentesi su questo tema con l'intento di fare chiarezza: provate a chiedere ad un amico, conoscente o consulente finanziario a quanto ammontano gli interessi che il nostro paese paga sullo stock di debito pregresso. Le risposte vederete che andranno dai 90 ai 100 miliardi: purtroppo tale dato è errato in misura anche considerevole in quanto spesso si fa confusione tra gli interessi passivi che gravano sull'Amministrazione dello Stato e gli interessi invece che gravano solo sul debito pubblico. In questo caso ci viene in aiuto il Bilancio Semplificato dello Stato il quale a seguito della Legge di Bilancio 2013/2015 stima in previsione gli interessi passivi totali per il 2013 in 89.7 MLD, per il 2014 in 95.2 MLD e per il 2015 in 99.8 MLD. Da come potete comprendere in via embrionale il carico fiscale complessivo sarà considerevolmente in aumento: questo vi deve portare a riflettere come nei prossimi anni si riuscirà a far fronte a  tali nuovi incrementi, soprattutto in considerazione del fiscal compact e della contrazione ormai certa delle entrate. Non dimenticate inoltre il rischio che più di tanto non è stato adeguatamente soppesato legato al sempre più plausibile downgrade del rating finanziario, il quale potrebbe impattare ancora di più sul capitolo di spesa relativo agli interessi passivi.
Ritorniamo adesso proprio a quest'ultimo: si tende infatti a confondere sempre più spesso questa posta con la voce di spesa riferibile solo agli interessi sul debito pubblico che ammontano (secondo la stima della Legge di Bilancio) in 76 MLD per il 2013, 82 MLD per il 2014 e 88 MLD per il 2015 (gli importi sono stati arrotondati per eccesso in modo da farvi ricordare con semplicità che ogni anno questi ultimi aumentano di 6 MLD). Oltre agli interessi passivi sul debito, lo Stato tuttavia paga anche gli interessi passivi sui prodotti postali tradizionali (buoni e conti postali) che ammontano a 7.5 MLD, cui si aggiungono 3 MLD per i conti di tesoreria degli enti locali e altri 2 MLD tra interessi sui mutui contratti dalla Cassa Depositi e Prestiti unitamente agli interessi di mora di varia natura. Il tutto sommato porta all'importo complessivo di cui facevamo menzione prima ovvero 89.7 MLD per il 2013 e cosi via. Da questo estratto si evince intanto che una quota considerevole della posta complessiva riconducibile agli interessi passivi in Italia si paga anche per onorare depositi e prestiti decisamente riconducibili a soggetti italiani (enti locali e clientela postale), il tutto per oltre 15 MLD di Euro ovvero il 17% in quota frazionaria. Lo stock di debito pubblico è per il 65% detenuto da residenti italiani di varia natura banche, fondi pensione, risparmiatori privati ed enti locali: più di due anni fa la percentuale ammontava al 55%. 
Poco più di un terzo invece è detenuto da soggetti esteri di cui come si è già fatta menzione in un precedente redazionale non è possibile identificarne la geografia per ragioni prettamente tecniche in quanto i titoli di stato sono titoli al portatore e quindi fuori dai confini nazionali diventano di dubbiosa tracciabilità. Ricordo che questo vale per qualsisi paese e non solo per l'Italia. Immaginate sempre la famosa Deutsche Bank che interviene ad un'asta di titoli italiani e lo fa su mandato di un fondo pensione delle Isole Filippine da cui ha ricevuto istruzioni di sottoscrizione in nome proprio ma per conto terzi. Il titolo viene acquistato da un intermediario tedesco, il quale lo consegna successivamente ad un soggetto asiatico, il quale a sua volta lo può più avanti rivendere telematicamente ad altro soggetto. Ora per chiudere a chiosa questo redazionale non ci dovremmo stupire a fronte di quanto rappresentato sopra se più avanti (18/24 mesi) qualche governo o autorità sovranazionale proponesse il congelamento degli interessi sul debito esclusivamente per i residenti fisici italiani, escludendo intermediari e attori del mondo finanziario: questo tipo di eventualità sta diventando di possibile applicazione pur di non allarmare chi detiene il titolo fuori confine".
Articolo tratto dal sito http://www.eugeniobenetazzo.com dell'economista indipendente dott. Eugenio Benetazzo

Cosa vuol dire che l’ordine di ripristino ai sensi dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001 ha natura reale e non personale?

18 Ott 2013
18 Ottobre 2013

Lo spiega il TAR Veneto nella sentenza n. 1155 del 2013, giĂ  allegata al post che precede.

Scrive il TAR: "la sanzione amministrativa irrogata nel caso di specie ha funzione non afflittiva (come le sanzioni penali) ma ripristinatoria dell’ordine urbanistico violato ed ha natura non personale ma reale, sicchè segue oggettivamente la cosa abusiva e il suo rapporto proprietario indipendentemente dall’ addebitabilità della condotta abusiva su di essa realizzata, con la conseguenza che la misura repressiva è applicabile nei confronti del proprietario attuale dell’immobile anche se estraneo all’abuso stesso. Costituisce eccezione alla regola la sola ipotesi della non applicabilità al proprietario dell’ulteriore sanzione dell’acquisizione gratuita da parte del Comune, in conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. Tale ipotesi si verifica però solo qualora, “risulti in modo inequivocabile la completa estraneità del proprietario al compimento dell’opera abusiva o che, essendone egli venuto a conoscenza, si sia adoperato per impedirla con gli strumenti offertigli dall’ordinamento” (Corte Cost. n. 345/1991). Viceversa, nel caso di specie, come già detto, dagli atti depositati ed in particolare, dal verbale del Corpo Forestale in atti, risulta come l’attuale ricorrente non possa non aver contribuito alla realizzazione delle opere abusive oggetto di sanzione, essendo stata contestualmente realizzata una nuova strada di accesso alla sua proprietà ed una nuova piazzola di sosta (opere che, evidentemente, non possono essere state commissionate dall’amministrazione comunale);
- quanto alla lamentata inesatta individuazione dell'area di sedime attinta dalle opere abusive in questione, tale elemento non costituisce causa di illegittimitĂ  dell'ingiunzione a demolire, concernendo indicazioni riferibili al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale;
- il collegamento dell’acquisizione gratuita non direttamente al mancato ripristino entro il termine di novanta giorni previsto dalla legge, bensì al mancato rispetto della scansione temporale degli adempimenti fissata nell’ordine di demolizione (denunciato con il sesto motivo), oltre che ragionevole, dovendo i lavori di ripristino essere previamente autorizzati, è posto al fine di favorire il ricorrente nel tempestivo adempimento dell’ordine di ripristino, e ciò nell’ottica di una leale collaborazione tra amministrazione e cittadino, con la conseguenza che egli non ha ragione di lamentarsi di tale specifica determinazione".

Sul punto, si segnala anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 5011 del 2013, per la quale: "Si aggiunga che, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Sezione, da cui non v’è ragione di discostarsi, l’ordine di demolizione di una costruzione abusiva integra una sanzione di natura oggettiva e reale che, in quanto tale, non può che rivolgersi contro il proprietario attuale (il quale, in ipotesi, potrà avvalersi degli ordinari rimedi civilistici contro il suo dante causa) e costituisce atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi pubblici coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né, infine, è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 5011 del 2013

Costruire una strada di accesso all’abitazione e un piazzale di parcheggio con poderosi sbancamenti di roccia è un intervento di nuova costruzione

18 Ott 2013
18 Ottobre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 1155 del 2013.

Si legge nella sentenza: "l’opera contestata al privato, consistita, si ripete, nella realizzazione di una strada di accesso all’abitazione e di un piazzale di parcheggio con poderosi sbancamenti di roccia, costituisce, sotto il profilo edilizio, un intervento di nuova costruzione ai sensi dell’art. 3, lett. f) D.P.R. n. 380/2001, soggetto a permesso di costruire, sanzionabile, in mancanza di titolo abilitativo, con l’ordine di ripristino ai sensi dell’art. 31 D.P.R. n. 380/2001".

sentenza TAR Veneto 1155 del 2013

DGR n. 1717/2013: Linee di indirizzo applicativo per la VAS sugli strumenti urbanistici a seguito della sentenza della Corte Costituzionale

17 Ott 2013
17 Ottobre 2013

Si allega la DGRV n. 1717/2013 - in attesa di pubblicazione sul BURV - che detta le: "Linee di indirizzo applicative a seguito della sentenza n. 58/2013 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 1, della Legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n. 13, nella parte in cui aggiunge la lettera a) del comma 1-bis all’art. 14 della Legge della Regione Veneto 26 giugno 2008, n. 4."

DGR 1717

DGR 1717_Allegato A

 

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