Tag Archive for: Veneto

L’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva deve essere motivata in relazione all’interesse pubblico quando sia trascorso molto tempo

13 Nov 2013
13 Novembre 2013

Lo precisa il TAR Campania di Napoli nella sentenza n. 4998 del 2013.

Scrive il TAR: "Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di ragione. Assorbente è il rilievo articolato dalla difesa attorea, peraltro già esplicitato dal Tribunale in sede cautelare mercé l’accoglimento dell’istanza di sospensiva, secondo il quale, essendo decorsi oltre venti anni dalla realizzazione della vetrina in contestazione, in parziale difformità con quella autorizzata con atto prot. n.20348 del 04.07.1980 - il quale prescriveva che la cd. mostra del negozio non dovesse sporgere dal filo dell’edificio oltre i 20 cm - e ricorrendo una difformità minima rispetto a quanto assentito, la sanzione  demolitoria risulta in contrasto con il principio di ragionevolezza e proporzione dell’azione amministrativa, cosicché l’atto impugnato, in difetto di una specifica motivazione circa l’interesse pubblico da tutelare nel caso in esame, va dichiarato illegittimo e conseguentemente annullato, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’Amministrazione. In tal senso, peraltro, depone l’orientamento prevalente della giurisprudenza amministrativa per fattispecie analoghe (cfr., ex multis, Cons. Stato, V sez., 15 luglio 2013 n. 3847: “l'ingiunzione di demolizione, in quanto atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell'opera edilizia senza titolo abilitativo o in totale difformità da esso, è in linea di principio sufficientemente motivata con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera; ma deve intendersi fatta salva l'ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato; ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all'entità ed alla tipologia dell'abuso, il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”)".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza TAR Campania Napoli 4998 del 2013

L’impossibilitĂ  di usare una strada non equivale alla sua sdemanializzazione tacita

13 Nov 2013
13 Novembre 2013

Lo chiarisce il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5207 del 2013: "15. Occorre premettere che la natura giuridica ed il tracciato della strada vicinale, corrente nel punto in cui era stato realizzato un dislivello ed un muro di contenimento, sono già stati oggetto di accertamento incidentale nella sentenza n. 57/2005 del Tar Umbria , in virtù della quale una precedente ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi è stata annullata esclusivamente per un vizio procedimentale. Con la richiamata decisione, il Tar ha anche accertato l’irrilevanza del rilascio della concessione edilizia n. 10637/2001 e del protratto non uso della strada vicinale ai fini di un’eventuale sdemanializzazione tacita. In questa sede il Collegio non può che ribadire i consolidati principi secondo cui sia il disuso protratto nel tempo che l’inerzia della pubblica amministrazione nella cura della strada o nell’intervento volto ad impedire l’occupazione o l’uso da parte di privati incompatibile con l’uso pubblico non sono sufficienti a dimostrare l’intervenuta tacita sdemanializzazione, che ricorre solo allorquando, pur in assenza di un formale provvedimento di cessazione della demanialità, la volontà dell’Amministrazione risulti comunque da fatti concludenti e da circostanze inequivoche, incompatibili con la volontà di conservare il bene all’uso pubblico (cfr. Cons. St., Sez. V, 30.11.2011, n. 6338; Sez. VI, 9.2.2011, n.868; Sez. IV, 7.9.2006, n. 5209, Sez. V, 1.12.2006, n. 7081). Tali non possono essere considerati l’ autorizzazione paesaggistica e la concessione edilizia in variante del 31.12.2002, riguardanti opere insistenti su area ben più vasta di quella interessata dal passaggio della strada vicinale e dall’erezione del muro, che non dimostrano una manifestazione tacita , ma inequivoca della volontà di rinuncia alla funzione pubblica del tratto stradale. 16. Tanto è sufficiente a dimostrare anche l’infondatezza dell’ultimo motivo d’appello, con il quale si fa valere l’effettiva impossibilità di esercizio dell’uso pubblico come causa di estinzione del diritto, dato che la mera inidoneità temporanea all'originaria funzione appare irrilevante ai fini della cessazione della demanialità del bene. 17. Dall’inidoneità dei suddetti titoli edilizi a superare il divieto di occupazione della strada vicinale discende l’insussistenza di un obbligo di motivazione da parte dell’amministrazione in ordine a tale punto e, conseguentemente, l’infondatezza anche del relativo motivo d’appello".

sentenza CDS 5207 del 2013

L’omessa o la falsa indicazione della data di ultimazione delle opere rende la domanda di condono dolosamente infedele e non si forma il silenzio-assenso

13 Nov 2013
13 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5366, giĂ  allegata al post che precede.

Scrive il Consiglio di Stato: "Quanto al primo motivo, incentrato sull'invocata formazione di concessione in sanatoria per silentium per il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda di condono, in uno alle altre condizioni, deve recisamente negarsi, in ciò dovendosi convenire con il giudice amministrativo partenopeo, che la fattispecie formativa della concessione tacita possa perfezionarsi in presenza di una domanda dolosamente infedele in ordine alla data di ultimazione delle opere abusive (in tal senso vedi per tutte Cons. Stato, Sez. V, 4 ottobre 2007, n. 5153). A prescindere dall'espresso richiamo contenuto nel comma 4 dell'art. 39 della legge n. 724/1994, il rinvio di cui al primo comma a tutte le disposizioni dei capi IV e V della legge n. 47/1985, e quindi all'art. 35 di quest'ultima e alla clausola di salvezza di cui al comma 18, rende applicabile il disposto dell'art. 40 della legge del 1985, che esclude la sanatoria, tra l'altro, "...se la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, deve ritenersi dolosamente infedele...", laddove l'indicazione di una data di ultimazione delle opere diversa da quella successiva effettiva, finalizzata proprio al conseguimento indebito del titolo edilizio sanante, è macroscopica e radicale fattispecie di dolosa infedeltà (nel senso che addirittura già l'omissione della data di ultimazione delle opere integri dolosa infedeltà vedi Cons. Stato, Sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4011)".

avv. Dario Meneguzzo

In cosa consiste “il completamento funzionale” necessario per il condono del cambio d’uso

13 Nov 2013
13 Novembre 2013

Segnaliamo sulla questione la sentenza del Consiglio di Stato n. 5336 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Com'é noto l'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 estese la possibilità del rilascio della concessione in sanatoria, come già prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, "... alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993..". Orbene, nel caso di specie, le opere abusive, intese come opere edilizie intese al mutamento di destinazione d'uso del sottotetto in mansarda abitabile e annessi terrazzi ad uso esclusivo, certamente non erano ultimate né alla data del 31 dicembre 1993 né in epoca successiva e addirittura e quantomeno sino alla data del 5 settembre 1996 (di ultimo sopralluogo), posto che ancora a quest'ultima, e in disparte l'assenza di pavimentazione, la predisposizione dell'impianto idrico sanitario era solo "parziale" ed era del tutto mancante l'impianto elettrico. L'art. 31 comma 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 per la sanatoria delle "opere interne agli edifici già esistenti" -come nella specie in cui le opere edilizie afferiscono alla trasformazione di preesistente sottotetto in mansarda- riferisce il termine temporale di ammissibilità della sanatoria (ivi indicato al 1° ottobre 1983 ed esteso dall'art. 39 al 31 dicembre 1993) alla nozione di "completamento funzionale", che implica uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione. In altri termini l'organismo edilizio non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planovolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione "al rustico", ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno) sebbene una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale, che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d'uso. La nozione di "completamento funzionale" è ormai acquisita nella giurisprudenza amministrativa, che ha evidenziato come è necessario che siano state realizzate le "...opere indispensabili a renderne effettivamente possibile un uso diverso da quello a suo tempo assentito, come nel caso in cui un sottotetto, trasformato in abitazione, venga dotato di luci e vedute e degli impianti di servizio (gas, luce, acqua, telefono, impianti fognari, ecc.), cioè di opere del tutto incompatibili con l'originaria destinazione d'uso" (Cons. Stato, Sez. V, 14 luglio 1995, n. 1071), ossia quelle opere che qualifichino in modo inequivoco la nuova e diversa destinazione (Cons. Stato, Sez. V, 4 luglio 2002, n. 3679, che ha considerato inverato il completamento funzionale nel caso in cui era stata effettuata "...la divisione dei locali, gli impianti elettrici ed idraulici...")".

avv. Dario Meneguzzo

sentenza CDS 5336 del 2013

Il sistema AVCpass e le nuove modalitĂ  di verifica dei requisiti nei contratti pubblici

12 Nov 2013
12 Novembre 2013

Con la deliberazione 20 dicembre 2012, l’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici ha dato attuazione all’articolo 6 bis del Codice dei Contratti Pubblici, istituendo il cd. sistema AVCpass per l’acquisizione e la verifica della documentazione comprovante il possesso dei requisiti dei concorrenti alle gare pubbliche di lavori, servizi e forniture.

 Il sistema AVCpass sarà obbligatorio a partire dal prossimo 1 gennaio 2014.

 Allo scopo di chiarire le modalità di funzionamento del sistema, la Sezione Costruttori Edili di Confindustria Vicenza ha organizzato un incontro con il dott. Bruno Urbani, funzionario dell’Area Legislazione Opere Pubbliche dell’ANCE per lunedì 18 novembre 2013, ore 10.

Pubblichiamo il programma e il modulo di adesione.

Programma AVCPASS 2013-11-18 + sch_adesione


 

Il Consiglio di Stato sull’ISEE personale o familiare

12 Nov 2013
12 Novembre 2013

Con la sentenza n. 5355 dell’8.11.2013, la Terza sezione del Consiglio di Stato (estensore Lignani), è tornata sulla questione dell’interpretazione dell’art. 3, comma 2-ter, del decreto legislativo n. 109/1998 (Disciplina dell’ISEE).

La norma così recita: : «Limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell'àmbito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave (...), le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (....) al fine di favorire la permanenza dell'assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione».

La giurisprudenza si è a lungo interrogata se la funzione del d.P.C.M. sia quella di attuare e rendere applicabile la deroga (sicché in mancanza resti applicabile in toto la regola generale dell’I.S.E.E. familiare) ovvero se quest’ultima abbia comunque applicazione diretta.

Il Consiglio di Stato aveva in precedenza affermato (Sezione III, sentenza 21 dicembre 2012, n. 6674) che l’art. 3, comma 2-ter, del d.lgs. n. 109/1998, esprime il principio che per la prestazioni ivi considerate si deve avere riguardo alla situazione economica del solo assistito e non a quella della famiglia; e che tale principio è direttamente applicabile anche in mancanza del decreto attuativo.

Nella sentenza in esame, i giudici si interrogano “se si debba giudicare diversamente, alla luce della sopravvenuta (dopo la pronuncia della sentenza appellata) sentenza della Corte costituzionale, 19 dicembre 2012, n. 296.”, con la quale “la Corte ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità relativa a una disposizione di legge regionale toscana, che prevede che la quota di compartecipazione da parte della persona assistita ultrasessantacinquenne per le prestazioni di tipo residenziale a favore di persone disabili, sia calcolata tenendo anche conto della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado.”

I giudici hanno infine concluso che “Nel sistema dell’art. 117, cost., la ripartizione delle competenze legislative – con l’inerente figura della “competenza concorrente” riguarda esclusivamente lo Stato e le Regioni, non gli enti locali”, per cui il regolamento comunale impugnato, che faceva riferimento all’ISEE familiare anziché a quello del solo assistito disabile, non è stato ritenuto legittimo.

Si fa notare, tuttavia, che, con la sentenza del 03.07.2013, la stessa terza sezione del Consiglio di Stato (ma con estensore Russo) aveva invece giudicato legittimo un regolamento comunale il quale derogava alla regola della evidenziazione della situazione economica del solo assistito, affermando che la richiesta comunale, rivolta ai familiari del disabile tenuti agli alimenti ex art. 833 c.c. in ordine alla presentazione della dichiarazione ISEE, “è in sé legittima, pur quando riguardi, come nella specie, prestazioni sociosanitarie a favore dei disabili gravi o degli anziani non autosufficienti. Essa infatti individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza. E tal conclusione, ad avviso del Collegio, è a più forte ragione corroborata dai principi sanciti dalla Corte costituzionale (cfr. C. cost., 19 dicembre 2012 n. 296), in base ai quali non è corretta la tradizionale interpretazione, per vero un tempo fatta propria anche da questo Consiglio, per la quale il ripetuto art. 3, c. 2-ter costituisca, anche in assenza del colà previsto DPCM, un livello essenziale delle prestazioni relative ai servizi sociali (LIVEAS) a favore dei disabili, con particolar riguardo all’evidenziazione del patrimonio del solo assistito nei casi indicati. (…) La Corte sottolinea che prevedere forme di compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte di familiari, può servire da incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza del disabile presso il proprio nucleo familiare. (…)

Da ciò discende l’assenza di un’immediata cogenza, pur se manchi tuttora il relativo DPCM, della valorizzazione della sola posizione personale dell’assistito, a qualunque categoria di disabilità egli appartenga”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 5355 del 2013

Nel caso di approvazione di un progetto di opera pubblica devono essere mandati uno o due avvisi di avvio del procedimento?

12 Nov 2013
12 Novembre 2013

Quando si approva un progetto di opera pubblica in variante, ai sensi dell'art. 14, comma 13, della legge n.109/1994, serve un avviso di avvio del procedimento per l'apposizione del vincolo espropriativo e un altro avviso per  il procedimento diretto alla dichiarazione di pubblica utilità?

Risponde di no la sentenza del Consiglio di Stato n. 5349 del 2013.

Spiega il Consiglio di Stato: "Il TAR ha respinto la prima censura, con la quale la ricorrente espropriata aveva sostenuto l’illegittimità della delibera n.39 del 27.7.2005 di approvazione del progetto in quanto non preceduta, a suo parere, da avviso dell’inizio del procedimento, ed aveva indicato la norma violata nell’art. 16, comma 4, del dpr n. 327/2001. In particolare, il giudice di prime cure ha invece verificato che “L’avviso di avvio del procedimento risulta, per contro, correttamente notificato a Cacciapuoti Vincenzo, Cacciapuoti Francesco e Cacciapuoti Giuseppe e cioè a coloro che, all’epoca, risultavano in base al catasto, comproprietari del bene, come identificato in progetto”. In punto di fatto è incontestato ed incont estabile che con nota del 17.6.2005 l’amministrazione ha informato i proprietari espropriandi della scelta dell’area, avvisandoli nel contempo che ad essa avrebbe fatto seguito la delibera di apposizione del vincolo e precisando che detto avviso era emanato ai sensi degli artt. 8 della legge n. 241/1990 ed 11 del dpr n. 327/2001. L’orientamento testé riassunto è, però, avversato dagli appellanti, i quali affermano che il TAR avrebbe confuso la comunicazione di avvio del procedimento di apposizione del vincolo espropriativo (effettuata) con quella inerente il procedimento diretto alla dichiarazione di pubblica utilità, che sarebbe mancata. Pur trattandosi di comunicazioni che in via generale attengono a momenti distinti del procedimento tipizzato dalla normativa, la censura nel caso in esame non può essere accolta. Va premesso che l’opera in questione, come emerge chiaramente dalla delibera di approvazione progettuale impugnata (n.39/2005), trova il proprio fondamento giuridico nella fondamentale norma dall’art. 14, comma 13, della legge n.109/1994, espressamente richiamata dalla delibera in contestazione, in base al quale l’approvazione dei progetti di opere pubbliche equivale a dichiarazione di pubblica utilità. A ciò va aggiunto, come dà atto il Comune nel provvedimento “de quo”, che l’approvazione dell’opera non comporta alcuna deroga o tantomeno variante al PRG ; in effetti dagli atti emerge che essa si limita a specificare la destinazione a servizio parcheggi di aree già in origine destinate ad interesse comune. Pertanto, in base alla costruzione normativa, emerge che nel caso in esame dal contenuto di un unico provvedimento derivano sia l’apposizione del vincolo che l’approvazione del progetto, sicché l’ emissione di un unico avviso è a giudizio del Collegio sufficiente al fine di osservare le fondamentali esigenze di partecipazione e contraddittorio. Ne consegue, per contro, che un ulteriore avviso (che secondo l’appellante doveva essere emesso ai sensi dell’art. 16, comma 4, della legge n.327/2001) avrebbe inutilmente aggravato il procedimento, non potendo relazionarsi all’emanazione di un provvedimento terminale diverso (per il principio v., ex multis, C.G.A.,n.125/2011). Nella fattispecie, pertanto, deve ritenersi assolto il dovere dell’amministrazione al fine di rispettare le fondamentali esigenze di partecipazione e contraddittorio nel procedimento amministrativo".

sentenza CDS 5349 del 2013

L’espropriato non ha interesse a contestare la scelta dell’autoritĂ  espropriante di procedere alla determinazione d’urgenza dell’indennitĂ 

12 Nov 2013
12 Novembre 2013

L'art. 22 del D.P.R. 327/01 disciplina la possibilità per l’autorità espropriante di procedere alla determinazione d’urgenza dell’indennità.

Nel ricorso deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5349 del 2013 l'interessato contestava, tra l'altro, che sussisteseo i motivi di urgenza per determinare l'indennitĂ  ai sensi dell'articolo sopra citato.

La sentenza esamina due profili interessanti della questione.

In primo luogo il Consiglio di Stato ritiene che la questione spetti alla giurisdizione del giudice amministrativo e non a quella del giudice ordinario, perchè non si discute della determinazione dell'ammontare dell'indennità di esproprio (nel qual caso la giurisdizione spetterebbe alla  Corte di Appello) ma della procedura espropriativa. In sewcondo luogo esclude ogni interesse dell'espropriato a impugnare questa questione.

Si legge nella sentenza: "Sul difetto di motivazione del decreto di esproprio, in ordine alla scelta dell’autorità espropriante di procedere alla determinazione d’urgenza dell’indennità (questione posta dal terzo motivo di ricorso), il ricorso di primo grado aveva sostenuto la mancanza di urgenza e la carenza di motivazione in ordine a tale presupposto. Premesso che il decreto è stato emesso sulla base dell’art. 22 del DPR citato, ove si prevede un procedimento per la determinazione urgente dell'indennità provvisoria, considerato inoltre che l’intento acceleratorio della norma determina un vantaggio anche per l’espropriato, il Collegio ritiene che non sussista interesse alla censura in esame. Né in contrario può essere richiamato il principio della tutela strumentale, poiché l’accoglimento della doglianza non condurrebbe ad alcuna utilità concreta (richiesta, ed es., da Cons di Stato, sez. IV, n.4412/2004), e tanto meno all’illegittimità del decreto di esproprio, ma solo all’unica alternativa di adottare il procedimento ordinario di determinazione indennitaria, indicato come corretto".

Cosa succede se non viene mandata la comunicazione della data in cui è divenuto efficace l’atto che ha approvato il progetto definitivo dell’opera pubblica?

12 Nov 2013
12 Novembre 2013

Scrive il Consiglio di Stato nella sentenza n. 5349 del 2013: "Quanto alla mancanza della comunicazione prevista ai sensi dell’art.17 del D.P.R. ed avente ad oggetto la data in cui è divenuto efficace l'atto che ha approvato il progetto definitivo dell'opera pubblica, la norma non sembra porre un requisito di legittimità dell’approvazione (subordinare l’efficacia del provvedimento alla comunicazione), avendo un’eventuale irregolarità in proposito unicamente l’effetto di impedire che, nonostante la mancata comunicazione, inizi a decorrere per l’interessato il termine per impugnare l’atto di approvazione; ed in effetti la giurisprudenza, esplicitando la disposizione in parola, ha precisato che resta irrilevante la conoscenza "aliunde" eventualmente acquisita dell'atto (v. Cons. di Stato, sez. VI, n. 86/2007)".

L’onere di motivazione gravante sull’amministrazione circa le scelte urbanistiche in sede di adozione di PRG è generale o puntuale e mirato?

11 Nov 2013
11 Novembre 2013

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5114 del 2013.

Scrive il Consiglio di Stato: "Parimenti non convince il secondo degli argomenti difensivi anch’esso insistentemente ribadito dall’appellante. Vale osservare che l’onere di motivazione gravante sull’amministrazione circa le scelte urbanistiche in sede di adozione di PRG è di carattere generale e risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza la necessità di una motivazione puntuale e “mirata” (Cons. Stato Sez.. IV 3 novembre 2008 n.5478); e tanto vale a far ritenere pienamente satisfattive, avuto riguardo alla nozione di urbanistica sopra evidenziata, le ragioni giustificative apposte dall’amministrazione comunale di Terni. Per il vero il Vecchione censura la motivazione resa sotto un altro aspetto, quello per cui egli godrebbe di una posizione particolarmente qualificata, che imponeva un onere motivazionale più pregnante, nella specie non assolto dalla P.A.. Quanto invocato in linea di principio è in astratto condivisibile; ma il fatto è che non è ravvisabile in capo all’appellante una posizione qualificante, come solitamente intesa in giurisprudenza. Invero, il piano attuativo dal medesimo presentato è stato solo adottato in costanza di un precedente PRG e quindi trattasi di una situazione in vigore sotto il regime giuridico dettato da una precedente disciplina urbanistica e in relazione a ciò l’Amministrazione non era affatto tenuta ad approvare una variante ad hoc di approvazione di detto piano attuativo, non potendosi precludere al Comune, come avvenuto, la facoltà di ridefinire ex novo l’assetto urbanistico con scelte rispettose degli altri valori che sorreggono la gestione del territorio, sebbene recanti effetti più restrittivi per lo ius adificandi connesso ai diritti dominicali dei proprietari dei terreni inseriti nella aree interessate. In sostanza non vi era un’aspettativa qualificata (lottizzazione, giudicato e simili) che avrebbe potuto avallare la tesi della motivazione rinforzarta sostenuta dall’appellante".

sentenza CDS 5114 del 2013

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