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La Corte Costituzionale dichiara illegittimo anche l’art. 3 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30 (orari del commercio e chiusura domenicale e festiva)

16 Apr 2013
16 Aprile 2013

La Regione Veneto continua a collezionare pronunzie della Corte Costituzionale che dichiarano illegittime leggi regionali venete, per violazione delle prerogative legislative statali.

Evidentemente dopo un po' ci si prende gusto a farsi bastonare dalla Corte, a prescindere dai problemi e dai danni che un simile andazzo crea ai governati.

Questa volta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 65 del del giorno 8 aprile 2013, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione Veneto 27 dicembre 2011, n. 30 (Disposizioni urgenti in materia di orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio e disposizioni transitorie in materia di autorizzazioni commerciali relative a grandi strutture di vendita e parchi commerciali).

Ripotiamo di seguito cosa stabiliva l'articolo 3:

"Art. 3 - Orari di apertura e chiusura delle attività di commercio al dettaglio.
1. Gli orari di apertura e di chiusura al pubblico delle attività di commercio al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni delle imprese del commercio, dei consumatori e dei lavoratori dipendenti maggiormente rappresentative.
2. Le attività di commercio al dettaglio possono restare aperte al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue e osservano la chiusura domenicale e festiva. Nel rispetto di tali limiti l'esercente può liberamente determinare l'orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio.
3. L’esercente è tenuto a rendere noto al pubblico l’orario di effettiva apertura e chiusura del proprio esercizio mediante cartelli o altri mezzi idonei di informazione.
4. Le attività di commercio al dettaglio derogano all’obbligo di chiusura domenicale e festiva di cui al comma 2 nel mese di dicembre, nonché, in via sperimentale, in ulteriori sedici giornate nel corso dell’anno, scelte dai comuni interessati entro il 30 novembre dell’anno precedente, sentite le organizzazioni di cui al comma 1 e favorendo la promozione di iniziative di marketing territoriale concertate con la piccola, media e grande distribuzione, finalizzate alla valorizzazione del tessuto commerciale urbano.
5. Decorso un anno dall’entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale, sulla base dell’esito della sperimentazione, sentite le rappresentanze degli enti locali e le organizzazioni di cui al comma 1, previo parere della competente commissione consiliare, può ridisciplinare le disposizioni di cui al comma 4.
6. Nei comuni a prevalente economia turistica e nelle città d’arte, individuati ai sensi della legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62“Individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte ai fini delle deroghe agli orari di vendita” e successive modificazioni, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. I comuni possono individuare le zone del territorio e i periodi di maggiore afflusso turistico, nei quali gli esercenti possono esercitare la facoltà di cui al presente comma, secondo le modalità definite dalla medesima legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62 .
7. Fatta eccezione per le zone del territorio e i periodi di maggiore afflusso turistico dei comuni a prevalente economia turistica e delle città d’arte, individuati ai sensi della legge regionale 28 dicembre 1999, n. 62 , è prevista la chiusura obbligatoria degli esercizi di vendita al dettaglio nelle seguenti festività: 1° gennaio, Pasqua, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, 25 dicembre.
8. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche di cui al titolo X del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59” e successive modificazioni, come attuato con la legge regionale 6 aprile 2001, n. 10“Nuove norme in materia di commercio su aree pubbliche” e successive modificazioni.
9. Le disposizioni di cui al comma 2 e di cui al comma 7 non si applicano alle attività di commercio al dettaglio collocate all’interno delle stazioni ferroviarie, porti e aeroporti".
 
Scrive la Corte Costituzionale: "La questione relativa all’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 è fondata. La norma impugnata detta una serie di rilevanti limitazioni e restrizioni degli orari e delle giornate di apertura e di chiusura al pubblico delle attività di commercio al dettaglio. Essa, infatti, prevede che «Le attività di commercio al dettaglio possono restare aperte al pubblico in tutti i giorni della settimana dalle ore sette alle ore ventidue e osservano la chiusura domenicale e festiva. Nel rispetto di tali limiti, l’esercente può liberamente determinare l’orario di apertura e di chiusura del proprio esercizio» (comma 2); «Le attività di commercio al dettaglio derogano all’obbligo di chiusura settimanale e festiva di cui al comma 2 nel mese di dicembre, nonché, in via sperimentale, in ulteriori sedici giornate nel corso dell’anno, scelte dai comuni interessati entro il 30 novembre dell’anno precedente, sentite le organizzazioni di cui al comma 1 e favorendo la promozione di iniziative di marketing territoriale concertate con la piccola, media e grande distribuzione, finalizzate alla valorizzazione del tessuto commerciale urbano» (comma 4).
Tali disposizioni si pongono in contrasto con la disciplina statale in materia di orari e giornate di apertura e chiusura degli esercizi commerciali e, in particolare, con l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del d.l. 14 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, così come modificato dall’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, che ha stabilito che le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), e di somministrazione di alimenti e bevande siano svolte senza il limite del rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio. Tale ultima modifica è stata oggetto di impugnazione da parte di numerose Regioni che hanno lamentato la violazione della competenza legislativa residuale in materia di commercio ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. Questa Corte, con sentenza n. 299 del 2012, ha ritenuto non fondate le questioni di costituzionalità sollevate dalle Regioni ricorrenti, dovendosi inquadrare l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011 nella materia «tutela della concorrenza».
Ne consegue che l’art. 3 della legge reg. n. 30 del 2011 viola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.".
Dario Meneguzzo

Per calcolare la sanzione ex art. 34 DPR 380/2001 deve tenersi conto del valore delle opere al tempo della relativa irrogazione e non a quello corrente al momento della commissione dell’abuso

16 Apr 2013
16 Aprile 2013

Lo specifica la sentenza del TAR Veneto n. 473 del 2013.

Scrive il TAR: "se è indubbio che la normativa del T.U.Edilizia ha effettuato il richiamo ai criteri dettati dalla legge sull’Equo Canone, è altresì vero che detto richiamo deve essere rapportato alla funzione che assolve la sanzione inflitta, la quale viene irrogata in alternativa all’ordine di ripristinare lo stato dei luoghi. Ne consegue che il calcolo dell’ammontare della sanzione pecuniaria dovrà essere effettuato tenendo conto del momento in cui la stessa viene irrogata, in applicazione del principio generale per cui gli interventi abusivi sono sanzionabili in base alla disciplina vigente al momento in cui avviene la repressione. Ciò vale sia per la sanzionabilità in genere dell’opera sia per la misura della sanzione p ecuniaria, da riferirsi anch’essa alla valutazione dell’abuso al momento della relativa irrogazione, poiché quest’ultima si riconnette, per equivalente, alla sanzione alternativa alla demolizione e mira ad eliminare il plus valore economico conseguente all’abuso realizzato. Ne consegue che ai fini della determinazione della sanzione da infliggere per la realizzazione di opere edilizie abusive, deve tenersi conto del valore delle stesse al tempo della relativa irrogazione e non a quello corrente al momento della commissione dell’abuso, atteso che solo così operando l’autore dell’abuso non gode di un lucro rispetto all’alternativa sanzione della demolizione. L’applicazione dei richiamati principi anche nelle ipotesi in cui, come nel caso di specie, si debbano utilizzare i criteri indicati per la determinazione del costo di produzione dalla legge sull’Equo Canone, deve pertanto comportare l’adeguamento dei valori cui fare riferimento,  nella specie il valore al metro quadro dell’immobile, al momento in cui la sanzione viene irrogata, atteso che, diversamente opinando, si determinerebbe un ingiusto arricchimento per il proprietario dell’immobile abusivo, che già si avvantaggia della possibilità di non dover demolire il proprio immobile".

sentenza TAR Veneto 473 del 2013

L’installazione di impianti fotovoltaici può usufruire della detrazione IRPEF del 50%

16 Apr 2013
16 Aprile 2013

L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n.22/E del 2 aprile 2013, ha risposto ad una istanza di consulenza giuridica in merito alla possibilità di fruire della detrazione Irpef del 50% per l’acquisto e l’installazione di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica (in quanto basati sull’impiego della fonte solare, e, quindi, sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia). Viene affermato che la realizzazione di impianti fotovoltaici è equiparata a tutti gli effetti alla realizzazione di interventi finalizzati al risparmio energetico, in quanto entrambi determinano una riduzione dei consumi da fonte fossile e, pertanto, può fruire della detrazione Irpef del 50% delle spese sostenute entro la soglia massima di spesa di €96.000 (la detrazione diverrà del
36% delle spese sostenute entro la soglia massima di spesa di €48.000 a decorrere dal 1° luglio 2013). Prima di tale interpretazione ministeriale vi erano dubbi in merito alla riconducibilità dell’installazione degli impianti fotovoltaici agli interventi previsti dall’art.16-bis, co.1 lett. h) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi che prevede, tra gli interventi che possono fruire delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie, anche la realizzazione di opere finalizzate al conseguimento di risparmi energetici con particolare riguardo all’installazione di impianti basati sull’impiego delle fonti rinnovabili di energia (seppure in assenza di opere edilizie). La detrazione fiscale per l’installazione di un impianto fotovoltaico diretto alla produzione di energia
elettrica è fruibile solo se l’impianto viene posto direttamente al servizio dell’abitazione (cioè per usi domestici, di illuminazione, alimentazione di apparecchi elettrici, ecc.). Se la cessione dell’energia elettrica prodotta in eccesso configura l’esercizio di un’attività commerciale (come nel caso in cui
l’impianto abbia potenza superiore ai 20 kw) ovvero se l’impianto non viene posto a servizio dell’abitazione la detrazione fiscale è esclusa. Il Ministero dello Sviluppo Economico prevede che la tariffa incentivante derivante dall’installazione dell’impianto fotovoltaico non sia applicabile qualora siano state riconosciute o richieste detrazioni fiscali. Pertanto, in fase di acquisto e installazione di un impianto fotovoltaico da parte di un soggetto Irpef è opportuno effettuare un calcolo di convenienza economica tra la fruizione della tariffa incentivante erogata dal Gse ovvero della detrazione fiscale Irpef
attualmente prevista nella misura del 50% con la soglia di spesa di €96.000 (dal 1° luglio 2013 nella misura del 36% con la soglia di spesa di €48.000).
In merito alla documentazione da conservare, che attesti il conseguimento di risparmi energetici derivanti dall’installazione di un impianto fotovoltaico, viene precisato che la realizzazione  dell’impianto comporta automaticamente la riduzione della prestazione energetica degli edifici: è, quindi, sufficiente conservare la documentazione comprovante l’avvenuto acquisto e installazione dell’impianto a servizio di un edificio residenziale. Rimangono applicabili tutte le altre regole previste per fruire della detrazione (in primis, l’obbligo di effettuare il pagamento delle spese mediante bonifico bancario o postale).

Tutta la Corte Costituzionale on line

16 Apr 2013
16 Aprile 2013

La Corte costituzionale rilascia i propri dati in formato aperto. Non soltanto quello delle sentenze, ma anche il proprio patrimonio informativo di pronunce, anagrafica dei Giudici costituzionali... Al momento, i dati messi a disposizione dalla Corte costituzionale riguardano quattro macro categorie di informazioni:
- l'archivio delle pronunce (circa 18.000 testi delle pronunce della Corte costituzionale dal 1956 ad oggi),
- l'archivio delle massime delle pronunce,
- l'anagrafica dei Giudici costituzionali, cioè l'elenco di tutti i Giudici costituzionali con le date  di giuramento, di cessazione e una breve nota biografica, le norme pendenti nei giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

Questo il lik alla Sezione open data del sito della Corte costituzionale, attiva in via sperimentale:
http://www.cortecostituzionale.it/ActionPagina_1177.do

Questo è il link alla notizia pubblicata su dati.gov.it:
www.dati.gov.it/content/la-corte-costituzionale-rilascia-i-dati-delle-sentenze-formato-aperto

Enti di volontariato e associazioni sportive dilettantistiche: le richieste del 5 per mille per il 2013

16 Apr 2013
16 Aprile 2013

Procedura al via per enti e associazioni che potranno richiedere ai contribuenti la destinazione di una quota pari al 5 per mille della propria Irpef dovuta per l’anno 2013. Le modalità di iscrizione e i criteri di ammissione al riparto per le diverse tipologie di soggetti sono ancora quelle stabilite con il DPCM datato 23 aprile 2010. Con la circolare n.6/E del 21 marzo 2013 l’Agenzia delle Entrate ha fissato i termini per quegli enti di volontariato e quelle associazioni sportive dilettantistiche che vorranno iscriversi negli elenchi al fine di godere del predetto beneficio.

Pubblichiamo una nota sull'argomento

5 per mille

Il P.A.T. è illegittimo per violazione dell’art.78 del d.lgs. n.267/2000 se non si astengono i consiglieri aventi specifici interessi

15 Apr 2013
15 Aprile 2013

Lo afferma la prima sezione del Consiglio di Stato nel parere numero 02332/2012 in data 17/05/2012, riguardante un ricorso straordinario.

Scrive il Consiglio di Stato che il ricorrente sostiene: "che la delibera consiliare di adozione del P.A.T sia illegittima per violazione dell’art.78 del d.lgs. n.267/2000, in quanto è stata adottata all’esito di una votazione cui hanno preso parte ben 5 consiglieri aventi specifici interessi propri o di parenti o affini sino al quarto grado correlati al contenuto del P.A T. In relazione a tale censura il Comune di Gallio si è limitato a evidenziare che non sussiste la lamentata correlazione tra le prescrizioni contenute nel P.A.T e gli interessi specifici dei consiglieri comunali in quanto il P.A.T. stesso avrebbe un contenuto meramente programmatorio delle linee di assetto e sviluppo del territorio, mentre il piano degli interventi(P.I) disciplinerebbe le relative disposizioni operative urbanistiche correlate agli interessi dei singoli cittadini... Nel merito il ricorso è meritevole di accoglimento, in quanto la delibera di adozione del P.A.T n. 61 del 21 dicembre 2007 è avvenuta violazione dell’art.78 del decreto legislativo n.267/2000, avendo alcuni consiglieri, pur titolari di una pluralità di interessi propri o di parenti o affini, non solo partecipato alla discussione del P.A.T senza dichiarare la sussistenza di propri interessi, ma anche alla votazione esprimendo voto favorevole all’adozione del P.A.T. Né può essere fatto valere quanto sostenuto dal Comune in merito al carattere meramente programmatorio del P.A.T , atteso l’evidente vantaggio immediato derivato dall’attribuzione di vocazione edificatoria ai fondi di proprietà dei consiglieri medesimi o loro parenti o affini. Ne discende la illegittimità della deliberazione del Consiglio comunale n.61 del 21 dicembre 2007 e conseguentemente della deliberazione di ratifica della Giunta regionale del Veneto n.103 del 27 gennaio 2009 e di ogni atto presupposto e/o di esecuzione e/o preparatorio e/o connesso e/o consequenziale rispetto agli atti impugnati".

Gallio_parere Consiglio Stato

Dal 30 giugno possibile inviare PEC anche alle ditte individuali

15 Apr 2013
15 Aprile 2013

L'art.5 del D.L. n.179/12 ha esteso l'obbligo di dotarsi di un indirizzo di Posta Elettronica Certificata - Pec, alle imprese individuali.
In particolare il citato articolo ha previsto che anche le imprese individuali attive e non soggette a procedura concorsuale debbano dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata entro il 30 giugno 2013, da comunicarsi in CCIAA obbligatoriamente entro tale data.
Ad oggi sono quindi soggetti all’obbligo di dotarsi di un indirizzo Pec:
 tutte le imprese costituite in forma societaria,  tutti i professionisti iscritti in albi istituiti con leggi dello Stato e le Pubbliche Amministrazioni.
 Dal 30 giugno 2013 tale obbligo ricadrà anche sulle ditte individuali.
Restano esclusi da tale obbligo gli esercenti attività professionali privi di albi e gli enti di tipo associativo.
Tenuto conto che le comunicazioni effettuate tramite indirizzo di posta elettronica certificata acquisiscono valenza legale e quindi corrispondono ad una notifica effettuata con lettera raccomandata A.R., considerando anche che indubbi sono i vantaggi della notifica tramite posta elettronica certificata:
 certezza della consegna,
 velocità e semplicità d’invio,
 risparmio economico,
 possibilità di re-invio immediato,
 immediata tracciabilità della spedizione.

Ai fini della facilitazione di utilizzo della posta elettronica certificata il citato D.L. n.179/12 ha previsto l’istituzione di un “Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-Pec) delle imprese e dei professionisti”.
L’elenco pubblico sarà accessibile via web:
 alle pubbliche amministrazioni;
 ai professionisti;
 alle imprese;
 ai cittadini.

La giurisdizione in materia di compartecipazione comunale alla retta di degenza in strutture residenziali protette spetta al giudice ordinario

15 Apr 2013
15 Aprile 2013

Si segnala la sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 1280 del 4/3/2013, relativa alla giurisdizione in materia di compartecipazione comunale alla retta di degenza in strutture residenziali protette di anziani ultrasessantacinquenni non autosufficienti.

Il Consiglio di Stato conferma la sentenza del TAR Veneto, Sezione Terza, n. 6041/2010, che aveva escluso la giurisdizione del Giudice amministrativo, in considerazione del petitum e della causa petendi.

Nel caso di specie, la rappresentante legale dell’anziano aveva comunicato ai Comuni di Verona e Bovolone e alla Fondazione che ospitava l’anziano il recesso dall’impegno a integrare la retta di degenza, chiedendo il rimborso di quanto ingiustamente pagato come integrazione della retta.

Il Comune di Verona rispondeva invitandola a continuare a corrispondere alla Fondazione l’integrazione alla retta con le consuete modalità, e a rivolgersi ai servizi sociali del Comune per esaminare la possibilità di un intervento economico da parte dell’Amministrazione comunale.

L’atto del Comune veniva impugnato davanti al TAR, unitamente ad altri atti presupposti, tra cui il Regolamento comunale sulla compartecipazione alla retta, chiedendone l’annullamento, nonché formulando domande di condanna nei confronti del Comune a corrispondere la retta e a rifondere le rette già pagate che si presumono non dovute.

Il TAR concludeva declinando la sua giurisdizione a favore del giudice ordinario, sulla base della seguente considerazione: “Viene in rilievo la questione relativa alla addebitabilità, a carico della parte pubblica, di una obbligazione di natura assistenziale quale è la integrazione della retta di ospitalità, che si ricollega, anche nella prospettazione di parte ricorrente, a presupposti prefigurati dalla legge, e che appare estranea all’esercizio di poteri autoritativi. Nella lettera del Comune non appare riconoscibile un atto di esercizio di potere pubblico. Non si fa questione, insomma, di contestazioni di atti autoritativi (cfr. , su fattispecie analoga, TAR Sardegna, sent. n. 1472/09).

Importante è anche il seguente passaggio della sentenza di primo grado: “Né la giurisdizione del giudice amministrativo può ritenersi nella specie sussistente per il fatto che la controversia investe anche il “regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi”, approvato con DCC n. 8/05, atteso che al riguardo viene in rilievo il potere del giudice ordinario, ex art. 5 dell’Allegato E –l. 2248/1865, di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, la cui efficacia condiziona l'esistenza ed il contenuto del diritto sostanziale costituente l'oggetto del processo (cfr. Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2008, n. 3226, su fattispecie per certi versi analoga a quella odierna).

Il Consiglio di Stato ha confermato il TAR per il Veneto, escludendo che l’ipotesi ricada nella giurisdizione esclusiva del G.A. ai sensi dell’art. 33 del  D.Lgs. 80/1998 (con riguardo ai pubblici servizi, nella specie il servizio sanitario nazionale), e precisando che “non sposta la regola del riparti di giurisdizione il fatto che vengono in questione scelte regolamentari circa i limiti al diritto alle prestazioni assistenziali, che potranno eventualmente formare oggetto di disapplicazione in sede di giudizio avanti all’a.g.o.”.

Si sottolinea che la sentenza del Consiglio di Stato contiene il seguente inciso: “gli atti impugnati non rivestono natura autoritativa, né si riconducono ad una potestà discrezionale intesa a modulare, secondo diversi parametri, il concorso dell’ente pubblico nell’integrazione economica degli oneri di spesa per lo stabile ricovero presso la struttura assistenziale secondo quanto previsto dall’art. 12, comma 4 della L. 328/2000”.

Posto che la citazione dell’art. 12, comma 4 della L. 328/200 parrebbe errata e che il riferimento corretto sarebbe all’art. 2, comma 4 della medesima legge (“i parametri e le valutazioni delle condizioni di cui al comma 3 (si tratta delle condizioni per l’accesso ai servizi e alle prestazioni erogati dal sistema integrato di interventi e servizi sociali, n.d.r.) sono definiti dai Comuni, sulla base dei criteri generali stabiliti dal Piano nazionale di cui all’art. 18”), l’inciso da ultimo riportato farebbe pensare che, nel caso in cui, invece, l’interessato contesti i criteri fissati dai regolamenti  Comuni per la compartecipazione del privato, la giurisdizione sarebbe del giudice amministrativo.

Quindi, in estrema sintesi, la posizione della giurisprudenza più recente in materia sarebbe la seguente:

-          se l’interessato invoca davanti al giudice il diritto ad ottenere dal Comune il pagamento della retta, la giurisdizione sarebbe del G.O.;

-          se, invece, vengono contestati gli atti di esercizio da parte dei comuni del potere di stabilire i criteri di compartecipazione del privato alla retta ex art. 2, comma 4, della L. 328/2000 (vale a dire il regolamento sulla compartecipazione e gli atti applicativi), la giurisdizione sarebbe del G.A.

Il dubbio potrebbe però sorgere considerando che, comunque, chi contesta l’atto con cui viene liquidata la somma di sua compartecipazione (sulla scorta dei criteri dettati dai regolamenti comunali) fa valere comunque una pretesa patrimoniale alla corresponsione della retta, cosicché, seguendo le argomentazioni del Consiglio di Stato, potrebbe pensarsi che la giurisdizione fosse ugualmente del G.O.

avv. Marta Bassanese

Sentenza CDS 1280 del 2013

Sentenza della Corte Costituzionale n. 296 del 2012 materia dei redditi dei parenti per calcolare la retta di ricovero in strutture residenziali protette

15 Apr 2013
15 Aprile 2013

In  sede di compartecipazione dei Comuni alla retta di ricovero in strutture residenziali protette di anziani in situazione di handicap permanente grave ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle uls, la giurirsprudenza sia dei Tar che del Consiglio di Stato aveva sempre sostenuto  che le disposizioni regolamentari dei Comuni  tese a individuare i beneficiari di tali provvidenze violerebbero le norme di legge statali, ed in particolare il D.Lgs. 109/1998, che ha introdotto l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate.

La questione giuridica sottesa è in sostanza la seguente: se l’ISEE, così come calcolato alla stregua del D.Lgs. 109/1998, debba considerarsi un indicatore inderogabile e vincolante per gli enti erogatori nel ricostruire la situazione reddituale dei soli beneficiari delle prestazioni sociali, ovvero se essi possano introdurre criteri ulteriori al fine di selezionarli.

La Corte Costituzionale con una recente  sentenza n. 296 del 19.12.2012,  ha ritenuto legittima la legge regionale della Toscana, che prevede che la quota di compartecipazione dovuta dalla persona assistita sia calcolata tenendo conto altresì della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado. Secondo il giudice remittente, la regione aveva violato la competenza legislativa statale nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (ex art. 117, secondo comma, lett. m), della Costituzione), la quale si sarebbe tradotta nell’art. 3, comma 2 ter del D.Lgs. 109/1998 (che impone di tenere conto della situazione reddittuale del solo disabile e non anche di quella dei suoi familiari).

 La Corte Costituzionale, però, ha respinto tale censura, ritenendo legittimo considerare anche i redditi dei parenti.

Avv.to Gianmartino Fontana

sentenza Corte Cost. 296-12

La Corte Costituzionale boccia la VAS nella versione prevista dalla L. R. Veneto 13/2012

12 Apr 2013
12 Aprile 2013

L’art. 40, c. 1, l. r. Veneto 6 aprile 2012 n. 13 (c.d. Legge finanziaria regionale per l’esercizio del 2012) recita: “1. Dopo il comma 1 dell’articolo 14 “Disposizioni transitorie in materia di Valutazione ambientale strategica - VAS” della legge regionale 26 giugno 2008, n. 4 è inserito il seguente comma:

“1 bis. Nelle more dell’adozione della normativa di cui al comma 1 e in attuazione dell’articolo 16, ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 “Legge urbanistica”, come modificato dall’articolo 5, comma 8, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 “Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia” convertito, con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106:

a) i piani urbanistici attuativi (PUA) di piani urbanistici generali non assoggettati a Valutazione ambientale strategica (VAS) e gli accordi di programma, sono sottoposti a VAS, solo nel caso in cui prevedano progetti o interventi sul territorio riconducibili agli elenchi contenuti negli Allegati II, III e IV della parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

b) sono sottoposti a VAS i piani urbanistici attuativi (PUA) di piani urbanistici generali già sottoposti a VAS, qualora prevedano la realizzazione di progetti o interventi di cui agli Allegati II, III e IV della parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 non previsti o non valutati in sede di approvazione del piano urbanistico di cui costituiscono attuazione”.

In seguito alla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri con riferimento all’articolo citato, la Corte Costituzionale, nella sentenza del 25 marzo 2013 n. 58, pubblicata nella G.U. del 03.04.2013 n. 14, dichiara: “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 aprile 2012, n. 13 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2012), nella parte in cui aggiunge la lettera a) del comma 1-bis all’art. 14 della legge della Regione Veneto 26 giugno 2008, n. 4 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2007 in materia di governo del territorio, parchi e protezione della natura, edilizia residenziale pubblica, mobilità e infrastrutture);

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 40, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 13 del 2012, nella parte in cui aggiunge la lettera b) del comma 1-bis all’art. 14 della legge della Regione Veneto n. 4 del 2008, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe”.

 In particolare, la Consulta ritiene l’art. 40, c. 1, lett. a), l. r. Veneto 58/2013 illegittimo per contrasto con l’art. 117, c. 2, lett. s), Cost., poiché esclude la VAS anche nei casi in cui è la stessa legge statale (in particolare l’art. 6 del D. Lgs. 152/2006 e l’art. 16 della l. 1150/1942) a richiederla, atteso che: “Questa Corte ha costantemente affermato che la valutazione ambientale strategica, disciplinata dal d.lgs. n. 152 del 2006 in attuazione della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente), attiene alla materia “tutela dell’ambiente” (sentenze: n. 398 del 2006, n. 225 del 2009, n. 221 del 2010, n. 33, n. 129, n. 192 e n. 227 del 2011), di competenza esclusiva dello Stato, e che interventi specifici del legislatore regionale sono ammessi nei soli casi in cui essi, pur intercettando gli interessi ambientali, risultano espressivi di una competenza propria della Regione (sentenza n. 398 del 2006).

Non è dubbio, perciò, che il significativo spazio aperto alla legge regionale dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 (in particolare, art. 3-quinquies; art. 7, comma 2) non possa giungere fino a invertire le scelte che il legislatore statale ha adottato in merito alla sottoposizione a VAS di determinati piani e programmi, scelte che in ogni caso sono largamente condizionate dai vincoli derivanti dal diritto dell’Unione.

Ciò posto, il ricorrente lamenta che per effetto dell’art. 40, comma 1, impugnato, viene meno la VAS, laddove invece essa è imposta dall’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006. Si sarebbe perciò in presenza di un effetto pregiudizievole per gli interessi ambientali, che questa Corte ritiene precluso alla legge regionale.

Quanto al rapporto tra la norma impugnata e la normativa dello Stato, occorre premettere che la prima, nonostante l’affermazione in tal senso in essa contenuta, non costituisce attuazione dell’ultimo comma dell’art. 16 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), introdotto dall’art. 5, comma 8, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia). Quest’ultima previsione normativa, infatti, ha per esclusivo oggetto il caso in cui il piano urbanistico generale, nel rispetto del quale viene poi adottato lo strumento attuativo, sia già stato sottoposto a VAS. Il legislatore statale, in ragione di ciò e al fine di semplificare il procedimento urbanistico, si è premurato di evitare una duplicazione della valutazione ambientale strategica, indicando le condizioni in presenza delle quali per il piano attuativo non occorre la VAS.

La lettera a) del comma 1-bis dell’art. 14 della legge regionale n. 4 del 2008 riguarda invece l’opposta ipotesi, in cui il piano urbanistico generale non è stato oggetto di valutazione ambientale strategica, ed è chiaro perciò che le due disposizioni hanno presupposti diversi, sicché la prima non può dirsi conseguente alla seconda.

Del resto, l’art. 16, ultimo comma, della legge n. 1150 del 1942, contrariamente a quanto osservato dalla difesa della Regione, non necessita di alcuno sviluppo da parte della legislazione regionale ed è del tutto chiaro nel disciplinare analiticamente la fattispecie: ciò depone ulteriormente nel senso che non c’è alcun nesso oggettivo tra la norma dello Stato e la previsione oggetto del ricorso”.

 Al contrario, l’art. 40, c. 1, lett. b), l. r. Veneto n. 58/2013 è costituzionalmente legittimo poiché: “L’art. 3-quinquies, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 consente alle Regioni di «adottare forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali».

Nella parte in cui ammette un intervento del legislatore regionale, ampliativo del livello di protezione accordato agli interessi ambientali, l’art. 3-quinquies riflette il principio affermato da questa Corte, ed appena ricordato, secondo il quale è consentito alla legge regionale incrementare gli standard di tutela dell’ambiente, quando essa costituisce esercizio di una competenza legislativa della Regione e non compromette un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 66 del 2012, n. 225 del 2009, n. 398 del 2006, n. 407 del 2002).

Quand’anche, dunque, la lettera b) del comma 1-bis dell’art. 14 avesse l’effetto, ipotizzato dal ricorrente, di introdurre una nuova ipotesi di VAS, in ogni caso esso verrebbe prodotto a vantaggio dell’ambiente e nell’ambito della competenza legislativa concorrente della Regione in materia di governo del territorio; la disposizione censurata, infatti, ha per oggetto la disciplina giuridica di uno strumento di pianificazione urbanistica senz’altro riconducibile a tale settore di competenza legislativa. In relazione a quest’ultimo il ricorrente non ha svolto alcuna censura, neppure deducendo l’eventuale aggravio procedimentale, in danno delle esigenze di pronta pianificazione urbanistica, che potrebbe derivare dall’obbligo di adottare la VAS per un caso in cui la legge statale non la prevede.

Per tale ragione, a fronte di una previsione normativa che, per ammissione dello stesso ricorrente, incrementa lo standard di protezione ambientale, deve essere esclusa l’invasione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente”.

dott. Matteo Acquasaliente

L. R. Veneto n. 6 del 2012

C. Cost. 58 del 2013

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