A proposito si demolizione di opere abusive, pompeiane e pertinenze urbanistiche

18 Nov 2013
18 Novembre 2013

Il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza del 31.10.2013 n. 5265, conferma la sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, n. 1713/2011, concernente la demolizione e l’acquisizione al patrimonio comunale di opere abusive.

Nello specifico, con riferimento al termine di 15 giorni concesso dall’Amministrazione comunale per la demolizione dell’opera abusiva, il Collegio afferma che: “Gli istanti hanno anche lamentato il riduttivo termine di 15 giorni assegnato per la demolizione (ordinanza n. 68 del 21 giugno 2010) in luogo dei 90 giorni previsti dall’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 nonché l’errata statuizione dei primi giudici a giustificazione di tale minore spazio temporale in relazione agli artt. 13 e 92, comma 4, della legge regionale Veneto n. 61 del 1985 (norma locale di dettaglio che espressamente prevede che le opere abusive vadano demolite entro un termine “non superiore” a 90 giorni e, perciò, autorizzante anche un termine inferiore).

In punto di fatto giova precisare che l’abusiva copertura con teli fissi della pompeiana in argomento è stata sanzionata già una prima volta mediante la inottemperata ordinanza n. 82 dell’11 agosto 2008 con la previsione di 90 giorni per la demolizione, che è stata sì rimossa dai proprietari ricorrenti ma subito ripristinata dagli stessi. A tanto ha fatto seguito il comunicato diniego comunale alla temporanea installazione stagionale, come materialmente riscontrato dai successivi accertamenti in esito ai quali è stata emanata la impugnata ordinanza n. 68 del 21 giugno 2010 con il giustificato termine di 15 giorni (ravvisato congruo in relazione alla vicenda anteriore e con riguardo all’entità dei lavori occorrenti per la rimozione).

Relativamente al detto termine limitato, è sufficiente osservare che si discute di un atto ripristinatorio dell’iniziale ordine violato che ha svolto la funzione di eliminare le conseguenze dell’illecito continuato, in bonam partem per un ravvedimento dei ricorrenti e al fine precipuo di sfuggire alle più pregiudizievoli sanzioni, quali l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive.

Consegue da tanto che la condotta comunale non può essere minimamente tacciata di sproporzione e gli autori dell’abuso non possono qui venire contro il fatto proprio nel gioco reiterato.

Quanto alla norma regionale, la mancata menzione da parte dell’amministrazione comunale della norma legale di riferimento può essere superata mediante i poteri propri di interpretazione spettanti al giudice adito quando è accertata l’esistenza della specifica norma attributiva della potestà limitativa e la conseguente azione pubblica si dimostra conforme a legge.

D’altro canto, tale disposizione regionale, riconducibile alla materia governo del territorio e attuativa in ambito locale della normativa recata dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non ha alterato la corrispondente disciplina statale, in quanto non ha inciso nei suoi aspetti immodificabili e nell’area delle tassative fattispecie sostanziali di sanabilità delle opere abusive o nei criteri di accesso ovvero nelle regole di repressione degli abusi, bensì è intervenuta unicamente sotto l’aspetto del relativo procedimento con la previsione di un obbligatorio e ravvicinato provvedimento di demolizione, in tale modo rendendo non fisso il termine di 90 giorni e, per l’effetto, ancorandolo alla concreta fattispecie sanzionata, a miglior tutela dell’assetto del territorio.

Orbene, nello specifico, per le ragioni innanzi precisate, il termine assegnato di 15 giorni risulta essere adeguato in relazione al complessivo andamento della vicenda di causa e, con riguardo alle diffuse e ragionevoli motivazioni contenute nell’atto censurato, anche proporzionato”.

 Per quanto riguarda i concetti di “pompeiana” e di “precarietà”, rispettivamente si legge che: “Dal punto di vista tecnico-giuridico la pompeiana, a prescindere dai materiali usati e dalle concrete categorie applicative (porticato, pergolato, gazebo, berceau, dehor), è caratterizzata dal dover essere una struttura costruttiva leggera e aperta, la cui copertura (teli, rampicanti, assi distanziate) deve consentire di fare filtrare l’aria e la luce, assolvendo a finalità di ombreggiamento e di protezione nel passaggio o nella sosta delle persone, in soluzione di continuità con lo spazio circostante e senza creare interruzione dimensionale dell’ambiente in cui è installata.

L’aspetto tipico di essa, in sintesi, risiede nella mancanza di pareti e di una copertura integrale assimilabile ad un tetto o solaio, che si viene invece a concretizzare con una copertura impermeabile in polietilene o tegole e quant’altro che la faccia configurare come volume edilizio” e che: “la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che non implica precarietà dell'opera, ai fini dell'esenzione dal permesso di costruire, il carattere stagionale di essa, quando la stessa è destinata a soddisfare bisogni non provvisori attraverso la permanenza nel tempo della sua funzione (Cass. Pen., sez. III, 5 marzo 2013, n. 10235 e 21 giugno 2011, n. 34763; Cons. Stato, sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6615)”.

Mentre, per quanto riguarda la nozione di “pertinenza urbanistica” si legge che: “La nozione di "pertinenza urbanistica" ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica: deve trattarsi, invero, di un'opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale e non sia parte integrante o costitutiva di altro fabbricato - preordinata ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non indurre un ulteriore carico urbanistico e da non avere una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass. Pen., sez. III, 24 marzo 2010, n. 24241; Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2001, n. 2325; sez. VI, 8 marzo 2000, n. 1174).

Nella specie, l’intervento innovativo contestato dal Comune, non semplicemente conservativo e manutentivo della pompeiana in asserita pertinenza con la villa, viene invece a realizzare una diversa connessione fisica e una mutata strumentalità funzionale, che deve ricondursi non alla nozione di servizio ma a quella di integrazione della diversa attività d’uso cui accede, in quanto tale implicante il previo rilascio del permesso di costruire finalizzato alla nuova essenza configurata dell’immobile (Cons. St., sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3134; sez. V, 22 ottobre 2007, n. 5515).

Deriva da ciò, come sostenuto dal Comune, la trasformazione urbanistica ed edilizia della pompeiana in una struttura (chiosco) permanentemente fissa e coperta a servizio della pizzeria-ristorante, necessitante, alla stregua di pacifica giurisprudenza, del permesso di costruire per le ragioni incrementative prima precisate dell’assetto del territorio”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 1713 del 2011

CdS n. 5265 del 2013

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