In Italia il riconoscimento delle unioni civili viene spinto dai comuni

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Pubblichiamo la deliberazione consiliare n. 30 del 26 luglio 2012 del Comune di Milano, con la quale è stato approvato il regolamento per il riconoscimento delle unioni civili, eterosessuali o omosessuali.

Sembra, dunque, che in Italia siano i comuni a spingere sul tema del riconoscimento dei diritti civili.

L'articolo 3 del regolamento disciplina il rilascio dell'attestato di unione civile basata su vincoli affettivi.

Segnaliamo i commi 2 e 3 dell'articolo 2

“2. Il Comune provvede, attraverso singoli atti e disposizioni degli Assessorati e degli Uffici competenti, a tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l'integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio.
3. Le aree tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono:
a) casa;
b) sanità e servizi sociali;
c) giovani, genitori e anziani;
d) sport e tempo libero;
e) formazione, scuola e servizi educativi;
f) diritti e partecipazione;
g) trasporti.

Il proprietario dell’immobile che non impedisce a un terzo la commissione dell’abuso edilizio risponde penalmente dell’abuso

20 Set 2012
20 Settembre 2012

Lo dice la sentenza n. 33540 del 2012 della Corte di Cassazione penale.

La Corte ravvisa il fondamento della responsabilità nell'art. 40 del codice penale, il quale stabilisce che: "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo". Secondo la Corte tale articolo deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Scrive la Corte di Cassazione: "In questo senso la sentenza sembra richiamare l'indirizzo inizialmente (ed a lungo) sostenuto dalla Corte secondo cui in tema di reati edilizi, non può essere attribuito ad un soggetto, per il mero fatto di essere proprietario dell'area, un dovere di controllo, dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva, prescindendo dalla concreta situazione in cui venne svolta l'attività incriminata, cioè senza identificare, in relazione alla specifica situazione di fatto, il comportamento positivo o negativo posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto ad elemento integrativo della colpa. In relazione a tale orientamento coerentemente si è ritenuto che il proprietario risponde dei relativi reati non in quanto tale, ma solo se abbia la disponibilità dell'immobile ed abbia dato incarico dei lavori o li abbia eseguiti personalmente; mentre se l'incarico sia stato dato da altro proprietario o da altro detentore, non può essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se abbia espresso adesione alla realizzazione dell'opera." (Sez. Ili n. 859 del 7/9/2000, ric. Cutaia ed altro, rv. 216945). Tale indirizzo è stato, tuttavia, successivamente rivisitato. Si è puntualizzato, infatti, che nel caso in cui il proprietario sia consapevole che sul suo terreno sia eseguita da un terzo una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne astenga, pone in essere una condotta omissiva che condiziona, rendendola possibile, la realizzazione della predetta opera abusiva che è, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione della quale egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al primo comma dell'art. 40 cod. pen.. Si è aggiunto poi che anche il secondo comma del succitato art. 40 cod. pen., per il quale "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo", deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'art. 41, comma 2, Cost, sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria ne' consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi.. " (Sez 3 n. 12163, 12/7/1999 rv. 215078).

Anche nella successiva evoluzione giurisprudenziale si continua ad insistere sulla ravvisabilità del concorso del proprietario non committente nel caso in cui costui abbia piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere da parte del coimputato o abbia prestato consenso, seppure implicito o tacito, all'attività edilizia posta in essere (Sez. 3, n. 44160 del 01/10/2003 Rv. 226589); e talora viene riaffermata per il proprietario l'esistenza dell'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzi l'evento dannoso o pericoloso, affermando il concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva, in capo al proprietario che potendo intervenire se ne astenga deliberatamente, (Sez. 3, n. 43232 del 12/11/2002 Rv. 222969; ecc) .

Non è sufficiente, dunque, sulla base di tali pronunciamenti, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori ma occorre sostanzialmente qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione. Si pone allora il problema di individuare gli elementi indizianti. Al riguardo si è precisato con motivazioni del tutto condivise dal Collegio che gli elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che questi abbia concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori, possono essere individuati, nella piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e nell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, così come dei rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, nellal eventuale presenza di quest'ultimo "in loco", nello svolgimento di attività ó\ì vigilanza dell'esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativ in sanatoria, nel regime patrimoniale dei coniugi, ovvero in tutte quelle situazioni e comportamenti positivi o negativi dai quali possano trarsi element integrativi della colpa (Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005 Rv. 231954). In altre sentenze, in linea con i rilievi del PM ricorrente, si è effettivamente precisato che può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell'opera abusiva la responsabilità anche in relazione all'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione' abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia il destinatario finale dell'opera (Sez. 3, n. 9536 dei 20/01/2004 Rv. 227403). Appare di conseguenza evidente che l'esclusione della responsabilità del proprietario non committente possa essere ritenuta solo qualora, all'esito del vaglio degli elementi di prova, si possa escludere l'interesse o il consenso di quest'ultimo dell'abuso".

SENTENZA CASSAZIONE

Quale posizione assume il comproprietario nel processo avverso la bocciatura di una DIA edilizia derivante dal mancato consenso del comproprietario all’intervento

19 Set 2012
19 Settembre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del TAR Veneto n. 1180 del 2012.

Dalla sentenza si evince che il TAR parte dal presupposto che sia corretto che il comune non consenta un intervento edilizio, se manca il consenso del comproprietario dell'immobile oggetto dell'intervento.

Nel caso in cui, poi, il richiedente bocciato presenti un ricorso al TAR, la posizione dell'altro comproprietario è quella del controinteressato, con la conseguenza che il ricorso deve essere notificato anche a lui, a pena di inammissibilità.

Il TAR precisa anche che, nel caso di omessa notifica, l'intervento volontario nel processo da parte del controinteressato pretermesso non vale a sanare la inammissibilità.

L'unica possibilità che rimane all'interessato (se l'inammissibilità è già stata dichiarata dal tribunale) è quella di presentare un altro ricorso, sempre che non siano già scaduti i termini per ricorrere (per esempio, potrebbe presentare un ricorso straordinario, che non è impedito dal principio dell'alternatività tra il ricorso giurisdizionale e quello straordinario, data la inammissibilità del ricorso al TAR).

sentenza TAR veneto 1180 del 2012

Quanto costano allo Stato, e quindi a noi cittadini, gli accertamenti medico-legali sui dipendenti assenti per malattia di Comuni, Unioni di Comuni, Province e Comunità Montane?‏ Euro 9.484.318

18 Set 2012
18 Settembre 2012

Dunque il costo è di Euro 9.484.318.

In  data  3   agosto   2012   e'   stato   emanato   il   decreto interministeriale  (interno  -   Mef)   concernente   «Modalita'   di assegnazione agli enti locali delle risorse economiche a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali  nei  confronti dei dipendenti assenti  per  la  malattia  (art.  17,  comma  5,  del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98) con allegato l'elenco degli  enti beneficiari delle quote di pertinenza, con indicazione della parte  a ciascuno spettante.

Il testo integrale  del  decreto  e  il  relativo  allegato  sono pubblicati  interamente  sul  sito  del  Ministero   dell'interno   - Dipartimento affari interni e territoriali - Direzione centrale della finanza  locale:  http://finanzalocale.interno.it//index.html nella pubblicazione del 30 agosto 2012 «Pagamento di somme per accertamenti medico-legali».

Link diretto:http://finanzalocale.interno.it//docum/comunicati/com300812all.pdf

Ai fini della scadenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio non si può dire che la piena conoscenza si abbia solo dopo avere esercitato il diritto di accesso

18 Set 2012
18 Settembre 2012

Lo precisa la sentenza del TAR Veneto n. 1179 del 2012.

Il problema è stabilire quando si formi la piena conoscenza dell'atto da impugnare (circostanza che fa scattare il termine per l'impugnazione).

La questione è rilevante per sapere, per esempio, fino a quando il confinante possa impugnare il titolo ediizio del v icino (ricordando che la più recente giurisprudenza del TAR Veneto richiede anche la dimostrazione di un interesse specifico).

Scrive il TAR: "Parte ricorrente sostiene che il decorso di detti termini sia il risultato della piena conoscenza della lesività dell’atto, lesività che sarebbe stata pienamente “percepita” solo a seguito dell’esperimento del diritto di accesso. Tesi quest’ultima sostenuta sia nel proponimento del ricorso principale sia, ancora, per quanto concerne i successivi motivi aggiunti.
A tal fine il ricorrente riporta l’orientamento giurisprudenziale in base al quale, in materia edilizia, i titoli abilitativi sono impugnabili dai controinteressati dal momento in cui si possa ritenere integrata la conoscenza da parte dei terzi dell'intervento programmato. In particolare, tale orientamento postula che le opere abbiano raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne chiara la lesività per le posizioni soggettive del confinante.
Detto orientamento giurisprudenziale deve, tuttavia, considerarsi “recessivo” rispetto a quella Giurisprudenza del Consiglio di Stato che, sempre ai fini di individuare il termine di impugnativa, ritiene comunque indispensabile verificare, nel concreto, in quale preciso momento il ricorrente abbia acquisito l’effettiva consapevolezza della lesione eventualmente manifestatasi (Consiglio di Stato sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4374).
Il termine dei lavori deve allora essere considerato una “presunzione” (peraltro “relativa”) dell’avvenuta conoscibilità della lesione ed, in quanto tale, non deve essere considerato applicabile tutte le volte che venga in rilievo sulla base di ulteriori elementi, ipotesi quest’ultima verificatasi nel caso di specie.
Dall’esame della documentazione dedotta in giudizio si desume come i Sig.ri Virginio e Gaspare Mazzocco avevano presentato un’istanza (inviata per conoscenza agli attuali controinteressati) e, in data 04/11/2011, diretta ad ottenere, da parte del Comune, la verifica delle distanze tra le costruzioni confinanti.
Il successivo 19 Marzo 2012, sempre i Sig.ri Virginio e Gaspare Mazzocco, avevano provveduto ad inviare al Comune un’analoga nota con la quale avevano reiterato la richiesta di verifica di legittimità dell’atto impugnato e, ciò, in considerazione dell’assunta violazione delle norme sulle distanze tra la stalla e l’edificio (presumibilmente in costruzione) di proprietà dei controinteressati.
L’invio di dette note dimostra come la lesività dell’opera fosse, in entrambe le date sopra ricordate, già del tutto manifesta.
2. Sul punto va inoltre ricordato come l’orientamento prevalente del Consiglio di Stato (Sez. IV, 13 Giugno 2011, n. 3583) ritiene che la nozione di “piena conoscenza…non postula necessariamente la conoscenza di tutti gli elementi, essendo sufficiente quella degli elementi essenziali quindi, l’autorità emanante, la data, il contenuto dispositivo e il suo effetto lesivo”.
Il tenore delle note inviate dalla parte ricorrente evidenzia inoltre come detta lesività costituisse oramai un dato di fatto oggettivo, in quanto strettamente correlato ad un dato ictu oculi verificabile e, in quanto tale, riconducibile alla presunta violazione delle regole sulle distanze.
3. Altresì censurabile è la tesi di parte ricorrente che vorrebbe far decorrere la piena conoscenza della “lesività” o dall’ultimazione dei lavori o, ancora, dall’acquisizione della documentazione successiva alla presentazione di un istanza di accesso agli atti. Sul punto è necessario ricordare quanto affermato da un’altrettanto recente Giurisprudenza nella parte ha sancito che..” la piena conoscenza del provvedimento causativo…non può ritenersi operante oltre ogni limite temporale ed in base ad elementi puramente esteriori, formali o estemporanei, quali ad esempio, atti d’iniziativa di parte (richieste d’accesso, istanze segnalazioni, ecc) con la conseguenza inaccettabile che l’attività dell’Amministrazione e le iniziative dei contro interessati restano soggette in definitivamente o per tempi dilatati alla possibilità di impugnazione anche quando l’interessato non si renda parte
diligente nel far valere la pretesa entro i limiti temporali assicuratigli dalla legge (Consiglio di Stato 05 Marzo 2010 n. 1298)”.
Deve pertanto concludersi nel dichiarare l’irricevibilità del ricorso per tardività della sua proposizione e ai sensi di cui all’art. 35 comma 1 lett. A) e, ciò, per quanto attiene i Sig. Virginio e Gaspare Mazzocco".

sentenza TAR Veneto 1179 del 2012

Note sulla decadenza del permesso di costruire

17 Set 2012
17 Settembre 2012

L’art. 15 del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380 (c.d. T.U. sull’edilizia) recita: “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.

2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.

3. La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione.

4. Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.

In passato era dibattuta la natura della decadenza del titolo edilizio correlata all’inattività dell’interessato: operava automaticamente o era necessario un provvedimento amministrativo espresso?

Parte della giurisprudenza riteneva che “La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e, pertanto, tale decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell'art. 31, l. n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d'accertamento” (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che “affinché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia ex art. 31 l. n. 1150 del 1942, occorre un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata” (Cons. Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612), con la conseguenza che “è necessaria l'adozione di un atto dell'amministrazione che, accertata la sussistenza dei presupposti della decadenza, renda operativa la perdita di efficacia della concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).

L’orientamento maggioritario riteneva invece che: “La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine. Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure" del mancato inizio dei lavori e non residuando all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 28.06.2005, n. 5370).

Attualmente la prevalente giurisprudenza ritiene che la decadenza del premesso di costruire operi ipso jure, cioè in assenza di un provvedimento espresso in quanto “la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori operava di diritto e che il provvedimento pronunciante la decadenza, ove adottato, aveva carattere meramente dichiarativo di un effetto “ex se”, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915). Anche il T.A.R. Marche, Ancona, 28.12.2009, n. 1475 afferma lo stesso principio: “, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della società concessionaria, la decadenza deve essere dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la stessa natura dichiarativa”.

In realtà non mancano alcune pronunce di segno contrario: il Consiglio di Stato, sez. V, 12.05.2011, n. 2821 reputa che “la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza”.

Recentemente il T.A.R. Veneto ha affermato la decadenza automatica del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori entro l’anno in assenza di proroga anche con riferimento all’ampliamento previsto dall’art. 9, comma 6, della L. R. 08 luglio 2009 n. 14 (c.d. Piano Casa) sancendo la “decadenza del permesso di costruire, dichiarata per mancato inizio dei lavori entro l’anno” (T.A.R. Veneto, Venezia, 01.03.2011, n. 361).

Il Consiglio di Stato ritiene che la pronuncia di “decadenza del permesso di costruire è per certo  espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l'impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore” (Cons. Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).

Con riferimento alla proroga il T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 22.05.2012, n. 874 chiarisce che: “il superamento del termine massimo previsto per l'ultimazione dei lavori è giustificato in presenza di un «factum principiss» o di forza maggiore, ossia di atti d'autorità provenienti (anche) dalla stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo o di fatti sopravvenuti non imputabili al concessionario; per essere ritenuti ammissibili, le ipotesi di sospensione o proroga connesse a «factum principiss» o a forza maggiore debbono, tuttavia, risultare non riferibili alla condotta del titolare della concessione o comunque della situazione di vantaggio. L'evento interruttivo è, infatti, imputabile al titolare del diritto nelle ipotesi in cui non si è di fronte a fatti che sfuggono con carattere di non eludibilità al suo controllo”.

Corollario di ciò è che se il soggetto richiedente il permesso di costruire presenta una istanza di proroga conforme ai requisiti previsti dall’art. 15 del T.U. dell’edilizia, l’Amministrazione deve adottare un provvedimento ad hoc in cui accerti la presenza dei requisiti legali richiesti: tale provvedimento quindi non ha natura dichiarativa ma costitutiva.

Alla luce di quanto detto si può affermare che se il soggetto richiedente il permesso di costruire - decorso il termine di ultimazione dei lavori ed in assenza di istanza di proroga - sia rimasto inerte l’Amministrazione non ha l’onere di notificare all’interessato un provvedimento che dichiari la sua decadenza; al contrario in caso di istanza di proroga l’Amministrazione ha l’obbligo di adottare un provvedimento espresso che accerti (o non accerti) la presenza dei requisiti richiesti.

dott. Matteo Acquasaliente

T.A.R. Veneto. Venezia, 01.03.2011, n. 361

Seminario sui titoli edilizi e le novità della legge 134 del 2012: Spinea 19 ottobre 2012

15 Set 2012
15 Settembre 2012

Il Comune di Spinea organizza un convegno sui titoli edilizi e le novità introdotte dalla legge 134 del 2012.

Verranno esaminati i procedimenti e il regime sanzionatorio ed analizzate le problermatiche più frequenti.

Relatori saranno l'avv. Stefano Bigolaro e l'avv. Alessandro Veronese, ai quali potranno essere anticipati i quesiti.

Alleghiamo la locandina con il modulo per l'iscrizione.

ProgrammaConSchedaIscrizione19 ottobre

Come calcolare l’oblazione per sanare un muro ex art. 36 DPR 380/2001?

14 Set 2012
14 Settembre 2012

La giurisprudenza ritiene soggetta a concessione edilizia (o permesso di costruire) l’edificazione del muro di contenimento in quanto “i muri di contenimento, invero, hanno una consistenza diversa dalle recinzioni, dalle quali si differenziano per funzione (che non è quella di delimitare, proteggere ed eventualmente abbellire la proprietà, ma, essenzialmente, di sostenere il terreno al fine di evitare movimenti franosi dello stesso) e struttura (che deve, appunto, essere idonea per consistenza e modalità costruttive ad assolvere alla funzione di contenimento). Ne consegue che mentre il muro di cinta può essere ricondotto alla categoria delle pertinenze, il muro di contenimento, destinato a contenere o sostenere esso stesso dei volumi ulteriori, invece, viene assimilato alla categoria delle costruzioni: in tal caso, infatti, il manufatto ha una funzione autonoma, dal punto di vista edilizio e da quello economico” (sentenza T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 06 aprile 2012,. n. 742).

Premesso ciò, qualora il muro di contenimento sia realizzato in assenza di D.I.A. come si calcola l’oblazione per ottenere la sua sanatoria?

La questione trova solo in parte una compiuta soluzione alla luce dell’art. 36 del D.P.R. 06 giugno 2001 n. 380 (c.d. Testo Unico dell’Edilizia).

L’art. 36 del T.U. dell’Edilizia recita: “1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.
2. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell’ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

3. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”.

L’applicazione della normativa non crea problemi allorquando l’intervento sia oneroso e sia contemplato dalla tabelle comunali degli oneri di urbanizzazione e dalle norme in tema di costo di costruzione, ovvero sia gratuito (rispetto al contributo di costruzione) ai sensi dell’art. 17, comma 3, del T.U. edilizia; al contrario sorgono degli interrogativi se l’opera non è prevista dalle tabelle comunali.

Il muro di contenimento, infatti, non determina alcun carico urbanistico: di conseguenza non potrebbero essere pretesi oneri di urbanizzazione.

Mancando allo stato attuale una disciplina organica di settore che definisca i criteri per determinare l’oblazione per la sanatoria di un muro di sostegno segnaliamo quanto affermato dalla Regione Piemonte in un recente parere: “ove opere quali sono i muri di contenimento ed altre simili strutture non siano contemplate dalle tabelle comunali in materia (per lo più, tale considerazione nelle tabelle non compare) viene in evidenza – nel silenzio della normativa regolamentare comunale – il principio secondo cui non possono essere pretesi oneri di urbanizzazione quando l’opera non determina un carico urbanistico ulteriore”.

Al contrario, ex art. 36, comma 2, T.U. edilizia, il contributo di costruzione dovrebbero essere costituito dal solo raddoppio del costo di costruzione (determinabile attraverso un computo metrico controllato dal Comune), fermo restando l’applicazione dell’art. 17, comma 3, T.U. dell’edilizia che disciplina i casi in cui tale importo non è dovuto.

Segnaliamo che questa soluzione non è da tutti condivisa.

Propongo di aprire un dibattito sul tema: voi come la pensate?

dott. Matteo Acquasaliente

parere regione piemonte - oblazione

Gestione delle acque meteoriche di dilavamento ed altre precisazioni sulle NTA del Piano di Tutela delle Acque

13 Set 2012
13 Settembre 2012

Sul BUR n. 75 del giorno 11 settembre 2012 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1770 del 28 agosto 2012, recante precisazioni al Piano di Tutela delle Acque (D.C.R. n. 107 del 5/11/2009).

Con Deliberazione n. 107 del 5 novembre 2009 il Consiglio regionale ha approvato, ai sensi dell'art. 121 del D.Lgs 152/2006, il Piano di Tutela delle Acque (PTA), e in particolare le relative Norme Tecniche di Attuazione (NTA).

Durante i primi due anni di attuazione del Piano approvato sono emerse, dal confronto con vari soggetti che si sono trovati ad applicare nella pratica le disposizioni del Piano stesso, alcune esigenze di chiarimento dei suoi contenuti e in alcuni casi di vera e propria modifica del testo del PTA. Molte delle esigenze di chiarimento hanno trovato puntuale risposta nella DGR n. 80 del 27/1/2011 "Linee guida per l'applicazione di alcune norme tecniche di attuazione del Piano di Tutela delle Acque". Per altri aspetti, è stato necessario intervenire invece con vere e proprie modifiche del testo del PTA, deliberate dalla Giunta Regionale previo parere della 7° commissione consiliare; tali modifiche hanno riguardato l'art. 32 (DGR n. 145 del 15/2/2011), gli artt. 11 e 40 (DGR n. 1580 del 4/10/2011) e infine, in risposta a richieste di alcune Province, associazioni di categoria ed altri soggetti e anche a seguito di modifiche della normativa nazionale, vari articoli del Piano (DGR n. 842 del 15/5/2012).

Tuttavia, per alcuni aspetti, sono state recentemente richieste ulteriori precisazioni, che rendano il dispositivo delle NTA maggiormente efficace e applicabile omogeneamente sul territorio regionale. In particolare, è stata evidenziata la necessità di una più precisa definizione degli obblighi a cui sono soggette le aziende, ad esempio in materia di gestione delle acque meteoriche di dilavamento.

E' stato pertanto necessario stabilire alcune linee guida, senza peraltro pregiudicare la possibilità di raggiungimento degli obiettivi ambientali, fissati dalla Direttiva 2000/60 e dal D.Lgs 152/2006, entro il 2015.

DGRV 1170 del 2012

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Pubblicate sul BURV le modalità operative per la gestione dei rifiuti da attivita’ di costruzione e demolizione

12 Set 2012
12 Settembre 2012

Sul BUR n. 75 del giorno 11 settembre 2012 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale n. 1773 del 28 agosto 2012, recante "Modalità operative per la gestione dei rifiuti da attivita' di costruzione e demolizione. D.lgs. 03.04.2006 e s.m.i., n. 152; L.R. 3/2000".

La deliberazione fornisce un insieme di indicazioni operative per una migliore gestione delle problematiche legate alla produzione e alla gestione dei rifiuti nel settore delle costruzioni e demolizione sia nel luogo di produzione, sia negli impianti in cui questi vengono trasformati in nuovi prodotti.

DGRV 1173 del 2012

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