Un labirinto chiamato “stato legittimo”: parziali difformità e tolleranze costruttive
Pubblichiamo oggi la quarta scheda di commento di Italiaius alla riforma apportata dal cd. decreto Salva Casa (d.l. 69/2024) e dalla sua legge di conversione (l. 105/2024), esaminando la parziale difformità e le tolleranze costruttive.
Ricordiamo che il progetto è quello di revisionare e di integrare le schede e di ripubblicarle all'esito delle osservazioni dei lettori.
Scheda n. 4: parziali difformità e tolleranze costruttive
Pubblichiamo la scheda n. 4 con la prima revisione:
Scheda n. 4: parziali difformità, tolleranze costruttive, 1 Rev.
La seconda revisione della scheda n. 4 sarà pubblicata in un successivo post datato 17.09.2024
Adesso la scheda è leggibile.
Non è leggibile la scheda revisionata.
ART.34TER
Incomprensibilmente, che la disposizione statale non disciplina l’ipotesi di rilevanza strutturale della variante in corso d’opera ante L. 10/1977
La ratio “nascosta” della nuova disposizione – ART. 34TER
La norma, pur senza evocarlo espressamente, è chiaramente ispirata a un principio, quello del legittimo affidamento, che il Legislatore statale (anche in ossequio agli insegnamenti della giurisprudenza amministrativa, in primis Cons. Stato, Ad. Plen. 8/2017) mai menziona nel d.P.R. n. 380/2001, specie con riferimento alla tematica delle “irregolarità edilizie”.
Ma che la matrice delle due fattispecie (varianti ante ’77 e “agibilità sanante”, come da alcuni è stata ribattezzata) normate dall’art. 34-ter risieda in tale istituto è abbastanza pacifico, sol che si consideri che la nuova disposizione statale è mutuata da due disposizioni della L.R. Emilia Romagna 23/2004.
Si tratta di un “pudore” singolare, atteso che simili principi costituiscono ormai parte integrante del diritto amministrativo.
Ad ogni modo, pur in assenza di un formale richiamo all’interno del nuovo art. 34-ter, non pare possa negarsi che la ratio delle due fattispecie ivi codificate risieda nel principio del legittimo affidamento (nonché di quello, altrettanto se non più importante, di certezza delle posizioni giuridiche, ossia, del diritto).
Altra questione generale che merita di essere sottolineata in questa disamina a prima lettura attiene al fatto che ad essere regolarizzabili sono solo le varianti in corso d’opera qualificabili (oggi) come parziali difformità.
Il che porta – “drammaticamente” – l’attenzione sulla annosa ed irrisolta questione dell’assenza di una univoca definizione della nozione di parziale difformità in seno al d.P.R. n. 380/2001.
In particolare, come noto, il punctum dolens risiede nell’art. 32 del TUE dove il Legislatore statale ha scelto, per molte delle ipotesi di variazione essenziale (soglia al di sotto della quale si individua la parziale difformità), di rimettere alla legislazione regionale la definizione “puntuale” di tali ipotesi, ma con una norma di principio, il comma 2 dell’art. 32 che, in diverse fattispecie, ben può essere qualificata come una “delega in bianco” (ad avviso di chi scrive: di dubbia legittimità costituzionale, visti gli effetti di totale disomogeneità che ciò produce da regione a regione: il noto dossier ANCE fornisce al riguardo una riprova solare di tale criticità).
In ragione di tale irrisolta criticità (alcuni emendamenti al D.L. 69/2024 andavano nel senso di colmare questa lacuna, ma il legislatore in sede di conversione ha scelto di non intervenire sul punto), il nuovo art. 34-ter è allo stato destinato ad operare con geometria variabile da regione a regione.
A rendere il quadro ancor più incerto vi è anche la linea inaugurata dalla Corte costituzionale, con la sentenza 4 luglio 2024, n. 119, dove (per ora solo con riferimento alla legislazione del Piemonte, ma con principi facilmente estensibili ad altre normative) è emersa in modo lampante tutta l’incertezza circa fin dove possa spingersi il legislatore regionale nel quantificare le soglie quantitative atte ad individuare il delicato confine tra parziale difformità e variazione essenziale.
Si tratta, vista l’importanza della nuova disposizione, di una condizione francamente poco tollerabile.
Passiamo, adesso, in rassegna (sommaria, si sottolinea) le due fattispecie, le regole e le questioni interpretative che pone il nuovo art. 34-ter.
Le varianti ante ’77
I commi 1, 2 e 3 disciplinano la sanatoria di quegli interventi che, realizzati in parziale difformità da un titolo edilizio ante Legge n. 10/77 (Legge Bucalossi), non furono assentiti da un formale titolo in variante.
Il legislatore – riconoscendo di fatto l’ambiguità (da anni discussa e segnalata nel mondo dei tecnici) circa la necessità, prima della L. 10/77 di un titolo in corso d’opera/a fine lavori per varianti “minori” al progetto approvato – consente tale sanatoria senza collegare la stessa ad alcuna verifica di doppia (simmetrica, o meno) conformità.
La sanzione da versare è regolata tramite rinvio al regime delle “oblazioni” oggi dettato dall’art. 36-bis, comma 5.
Merita di essere segnalato che il comma 3, secondo periodo, nel regolare gli aspetti procedimentali inerenti al regime della particolare SCIA in sanatoria in esame dispone che “L’amministrazione competente adotta i provvedimenti di cui all’articolo 19, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche nel caso in cui accerti l’interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere”.
In buona sostanza, il legislatore affida alle Amministrazioni uno strumento di extrema ratio, consentendo alle stesse di inibire (entro il termine di 30 gg dal deposito) la SCIA in sanatoria laddove, pur rispettati i requisiti individuati dalla norma (intervento assentito con titolo ante ’77, variazione realizzata in corso d’opera qualificabile come parziale difformità), venga in rilievo un interesse pubblico che giustifichi la rimozione delle parziali difformità oggetto di regolarizzazione.
Appare chiaro come un simile potere abbia un contenuto altamente discrezionale e costituirà, assai probabilmente, terreno fertile per interpretazioni, giurisprudenziali e non, non univoche.
Peraltro, anche in presenza di tale valutazione, nulla esclude che il destinatario dell’atto inibitorio e, quindi, dell’ordine di ripristino, possa valutare – ricorrendone i presupposti – di ricorrere ad una fiscalizzazione ex art. 34 comma 2.
La tolleranza delle parziali difformità seguite da abitabilità “espressa”
Il quarto e ultimo comma della nuova norma prevede che “Le parziali difformità, realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all’esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge, non annullabile ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, sono soggette, in deroga a quanto previsto dall’articolo 34, alla disciplina delle tolleranze costruttive di cui all’articolo 34-bis”.
La formulazione della norma – non pienamente in linea con il “modello”, più lineare, della L.R. Emilia Romagna 23/2004 – pone alcuni interrogativi.
In primo luogo, occorre domandarsi cosa debba intendersi per avvenuto accertamento delle parziali difformità nel corso di un sopralluogo da parte dei funzionari.
Una lettura rigorosa, potrebbe portare a richiedere la verifica, quantomeno, di una menzione della difformità in un verbale, potendosi dubitare che possa bastare che la difformità “non poteva non essere stata visionata” dai funzionari stessi. Detto altrimenti, potrebbe ritenersi necessario quantomeno che, dalla documentazione agli atti (il verbale di sopralluogo, ad esempio) emerga la presenza della parziale difformità, se non addirittura la espressa e specifica menzione della stessa.
A tal proposito, alcune prassi risalenti (ancorate a particolari previsioni regolamentari locali) portavano i funzionari a verbalizzare talune difformità e a far versare un importo a mo’ di fiscalizzazione ante litteram: qui avremmo un accertamento espresso in uno al requisito del non esser l’accertamento stesso stato seguito da un ordine di ripristino.
Da evidenziare, inoltre, come la norma non chiarisca se (come dovrebbe ritenersi) il sopralluogo dei funzionari preposti alle verifiche circa la conformità edilizia possa corrispondere al sopralluogo svolto ai fini dell’abitabilità/agibilità. Ove così non fosse – e la norma è ambigua sul punto, aprendo a tale lettura – ne deriverebbe una applicabilità piuttosto ridotta della fattispecie.
Anche in questo caso, dunque, sebbene nei limiti di una disamina sommaria, appare chiaro che la fattispecie, per come formulata, determinerà non pochi oscillamenti interpretativi.
Il possibile “concorso” tra le due fattispecie
Infine, occorre osservare come per le varianti/parziali difformità a titoli ante L. 10/77 sussista un potenziale concorso tra le due fattispecie.
Cosicché, pur in presenza delle condizioni di cui al comma 4, ben potrà scegliersi di presentare una SCIA in base ai commi 1-3, al fine di ottenere uno stato legittimo più “solido” (poiché concretizzabile in un titolo in sanatoria vero e proprio, anziché in una mera tolleranza, ancorché oggi idonea a “concorrere” nella determinazione dello stato legittimo ex art. 9-bis, TUE).
Ma è vero anche il contrario: si dia il caso di una SCIA inibita, in base al comma 3, secondo periodo, con conseguente ordine di demolizione. In tal caso, al ricorrere delle condizioni di cui al comma 4, nulla sembra impedire al privato di invocare la tolleranza e, per tale via, impedire, comunque, la rimozione della parziale difformità.
art.34ter-emilia romagna
-stabilisce che il SUE possa dichiarare l’inefficacia della SCIA presentata per la regolarizzazione, ai sensi dell’art. 19, comma 3, della L. n. 241/1990, nel caso in cui accerti l’esistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione delle opere (diverso dal semplice ripristino della legalità violata dalle opere realizzate in difformità).
Il legislatore si riferisce, in buona sostanza, a varianti in corso d’opera che abbiamo comportato la realizzazione di manufatti edilizi (o la modifica di quelli autorizzati) causando una significativa violazione di interessi urbanistici, ambientali, paesaggistici, culturali, ecc., che sia ancora presente e percepita (a distanza di 47 anni dal momento della realizzazione delle opere difformi), al punto tale da richiedere l’applicazione della sanzione ripristinatoria;
Attenzione al fatto che si dica:
“Le parziali difformità, realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, accertate all’esito di sopralluogo o ispezione dai funzionari incaricati di effettuare verifiche di conformità edilizia, rispetto alle quali non sia seguito un ordine di demolizione o di riduzione in pristino e sia stata rilasciata la certificazione di abitabilità o di agibilità nelle forme previste dalla legge…
In verità poteva capitare, e capitava, che il Sindaco che firmava l’agibilità, diceva al funzionario, tu prepara l’agibilità e io la firmo, anche nei casi in cui mancava la distanza dai fabbricati e dai confini.
Nella ipotesi sullo stesso immobile di opere abusive di cui all art 36bis e 34ter, come si fa a sanare? La scia sanante è presentabile per entrambi i casi, se l’art.36bis rientra in scia; e nel caso di cui all art.36bis, opere in difformità dal pdc, e opere di cui all’art.34ter, come si sana??
Sul punto 2.5 – la domanda se il privato deve adeguarsi alle norme sismiche all epoca della realizzazione dell opera, con sanatoria condiziona, e il rimando all art 36bis c.2, si potrebbe addirittura ipotizzare che il genio civile, se la zona sia oggi in classe più alta, possa non rilasciare l aurorizzazione sismica..tipo in quei comuni che sono passati in zona E2, è difficile sanare con le norme vecchie..
Rilevanza paesaggistica delle tolleranze
-Per le tolleranze di cantiere di cui ai commi 2 e 2-bis dell’art. 34 e il rapporto con il vincolo paesaggistico e con la sua gestione, come va risolto?
Rilevanza paesaggistica delle tolleranze-
Per le difformità tollerate in sede di rilascio dell’agibilità, preceduta da sopralluogo, ora introdotta nel TUE all’art. 34-ter, comma 4, non si coglie alcuna disciplina specifica per il caso in cui l’immobile interessato sia soggetto a vincolo.
Pe cui come ci si deve comportare?
La SCIA sanante le varianti di titoli abilitativi rilasciati ante L. 10/77 incontra un limite, ovvero la verifica di tutte le eventuali irregolarità edilizie realizzate posteriormente al periodo di efficacia del medesimo titolo.
Era da capire, vista la rilevanza del titolo che si viene a formare, per la scia sanante art, 34ter, per cui stato legittimo pieno, se si poteva presentare anche in presenza di agibilità rilasciata, oppure una esclude l’altra. Certo con la scia sanante c’è il problema che la Soprintendenza possa negare la sanatoria, nel mentre con l’agibilità sanante, c.4, questo non avviene.
Il comma 4 del nuovo art. 34-ter, introduce nel TUE una ulteriore ipotesi di tolleranza costruttiva, consistente nelle parziali difformità realizzate durante l’esecuzione di lavori cui sia seguito il rilascio della agibilità previo sopralluogo dei funzionari incaricati di effettuare le dovute verifiche di conformità.
Tale ipotesi di tolleranza, che dovrebbe salvaguardare il “legittimo affidamento”(anche se la norma non lo dice esplicitamente) generato dalla circostanza che dette difformità non sono (sarebbero) state contestate in sede di sopralluogo e dunque si può presumere che fossero state tollerate dall’amministrazione comunale all’epoca del rilascio dell’agibilità.
La domanda è: va solo esaminata la rilevanza sismica? non anche anche aspetti di settore.
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