Anche le sanzioni pecuniarie in materia edilizia si prescrivono in 5 anni: ma da quando?

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

Segnaliamo la interessante sentenza del TAR Veneto n. 1001 in materia di sanzioni amministrative pecuniarie in edilizia.

Scrive il TAR: "il Collegio ritiene fondata l’eccezione d’intervenuta prescrizione quinquennale del diritto del Comune alla riscossione della sanzione pecuniaria in discorso, ai sensi dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Orbene, secondo la prospettazione (in via subordinata) della ricorrente, siccome dal 22 febbraio 2000, data del primo atto interruttivo della prescrizione (primo atto irrogativo della sanzione pecuniaria), al 13 marzo 2009 (secondo atto irrogativo della sanzione pecuniaria), sono decorsi più di cinque anni, il diritto dell'amministrazione resistente a riscuotere la sanzione si sarebbe prescritto ai sensi dell'art. 28 della legge n. 689/1981. L'Amministrazione comunale ha controdedotto alla predetta eccezione di prescrizione affermando la natura imprescrittibile dell'illecito edilizio in considerazione della sua natura permanente e la conseguente possibilità di esercitare il potere repressivo senza limiti di tempo. Va innanzitutto ricordato come secondo il costante orientamento della giurisprudenza sia applicabile alle sanzioni edilizie il principio di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981, a norma del quale "il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione".; trattandosi di disposizione applicabile, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689/1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria. Nell'applicare tale regola, tuttavia, con riguardo all'individuazione del dies a quo della decorrenza della prescrizione, occorre tener conto della particolare natura degli illeciti amministrativi in materia urbanistica, edilizia e paesistica, i quali, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni. Conseguentemente, per la decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, trova applicazione il principio relativo al reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (cfr. Cons. Stato, IV, 16.4.2010, n. 2160; Cons. Stato, V, 13.7. 2006, n. 4420; Cons. Stato, IV, 2.6.2000, n. 3184). Più in particolare, dal carattere permanente degli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica ne deriva che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto "a distanza di tempo" dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica ancora sussistente. Conseguentemente, nel campo dell'illecito amministrativo la permanenza cessa e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere o con l'irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell'autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (cfr. Cons. Stato, Ad. Gen., 11.4. 2002, n. 4; Cons. Stato, VI, 12.5. 2003, n. 2653). Alla luce dei richiamati principi deve, pertanto, essere accolta l'eccezione di prescrizione sollevata dalla ricorrente.  Ed infatti, nel caso di specie, la permanenza dell’illecito è cessata nel momento in cui il Comune, con l’ordinanza del 22 febbraio 2000, ha irrogato la sanzione pecuniaria (alternativa alla demolizione) in relazione agli abusi ritenuti non sanabili; dunque, da tale momento ha cominciato a decorrere il termine prescrizionale di cui all'art. 28 della legge n. 689/1981. In particolare, poi, l’ordinanza del 18 aprile 2000, con cui il Comune si è limitato a sospendere il termine di pagamento della sanzione pecuniaria  irrogata, non vale ad intaccare l’intervenuto perfezionamento della fattispecie legale complessa, costituita dall’accertamento dell’abuso nella sua materialità e dalla conclusione dello specifico subprocedimento che termina con l’irrogazione della sanzione, fattispecie alla quale, alla luce di quanto sopra esposto è riconnessa la cessazione dell’illecito e l’inizio della decorrenza della prescrizione. Ed infatti, una volta irrogata la sanzione con l’ordinanza del 22 febbraio 2000, spettava al Comune di procedere alla riscossione della somma così liquidata; tuttavia il Comune, per sua libera scelta, ha ritenuto di sospendere sine die il termine di pagamento essendo “necessario un aggiornamento di quanto precedentemente determinato”. A questo punto, tuttavia, l’omessa rideterminazione del credito costituisce un’inerzia dell’amministrazione di cui essa subisce gli effetti, senza che possa valere a sospendere il decorso della prescrizione nei confronti dell'odierna ricorrente. Tale inerzia, infatti, è collocabile nella fase della riscossione della somma dovuta, essendo conclusa la fase della irrogazione della sanzione, rimanendo quest’ultima, non emendata e sospesa solo quanto al termine di pagamento. Ne deriva che la seconda ordinanza di pagamento del 13 marzo 2009, con la quale è stata anche annullata l’ordinanza di pagamento del 22 febbraio 2000, è stata emessa ben oltre l’intervenuta estinzione del diritto dell’amministrazione a riscuotere la sanzione pecuniaria. Per tali ragioni il ricorso deve, quindi, essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto n. 1001 del 2014

Il Consiglio di Stato sembra aver posto fine alla querelle sugli oneri specifici

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 18 luglio 2014 n. 3864, conferma quanto già ribadito nel post del 03 luglio 2014, ovvero che l’obbligo di indicare gli oneri specifici per la sicurezza a pena di esclusione c’è soltanto negli appalti di servizi e/o forniture e non negli appalti di lavori e/o nelle concessioni di servizi.

A tal proposito si legge che: “5.– L’art. 86-comma 3-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che: «nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture».

L’art. 87 dello stesso decreto legislativo dispone, al comma 4, che: «nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture».

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che, alla luce di quanto disposto dalle norme sopra riportate, per gli appalti di lavori le stazioni appaltanti sono tenute a verificare gli oneri per la sicurezza nella sola fase di verifica dell’anomalia dell’offerta. Non è, pertanto, necessario indicare nell’offerta i costi per la sicurezza aziendale (in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3056).

5.1.– L’art. 30 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che le concessioni di servizi sono sottratte alla puntuale disciplina del diritto comunitario e del codice dei contratti pubblici e che ad esse si applicano i principi desumibili dal Trattato e i principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, i principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità, previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.

I costi sostenuti per la sicurezza non possono farsi rientrare tra i principi generali a tutela della concorrenza, in quanto perseguono la diversa finalità di tutela dei lavoratori e vengono in rilievo, come sopra rilevato, nella fase di verifica dell’anomalia dell’offerta.

Del resto, se la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha escluso che sussiste finanche per i contratti di appalto di lavori disciplinati dal Codice l’obbligo di indicare nell’offerta gli oneri di sicurezza, non potrebbe sostenersi, come ha fatto il primo giudice, che tale obbligo trovi applicazione per le concessioni di servizi”.

dott. Matteo Acquasaliente

Cds n. 3864 del 2014

Prime linee guida per l’avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l’attuazione della trasparenza amministrativa

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

MINISTERO DELL'INTERNO

PROTOCOLLO DI INTESA 15 luglio 2014 

Prime linee guida per l'avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali per la prevenzione dei fenomeni di corruzione e l'attuazione della trasparenza amministrativa. (14A05669) (GU Serie Generale n.165 del 18-7-2014) 

Prime linee guida per l'avvio di un circuito collaborativo tra ANAC-Prefetture-UTG e Enti locali

geom. Daniele Iselle

D. LGT. 102/2014: Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica

22 Lug 2014
22 Luglio 2014

DECRETO LEGISLATIVO 4 luglio 2014, n. 102 

Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. (14G00113) (GU Serie Generale n.165 del 18-7-2014)

Entrata in vigore del provvedimento: 19/07/2014 

Art. 14 Servizi energetici ed altre misure per promuovere l'efficienza energetica 1. I contratti di prestazione energetica stipulati dalla pubblica amministrazione contengono gli elementi minimi di cui all'allegato 8 al presente decreto. 2. All'articolo 4, comma 1 dell'allegato 2 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n 115, dopo la lettera a) e' aggiunta la seguente: «aa) per la prima stipula contrattuale, la riduzione stimata dell'indice di energia primaria per la climatizzazione invernale di almeno il 5 per cento rispetto al corrispondente indice riportato sull'attestato di prestazione energetica, nei tempi concordati tra le parti e, comunque, non oltre il primo anno di vigenza contrattuale;». 3. Le Regioni e le Province Autonome forniscono assistenza tecnica alle pubbliche amministrazioni nella stesura dei contratti di rendimento energetico e rendono disponibili al pubblico informazioni sulle migliori pratiche disponibili nell'attuazione dei suddetti contratti anche con il supporto di ENEA. 4. L'ENEA, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, in collaborazione con le Regioni, integra il contratto-tipo per il miglioramento del rendimento energetico dell'edificio di cui all'articolo 4-ter, comma 3, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, con gli elementi minimi di cui all'allegato 8. 5. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, il Ministro delle infrastrutture e trasporti e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, d'intesa con la Conferenza unificata, sono approvate entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, linee guida per semplificare ed armonizzare le procedure autorizzative per l'installazione in ambito residenziale e terziario di impianti o dispositivi tecnologici per l'efficienza energetica e per lo sfruttamento delle fonti rinnovabili nonche' per armonizzare le regole sulla attestazione della prestazione energetica degli edifici, i requisiti dei certificatori e il sistema dei controlli e delle sanzioni. Tali linee guida sono finalizzate, in particolare, a favorire: a) la gestione delle procedure autorizzative attraverso portali on-line accessibili da cittadini ed imprese e contenenti altresi' informazioni su vincoli emergenti dalla pianificazione urbanistica territoriale; b) uniformita' e snellimento della documentazione a supporto delle richieste autorizzative; c) applicazione di costi amministrativi o d'istruttoria massimi, tali da non scoraggiare l'installazione di tecnologie efficienti. 6. Nel caso di edifici di nuova costruzione, con una riduzione minima del 20 per cento dell'indice di prestazione energetica previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, lo spessore delle murature esterne, delle tamponature o dei muri portanti, dei solai intermedi e di chiusura superiori ed inferiori, eccedente ai 30 centimetri, fino ad un massimo di ulteriori 30 centimetri per tutte le strutture che racchiudono il volume riscaldato, e fino ad un massimo di 15 centimetri per quelli orizzontali intermedi, non sono considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle altezze, delle superfici e nei rapporti di copertura. Nel rispetto dei predetti limiti e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta', alle distanze minime di protezione del nastro stradale e ferroviario, nonche' alle altezze massime degli edifici. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile. 7. Nel caso di interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti che comportino maggiori spessori delle murature esterne e degli elementi di chiusura superiori ed inferiori necessari ad ottenere una riduzione minima del 10 per cento dei limiti di trasmittanza previsti dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, e successive modificazioni, certificata con le modalita' di cui al medesimo decreto legislativo, e' permesso derogare, nell'ambito delle pertinenti procedure di rilascio dei titoli abitativi di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a quanto previsto dalle normative nazionali, regionali o dai regolamenti edilizi comunali, in merito alle distanze minime tra edifici, alle distanze minime dai confini di proprieta' e alle distanze minime di protezione del nastro stradale, nella misura massima di 25 centimetri per il maggiore spessore delle pareti verticali esterne, nonche' alle altezze massime degli edifici, nella misura massima di 30 centimetri, per il maggior spessore degli elementi di copertura. La deroga puo' essere esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti. Le deroghe vanno esercitate nel rispetto delle distanze minime riportate nel codice civile.  8. Al comma 9-bis, dell'articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni, dopo la lettera c) sono aggiunte le seguenti: «d) si procede alle ristrutturazioni di impianti termici individuali gia' esistenti, siti in stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano gia' di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto dell'edificio, funzionali e idonei o comunque adeguabili alla applicazione di apparecchi a condensazione; e) vengono installati uno o piu' generatori ibridi compatti, composti almeno da una caldaia a condensazione a gas e da una pompa di calore e dotati di specifica certificazione di prodotto.» 9. II comma 9-ter, dell'articolo 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni, e' sostituito da seguente: «9-ter. Per accedere alle deroghe previste al comma 9-bis, e' obbligatorio: i. nei casi di cui alla lettera a), installare generatori di calore a gas a camera stagna il cui rendimento sia superiore a quello previsto all'articolo 4, comma 6, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica, del 2 aprile 2009, n. 59; ii. nei casi di cui alle lettere b), c), e d), installare generatori di calore a gas a condensazione i cui prodotti della combustione abbiano emissioni medie ponderate di ossidi di azoto non superiori a 70 mg/kWh, misurate secondo le norme di prodotto vigenti; iii. nel caso di cui alla lettera e), installare generatori di calore a gas a condensazione i cui prodotti della combustione abbiano emissioni medie ponderate di ossidi di azoto non superiori a 70 mg/kWh, misurate secondo le norme di prodotto vigenti, e pompe di calore il cui rendimento sia superiore a quello previsto all'articolo 4, comma 6, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica, del 2 aprile 2009, n. 59; iv. in tutti i casi, posizionare i terminali di scarico in conformita' alla vigente norma tecnica UNI7129 e successive modifiche e integrazioni.». 10. I provvedimenti di cui all'articolo 4, comma 1 e all'articolo 6, comma 12 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 sono adottati entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, favorendo l'applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale di regole semplici per la valutazione della prestazione energetica e l'attestazione della prestazione energetica degli edifici. 11. Ai progetti di efficienza energetica di grandi dimensioni, non inferiori a 35.000 TEP/anno, il cui periodo di riconoscimento dei certificati bianchi termini entro il 2014, e' prorogata la durata degli incentivi per i soli anni 2015 e 2016, a fronte di progetti definiti dallo stesso proponente e previa verifica tesa a valutare in maniera stringente le reali peculiarita' dei progetti e purche' i progetti stessi siano in grado di produrre nuovi risparmi di energia in misura complessivamente equivalente alla soglia minima annua indicata, siano concretamente avviati entro il 31 dicembre 2015 e rispondano a criteri di: collegamento funzionale a nuovi investimenti in impianti energeticamente efficienti installati nel medesimo sito industriale; efficientamento energetico di impianti collegati alla medesima filiera produttiva, anche in siti diversi, avviati nella medesima data; risanamento ambientale nei siti di interesse nazionale di cui all'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; salvaguardia dell'occupazione. 12. E' fatto divieto ai distributori di energia, ai gestori dei sistemi di distribuzione e alle societa' di vendita di energia al dettaglio, di tenere comportamenti volti ad ostacolare lo sviluppo del mercato dei servizi energetici e ad impedire la richiesta e la prestazione di servizi energetici o altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica, compresa la preclusione dell'accesso al mercato per i concorrenti o l'abuso di posizione dominante. 
geom. Daniele Iselle
D_LGT_102-2014

Quando l’omissione dell’avviso di avvio del procedimento rende illegittimo il provvedimento finale

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Anche di questa questione si occupa la sentenza del Consiglio di Stato n.  3508 del 2014.

Si legge nella sentenza: "la giurisprudenza ha sempre affermato che la violazione dell'art. 7, l. n. 241 del 1990 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione essere interpretata alla luce del successivo art. 21 octies, comma 2, che impone al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento, e quindi di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo.

Il privato pertanto non può limitarsi a dolersi della mera circostanza della mancata comunicazione di avvio, ma deve anche indicare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione. Ne consegue che, ove il privato si limiti a contestare la mancata comunicazione di avvio, senza nemmeno allegare le circostanze che intendeva sottoporre all'amministrazione, il motivo con cui si lamenta la mancata comunicazione deve intendersi inammissibile per assoluta genericità (cfr Consiglio Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786; idem sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307).
Nel caso poi, il Comune aveva più volte rappresentato alla società ricorrente l’esigenza di produrre un titolo idoneo a provare i proprio diritti reali sull’accesso sia nel 2007 che nel 2008, per cui nella specie non può riscontrarsi alcun difetto sostanziale di contraddittorio".

Dario Meneguzzo - avvocato

CdS n. 3508 del 2014

Per il Consiglio di Stato non si può rilasciare il permesso di costruire se il fondo è intercluso

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

In data 18 luglio abbiamo pubblicato un post relativo alla possibilità di rilasciare un titolo edilizio per un fondo intercluso.

Nel post si dava conto della sentenza del TAR Veneto n.  37 del 2011 sul tema.

L'avv. Paola Mistrorigo, che sentitamente ringraziamo, ci ha segnalato la sentenza del Consiglio di Stato n.  3508 del 2014, che ha riformato la suddetta sentenza del TAR Veneto.

Si legge nella sentenza: "In linea teorica è esatto il richiamo della sentenza appellata all’orientamento giurisprudenziale per cui il rilascio del permesso di costruire avviene nell'ambito del rapporto pubblicistico, e non si estende ai rapporti tra privati, in quanto la lesione di diritti dei terzi non discende direttamente dal rilascio del titolo, ma solo dalla fisica realizzazione dell’opera contro la quale può chiedersi tutela davanti al giudice civile (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332). 

In quanto atto amministrativo che legittima l'attività edilizia nell'ordinamento pubblicistico, il permesso non attribuisce però alcun diritto soggettivo alla stregua del diritto comune a favore di tale soggetto. La rilevanza giuridica della licenza edilizia va circoscritta infatti ai rapporti tra p.a. e costruttore ed ai possibili riflessi sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi, ma comunque presuppone pur sempre il necessario ed ineludibile possesso dei titoli proprietari da parte del richiedente .
Il primo comma dell’art. 11, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, infatti, prevede espressamente che il permesso di costruire è “rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”. La legge specificamente impone, tra i requisiti di legittimazione, il possesso dei titoli reali per poter intervenire sull'immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia (cfr. Consiglio Stato , sez. V, 07 settembre 2009 , n. 5223; Consiglio Stato, sez. IV, 7 settembre 2007 n.4703; idem 7 luglio 2005 n.3730).
Certamente deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell'immobile,ovvero a ricercare le limitazioni negoziali al diritto di costruire (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6332).
Tuttavia, secondo le regole generali, l'Amministrazione comunale, nel corso dell'istruttoria sul rilascio del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 6, I° co. lett. a) della L. n. 241/1990 e s.m.i. deve verificare “…le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti …” per l’adozione del provvedimento finale.
La proprietà, o comunque il possesso dei titoli civilisticamente idonei a legittimare la situazione giuridica del richiedente, per tutte le aree direttamente interessate dall’intervento, costituisce dunque un requisito di legittimazione dell’istanza che deve essere procedimentalmente dimostrato ai fini dell’ammissibilità stessa della domanda.
I titoli per l'esercizio dello "ius aedificandi" costituiscono un presupposto legale la cui mancanza impedisce infatti all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 12 maggio 2003, n. 2506).
Nel caso, quindi, l’interclusione del fondo oggetto della richiesta di intervento non attiene ai generici rapporti civilistici del richiedente con i terzi alle quali l’amministrazione è del tutto estranea -- come erroneamente affermato dal TAR -- ma invece concerne propriamente un presupposto necessario di legittimazione della società richiedente, ai sensi del cit. art. 11. primo co. del d.lgs. n.380, la quale avrebbe quindi dovuto allegare all’istanza tutti i titoli di servitù di transito veicolare sulla proprietà altrui.
Il difetto del possesso dei titoli reali relativi ai diritti di passaggio veicolare attraverso il cortile altrui costituisce un elemento procedimentalmente ostativo, per il quale legittimamente si nega il rilascio del permesso di costruire". 

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3508 del 2014

Ancora sulle opere di miglioramento fondiario e sulla compatibilità paesaggistica

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

In data 16 luglio 2014 abbiamo pubblicato un post relativo alla  possibilità di ottenere la compatibilità paesaggistica per le opere di miglioramento fondiario.

Il geom. Bottone Marcellino di Piedimonte Matese (CE), che sentitamente ringraziamo, ci invia un suo contributo sul tema, che pubblichiamo in allegato.

In ogni caso, va tenuto presente che la giurisprudenza ritiene che i concetti di volume e di superficie ai fini paesaggistici non coincidano con quelli che si usano in edilizia, ma siano più ampi.

Contributo

 

Quando la morte dell’avvocato determina l’interruzione del processo?

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 16 luglio 2014 n. 1033 si occupa della interruzione e della riassunzione del processo ammnistrativo affermando che il deposito in giudizio del certificato di morte dell’avvocato che difendeva una parte non determina automaticamente l’interruzione del processo, perché l’evento deve essere portato a conoscenza delle altre parti con una dichiarazione in udienza o con una notificazione: “L’eccezione di estinzione del giudizio deve essere respinta.

La tesi secondo la quale il termine per la riassunzione del giudizio a cura della parte più diligente di cui all’art. 80 cod. proc. amm., decorerebbe dalla data del 23 maggio 2013, quando il difensore del Comune di Schio ha depositato in giudizio il certificato di morte dell’avv. Franco Pasquariello, unico difensore della parte controinteressata, non può essere condivisa.

Infatti il deposito di documenti presso la Segreteria della Sezione non comporta forme di avviso tali da rendere le parti edotte del tipo di documentazione depositata e pertanto il mero deposito del certificato di morte non vale ad integrare una idonea comunicazione dell'evento interruttivo alle altre parti, rispetto alle quali non è neppure configurabile in via generale un onere di verifica periodica del contenuto del fascicolo processuale (cfr. in termini Consiglio di Stato Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1954; Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1906; Consiglio di Stato, Sez. IV 30 marzo 1987, n. 199), che nel caso di specie non è avvenuto.

Ne consegue che non si è verificata l’estinzione del giudizio perché il termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo di cui al’art. 80 comma 3, cod. proc. amm., non ha cominciato a decorrere, dato che l'effetto interruttivo del processo non è frutto di un automatismo, ma è il prodotto di una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell'evento e dalla conoscenza di esso acquisita mediante dichiarazione in udienza o notificazione (Consiglio di Stato, Ad. Plen, 10 ottobre 1983, n. 24; Corte Costituzionale sentenze n. 36 del 1976, n. 159 del 1971, n. 34 del 1970 e n. 139 del 1967).

Anche l’istanza formulata nel corso della trattazione orale dai difensori del Comune di Schio e della controinteressata di dichiarare l’interruzione del processo non può essere accolta.

Infatti la controinteressata, che è la parte colpita dall’evento interruttivo, si è costituita in giudizio con un nuovo difensore con memoria del 7 maggio 2014, e la costituzione del nuovo difensore, qualora avvenga con procura rilasciata prima dell’udienza già fissata (nel caso di specie l’istanza di fissazione udienza è stata presentata dal ricorrente il 20 febbraio 2013), deve ritenersi sufficiente, anche dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, ai fini della prosecuzione del processo (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen, 10 ottobre 1983, n. 24; Tar Sicilia, Palermo, 26 gennaio 1988 n. 53; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 novembre 1997 n. 1599).

Pertanto non deve essere disposta l’interruzione del processo”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1033 del 2014

Ecco perché il G.A. può disapplicare le norme regolamentari

21 Lug 2014
21 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 14 luglio 2014 n. 3623 conferma il potere del Giudice Amministrativo di disapplicare le norme regolamentari statuendo che: “7.1. Il Collegio osserva preliminarmente che il potere di disapplicazione degli atti regolamentari è principio da lungo tempo recepito dal giudice amministrativo.

“Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti in termini di palese contrapposizione con il disposto legislativo primario, cui dovrebbe dare esecuzione” (Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535).

“Il giudice amministrativo, in applicazione del principio della gerarchia delle fonti, può valutare direttamente, attraverso lo strumento della disapplicazione del regolamento, il contrasto tra provvedimento e legge, eventualmente annullando il provvedimento a prescindere dell’impugnazione congiunta del regolamento” (Cons. Stato, sez. VI, 3ottobre 2007, n. 5098).

“Al giudice amministrativo è consentito disapplicare, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo, la norma secondaria di regolamento, qualora essa contrasti con il disposto legislativo primario, del quale è intesa a dare esecuzione” (Cons. di Stato, sez. VI, 12 aprile 2000, n. 2183).

7.2. Ciò premesso il Collegio ritiene di dover ancora preliminarmente osservare che l’istituto della disapplicazione di una norma regolamentare, per la sua intima struttura, non richiede che siano evocate in giudizio le autorità che quel regolamento hanno adottato, perché quell’atto, dopo la pronuncia del giudice, conserva la sua efficacia nell’ordinamento giuridico; la notificazione del ricorso è indispensabile allorquando la pronuncia del giudice elimini dall’ordinamento gli atti impugnati, perché l’autorità emanante ha l’interesse, tutelato dall’art. 24 della Costituzione, alla loro conservazione.

7.3. L’eccezione relativa all’omessa notificazione a tutte le autorità che hanno partecipato alla formazione del Regolamento per la circolazione acquea del Comune di Venezia, a parte le osservazioni dell’appellante, resta superata ove il giudice degradi la richiesta di annullamento a richiesta di disapplicazione, che, come evidenziato al paragrafo precedente, non richiede l’evocazione in giudizio delle autorità emananti.

7.4. La disapplicazione è operazione ermeneutica che può essere compiuta anche d’ufficio dal giudice e, pertanto, non richiede apposita richiesta da parte del ricorrente.

7.5. La deduzione dell’appellato, circa l’impossibilità di operare la disapplicazione del regolamento in assenza di apposita indicazione, così come previsto dall’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm., nel caso di specie è irrilevante perché alla questione di diritto ha fatto esplicito riferimento l’appellante nel ricorso in appello: si tratta, quindi, di questione già sottoposta al contraddittorio delle parti, non già rilevata d’ufficio dal giudice.

7.6. Il Collegio osserva preliminarmente che, in sede d’appello, possono esser denunziati, con pertinenti censure, tutti i vizi, che l’appellante ritiene di individuare nella sentenza appellata.

In questa prospettiva l’appellante non può esser privato del bene della vita cui aspira se il giudice di primo grado abbia scelto di adottare una sentenza in forma semplificata, senza pronunciare sulla possibile disapplicazione del regolamento.

Poiché la disapplicazione attiene all’interpretazione delle norme che disciplinano il rapporto controverso, può essere disposta d’ufficio e, quindi, per la prima volta in grado d’appello”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3623 del 2014

Lo spunto del sabato: la sottile differenza tra vincere e perdere

19 Lug 2014
19 Luglio 2014

Novella degli scacchi (1941) è l'ultimo racconto scritto da Stefan Zweig prima del suo suicidio, avvenuto il 22 febbraio 1942.

La novella racconta la storia di un viaggio in nave durante il quale Mirko Czentovič, il campione mondiale degli scacchi, incontra il misterioso dottor B., altrettanto bravo, che lo sfida a scacchi.

Alla fine uno dei due vince (non dico quale, per non rovinare la lettura): egli vince, però, non perchè sia il più bravo a giocare a scacchi, ma perchè riesce a fare perdere la pazienza all'avversario, che così commette un errore fatale.

Dedicato a quelli che pensano di sapere tutto.

Dario Meneguzzo - uno dei tanti

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