Quando il Comune ha acquisito la proprietà di un immobile abusivo con atti diventati inoppugnabili, l’ex proprietario non ha interesse a impugnare gli avvisi di vendita e non può chiedere altri termini

29 Ott 2013
29 Ottobre 2013

La sentenza del TAR Veneto n. 1209 del 2013 esamina un caso nel quale il Comune è diventato proprietario di un immobile ai sensi dell'art. 31 del DPR 380 del 2001 (immobile abusivo del quale era stato ordinata la demolizione con ordinanza che non è stata ottemperata) e ha deciso di venderlo. La sentenza precisa che, se gli atti che hanno portato all'acquisizione della proprietà da parte del Comune sono diventati inoppugnabili, il vecchio proprietario non ha interesse a impugnare gli avvisi di vendita.

Gli atti diventato inoppugnabili quando sono scaduti i termini per presentare ricorso oppure quando i ricorsi sono stati decisi in modo definitivo e non più impugnabile ulteriormente con i mezzi ordinari.

Scrive il TAR: "Come ricorda parte resistente nelle more del presente ricorso è, tuttavia, intervenuta la pronuncia del Consiglio di Stato n. 3854/2011 che ha confermato la pronuncia dei Giudici di primo grado, ribadendo la legittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino sopra citata e, nel contempo, dei successivi provvedimenti emanati dal Comune di Zevio, tra i quali va ricordato il provvedimento di immissione nel possesso. Il Comune pertanto, ad oggi, ha acquisito la proprietà dell’immobile con atti che sono divenuti oramai inoppugnabili. E’ pertanto del tutto evidente come l’acquisizione della proprietà, e l’inoppugnabilità degli atti procedimentali, hanno di fatto determinato il venir meno, nei confronti del ricorrente, dell’interesse ad ottenere una pronuncia di accertamento dell’illegittimità degli avvisi di vendita. Detta carenza di interesse è immediatamente evincibile laddove si consideri che anche qualora questo Tribunale dovesse pronunciare l’illegittimità degli atti impugnati il ricorrente non potrebbe più riacquistare la proprietà degli immobili.”; atteso che con successiva diffida il ricorrente ha intimato al Comune di provvedere nuovamente all’esito della richiesta di sanatoria presentata, al fine dell’assegnazione di un ulteriore termine per provvedere, stante la sopravvenuta inefficacia ex lege dell’originaria ordinanza di demolizione, per effetto dell’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria; che con il presente ricorso viene chiesta la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione in ordine alla suddetta richiesta e la conseguente illegittimità degli atti con i quali l’amministrazione ha dato avvio alla procedura per la vendita, mediante trattativa privata, del bene in contestazione; ritiene il Collegio che il ricorso non possa trovare accoglimento, per le medesime considerazioni già svolte in occasione della richiamata pronuncia n. 641/2012, stante l’intervenuta perdita della proprietà del bene da parte del ricorrente, circostanza questa che, essendo stato dichiarato perento il ricorso in precedenza proposto avverso l’immissione in possesso e trascrizione nei registri immobiliari a favore del Comune, risulta ormai definitivamente consolidata; che quindi il bene risulta ad oggi ed ad ogni effetto di proprietà del Comune, di modo che nessuna ulteriore determinazione può essere operata dall’amministrazione con riguardo alle pregresse vicende che hanno caratterizzato la controversia intercorsa fra le parti per l’abuso contestato;che eventuali censure relative alla sopravvenuta inefficacia dell’originaria ordinanza di rimessione in pristino avrebbero dovuto essere dedotte avverso gli atti con i quali il Comune aveva disposto l’immissione nel possesso dei beni, ma che in occasione del ricorso avverso tali atti proposto non sono state formulate, mentre, come sopra ricordato, il suddetto gravame è comunque perento, con relativa declaratoria ormai divenuta inoppugnabile; ne deriva quindi, come osservato correttamente dalla difesa resistente, che anche nell’ipotesi in cui detta immissione in possesso fosse stata viziata per mancata riedizione dell’ordine di rimessione in pristino dopo il rigetto dell’istanza di sanatoria, detta illegittimità avrebbe dovuto essere evidenziata in occasione del ricorso proposto avverso gli atti che hanno consentito al Comune di acquisire la proprietà del bene; ritenuto che una diversa conclusione costituirebbe un’inammissibile revisione delle pronunce ormai divenute definitive e degli atti per effetto delle stesse divenuti inoppugnabili, risultando così contraria alla certezza della situazione di diritto ormai consolidatasi con l’acquisizione in proprietà del bene da parte del Comune, il quale, proprio in qualità di proprietario, ha disposto l’alienazione con i provvedimenti contestualmente qui impugnati".

sentenza TAR Veneto 1209 del 2013

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