Quando l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento e della motivazione non si applica al D.A.S.P.O.?
Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 31 marzo 2014 n. 436 si sofferma sul provvedimento che impone il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, c.d. D.A.S.P.O., alle persone pericolose e che trova applicazione anche nei confronti dei tesserati: “Va ricordato che la Cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo cui le misure adottabili ai sensi della L. n. 401 del 1989, art. 6 si applicano anche nei confronti di tesserati di federazioni sportive ed indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva.(cass. Pen. 33864/2007) ciò in relazione ad atti di violenza causati da tesserati nei confronti di altri tesserati nell'ambito della competizione sportiva cui stavano partecipando”.
Nella sentenza che si commenta il Collegio afferma che l’urgenza di adottare il D.A.S.P.O. prevale sull’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento: “5.1. Secondo la prevalente giurisprudenza , il provvedimento che inibisce l'accesso agli stadi e ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive calcistiche, disposto ai sensi dell'articolo 6, della legge 401/1989, mirando alla più efficace tutela dell'ordine pubblico e a evitare la reiterazione dei comportamento vietati, non deve necessariamente essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento (cfr. TAR Umbria, sez. 1, 18 giugno 2010 n. 379).
5.2. E’, in ogni caso, sufficiente che sia menzionata la ragione di urgenza per cui è omessa la garanzia partecipativa, come è avvenuto nella specie, ove si da specificamente atto della “sussistenza di oggettivi motivi cautelari e di urgenza, volti a prevenire ulteriori pericoli per l'ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, nonché di celerità, vista la pericolosità mostrata in tale occasione , per cui non si è ritenuto di dover dare avviso di avvio del procedimento” .(cfr.T.A.R. Emilia Romagna Parma sez. I, 22 febbraio 2012, n. 111).
L’onere dell’amministrazione, di recente affermato, di informare tempestivamente il soggetto dell’avvio del procedimento volto ad adottare la misura interdittiva denominata DASPO, non essendo ammissibile il protrarsi di accertamenti e attività istruttorie inaudita altera parte” (Cons. St., sez. I, parere 29 maggio 2012 n. 2603), non è sostenibile alla luce dell’urgenza connessa al succedersi delle manifestazioni sportive calendarizzate nel campionato che rappresentano occasione di scontro fra tifoserie e all’esigenza di garantire l’ordine pubblico evitando la possibilità di scontri e violenze sulle persone e sulle cose (Cons. St., sez. VI, 2 maggio 2011 n. 2569; 8 giugno 2009 n. 3468; 16 ottobre 2006 n. 6128; 15 giugno 2006 n. 3532).
Nella specie, il provvedimento interdittivo è stato emesso il giorno 4 gennaio 2013 , laddove i fatti risalgono al 29 dicembre 2012, sicchè la celerità con la quale è stato portato a termine il procedimento comprova l’urgente necessità di evitare il ripetersi di analoghi episodi e di impedire la reiterazione dei comportamenti vietati, di fronte alle quali la tutela degli interessi del destinatario e la garanzia della partecipazione appaiono decisamente recessivi”.
Per quanto riguarda la motivazione si legge: “Va ricordato che il legislatore ha emanato una disposizione che eleva la soglia di prevenzione in considerazione della rilevanza sociale dei comportamenti di natura violenta tenuti in occasione di manifestazioni sportive alle quali possono partecipare anche molte migliaia di persone.
Per questo l’art. 6, comma 1, della legge n. 401 del 1989, considera rilevanti non solo il compimento di atti di violenza, e quindi di atti che hanno prodotto un danno all’integrità delle cose o all’incolumità delle persone, ma anche la semplice partecipazione attiva ad episodi di violenza.
Con la conseguenza che il Daspo può essere irrogato anche nei confronti di chi ha "incitato, inneggiato o indotto alla violenza" in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
La giurisprudenza ha affermato, in proposito, che la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi può essere disposta non solo nel caso di accertata lesione, ma in caso di pericolo di lesione dell'ordine pubblico, come accade nel caso di condotte che comportano o agevolano situazioni di allarme e di pericolo. Ne consegue che il divieto di accesso negli stadi non richiede un oggettivo ed accertato fatto specifico di violenza, essendo sufficiente che il soggetto, anche sulla base dei suoi precedenti, non dia affidamento di tenere una condotta scevra dalla partecipazione a ulteriori episodi di violenza.
Al riguardo, la giurisprudenza ha ripetutamente affermato che l’art. 6 di cui sopra non impone indagini specifiche sulla pericolosità del soggetto, ossia non richiede alcun previo accertamento attinente – in generale – alla personalità del destinatario del provvedimento, in quanto presuppone e, dunque, si fonda precipuamente sulla pericolosità specifica dimostrata dal soggetto in occasione di manifestazioni sportive (cfr., tra le altre, TAR Umbria, Sez. I, 15 dicembre 2009, n. 767; TAR Campania, Napoli, 13 settembre 2010, n. 17403).
In altri termini, si tratta di una norma introdotta al fine esclusivo di fronteggiare il fenomeno della violenza negli stadi, ispirata dalla necessità di offrire idonea salvaguardia a interessi primari, quali l’incolumità personale, e, quindi, richiede – ai fini della sua applicazione – che un soggetto si sia reso responsabile di comportamenti atti a rivelare la ridetta pericolosità.
Tale misura si connota di un'ampia discrezionalità, in considerazione della sua finalità di tutela dell'ordine pubblico, e non può essere censurata se congruamente motivata con riferimento alle specifiche circostanze di fatto che l’hanno determinata (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2572 del 2 maggio 2011).
In ragione di tale rilievo, non è rinvenibile alcun obbligo per l’Amministrazione di correlare il divieto di cui trattasi con i fatti accaduti nel senso di imporre lo stesso solo in relazione allo svolgimento di ben determinate partite di un determinato sport, disputate dalle squadre interessate dall’incontro in occasione del quale si sono verificati gli atti di violenza contestati al destinatario del provvedimento”.
dott. Matteo Acquasaliente
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