Quando viene presentata una DIA/SCIA il Comune non può creare risposte diverse dal “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia

14 Lug 2014
14 Luglio 2014

L'opportuno insegnamento è contenuto nella sentenza del TAR Veneto n. 760 del 2014. Il Comune, infatti aveva disposto la "sospensione" dell'atto, concedendo un termine per eventuali integrazioni e preannunciando eventuali futuri dinieghi.

Il TAR censura il Comune: "Il ricorso deduce il seguente primo motivo, che il Collegio ritiene fondato e assorbente: 1) Violazione dell’art. 23, comma 6, del t.u. approvato con d.P.R. 06.06.2001, n. 380. Violazione dei principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi; nell’assunto che tutti gli atti emessi dal Comune di Arcugnano sarebbero stati emessi in violazione del “modello legale” disciplinato dall’art. 23, comma 6, del t.u. dell’edilizia. Osserva il Collegio che la norma richiamata in effetti dispone che : “6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni  necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. “ Il tenore letterale della legge è chiarissimo e non lascia spazio ad ambiguità interpretative di sorta: l’unico provvedimento che l’Amministrazione può (e deve) assumere a seguito della presentazione di una d.i.a., allorché ritenga che non sussistano le condizioni per l’esecuzione dei lavori, è l’“ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”, che deve intervenire entro il termine di legge dei 30 giorni e che, ovviamente, non preclude la facoltà della parte di ripresentare la DIA, modificata o integrata anche nel modo eventualmente suggerito dal Comune. Invece l’atto del 27.2.2014, nonostante gli erculei sforzi “interpretativi” della difesa comunale, non può essere in alcun modo ricondotto al provvedimento tipico previsto dalla legge, proprio perché risulta finalizzato a realizzare una del tutto atipica “sospensione della denuncia di attività” , dando termine per la presentazione di integrazioni ( che, tra l’altro, non è nemmeno chiaramente comprensibile come potessero ritenersi “richieste”) e preannunciando una futura (ed eventuale) emissione del provvedimento di diniego. E’ evidente che già con questo atto il Comune si è posto del tutto al di fuori del procedimento tipico previsto dalla legge! Quindi, la logica conseguenza di questo primo macroscopico errore comunale è che non si è potuto avverare alcun effetto “sospensivo” e basta questo a dimostrare che il provvedimento “tipico”, che è quello che è finalmente intervenuto in data 1 aprile 2014, deve ritenersi palesemente tardivo! Né tale atto può in alcun modo essere salvato mediante l’escamotage di ritenere che la integrazione documentale depositata in data 3.3.2014 costituisse nuova  DIA ( come pure argomentano le difese comunali) e che, rispetto a tale data, il provvedimento inibitorio fosse intervenuto in termine; infatti con tale atto il Comune afferma chiaramente, espressis verbis, che intende inibire l’intervento di cui alla DIA del 22.2.14 e, anche dalla nota di riscontro del 10.3.2014, si evince in maniera evidente che il Comune non ha inteso affatto la succitata integrazione documentale come una nuova DIA, ma ha semplicemente preteso di far decorrere ex novo i termini ritenendo che la stessa integrasse un nuovo progetto. E’ evidente che l’intero iter procedimentale ha completamente stravolto le previsioni normative inerenti la DIA, con la conseguente palese fondatezza del primo motivo di ricorso, che è anche palesemente assorbente rispetto a tutti gli altri motivi e comporta l’accoglimento del ricorso con il conseguente annullamento degli atti comunali impugnati".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 760 del 2014

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1 reply
  1. Tobia says:

    Mi sembra chiaro che da anni ormai i T.A.R. si sono fossilizzati al rispetto di tutto l’iter amministrativo-burocratico previsto dalle Leggi, senza entrare nel merito dell’intervento specifico. Capita a volte che vengano presentate istanze edilizie prive della documentazione utile per fare l’istruttoria, e si provveda con l’inoltro del provvedimento di “sospensione e richiesta inegrazioni” anzichè con “l’ordine di non effettuare i lavori”, sia per non mettere troppo in imbarazzo i tecnici con i clienti, sia per per far capire che se la documentazione fosse completa molto probabilmente l’intervento potrebbe essere realizzato. IL termine dei 30 giorni utili sembra abbastanza congruo, ma possono capitare delle eccezzionalità che portano a sforare il termine (malattie e/o ferie dei dipendenti, mobilità in corso, ecc..). Certo che se l’intervento fosse conforme alla Legge e alle norme Comunali, non costerebbe nulla fare una telefonata al progettista e richiedere verbalmente alcune cose mancanti e non credo che per questo cascherebbe il mondo, ma dispiace che i Tribunali molto spesso tralascino il contenuto per la forma.

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