Revoca di contributi pubblici: G.A. o G.O?
Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 24 dicembre 2012 n. 1596, si occupa della revoca degli investimenti previsti dal “Bando di partecipazione per l'ottenimento di aiuti agli investimenti delle nuove PMI giovanili”, approvato con delibera della Giunta Regionale Veneto n. 2762 del 22.09.2009 e pubblicato nel B.U.R. Veneto n. 83 del 09.10.2009.
La controversia attiene al mancato rispetto degli obblighi di rendicontazione cui è tenuto il beneficiario del contributo pubblico.
Sebbene la Regione Veneto abbia emesso un decreto di revoca, tale controversia rientra nella giurisdizione ordinaria poiché vi è un inadempimento delle obbligazioni assunte dal beneficiario a fronte della concessione del contributo; se invece la revoca si fosse verificata in una fase processuale precedente all’attribuzione del contributo, il T.A.R. Veneto riconosce la propria giurisdizione in quanto: “in tema di riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni e contributi pubblici, rilevano infatti i normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate, con la conseguenza che, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione sulla scorta di un addotto inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al Giudice Ordinario, anche se si faccia questione di atti denominati come revoca, decadenza, risoluzione, purché essi si fondino sull'asserito inadempimento, da parte del beneficiario, alle obbligazioni assunte a fronte della concessione del contributo.
Il privato vanta invece una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del Giudice Amministrativo, se la controversia riguarda una fase procedimentale precedente al provvedimento attributivo del beneficio, e se, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (così Consiglio di stato VI n° 465 del 2011, TAR Veneto III n° 1426 del 2011)”.
dott. Matteo Acquasaliente
Una struttura lignea di sostegno di una rete antigrandine non ha rilevanza edilizia
Lo ha deciso il TAR Veneto nella sentenza n. 1542 del 2012.
Scrive il TAR: "L’opera oggetto di ordine di demolizione è costituita da una scarna intelaiatura lignea, di modeste dimensioni, costituita da materiale facilmente rimovibile, priva di strutture murarie di appoggio e di sostegno, che ha la funzione provvisoria di sostenere, durante la sola stagione estiva, una rete antigrandine di protezione dell’orto del ricorrente dai violenti nubifragi estivi.
Ritiene il Collegio che tale tipo di manufatto, per le sue limitate dimensioni e la sua precarietà, non abbia rilevanza edilizia, non rappresentando una modifica apprezzabile del territorio.
In secondo luogo, si ritiene che non sia nemmeno applicabile alla fattispecie in esame l’art. 12.4 c. 6 del regolamento edilizio comunale, che impone il rispetto della distanza minima dal confine, di almeno mt. 1,50, in relazione ai pergolati, alle tende parasole, e alle pompeiane.
Infatti, l’opera in oggetto non si presta ad essere ricompresa, sia sotto il profilo strutturale che funzionale, in alcuna di tali tipologie di opere.
Infatti, sia i pergolati, sia le tende parasole, sia le “pompeiane”, hanno la funzione di ombreggiare giardini o terrazze, e dunque hanno un certo impatto a livello di edilizia e di rapporti di vicinato, in quanto limitano il passaggio di aria e luce.
Viceversa, nel caso di specie, siamo in presenza di una struttura costituita da pochi assi che in alcun modo possono ostacolare il passaggio dell’aria e della luce.
Pertanto, l’opera in questione, non può essere considerata abusiva, non essendo soggetta ad alcun titolo abilitativo, né posta a distanza irregolare dal confine, non rientrando tra i manufatti contemplati dal regolamento edilizio in materia di distanze".
Il diritto di accesso ai documenti ispettivi non è sempre consentito
Il D.M. 4 novembre 1994 n. 757 recante il “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al diritto d'accesso, ai sensi dell'art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241” stabilisce, ex art. 2, i documenti sottratti al diritto di accesso: “1. Sono sottratte al diritto di accesso le seguenti categorie di atti in relazione alla esigenza di salvaguardare la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, di gruppi, imprese e associazioni:
a) documenti contenenti notizie sulla programmazione dell’attività di vigilanza, nonché' sulle modalità ed i tempi di svolgimento di essa;
b) documenti contenenti le richieste di intervento dell'Ispettorato del lavoro;
c) documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi;
d) documenti contenenti notizie riguardanti le aziende pubbliche o private quando la loro divulgazione possa portare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza o provocare concretamente una indebita concorrenza;
e) relazioni ispettive presso gli enti previdenziali ed assistenziali;
f) verbali di ispezione alle società cooperative;
g) documenti riguardanti il lavoratore e contenenti notizie sulla sua situazione familiare, sanitaria, professionale, finanziaria, sindacale o di altra natura, sempreché' dalla loro conoscenza possa derivare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza;
h) documenti riguardanti il dipendente dell'amministrazione e contenenti notizie sulla sua situazione familiare, sanitaria, professionale, finanziaria, sindacale o di altra natura, sempreché'
dalla loro conoscenza possa derivare effettivo pregiudizio al diritto alla riservatezza.
2. Le notizie contenute nei documenti indicati alle categorie g) ed h), del comma 1 del presente articolo, cessano di essere escluse dall'accesso quando costituiscono rispettivamente titoli per l'avviamento al lavoro o la partecipazione a pubblici concorsi”, mentre l’art. 3 concerne la durata del divieto di accesso: “Le categorie di documenti indicati nell'articolo precedente sono sottratti all'accesso rispettivamente per il periodo sottoindicato, che decorre dalla data del provvedimento che chiude il procedimento di cui essi fanno parte:
a) cinque anni;
b) cinque anni, o finche' perduri il rapporto di lavoro nella ipotesi che la richiesta di intervento provenga da un lavoratore o abbia comunque ad oggetto un rapporto di lavoro;
c) finche' perduri il rapporto di lavoro, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale;
d) fino a quando sussista il titolare del diritto alla riservatezza;
e) cinque anni, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale;
f) cinque anni, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale;
g) finche' e' in vita il titolare del diritto alla riservatezza;
h) finche' e' in vita il titolare del diritto alla riservatezza”.
Tali disposizioni normative però devono essere coordinate con l’art. 24, c. 7, l. 241/1990 secondo cui: “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Il T.A.R. Veneto, sez. III, con la sentenza del 24 dicembre 2012 n. 1597, con riferimento al rigetto dell’istanza - del datore di lavoro - di accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori-controinteressati agli ispettori del lavoro, dichiara che: “qualora il procedimento ispettivo si concluda senza l'adozione di atti o provvedimenti a carattere sanzionatorio o comunque in danno al datore di lavoro, si deve ritenere prevalente il diritto del dipendente alla riservatezza circa le dichiarazioni rese all'ispettore e conseguentemente legittimamente negato l'accesso a tali documenti formatisi nell'ambito del procedimento ispettivo. Viene meno infatti il nesso strumentale tra l'actio ad exhibendum esercitata dal datore di lavoro e la necessità di agire in giudizio a difesa di una posizione soggettiva lesa non riscontrata.
Se invece le dichiarazioni costituiscono il supporto di un provvedimento sanzionatorio adottato nei confronti del datore di lavoro, il diritto di difesa del datore di lavoro include l’accesso alle dichiarazioni rese da dipendenti e terzi nel corso del procedimento ispettivo (così Consiglio di Stato VI n° 7979 del 2010, Tar Veneto III n° 814 del 2012)”.
dott. Matteo Acquasaliente
Se l’immobile è abusivo, la gestione al suo interno di un servizio per conto del comune non crea alcun affidamento
Un immobile in zona agricola viene abusivamente traformato in canile, gestito in convenzione col comune e l'USL, consapevoli dell'abuso edilzio.
Dopo un tira-molla di otto anni (evidentemente comodo anche al comune) il comune ordina la rimessione in pristino.
Il TAR Veneto, con la sentenza n. 1554 del 2012 ritiene corretta l'ordinanza ripristinatoria: "Deve essere rigettato anche il secondo motivo. Con esso si sostiene come l’ordinanza di rimessione incida, sostanzialmente, su un “affidamento” del ricorrente e, in ciò, rilevando come nel caso di specie sia decorso un periodo pari a otto anni
tra la prima ordinanza di sospensione lavori e il provvedimento impugnato con il presente ricorso.
In relazione a quanto affermato da parte ricorrente va evidenziato come la sottoscrizione della Convenzione (e anche le eventuali proroghe) non possono essere poste a fondamento dell’affidamento del privato e, ciò, anche considerando come essa stessa fosse diretta a garantire l’esperimento di un servizio pubblico di fondamentale rilievo per la comunità in cui incide.
Di qui anche laddove risultino provate le successive proroghe della Convenzione di cui si tratta è indubitabile che esse nulla attengano all’abuso edilizio contestato. Sul punto va comunque rilevato come appaia verosimile la tesi del Comune, laddove evidenzia come dette proroghe erano finalizzate all’individuazione di quella soluzione alternativa che avrebbe permesso all’Amministrazione di impedire una qualunque interruzione del servizio così gestito.
Deve essere rilevato, infatti, come il potere dell’Amministrazione di perseguire gli abusi edilizi, sia l’espressione di un potere generale a tutela della collettività di cui all’art. 27 del Dpr 380/2001 e, in quanto tale, impegna in qualunque tempo l’Amministrazione nel perseguire gli abusi riscontrati e, ciò, a prescindere o meno dall’esistenza di rapporti negoziali con le parti coinvolte.
Come insegna un costante orientamento al quale questo Collegio ritiene di aderire (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 7 maggio 2012, n. 828) “la repressione degli abusi edilizi costituisce un obbligo per l'Amministrazione, non residuando in capo alla medesima alcuna discrezionalità a fronte dell'accertamento della violazione delle relative norme. Pertanto, il provvedimento di demolizione non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione del medesimo con gli interessi privati coinvolti, né una motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendosi neppure ammettere l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione della situazione di fatto abusiva, in quanto la medesima non è suscettibile di legittimazione in ragione del trascorrere del tempo (si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592)”.
3. Per un ulteriore orientamento giurisprudenziale, in assenza di un’inerzia che abbia fatto insorgere un effettivo affidamento del privato, l’ordine di demolizione non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi pubblici coinvolti. Il presupposto per l’adozione dell’ordinanza di demolizione è costituito soltanto dalla constata esecuzione dell’opera in difformità del titolo abilitativo od in carenza dello stesso, con la conseguenza che, ove ricorrano tali requisiti il provvedimento è sufficiente motivato (Tar Umbria n. 197 del 30/05/2012)".
Nel caso di accordi transattivi col comune, subordinati a una variante urbanistica, non necessariamente la giurisdizione spetta al TAR
La sentenza del TAR Veneto n. 1556 del 2012 si occupa di accordi con il Comune e di giurisdizione.
Tra un privato e il comune erano state scambiate proposte transattive di varie questioni pendenti, subordinate alla approvazione da parte del comune di una variante urbanistica e si discuteva se l'accordo transattivo fosse stato concluso oppure no.
Il TAR Veneto ha ritenuto di non avere giurisdizione in merito, non tanto per il profilo riguardante la conclusione oppure no del contratto, ma perchè, anche se l'accordo fosse stato raggiunto, da esso sarebbero derivati solo obblighi civilistici, sia pure condizionati dalla approvazione di una variante urbanistica.
Secondo il TAR, tale accordo non rientra tra i casi nei quali è prevista la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 133 co. 1 lett. a n. 2 c.p.a., spettando la stessa al giudice ordinario.
Approvata la riforma della professione forense
Nella seduta del 21 dicembre 2012 il Senato ha approvato la legge di riforma della professione di avvocato.
Pubblichiamo un testo non ufficiale, elaborata dal Consiglio Nazionale Forense.
Uno sconosciuto di nome PAI si aggira per il Veneto – 2
Pubblichiamo la seconda parte dello studio della dott.sa Giada Scuccato sul PAI, riguardante i rapporti tra il PAI, gli strumenti urbanistici e i titoli abilitativi edilizi.
La prima parte è stata pubblicata il 21 dicembre 2012.
Buon Natale
Venetoius e i suoi collaboratori augurano buon Natale a tutti i lettori.
Uno sconosciuto di nome PAI si aggira per il Veneto – 1
Pubblichiamo uno studio della dott.sa Giada Scuccato sul PAI (Piano stralcio per l'Assetto Idrogeografico), piano che risulta sconosciuto alla maggior parte degli operatori.
Per intuire l'importanza del PAI basta segnalare che l'articolo 8, comma 1, delle Norme di Attuazione del PAI dei bacini idrografici dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Piave e Brenta-Bacchiglione (approvato con la delibera n. 3 del 9 novembre 2012 del Comitato istituzionale) stabilisce che: "Le Amministrazioni comunali non possono rilasciare concessioni, autorizzazioni, permessi di costruire od equivalenti, previsti dalle norme vigenti, in contrasto con il Piano".
Questo primo studio riguarda la storia e le procedure di formazione del PAI.
Seguirà un successivo studio sui rapporti tra il PAI, gli strumenti urbanistici e i titoli abilitativi edilizi.
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