Il Consiglio di Stato promuove la norma della L.U. Toscana, simile a quella Veneta, che prevede la decadenza delle previsioni di trasformazione qualora entro cinque anni dall’approvazione del piano non sia stata stipulata la relativa convenzione
Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 44 del 2014.
Scrive il Consiglio di Stato: ""....Si evidenzia in particolare che l’art. 55 della L.R. Toscana 3-1-2005 n. 1 (Norme per il governo del territorio) così dispone:
“1. Il regolamento urbanistico disciplina l'attività urbanistica ed edilizia per l'intero territorio comunale; esso si compone di due parti:
a) disciplina per la gestione degli insediamenti esistenti;
b) disciplina delle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del territorio.
omissis...
4. Mediante la disciplina di cui al comma 1 lettera b), il regolamento urbanistico individua e definisce:
a) gli interventi di addizione agli insediamenti esistenti consentiti anche all'esterno del perimetro dei centri abitati;
b) gli ambiti interessati da interventi di riorganizzazione del tessuto urbanistico;
c) gli interventi che, in ragione della loro complessità e rilevanza, si attuano mediante i piani di cui al presente titolo, capo IV, sezione I;
d) le aree destinate all'attuazione delle politiche di settore del comune;
e) le infrastrutture da realizzare e le relative aree;
f) il programma di intervento per l'abbattimento delle barriere architettoniche ed urbanistiche, contenente il censimento delle barriere architettoniche nell'ambito urbano e la determinazione degli interventi necessari al loro superamento, per garantire un'adeguata fruibilità delle strutture di uso pubblico e degli spazi comuni delle città;
g) la individuazione dei beni sottoposti a vincolo ai fini espropriativi ai sensi degli articoli 9 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità);
h) la disciplina della perequazione di cui all'articolo 60.
5. Le previsioni di cui al comma 4 ed i conseguenti vincoli preordinati alla espropriazione sono dimensionati sulla base del quadro previsionale strategico per i cinque anni successivi alla loro approvazione; perdono efficacia nel caso in cui, alla scadenza del quinquennio dall'approvazione del regolamento o dalla modifica che li contempla, non siano stati approvati i conseguenti piani attuativi o progetti esecutivi.
6. Nei casi in cui il regolamento urbanistico preveda la possibilità di piani attuativi di iniziativa privata, la perdita di efficacia di cui al comma 5 si verifica allorché entro cinque anni non sia stata stipulata la relativa convenzione ovvero i proponenti non abbiano formato un valido atto unilaterale d'obbligo a favore del comune.
7. Alla scadenza di ogni quinquennio dall'approvazione del regolamento urbanistico, il comune redige una relazione sul monitoraggio degli effetti di cui all'articolo 13. “
All’evidenza, la disposizione di cui al comma 6 detta una prescrizione specifica “dedicata” ai piani attuativi di iniziativa privata, che prescinde del tutto dalla natura della prescrizione vincolistica: costituisce illazione, infatti, non suffragata dalla portata testuale della norma, l’affermazione secondo la quale, per i piani attuativi privati, la disposizione vada restrittivamente intesa, nel senso che la perdita di efficacia operi soltanto allorchè i vincoli abbiano natura espropriativa e non conformativa.
2.3. Fermo il detto convincimento, aderente al dato letterale ivi contenuto, neppure persuade la ratio della necessità di una interpretazione restrittiva della detta disposizione, siccome postulato da parte appellante.
2.4. E’ ben vero che la legislazione nazionale è ancorata al binomio vincolo conformativo/durata indeterminata, vincolo espropriativo/scadenza prefissata.
Ma è altresì vero, che tale scissione concettuale “nasce” a tutela della posizione del privato e si rende necessaria alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la “storica” sentenza 20 maggio 1999, n. 179 (dichiarativa dell'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, e 2, primo comma, della L. 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all'Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo).
Il che ha portato la uniforme giurisprudenza amministrativa ad affermare (ex multis Cons. Stato Sez. V, 13-04-2012, n. 2116) che “i vincoli urbanistici non indennizzabili, che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, che devono invece essere indennizzati, sono:
a) quelli preordinati all'espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l'imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta;
b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l'esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l'approvazione dei piani urbanistici esecutivi;
c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell'ambito dell'art. 42 Cost..”.
Non apparirebbe quindi contrario ad alcun principio, né collidente con la valutazione espressa dal Giudice delle leggi, una prescrizione contenuta in una legge regionale che prevedesse la perdita di efficacia anche dei vincoli conformativi (mentre, al contrario, lo sarebbe certamente, l’inversa ipotesi di una durata sine die di quelli espropriativi).
geom. Daniele Iselle
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