Consiglio di Stato: è illegittimo suddividere artatamente un intervento di fatto unitario in cinque comparti e considerarlo in altrettanti procedimenti di verifica di assoggettabilità al posto di un unico procedimento di VIA

20 Gen 2014
20 Gennaio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 36 del 2014, che conferma la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 6 febbraio 2012, n. 427  .

Scrive il Consiglio di Stato: "...Come si è già avuto modo di illustrare nella precedente esposizione in fatto, il I giudice ha, in sostanza, ritenuto illegittimi gli atti amministrativi (in specie, determinazioni regionali) con i quali si è esclusa la necessità di sottoposizione a VIA degli strumenti che, mediante idonea pianificazione, consentono un intervento di vaste dimensioni in loc. Capo Malfatano del Comune di Teulada, poiché la decisione di esclusione è il frutto di un “travisamento dei fatti”, ottenuto attraverso una analisi parcellizzata dell’intervento, effettuata valutando singolarmente ciascun sub-comparto, così perdendo di vista l’unitarietà (e dunque, l’aggressività per l’ambiente) dell’intervento che si andava a pianificare e, successivamente, ad autorizzare e realizzare.

La sentenza appellata ha innanzi tutto precisato che le considerazioni con le quali la Regione (con le determinazioni nn. 2205/2002 e 2218/2002) ha escluso di procedere a VIA sono “assai scarne e senza, comunque, prendere in considerazione il problema dell’unitarietà o frammentazione della verifica in relazione ai singoli sub comparti”. E ciò mentre “l’area oggetto dell’intervento proposto dalla SITAS costituisce un contesto ambientale di enorme pregio, in relazione al quale dovranno essere adeguatamente valutati, sotto il profilo motivazionale ed istruttorio, gli atti (impugnati) in virtù dei quali le amministrazioni interessate hanno ritenuto compatibile un intervento di enormi dimensioni (139.000 metri cubi complessivi, richiamando la cifra indicata dalla stessa difesa del Comune di Teulada. . . ), capace di interessare - in virtù di cinque piani di lottizzazione formalmente distinti - sei dei nove sub comparti in cui il vigente P.U.C. articola l’intera loc. Malfatano, mediante la realizzazione di insediamenti residenziali ed alberghieri posizionati a breve distanza dal mare”.

Secondo la sentenza:

“l’aver effettuato la cd. “verifica preliminare” di compatibilità in modo parcellizzato di per sé configura un gravissimo travisamento dei fatti, tale da compromettere in radice l’accertamento degli effetti ultimi sull’ambiente di un intervento di enorme entità, operato in una zona da tempo sottoposta a vincolo paesaggistico”, mentre era evidente che, “a prescindere dalla sua formale scomposizione in sub comparti, l’intervento proposto fosse sostanzialmente unitario”, trattandosi di “interventi connessi sotto il profilo soggettivo, territoriale ed ambientale”.

In conclusione, “in tale contesto l’assenza di una valutazione complessiva ai fini della (sola) V.I.A. si pone in radicale contrasto con la sua ontologica finalità, che è quella di accertare gli effetti ultimi dell’intero intervento sull’ambiente, nonché di valutarne la compatibilità e/o di suggerire sistemi ‘di minor impatto’, senza esclusione della cd. ‘opzione zero’ ”.

I motivi di appello proposti lamentano, in sostanza:

- una invasione, da parte del giudice, del cd. “merito” amministrativo, poiché si perverrebbe “a sovrapporre il proprio giudizio di merito a quello assunto dalle competenti amministrazioni nell’esercizio delle loro prerogative di discrezionalità tecnica” (così app. Comune, pag. 24) ed in ogni caso, la decisione, frutto di esercizio di discrezionalità tecnica, è assistita da sufficiente motivazione, in quanto quest’ultima va rapportata “a quanto richiesto ad una procedura che, per scelta legislativa, poteva validamente concludersi in senso positivo con un pronunciamento tacito” (app. SITAS, pag. 51);

- la congruità della assunta decisione di non sottoposizione a VIA, posto che l’area turistica, inserita all’interno del Piano urbanistico comunale, è da questo suddivisa in cinque sub comparti “anche in considerazione della loro non contiguità, appartenenza a versamenti differenti, separazione fisica e orografica”; ne consegue che “gli indici di valutazione unitaria sono da ritenersi errati visto che le parti di territorio non sono finitime, infatti i sub comparti sono posizionati in aree distanti 2,5 – 3 Km con discontinuità orografiche e territoriali, tali per cui sarebbe illogico procedere ad una valutazione unica. Inoltre gli stessi non sono funzionalmente connessi, in quanto alcuni hanno destinazione alberghiera ed altri residenziale” (app. SITAS, pag. 42-43). In definitiva, si tratta di “piani di lottizzazione autonomi, approvabili e realizzabili singolarmente e privi di un rapporto di interdipendenza funzionale” (app. Comune, pagg. 22-23); né rileva l’unicità della proprietà dell’area (app. SITAS, pag. 43; app. Comune, pagg. 22);

- infine, la riconducibilità dell’intervento al punto 8, lett. a), All. b) DPR 12 aprile 1996, posto che gli interventi di cui all’All. b) sono da sottoporre necessariamente a VIA, ai sensi dell’art. 1, co. 4, DPR cit., solo se “ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394”; ebbene “nessuna di queste aree naturali protette è presente nella zona interessata dagli interventi SITAS”.

Orbene, come la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 5 luglio 2010 n. 4246), con considerazioni da ribadire nella presente sede, la valutazione di impatto ambientale (VIA) è preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l’uomo vive, che assurge a valore primario ed assoluto, in quanto espressivo della personalità umana (Cons. St., sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1109), attribuendo ad ogni singolo un autentico diritto fondamentale, di derivazione comunitaria (direttiva 27 luglio 1985 n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); diritto che obbliga l’amministrazione a giustificare, quantomeno ex post ed a richiesta dell’interessato, le ragioni del rifiuto di sottoporre un progetto a V.I.A. all’esito di verifica preliminare (Corte giust. 30 aprile 2009, C-75/08).

A tali fini, l’ambiente rileva non solo come paesaggio, ma anche come assetto del territorio, comprensivo di ogni suo profilo, e finanche degli aspetti scientifico–naturalistici (come quelli relativi alla protezione di una particolare flora e fauna), pur non afferenti specificamente ai profili estetici della zona.

A conferma di ciò, occorre ricordare che la Corte Costituzionale (sent. 7 novembre 2007 n. 367), ha affermato che “lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, è di per sé un valore costituzionale”, da intendersi come valore “primario” (Corte Cost., sentt. nn. 151/1986; 182/2006), ed “assoluto” (sent. n. 641/1987).

A fronte di quanto esposto, la VIA non può essere, dunque, intesa come limitata alla verifica della astratta compatibilità ambientale dell’intervento, ma si sostanzia in una analisi comparata tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto all’utilità socio economica, tenuto conto delle alternative praticabili e dei riflessi della stessa “opzione zero”. In questo senso, la natura discrezionale della decisione finale (e della preliminare verifica di assoggettabilità), sul versante tecnico ed anche amministrativo, rende fisiologico - e coerente con la ratio dell’istituto innanzi evidenziata - che si pervenga ad una soluzione negativa tutte le volte in cui l’intervento proposto cagioni un sacrificio ambientale superiore a quello necessario per il soddisfacimento dell’interesse diverso sotteso all’iniziativa.

Ne discende la possibilità di bocciare progetti che arrechino un vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve governare il bilanciamento di istanze antagoniste (Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2007, n. 933).

In questa direzione, la giurisprudenza comunitaria conferisce alla procedura di V.I.A., nel quadro dei mezzi e modelli positivi preordinati alla tutela dell’ambiente, un ruolo strategico, valorizzando le disposizioni della direttiva 85/337, che evidenziano come la politica comunitaria dell’ambiente consista, innanzi tutto, nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altri danni all’ambiente, anziché combatterne successivamente gli effetti; in pratica, la tutela preventiva dell’ambiente (Corte giust., sez. V, 21 settembre 1999, c-392/96; sez. VI, 16 settembre 1999, c-435/97).

Tanto premesso, occorre ricordare che il giudizio di valutazione di impatto ambientale e l’atto di verifica preliminare costituiscono esercizio di una ampia discrezionalità tecnica, censurabile, in sede di sindacato di legittimità, oltre che per incompetenza e violazione di legge, anche in relazione alle figure sintomatiche di eccesso di potere per difetto, insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ovvero per illogicità o irragionevolezza della scelta operata, o anche per difetto di istruttoria, errore di fatto, travisamento dei presupposti (Cons. St., sez. IV, 5 luglio 2010, n. 4246; sez. VI, 19 febbraio 2008, n. 561; sez. VI, 30 gennaio 2004, n. 316; Trib. Sup. acque pubbliche, 11 marzo 2009, n. 35).

Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie, la sentenza appellata non risulta avere sconfinato dai limiti propri del sindacato giurisdizionale di legittimità, procedendo anzi, in modo coerente con detti limiti:

- sia ad individuare la natura dell’intervento;

- sia la particolare valenza ambientale della località (Capo Malfatano), in cui l’intervento sarebbe venuto a collocarsi;

- sia, infine, le ragioni di “collegamento funzionale” tra sub comparti in vista del complessivo intervento pianificatorio, tali da rendere necessaria una valutazione unitaria dell’intervento, ai fini del decidere sulla sua sottoponibilità (o meno) a V.I.A..

Ovviamente, le considerazioni sviluppate in sentenza ben possono essere oggetto (come peraltro avvenuto nel caso di specie), di specifici motivi di impugnazione, volti a dimostrare gli “errores in iudicando” in cui la stessa sarebbe incorsa. Ma costituiscono aspetti ben differenti, da un lato, l’imputare al giudice di avere debordato dai limiti propri del suo potere di sindacato di legittimità e, dall’altro, censurare nel merito il percorso argomentativo della decisione o singoli aspetti di questa.

15. Il Collegio rileva che – come affermato dalla sentenza appellata – l’area oggetto dell’intervento proposto dalla SITAS costituisce un contesto ambientale di enorme pregio (alla luce degli specifici e plurimi riscontri indicati dal I giudice).

E’ in questa area che – secondo la sentenza – “le amministrazioni interessate hanno ritenuto compatibile un intervento di enormi dimensioni (139.000 metri cubi complessivi, richiamando la cifra indicata dalla stessa difesa del Comune di Teulada. . .) capace di interessare - in virtù di cinque piani di lottizzazione formalmente distinti - sei dei nove sub comparti in cui il vigente P.U.C. articola l’intera loc. Malfatano, mediante la realizzazione di insediamenti residenziali ed alberghieri posizionati a breve distanza dal mare”.

Orbene, la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, 25 luglio 2008 n. c-142/07), ha chiarito che:

- par. 33: “da una giurisprudenza ormai ben consolidata risulta che gli Stati membri devono attuare la direttiva modificata, così come la direttiva 85/337, in modo pienamente conforme ai precetti dalla stessa stabiliti, tenendo conto del suo obiettivo essenziale che, come si evince dal suo articolo 2, n. 1, consiste nel garantire che, prima della concessione di un'autorizzazione, i progetti idonei ad avere un impatto ambientale rilevante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, siano sottoposti una valutazione del loro impatto (v. in tal senso, in particolare, sentenze 19 settembre 2000, causa C-287/98, Linster, Racc. pag. I-6917, punto 52, e 23 novembre 2006, causa C-486/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I-11025, punto 36)”;

- par. 44: “va infine sottolineato che, come già rilevato dalla Corte in merito alla direttiva 85/337, l'obiettivo della direttiva modificata non può essere aggirato tramite il frazionamento di un progetto e che la mancata presa in considerazione dell'effetto cumulativo di più progetti non deve avere il risultato pratico di sottrarli nel loro insieme all'obbligo di valutazione laddove, presi insieme, essi possono avere un notevole impatto ambientale ai sensi dell'articolo 2, n. 1, della direttiva modificata (v., per quanto riguarda la direttiva 85/337, sentenze 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-5901, punto 76, e Abraham e a., cit., punto 27).

Anche la giurisprudenza amministrativa, ha avuto modo di affermare che “per valutare se occorra o meno la VIA è necessario avere riguardo non solo alle dimensioni del progettato ampliamento di opera già esistente, bensì alle dimensioni dell'opera finale, risultante dalla somma di quella esistente con quella nuova, perché è l'opera finale nel suo complesso che, incidendo sull'ambiente, deve essere sottoposta a valutazione" (Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2004, n. 4163; Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760).

Orbene, nel caso di specie – trattandosi, peraltro, di procedimenti volti all’assetto urbanistico di una parte di territorio rilevante e di notevole pregio – l’amministrazione (in specie, regionale), avrebbe dovuto procedere ad una considerazione unitaria dell’intervento, sia in quanto si trattava di definire la pianificazione di un’area complessivamente indicata come turistica (ancorché suddivisa in una pluralità di sub comparti), e dunque già caratterizzata da unitarietà della destinazione, sia in quanto, per le proprie dimensioni – da valutarsi unitariamente, per le considerazioni esposte – l’intervento si poneva (almeno in sede di verifica preliminare, ai sensi dell’art. 10 DPR 12 aprile 1996), come potenzialmente aggressivo dell’ambiente, riguardato sotto i molteplici aspetti indicati innanzi tutto dalla giurisprudenza comunitaria e costituzionale.

Ed infatti, se la finalità della normativa di tutela dell’ambiente (e per essa, la valutazione di impatto ambientale) è quella di preservare il territorio (valore primario e assoluto, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale) dalla compromissione derivante da un nuovo intervento, la verifica della sussistenza (o meno) di un possibile equilibrio tra nuova edificazione e ambiente preesistente, non può che essere effettuata unitariamente, con riferimento ad una zona che si caratterizza per una sua complessiva ed unitaria “comprensione”, in ragione di coordinate geografiche, paesaggistiche, culturali

In tal senso, non si rappresentano come elementi determinanti, al fine di negare il “carattere unitario” dell’intervento (come sostenuto dalle parti appellanti):

- né la suddivisione di un’area in cinque o più comparti (e ciò a maggior ragione nei casi in cui la destinazione dell’area complessivamente intesa risulti omogeneamente definita), poiché la decisione di “parcellizzazione”, variamente attuata, di un’area a fini di pianificazione, se risponde a possibili (e anche giustificabili) esigenze di chiarezza espositiva dello strumento, non può certo determinare una modificazione del carattere unitario del territorio materialmente considerato sotto gli aspetti geografici, paesaggistici, culturali;

- né la “non contiguità” degli interventi, non essendo indispensabile, ai fini della individuazione del carattere unitario del medesimo, una continuità di emersione “edilizia” degli interventi stessi, ben potendosi essi presentarsi separati, quanto ai complessi edilizi realizzandi (ad esempio, più insediamenti abitativi o turistici, separati tra loro, anche in modo netto), ma tuttavia costituenti, nel loro insieme, un intervento massiccio di edificazione di una valle, una collina, un promontorio, una costa;

- né la diversa classificazione degli interventi da realizzarsi, poiché ciò che rileva in sede di VIA non è la destinazione urbanistica della zona (e dunque la destinazione d’uso possibile e legittima dei nuovi immobili da realizzarsi), quanto l’impatto edilizio complessivo del “nuovo” da edificarsi;

- né l’autonoma realizzabilità dei piani di lottizzazione, poiché ciò costituisce un evento futuro, laddove la VIA deve essere effettuata in relazione a ciò che è comunque possibile realizzare (edificare) sulla base degli atti amministrativi e dei progetti tecnici ad essi inerenti, non già in relazione a ciò che potrà (o meno) essere realizzato, alla discontinuità temporale della realizzazione del nuovo intervento, alla eventuale pluralità di soggetti realizzatori.

A fronte di ciò, la sentenza appellata ha ampiamente e condivisibilmente indicato le ragioni che sorreggono la considerazione “unitaria” dell’intervento, e che rendono, dunque, illegittima la decisione dell’amministrazione di procedere a “verifica preliminare”, non già tenendo conto di quanto si andava ad individuare come complessivamente realizzabile, quanto singoli piani di lottizzazione in relazione a singoli sub comparti.

In tale contesto fattuale, la motivazione volta a sorreggere la decisione di non sottoporre a VIA la gran parte dell’intervento (complessivamente considerato), avrebbe dovuto, in ragione della natura del territorio e della rilevanza dimensionale dell’edificando, presentare argomentazioni e valutazioni ampie, perspicue e complesse, volte ad escludere sia la natura unitaria dell’intervento in loc. Capo Malfatano, sia la compatibilità di tale intervento unitariamente inteso con un territorio di particolare pregio e, come tale, meritevole di attenta considerazione e tutela.

D’altra parte, ove anche si volessero considerare – come è avvenuto – separatamente i singoli piani di lottizzazione, la singola valutazione effettuata per ciascuno di essi non avrebbe potuto comunque prescindere da una comparazione con altri singoli piani, che - nella medesima sede valutativa o comunque in un quadro di pianificazione complessivamente unitario – si proponevano all’attenzione del decidente.

Deve essere, dunque, condivisa la sentenza appellata, laddove essa afferma che “l’insufficienza del corredo motivazionale ed istruttorio acquista poi maggiore evidenza ove lo si rapporti alla particolare delicatezza delle scelte tecnico-discrezionali operate dalla Regione, che . . . hanno dato l’avvio ad un intervento edificatorio di grande rilevanza quantitativa e capace di interessare un territorio vastissimo e di indubbio valore ambientale e paesaggistico. In tale contesto la Regione avrebbe dovuto fondare la propria valutazione su rilievi specificamente riferibili alle caratteristiche concrete dell’ambiente coinvolto, mentre si è limitata ad osservazioni generiche e slegate dal contesto specifico di riferimento”.

In simile quadro, dunque, non assume alcun particolare rilievo che la sottoposizione a VIA sia obbligatoria (se gli interventi “ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394” o meno), ovvero se essa debba essere comunque disposta, in ragione della natura ed entità dell’intervento, ovvero se difetta ogni motivazione atta a sorreggere una determinazione negativa circa la sottoponibilità dell’intervento a V.I.A, effettuata in sede di verifica preliminare.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, anche i motivi sub g) dell’appello SITAS e sub n) dell’appello Comune devono essere respinti...".

sentenza CDS n. 36 del 2014

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