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Circolare regionale sul cambio d’uso di cui all’art. 44, comma 5, della L.R. 11/2004 dopo l’art. 34, comma 1, della L.R. 3/2013

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

La circolare regionale n. 2 del 29 ottobre 2013 fornisce chiarimenti in merito all'articolo 44, comma 5, della L.R. 11/2004, come sostituito dall'articolo 34, comma 1, della L.R. 3/2013.

In particolare la circolare si occupa dell'inciso per il quale il mutamento di destinazione d'uso da edificio con destinazione diversa a edificio abitativo è consentita "purchè la destinazione abitativa sia consentita dallo strumento urbanistico generale". 

La circolare conferma quanto avevamo già sostenuto in questo sito, vale a dire che la destinazione abitativa deve essere espressamente prevista dallo strumento urbanistico in relazione al singolo edificio di cui si vuole mutare la destinazione d'uso (non più funzionale all'uso agricolo).

Certo però che, se per chiarire un inciso servono quattro pagine di circolare, qualche dubbio sulla qualità tecnica delle leggi regionali magari potrebbe anche spuntare a qualcuno.

avv. Dario Meneguzzo

circolare zone agricole

 

Nel caso di lotto residuo di quale area si deve tenere conto per valutare la sufficienza delle opere di urbanizzazione

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

E' noto che la giurisrpudenza esclude che occorra il piano attuativo (anche se prescritto dal PRG), quando si sia in presenza di un lotto residuo  ed intecluso, il quale  si trovi in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, sia anche dotata delle opere di urbanizzazione.

Ma a quale area di deve fare riferimento per valutare la dotazione delle opere di urbanizzazione?

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5251 del 2013 così precisa: "3 Una volta confermata la permanente vigenza del suddetto vincolo strumentale all’epoca del pronunciamento dell’Amministrazione sul progetto di parte, occorre peraltro ricordare che, secondo una consolidata giurisprudenza, previsioni urbanistiche del genere possono, in casi particolari, risultare superate dai fatti e non più vincolanti in concreto, ove sia stato raggiunto il risultato - l’adeguata dotazione di infrastrutture, primarie e secondarie- cui tali previsioni di “attesa” erano finalizzate. Secondo l’insegnamento giurisprudenziale, infatti, una concessione edilizia può essere rilasciata anche in assenza del piano attuativo pur richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato, vi è già stata, cioè, una pressoché completa edificazione dell'area (come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso), e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione; pertanto, si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano solo, in pratica, nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (C.d.S., V, 5 dicembre 2012, n. 6229; 5 ottobre 2011, n. 5450; IV, 1° agosto 2007, n. 4276; 21 dicembre 2006, n. 7769).
4 Ciò posto, il Collegio deve rilevare la sostanziale fondatezza delle censure con cui la società in epigrafe ha contestato la valutazione comunale espressa nel senso dell’insufficienza, rispetto al sito, degli standards urbanistici per carenze, segnatamente, di servizi e verde pubblico, secondo quanto riportato nell’allegato C della delibera n. 203/1995. In una vicenda del tutto analoga e coeva, in cui il Comune di Roma aveva parimenti denegato una concessione relativamente ad un’area della Capitale classificata in zona D, siccome reputata carente quanto a standards per servizi e verde pubblico alla stregua dei medesimi accertamenti contenuti nell’Allegato C alla delibera n. 203/1995, ed il T.A.R., di diverso avviso, aveva invece censurato il riferimento comunale all’All. C alla delibera n. 203, affermando che i relativi accertamenti non potevano considerasi attendibili, e questo sia per il tempo trascorso dal rilevamento dei dati, sia per la perplessità dei criteri usati per l’individuazione degli standards (perplessità riconosciuta dallo stesso Comune in sede di adozione della successiva variante), questa Sezione ha avuto modo di condividere le critiche in tal modo espresse dal primo Giudice, osservando quanto segue (sentenza n. 448 del 29 gennaio 2003). “Ritiene il Collegio che l’avviso dei primi giudici vada condiviso, e ciò in considerazione, soprattutto, degli elementi desumibili dalle valutazioni espresse dallo stesso Comune in tema di carenza di standards sia all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, sia successivamente... E’ peraltro il caso di aggiungere, a proposito della verifica dello stato delle urbanizzazioni già esistenti, che il principio che “l'ambito territoriale di riferimento non può essere limitato alle sole aree di contorno dell'edificio progettato, ma deve coincidere con il perimetro del comprensorio che dagli strumenti attuativi dovrebbe essere pianificato” era stato già enunciato anche nella precedente sentenza della Sezione n. 1341/2001, il cui chiaro passaggio era stato, per la verità, anche citato dal T.A.R. nella decisione in epigrafe, senza che ne fossero tratti, però, i dovuti corollari. Va a questo punto sottolineato che il relativo, decisivo vizio era stato inequivocabilmente dedotto sin dal ricorso introduttivo di prime cure (v. le sue pagg. 20 e segg., e spec. la pag. 22), lamentandosi, appunto, come il Comune, con il più volte menzionato all. C della delibera n. 203, prescindendo anche dalle già individuate Z.T.O. avesse illegittimamente “creato” per la bisogna una categoria del tutto diversa, i c.d. ambiti, estranea alla normativa in vigore. Dall’arbitrarietà del dimensionamento del bacino cui è stata ancorata la verifica degli standards urbanistici si desume, dunque, la fondatezza degli addebiti di difetto di istruttoria e, conseguentemente, di adeguata motivazione ascritti all’Amministrazione comunale, la quale si è sottratta alla necessaria valutazione specifica del progetto sottopostole, nel quadro della situazione urbanistica propria del pertinente bacino territoriale di riferimento".

CDS su decadenza vincoli strumentali

I vincoli strumentali (pianificazione attuativa) decadono solo se è esclusa l’iniziativa privata

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

Segnaliamo la puntualizzazione sulla questione contenuta nella sentenza del Consiglio di Stato n.5251 del 2013.

Si legge nella sentenza: "2 Tanto premesso, la prima doglianza riproposta dall’attuale appellante attiene all’intervenuta decadenza del vincolo c.d. strumentale di inedificabilità opposto dal Comune per scadenza del quinquennio previsto dalla legge. Il mezzo non è suscettibile di valutazione positiva. La società si richiama al tradizionale orientamento secondo il quale l'art. 2 comma 1 l. 19 novembre 1968 n. 1187, che prevede la durata quinquennale dei vincoli che comportano l'inedificabilità dei suoli, si riferisce a tutti i vincoli discendenti dal p.r.g., senza possibilità di distinzione tra vincoli di natura sostanziale e vincoli di natura solo strumentale, tra i secondi dei quali rientra la subordinazione dell'edificabilità di un'area alla previa formazione di un piano esecutivo (cfr. ad es. C.d.S., V, 14 aprile 2000, n. 2238; 6 marzo 1991, n. 223). La Sezione deve però osservare che, pur rimanendosi sul terreno dell’orientamento tradizionale appena detto, la censura risulta comunque infondata. La giurisprudenza ha infatti uniformemente escluso che la decadenza ex L. n. 1187/1968 dei vincoli strumentali previsti dallo strumento urbanistico possa applicarsi nei casi in cui, in alternativa al piano particolareggiato, sia prevista dal piano regolatore la possibilità di ricorso ad un piano di lottizzazione ad iniziativa privata. In questo ultimo caso, infatti, la possibilità di una pianificazione di livello derivato ad iniziativa privata, consentendo di porre rimedio ad eventuali inerzie o ritardi della P.A., esclude la configurabilità dello schema ablatorio, e quindi, conseguentemente, la decadenza quinquennale del relativo vincolo (C.d.S., IV, 24 marzo 2009, n. 1765; V, 3 aprile 2000, n. 1908). E nella fattispecie concreta si profila proprio una condizione siffatta, atteso che l’art. 7 delle N.T.A. subordinava l’attività edificatoria nelle aree libere della zona D all’adozione non solo di piani particolareggiati, ma anche, in alternativa e senza limitazioni, di “altri strumenti attuativi”. Senza dire che l’indirizzo giurisprudenziale posto a base della doglianza comporterebbe che l'area in precedenza sottoposta a vincoli, anche strumentali, dopo la loro decadenza quinquennale risulterebbe priva di regolamentazione urbanistica (e quindi “bianca”), in quanto, mentre la disciplina preesistente era stata ormai abrogata, quella successiva sarebbe diventata inefficace, con il risultato che all'area in questione si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 4, ultimo comma, della L. 28 gennaio 1977 n. 10 (C.d.S., V, 23 novembre 1996, n. 1413; 30 ottobre 1997, n. 1225). Donde l’onere della ricorrente, rimasto inadempiuto, di giustificare il proprio interesse a base della censura, dimostrando l’utilità effettiva dell’accoglimento della medesima ai fini del positivo corso del proprio progetto edificatorio".

CDS su decadenza vincoli strumentali

Continuano i lavori della seconda commissione consiliare sul nuovo piano casa del Veneto

05 Nov 2013
5 Novembre 2013

Ordine del Giorno

data seduta: 06.11.2013

luogo di convocazione: Consiglio regionale - Palazzo Ferro Fini

prima convocazione: 09:30

seconda convocazione: 10:30

La Commissione è convocata per mercoledì 06 novembre 2013 alle ore 09:30 in prima convocazione e alle ore 10:30 in seconda convocazione

Argomenti all'ordine del Giorno

1.  Approvazione processo verbale della seduta precedente

2.  Comunicazioni del Presidente della Commissione

3.  Esame e parere - PDLR n. 200 del 09 settembre 2011
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Bruno Pigozzo, Graziano Azzalin, Giuseppe Berlato Sella, Franco Bonfante, Mauro Bortoli, Roberto Fasoli, Stefano Fracasso, Laura Puppato, Sergio Reolon, Piero Ruzzante, Claudio Sinigaglia e Lucio Tiozzo relativa a: “Modifica dell'articolo 2 e dell'articolo 9 della legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 in materia di ampliamento di edifici”

4.  Esame e parere - PDLR n. 295 del 03 agosto 2012
Proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Costantino Toniolo, Davide Bendinelli, Dario Bond, Giancarlo Conta, Piergiorgio Cortelazzo, Nereo Laroni e Carlo Alberto Tesserin relativa a: “Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile" e alla legge regionale 8 luglio 2011, n. 13 "Modifiche alla legge regionale 8 luglio 2009, n. 14 "Intervento regionale a sostegno del settore edilizio e per favorire l'utilizzo dell'edilizia sostenibile e modifiche alla legge regionale 12 luglio 2007, n. 16 in materia di barriere architettoniche" e successive modificazioni, alla legge regionale 23 aprile 2004, n. 11 "Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio" e successive modificazioni e disposizioni in materia di autorizzazioni di impianti solari e fotovoltaici"”

5.  Esame e parere - PDLR n. 355 del 22 maggio 2013
Disegno di legge di iniziativa della Giunta regionale relativo a: “Provvedimenti per il sostegno al settore edilizio e per la riqualificazione delle aree degradate del Veneto. Piano di sviluppo edilizio.”

6.  Varie ed eventuali.

La divisione in due di una unità abitativa è ristrutturazione onerosa perchè aumenta il carico urbanistico

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza n. 649 del 2013 del TAR Emilia Romagna - Bologna, relativa a una caso in cui il ricorrente pretendeva che la suddivisione di tre alloggi in sette alloggi fosse da qualificare come risanamento conservativo gratuito.

Scrive il TAR: "Quanto, innanzi tutto, al carattere oneroso o gratuito dell’intervento edilizio in questione, il Collegio ritiene che non si possa prescindere dal preliminare accertamento della reale portata dell’intervento medesimo, alla luce dell’orientamento che vuole che la qualificazione di un intervento edilizio assentito non dipende dal nomen juris impiegato dall’Autorità comunale, ma deve essere compiuta in base a criteri essenziali (v. Cons. Stato, Sez. V, 5 giugno 1991 n. 883). Orbene, a proposito della “ristrutturazione” e del “restauro e risanamento conservativo”, la giurisprudenza individua il tratto differenziale tra le due tipologie di interventi nella presenza o meno di modifiche strutturali incidenti sulla sagoma e sul volume dell’edificio, ovvero nella presenza o meno di un incremento del complessivo carico urbanistico derivante dall’edificio, sicché l’elemento decisivo, ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, è costituito non tanto dal dato formale del coinvolgimento delle strutture portanti o delle pareti perimetrali dell’immobile, quanto da quello sostanziale del conseguimento di un maggiore “peso” urbanistico sul territorio, a causa di aumenti di volume, di modifiche di sagoma o di incrementi del complessivo carico urbanistico rispetto al preesistente (v. Cons. Stato, Sez. IV, 19 novembre 2012 n. 5818). Nella fattispecie, in particolare, l’aggravio di carico urbanistico viene fatto discendere  dall’Amministrazione comunale dall’incremento di alloggi che l’intervento determina, aggravio la cui sussistenza la ricorrente invero non contesta, senza tener conto però della circostanza che, in relazione agli interventi che danno titolo al rilascio della concessione edilizia a titolo gratuito, l’elemento di discriminazione tra la concessione onerosa e la concessione gratuita, o tra interventi assoggettati al regime di concessione e opere soggette a mera autorizzazione, deve essere individuato nella modifica o meno del carico urbanistico, che costituisce il limite della differenza di regime giuridico (v., tra le altre, TAR Marche 12 febbraio 1998 n. 250). Ne consegue che, dovendosi ascrivere l’intervento edilizio in questione alla categoria della “ristrutturazione” – nonostante il diverso nomen iuris utilizzato –, correttamente l’Amministrazione ha preteso la corresponsione del contributo ex art. 3 della legge n. 10 del 1977".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Emila Romagna - Bologna n. 649 del 2013

Gli oneri di urbanizzazione producono interessi legali corrispettivi e non moratori dal giorno del rilascio del titolo edilizio

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Un soggetto presenta con DIA un intervento edilizio, qualificandolo come restauro. Dopo alcuni anni il Comune riqyalifica l'intervento come ristrutturazione edilizia e chiede il pagamento degli oneri di urbanizzazione, aumentati degli interessi legali calcolati dalla presentazione della DIA.

L'interessato ricorre al TAR, lamentando, tra l'altro, che si siano applicati gli interessi di mora con decorrenza 26 maggio 1997, nonostante l’Amministrazione abbia avanzato solo nell’ottobre 1999 la pretesa al pagamento degli oneri di urbanizzazione e poi quantificato solo nel marzo 2000 l’entità del dovuto, circostanza che farebbe gravare sull’ente locale la responsabilità del ritardo, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod.civ., e rivelerebbe altresì una condotta scorretta, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod.civ.

Il TAR respinge il ricorso scrivendo che: " Quanto, poi, agli interessi legali pretesi dall’Amministrazione comunale, la ricorrente lamenta che li si sia fatti decorrere dal 26 maggio 1997, benché la comunicazione della debenza del contributo fosse avvenuta solo nell’ottobre 1999 e la prima quantificazione del relativo importo fosse stata operata solo nel marzo 2000, sicché difetterebbero i presupposti legali per l’applicazione di interessi di mora ad una somma il cui ritardato versamento si assume imputabile esclusivamente al creditore. In realtà – osserva il Collegio – la giurisprudenza ha chiarito (v. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 18 luglio 2011 n. 3889) che il contributo diviene certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile fin dal momento della formazione del titolo edilizio, con la conseguenza che è da allora che inizia a maturare il credito accessorio per interessi ai sensi dell’art. 1282 cod.civ.; non trattandosi, dunque, di interessi moratori, quanto piuttosto di interessi corrispettivi, legittimamente l’Amministrazione resistente ha a suo tempo preteso il pagamento di simili accessori secondo le modalità contestate dalla ricorrente. Si tratta, del resto, di conclusione coerente con quell’indirizzo giurisprudenziale che dalla disciplina della legge n. 10 del 1977 fa scaturire che il fatto costitutivo dell’obbligo giuridico del titolare della concessione edilizia di versare il dovuto é rappresentato dal rilascio della concessione stessa, sicché è a quel momento che occorre avere riguardo non solo per la  determinazione del contributo, ma anche per l’individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, divenendo il relativo credito – a tale data – certo, liquido (o agevolmente liquidabile) ed esigibile, e ciò anche perché, pur in presenza del potere del Comune di stabilire modalità e garanzie per il pagamento del contributo, l’atto di imposizione non ha carattere autoritativo, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, applicativo di precedenti provvedimenti di carattere generale, per cui la mancata tempestiva adozione dello stesso non implica alcuna facoltà dell’Amministrazione di differire la riscossione del suo diritto di credito, configurandosi piuttosto come mancato esercizio del diritto stesso, idoneo a far decorrere il termine di prescrizione (v., in questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 29 settembre 2011 n. 5413)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Emila Romagna - Bologna n. 649 del 2013

Il TAR Puglia benevolo sulla questione degli oneri specifici

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Il T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, con la sentenza del 22 ottobre 2013 n. 1429, pur consapevole del contrasto giurisprudenziale riguardante gli oneri specifici, giunge a ritenere che, almeno laddove la lex specialis nulla disponga a riguardo, la loro omessa indicazione non determina l’esclusione della gara: “Ciò che però rileva in questa sede è soprattutto, in sé, la questione delle conseguenze discendenti dalla mancata indicazione nell’offerta economica dei costi aziendali, in ordine alla quale deve registrarsi un contrasto giurisprudenziale tra quanti ritengono che l’esclusione del concorrente sia in tal caso del tutto automatica, facendosi richiamo al concetto di eterointegrazione del bando e qualificando l’indicazione dei costi per la sicurezza da “rischio specifico” come “elemento essenziale” dell'offerta, a norma dell'art. 46, comma 1-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 e quanti (compresa l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) invece sostengono che l’omessa specificazione degli oneri da “rischio specifico” non potrebbe mai giustificare la sanzione espulsiva, stante che l’art. 87, quarto comma, del codice dei contratti non prevede l’esclusione dalla gara, ma impone un criterio da seguire per la valutazione della congruità dell’offerta, vietando all’impresa di dimostrare la rimuneratività e l’attendibilità del ribasso effettuato contraendo gli oneri della sicurezza (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 27 settembre 2012, n. 1700; Sez. II, 31 maggio 2013 n. 896; T.A.R. Umbria, 22 maggio 2013 n. 301; AVCP, parere 8 marzo 2012 n. 27).

Occorre rammentare che la base normativa del dibattito è rappresentata dal citato articolo 87, comma quarto, che si limita a prescrivere che “Non sono ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza” per poi concludere che “Nella valutazione dell'anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell'offerta e risultare congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture”.

In definitiva la sanzione dell’esclusione non risulta espressamente prevista in alcuna delle norme rilevanti (articoli 87, comma quarto, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 163/2006 e articolo 26, comma sesto, del decreto legislativo n. 81/2008).

Di conseguenza, per assicurare il rispetto del principio di “tassatività delle cause di esclusione”, di cui al comma 1 - bis dell’art. 46 del codice dei contratti pubblici, introdotto dal D.L. n. 70/2011, bisognerebbe dimostrare che l’omessa indicazione dei costi aziendali rientri nell’ipotesi di “difetto di altri elementi essenziali”.

Tale qualificazione è però oltre modo dubbia, considerato che tale dato non rappresenta un elemento decisivo ai fini dell’attribuzione del punteggio sul contenuto dell’offerta, bensì un costo separato da porsi a carico totale dell’impresa; nello stesso senso possono leggersi gli atti dell’Autorità di Vigilanza che, in sede di determinazione sui “bandi - tipo”, ai sensi dell’articolo 64, comma 4-bis, del codice dei contratti pubblici, non ha compreso la mancata indicazione degli oneri di sicurezza da “rischio specifico” tra le cause tassative di esclusione (AVCP, determinazione n. 4 del 10 ottobre 2012).

In definitiva, occorre riconoscere che l’articolo 87, quarto comma, è collocato sistematicamente non già in sede di disciplina del contenuto essenziale delle offerte, bensì nell’ambito dei “criteri di verifica delle offerte anormalmente basse” e che perciò esso si riferisca alla valutazione che dev’essere effettuata nell’ambito dell’apposito sub-procedimento.

Nell’ipotesi (che ricorre nella fattispecie in esame) dunque in cui la lex specialis nulla abbia specificato in ordine all’onere d’indicare i corsi di sicurezza aziendale, l’esclusione verrebbe a colpire (in contrasto con i principi di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento e del favor partecipationis) concorrenti che hanno presentato un’offerta perfettamente conforme alle prescrizioni stabilite dal bando e dall’allegato modulo d’offerta; né può ritenersi ammessa la contestazione della mancanza nel bando della clausola che imponesse detta quantificazione a pena di esclusione quando la selezione si è conclusa, in quanto il termine per impugnare tale atto d’indizione deve farsi decorrere dal momento della sua pubblicazione, attesa l'immediata percepibilità del vizio da parte delle imprese interessate alla partecipazione, che non possono strumentalmente riservarsi di chiedere l'annullamento della lex specialis di gara - e dell'intera procedura in via consequenziale - nell'ipotesi di esito non favorevole (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 6 dicembre 2012, n. 2075; Cons. Stato, Sez. IV, 7 novembre 2012 n. 567; Sez. VI, 26 febbraio 2010 n. 1140).

L’articolo 87 può essere invece interpretato nel senso che la stazione appaltante, ritenendo indispensabile acquisire dati certi su questi costi aziendali da utilizzare in sede di verifica dell’anomalia, deve prevedere, già negli atti d’indizione della gara, l’indicazione da parte dei singoli concorrenti degli oneri di sicurezza aziendali e sanzionare la relativa mancanza; ma se ciò non si è verificato, verrebbero poste in danno delle ditte partecipanti le conseguenze negative derivanti dalla stessa omissione della stazione appaltante. D’altronde, a riprova dell’affidamento incolpevole dei concorrenti a poter partecipare alla selezione secondo gli adempimenti formali letteralmente previsti nel bando, rileva l’alto numero di esclusi per questa causa anche nella gara in esame.

Sotto altro profilo, poi, la sanzione espulsiva non risulta conforme alla ratio del paradigma normativo di riferimento, che risponde all’esigenza di consentire alla stazione appaltante di verificare la congruità ed attendibilità dell’offerta, sotto il profilo della garanzia della sicurezza dell’esecuzione dell’appalto: invero, l’automaticità del meccanismo non solo impedirebbe il contraddittorio, ma contrasterebbe con i principi del diritto europeo come enucleati nella sentenza della Corte di giustizia UE 15 maggio 2008 in C-148/2006”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Puglia n. 1429 del 2013

Il riconoscimento del debito fuori bilancio per acquisizioni di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lettera e), del d.lgs. n° 267/2000 è atto discrezionale e non obbligatorio

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Una società ha presentato un ricorso al TAR per domandare la declaratoria dell’illegittimità dell’inerzia asseritamente serbata dalle amministrazioni intimate sulla richiesta, avanzata dalla medesima ricorrente, rivolta ad ottenere il  riconoscimento, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n° 267/2000, del debito correlativo alla pretesa vantata per euro trecentotremilaquattrocentotrentasette/54 (€ 303.437,54), oltre interessi e rivalutazione, in riferimento a “lavori di somma urgenza di sistemazione dell’alveo e delle sponde di un fiume.

Il TAR Marche, con la sentenza n. 749 del 2013, allegata l post che precede non accoglie il ricorso, scrivendo che: "Il ricorso è inammissibile. Con l’odierna iniziativa giurisdizionale, parte ricorrente insorge avverso il mancato esercizio del potere di riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194, primo comma, lett. e), del testo unico degli enti locali, d.lgs. n° 267/2000 (vds. atto introduttivo del giudizio, pag. 20). Dev’essere osservato che il potere, invocato dalla società ricorrente, di riconoscimento del debito fuori bilancio, derivante da acquisizione di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lett. e), del testo unico degli enti locali, d.lgs. n° 267/2000, summenzionato, non può ritenersi vincolato né sotto il profilo dell’an, né sul quantum. A differenza della fattispecie contemplata dalla lettera a) del medesimo art. 194, che configura quale atto dovuto il riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, fattispecie non sussistente in concreto, non essendo stata nemmeno dedotta l’esistenza di un accertamento giurisdizionale in ordine alla pretesa vantata, la fattispecie di cui alla lettera e) dell’art. 194, d.lgs. n° 267/2000, demanda all’amministrazione la valutazione, a carattere discrezionale, concernente l’opportunità e la coerenza con l’interesse pubblico del riconoscimento del debito fuori bilancio. In sede di delibera che disponga il riconoscimento di debiti fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui all’art. 191, commi 1, 2 e 3, del testo unico n° 267/2000, l’ente locale è tenuto ad esplicitare adeguatamente le ragioni per le quali l’accollo del debito sia stato ritenuto non in contrasto con l’interesse pubblico, dovendo, altresì, motivare adeguatamente sulla riconducibilità dell’acquisizione dei beni e servizi in questione all’espletamento delle funzioni e dei servizi di competenza, nonché sull’utilità e arricchimento per l’ente medesimo. Tali valutazioni, appartenendo alla sfera della discrezionalità amministrativa pura, sono incoercibili con l’azione avverso il silenzio, che non consente una sostituzione delle valutazioni del giudice a quelle riservate all’amministrazione. Per tale ragione, non essendo configurabile un obbligo giuridico dell’ente locale di disporre il riconoscimento del debito fuori bilancio per acquisizioni di beni e servizi di cui all’art. 194, primo comma, lettera e), del d.lgs. n° 267/2000, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile".

Cosa succede nel processo amministrativo se la parte intimata non si costituisce nel termine di cui all’art. 46 del c.p.a.

04 Nov 2013
4 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Marche n. 749 del 2013. L'articolo 46 del codice del processo amministrativo stabilisce che le parti intimate (la P.A. e gli eventuali controinteressati) "possono costituirsi" presentando memorie e documenti "nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso". Il termine è dimidiato in casi particolari, come quello degli appalti.

Cosa succede se ci si costuisce dopo tale termine?

Scrive il TAR: "Preliminarmente, dev’essere esaminata l’eccezione, sollevata in udienza dalla difesa di parte ricorrente, con la quale è domandato lo stralcio della costituzione della Provincia di Fermo, perché tardiva. L’eccezione dev’essere accolta limitatamente allo stralcio delle memorie di costituzione e difensiva e dei documenti prodotti dalla Provincia di Fermo in data 8 ottobre 2013. Per ius receptum, il termine di costituzione delle parti intimate, stabilito dall’art. 46 del codice del processo amministrativo, soggetto, nel rito del silenzio, alla dimidiazione di cui all’art. 87, terzo comma, del codice del processo amministrativo, non riveste carattere perentorio, essendo ammissibile la costituzione della parte sino all’udienza di discussione del ricorso. Tuttavia, nella fattispecie di costituzione tardiva, la parte incorre nelle preclusioni e nelle decadenze dalle facoltà processuali di deposito di memorie, documenti e repliche, ove siano decorsi i termini di cui all’art. 73, primo comma, del codice del processo amministrativo, dimidiato nel rito del silenzio, ai sensi dell’art. 87, terzo comma, del codice del processo amministrativo. Per tali ragioni, la costituzione della Provincia di Fermo è ammessa nei limiti delle difese orali, dovendo, per converso, essere stralciate dagli atti del giudizio le memorie e i documenti depositati tardivamente, dei quali non si tiene conto ai fini del decidere".

TAR Marche 749 del 2013

Testo coordinato del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 sulla P.A.

01 Nov 2013
1 Novembre 2013

Pubblichiamno il testo  del  decreto-legge  31  agosto  2013,  n.  101,  (in  Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 204 del 31 agosto  2013),  coordinato con la legge di conversione 30  ottobre  2013,  n. 125, recante:  «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione  nelle pubbliche amministrazioni.». (13A08778) (GU n.255 del 30-10-2013

L. 125 del 30_10_2013

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