Tag Archive for: Diritto

Se l’immobile è abusivo, la gestione al suo interno di un servizio per conto del comune non crea alcun affidamento

28 Dic 2012
28 Dicembre 2012

Un immobile in zona agricola viene abusivamente traformato in canile, gestito in convenzione col comune e l'USL, consapevoli dell'abuso edilzio.

Dopo un tira-molla di otto anni (evidentemente comodo anche al comune) il comune ordina la rimessione in pristino.

Il TAR Veneto, con la sentenza n. 1554 del 2012 ritiene corretta l'ordinanza ripristinatoria: "Deve essere rigettato anche il secondo motivo. Con esso si sostiene come l’ordinanza di rimessione incida, sostanzialmente, su un “affidamento” del ricorrente e, in ciò, rilevando come nel caso di specie sia decorso un periodo pari a otto anni
tra la prima ordinanza di sospensione lavori e il provvedimento impugnato con il presente ricorso.
In relazione a quanto affermato da parte ricorrente va evidenziato come la sottoscrizione della Convenzione (e anche le eventuali proroghe) non possono essere poste a fondamento dell’affidamento del privato e, ciò, anche considerando come essa stessa fosse diretta a garantire l’esperimento di un servizio pubblico di fondamentale rilievo per la comunità in cui incide.
Di qui anche laddove risultino provate le successive proroghe della Convenzione di cui si tratta è indubitabile che esse nulla attengano all’abuso edilizio contestato. Sul punto va comunque rilevato come appaia verosimile la tesi del Comune, laddove evidenzia come dette proroghe erano finalizzate all’individuazione di quella soluzione alternativa che avrebbe permesso all’Amministrazione di impedire una qualunque interruzione del servizio così gestito.
Deve essere rilevato, infatti, come il potere dell’Amministrazione di perseguire gli abusi edilizi, sia l’espressione di un potere generale a tutela della collettività di cui all’art. 27 del Dpr 380/2001 e, in quanto tale, impegna in qualunque tempo l’Amministrazione nel perseguire gli abusi riscontrati e, ciò, a prescindere o meno dall’esistenza di rapporti negoziali con le parti coinvolte.
Come insegna un costante orientamento al quale questo Collegio ritiene di aderire (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 7 maggio 2012, n. 828) “la repressione degli abusi edilizi costituisce un obbligo per l'Amministrazione, non residuando in capo alla medesima alcuna discrezionalità a fronte dell'accertamento della violazione delle relative norme. Pertanto, il provvedimento di demolizione non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione del medesimo con gli interessi privati coinvolti, né una motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendosi neppure ammettere l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione della situazione di fatto abusiva, in quanto la medesima non è suscettibile di legittimazione in ragione del trascorrere del tempo (si veda anche Cons. Stato Sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2592)”.
3. Per un ulteriore orientamento giurisprudenziale, in assenza di un’inerzia che abbia fatto insorgere un effettivo affidamento del privato, l’ordine di demolizione non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi pubblici coinvolti. Il presupposto per l’adozione dell’ordinanza di demolizione è costituito soltanto dalla constata esecuzione dell’opera in difformità del titolo abilitativo od in carenza dello stesso, con la conseguenza che, ove ricorrano tali requisiti il provvedimento è sufficiente motivato (Tar Umbria n. 197 del 30/05/2012)".

sentenza TAR Veneto 1554 del 2012

Nel caso di accordi transattivi col comune, subordinati a una variante urbanistica, non necessariamente la giurisdizione spetta al TAR

28 Dic 2012
28 Dicembre 2012

La sentenza del TAR Veneto n. 1556 del 2012 si occupa di accordi con il Comune e di giurisdizione.

Tra un privato e il comune erano state scambiate proposte transattive di varie questioni pendenti, subordinate alla approvazione da parte del comune di una variante urbanistica e si discuteva se l'accordo transattivo fosse stato concluso oppure no.

Il TAR Veneto ha ritenuto di non avere giurisdizione in merito, non tanto per il profilo riguardante la conclusione oppure no del contratto, ma perchè, anche se l'accordo fosse stato raggiunto, da esso sarebbero derivati solo obblighi civilistici, sia pure condizionati  dalla approvazione di una variante urbanistica.

Secondo il TAR, tale accordo non rientra tra i casi nei quali è prevista la giurisdizione del giudice amministrativo, ex art. 133 co. 1 lett. a n. 2 c.p.a., spettando la stessa al giudice ordinario.

sentenza TAR Veneto 1556 del 2012

Approvata la riforma della professione forense

28 Dic 2012
28 Dicembre 2012

Nella seduta del 21 dicembre 2012 il Senato ha approvato la legge di riforma della professione di avvocato.

Pubblichiamo un testo non ufficiale, elaborata dal Consiglio Nazionale Forense.

2012 12 21 CNF

Uno sconosciuto di nome PAI si aggira per il Veneto – 2

27 Dic 2012
27 Dicembre 2012

Pubblichiamo la seconda parte dello studio della dott.sa Giada Scuccato sul PAI, riguardante i rapporti tra il PAI, gli strumenti urbanistici e i titoli abilitativi edilizi.

La prima parte è stata pubblicata il 21 dicembre 2012.

PAI - strumenti urbanistici e titoli abilitativi

Buon Natale

25 Dic 2012
25 Dicembre 2012

Venetoius e i suoi collaboratori augurano buon Natale a tutti i lettori.

Uno sconosciuto di nome PAI si aggira per il Veneto – 1

21 Dic 2012
21 Dicembre 2012

Pubblichiamo uno studio della dott.sa Giada Scuccato sul PAI (Piano stralcio per l'Assetto Idrogeografico), piano che risulta sconosciuto alla maggior parte degli operatori.

Per intuire l'importanza del PAI basta segnalare che l'articolo 8, comma 1, delle Norme di Attuazione del PAI dei bacini idrografici dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Piave e Brenta-Bacchiglione (approvato con la delibera n. 3 del 9 novembre 2012 del Comitato istituzionale) stabilisce che: "Le Amministrazioni comunali non possono rilasciare concessioni, autorizzazioni, permessi di costruire od equivalenti, previsti dalle norme vigenti, in contrasto con il Piano".

Questo primo studio riguarda la storia e le procedure di formazione del PAI.

SeguirĂ  un successivo studio sui rapporti tra il PAI, gli strumenti urbanistici e i titoli abilitativi edilizi.

Il Piano di Assetto Idrogeologico - storia e procedimenti

Prime linee guida della Provincia di Vicenza sul PTCP: sistema delle ville venete e contesti figurativi

21 Dic 2012
21 Dicembre 2012

Sul sito della Provincia è stato pubblicato il primo documento di indirizzi per l'applicazione della disciplina del PTCP ovvero: PTCP - Linee guida - sistema delle ville venete, contesti figurativi.

Il link è il seguente:

http://www.provincia.vicenza.it/ente/la-struttura-della-provincia/servizi/urbanistica/ptcp-linee-guida



Il diritto di rivalsa dello Stato per le violazioni della CEDU commesse dagli enti locali: chi risponde? Spetta al G.O. la giurisdizione

21 Dic 2012
21 Dicembre 2012

Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 20.9.2011 è stato ordinato al Comune di Spinea di versare, in favore dello Stato italiano, la somma di € 3.001.836,00 in attuazione di quanto stabilito dall'art. 16 bis, comma 9, della L. n. 11/2005, a titolo di diritto di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti territoriali responsabili di violazioni delle disposizioni della CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo).

Infatti con una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, divenuta definitiva il 24 ottobre 2007, lo Stato Italiano è stato condannato a pagare agli interessati la somma di € 3.001.836,00 a titolo di equa soddisfazione per la violazione dell’art. 1, protocollo addizionale 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. In particolare, la controversia atteneva alla procedura espropriativa per pubblica utilità posta in essere dal Comune di Spinea e riguardante alcuni terreni di proprietà degli interessati, che erano stati destinati ad edilizia economica e popolare nell’ambito di un P.E.E.P. Le trattative per la definizione dell’indennità di esproprio erano iniziate già nel 1981 senza portare ad acun esito definitivo, mentre la controversia giudiziaria aveva avuto inizio nel 1991, dinanzi al Tribunale civile di Venezia. Infine, nel 1998 gli interessati si erano rivolti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale si era pronunciata con le suddette sentenze.

Il Comune contesta che lo Stato abbia il diritto di rivalsa, perchè il Comune si è limitato ad applicare le leggi dello Stato e, quindi, unico responsabile della condanna inflitta dalla Corte europea sarebbe lo stato stesso e non il Comune.

Il T.A.R. Veneto, sez. II, con la sentenza del 12 dicembre 2012 n. 1546, dichiara la giurisdizione del Giudice Ordinario in materia di diritto di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti territoriali responsabili di violazioni delle disposizioni della CEDU, in base alla l. 4.02.2005 n. 11 “Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”, il cui art. 16 bis recita: “1. Al fine di prevenire l'instaurazione delle procedure d'infrazione di cui agli articoli 226 e seguenti del Trattato istitutivo della Comunità europea o per porre termine alle stesse, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa comunitaria. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 1, del citato Trattato.

2. Lo Stato esercita nei confronti dei soggetti di cui al comma 1, che si rendano responsabili della violazione degli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria o che non diano tempestiva esecuzione alle sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, i poteri sostitutivi necessari, secondo i princìpi e le procedure stabiliti dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e dall'articolo 11, comma 8, della presente legge.

3. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 indicati dalla Commissione europea nelle regolazioni finanziarie operate a carico dell'Italia a valere sulle risorse del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA), del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e degli altri Fondi aventi finalitĂ  strutturali.

4. Lo Stato ha diritto di rivalersi sui soggetti responsabili delle violazioni degli obblighi di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna rese dalla Corte di giustizia delle ComunitĂ  europee ai sensi dell'articolo 228, paragrafo 2, del Trattato istitutivo della ComunitĂ  europea.

5. Lo Stato ha altresì diritto di rivalersi sulle regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati, i quali si siano resi responsabili di violazioni delle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dei relativi Protocolli addizionali, degli oneri finanziari sostenuti per dare esecuzione alle sentenze di condanna rese dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato in conseguenza delle suddette violazioni.

6. Lo Stato esercita il diritto di rivalsa di cui ai commi 3, 4 e 5:

  • a) nei modi indicati al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale;
  • b) mediante prelevamento diretto sulle contabilitĂ  speciali obbligatorie istituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, ai sensi della legge 20 ottobre 1984, n. 720, per tutti gli enti e gli organismi pubblici, diversi da quelli indicati nella lettera a), assoggettati al sistema di tesoreria unica;
  • c) nelle vie ordinarie, qualora l'obbligato sia un soggetto equiparato ed in ogni altro caso non rientrante nelle previsioni di cui alle lettere a) e b).

7. La misura degli importi dovuti allo Stato a titolo di rivalsa, comunque non superiore complessivamente agli oneri finanziari di cui ai commi 3, 4 e 5, è stabilita con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro tre mesi dalla notifica, nei confronti degli obbligati, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati e reca la determinazione dell'entità del credito dello Stato nonché l'indicazione delle modalità e i termini del pagamento, anche rateizzato. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato.

8. I decreti ministeriali di cui al comma 7, qualora l'obbligato sia un ente territoriale, sono emanati previa intesa sulle modalità di recupero con gli enti obbligati. Il termine per il perfezionamento dell'intesa è di quattro mesi decorrenti dalla data della notifica, nei confronti dell'ente territoriale obbligato, della sentenza esecutiva di condanna della Repubblica italiana. L'intesa ha ad oggetto la determinazione dell'entità del credito dello Stato e l'indicazione delle modalità e dei termini del pagamento, anche rateizzato. Il contenuto dell'intesa è recepito, entro un mese dal perfezionamento, in un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze che costituisce titolo esecutivo nei confronti degli obbligati. In caso di oneri finanziari a carattere pluriennale o non ancora liquidi, possono essere adottati più provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze in ragione del progressivo maturare del credito dello Stato, seguendo il procedimento disciplinato nel presente comma.

dott. Matteo Acquasliente

sentenza TAR Veneto 1546 del 2012

La Corte Costituzionale boccia il ricorso della Regione Veneto contro la liberalizzazione del commercio e le aperture domenicali

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

Oggi la Regione Veneto dovrebbe legiferare in materia di commercio: puntuale come un orologio arriva una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 299 del 2012) che costituisce una vera doccia gelata per le pretese legislative regionali in materia di commercio.

La Regione, dice la Corte, non può opporsi alle liberalizzazioni del commercio.

VorrĂ  la Regione tenerne conto o ne uscirĂ  un'altra legge regionale veneta incostituzionale (il che non sarebbe poi la prima volta)?

Con un ricorso notificato il 21 febbraio 2012 e depositato il successivo 23 febbraio la Regione Veneto ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale , tra gli altri, l’art. 31, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui modifica la lettera d-bis) dell’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 introdotta dall’art. 35, comma 6, del d.l. n. 98, eliminando le parole «in via sperimentale» e «dell’esercizio ubicato nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte».
La Regione Veneto ritiene che la norma impugnata, eliminando in via generale ed assoluta i limiti e le prescrizioni relativi agli orari di apertura e chiusura, alla chiusura domenicale, festiva e infrasettimanale degli esercizi commerciali, inclusi quelli di somministrazione di alimenti e bevande, violi sia l’art. 117, primo e quarto comma, Cost. che riserva alla Regione la competenza legislativa nella materia del commercio, sia la potestà regionale connessa all’esercizio delle funzioni amministrative di cui all’art. 118, primo e secondo comma, Cost. La Regione afferma che l’eliminazione, in via generale ed assoluta, di ogni possibile limite relativo agli orari ed ai giorni di apertura e chiusura, sia per le attività commerciali in senso stretto che per le attività di somministrazione di alimenti e bevande, determina l’abrogazione della previgente disciplina statale degli orari di vendita, posta dagli artt. 11 e 12 del d.lgs. n. 114 del 1998, applicata nella Regione Veneto.
La nuova disposizione statale, secondo la ricorrente, travolgerebbe anche la legge regionale del Veneto 21 settembre 2007, n. 29 (Disciplina dell’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande), nella parte in cui disciplina gli orari di vendita.
L’introduzione di un divieto siffatto viene giustificata, come si evince dal comma l dell’art. 3 del decreto legislativo in esame, nel quale si incardina la novella, facendo riferimento alle «disposizioni dell’ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi» e al «fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all’acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione».
Ritiene la Regione Veneto che la modifica apportata all’art. 3, comma l, del citato decreto non costituisca né adeguamento dell’ordinamento interno al diritto dell’Unione europea né esercizio di competenza legislativa esclusiva dello Stato in relazione alla tutela della concorrenza e alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117, lettere e) ed m), Cost.

La Corte Cosituzionale con la sentenza n. 299 del 2012, depositata il 19 dicembre 2012, ha dichiarato infondata le questioni sollevate dalla Regione Veneto: "La giurisprudenza costituzionale è costante nell’affermare che la nozione di concorrenza di cui al secondo comma, lettera e), dell’art. 117 Cost. riflette quella operante in ambito comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali: le misure legislative di tutela in senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e che ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione; b) sia le misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche (ex multis, sentenze n. 270 e n. 45 del 2010, n. 160 del 2009, n. 430 e n. 401 del 2007).
In questa seconda accezione, attraverso la «tutela della concorrenza», vengono perseguite finalità di ampliamento dell’area di libera scelta dei cittadini e delle imprese, queste ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi (sentenza n. 401 del 2007).
Come questa Corte ha più volte osservato, «Si tratta dell’aspetto più precisamente di promozione della concorrenza, che costituisce una delle leve della politica economica statale e, pertanto, non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenze n. 80 del 2006, n. 242 e n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004).
Si è già precisato che la materia «tutela della concorrenza», dato il suo carattere «finalistico», non è una «materia di estensione certa» o delimitata, ma è configurabile come «trasversale», corrispondente ai mercati di riferimento delle attività economiche incise dall’intervento e in grado di influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni (sentenze n. 80 del 2006, n. 175 del 2005, n. 272 e n. 14 del 2004).
Pertanto, in questa accezione «dinamica» della materia «tutela della concorrenza», – ricomprendente le misure dirette a promuovere l’apertura di mercati o ad instaurare assetti concorrenziali, mediante la riduzione o l’eliminazione dei vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e alle modalità di esercizio delle attività economiche –, è consentito al legislatore statale intervenire anche nella disciplina degli orari degli esercizi commerciali che, per ciò che riguarda la configurazione «statica», rientra nella materia commercio attribuita alla competenza legislativa residuale delle Regioni (sentenze n. 288 e n. 247 del 2010, ordinanza n. 199 del 2006).
In particolare, con riferimento alle misure di liberalizzazione, questa Corte ha avuto modo di affermare che «la liberalizzazione da intendersi come razionalizzazione della regolazione, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Una politica di “ri-regolazione” tende ad aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte, l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva – cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) – genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a detrimento degli interessi degli operatori economici, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale» (sentenza n. 200 del 2012).
Compito della Corte è, quindi, quello di valutare se le misure sottoposte al suo vaglio, che disciplinano o ridisciplinano importanti aspetti di regolazione del mercato, stabilendo nuovi criteri per il suo funzionamento, possiedano i requisiti per essere qualificate come normative che favoriscono la concorrenza.
Nel caso in questione, l’intervento del legislatore statale non incorre nella denunciata illegittimità. La norma in esame, infatti, attua un principio di liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle attività economiche.
L’eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore.
Si tratta, dunque, di misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale.
Del resto questa Corte, di recente, è stata chiamata a giudicare della legittimità costituzionale di alcune normative regionali che disciplinavano la materia degli orari degli esercizi commerciali e dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva, ma prima dell’approvazione della norma impugnata, quando cioè il quadro normativo di riferimento della legislazione statale era rappresentato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio).
In tali occasioni si è ritenuto legittimo l’esercizio della competenza in materia di commercio da parte del legislatore regionale solo nel caso in cui le norme introdotte non determinassero un vulnus alla «tutela della concorrenza» (sentenze n. 150 del 2011 e n. 288 del 2010).
Pertanto, nei casi in cui le stesse avevano introdotto una disciplina più favorevole rispetto a quella statale del 1998, nel senso della liberalizzazione Corte costituzionale della Repubblica italiana degli orari e delle giornate di chiusura obbligatoria, esse sono state ritenute legittime (sentenza n. 288 del 2010); viceversa, allorché si è riscontrata una disciplina di segno contrario, ne è seguita una pronuncia di illegittimità costituzionale (sentenza n. 150 del 2011).
Infine, deve anche evidenziarsi che la norma oggetto del presente giudizio inserisce la lettera d-bis) nell’articolo 3, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 che è già stato scrutinato da questa Corte sotto il medesimo profilo della violazione della competenza residuale delle regioni in materia di commercio di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost. (sentenza n. 430 del 2007).
In tale occasione si è ritenuto che l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006 dettasse le condizioni ritenute essenziali ed imprescindibili per garantire l’assetto concorrenziale nel mercato della distribuzione commerciale, rimuovendo i residui profili di contrasto della disciplina di settore con il principio della libera concorrenza (sentenza n. 430 del 2007).
Tutte le prescrizioni recate dal citato comma 1 dell’art. 3 sono state ritenute strumentali rispetto a questo scopo, in quanto dirette a rimuovere limiti all’accesso al mercato, sia se riferite all’iscrizione in registri abilitanti o a requisiti professionali soggettivi (comma 1, lettera a), sia se riferite alla astratta predeterminazione del numero degli esercizi (comma 1, lettera b), sia se concernenti le modalità di esercizio dell’attività, nella parte influente sulla competitività delle imprese (comma 1, lettere c, d, e, ed f, e comma 2), anche allo scopo di ampliare la tipologia di esercizi in concorrenza.
In conclusione, per gli stessi motivi, anche la nuova lettera d-bis) del comma 1 dell’art. 3 del d.l. n. 223 del 2006 deve essere inquadrata nell’ambito della materia «tutela della concorrenza» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Le censure svolte dalle Regioni ad autonomia speciale in relazione alla dedotta violazione della propria competenza legislativa primaria nella  materia del commercio, come attribuita dagli statuti, non sono fondate.
Al riguardo, va rilevato che dalla natura “trasversale” della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza deriva che il titolo competenziale delle Regioni a statuto speciale in materia di commercio non è idoneo ad impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale e che la disciplina statale della concorrenza costituisce un limite alla disciplina che le medesime Regioni possono adottare in altre materie di loro competenza. In senso analogo, del resto, si è già espressa questa Corte a proposito del rapporto tra le competenze previste dagli statuti speciali e quella esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (sentenze n. 12 del 2009; n. 104 del 2008; n. 380 del 2007)".

Dario Meneguzzo

Corte costituzionale della Repubblica italiana_sent_299-2012

Ulteriori indirizzi della provincia di Vicenza per il SUAP

20 Dic 2012
20 Dicembre 2012

La Provincia di Vicenza, con una nota del 18 dicembre 2012, ha emanato ulteriori indirizzi riguardanti il SUAP (in particolare le procedure di formazione della variante urbanistica in contrasto allo strumento urbanistico generale).

I primi indirizzi sono stati pubblicati in questo sito in data 10 dicembre 2012.

SuapIndirizzi

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