Author Archive for: SanVittore

La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la mediazione civile

25 Ott 2012
25 Ottobre 2012

Con un comunicato stampa del 24 ottobre 2012, l'Ufficio Stampa della Corte Costituzionale informa che la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione.

CC_CS_mediazione

Quer bosco strano de Roma

25 Ott 2012
25 Ottobre 2012

A seguito di un  accesso degli agenti del Corpo Forestale dello Stato sui terreni di proprietà di una azienda  agricola in data 22 giugno 2005, avendo rilavato lavori abusivi di disboscamento di un'area boscata, la Provincia di Como irrogava il pagamento della somma di euro 6.000,00, a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 167 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e una ulteriore sanzione pecuniaria di euro 10.015,00.

Gli interessati hanno contestato l'esistenza del presupposto per l’applicazione della sanzione, in quanto la zona interessata dall’intervento edilizio (mappale n. 1755) sarebbe un'area prato e non un'area boschiva. Secondo la Provincia, invece, la parte delimitata dalla recinzione di cantiere sarebbe da ritenersi boscata per la presenza di polloni di robinia di anni uno. Le robinie, relicano gli interessati, sono piante che crescono nelle aree incolte e quindi, sarebbero spontaneamente cresciute nell’area delimitata dalla recinzione del cantiere, essendo stata eliminata la copertura d’erba per l’esecuzione dei lavori, ma non per questo l’area potrebbe considerarsi boschiva. Gli interessati, quindi, affermano che che l’autorizzazione paesaggistica non era proprio necessaria, non trattandosi di area boscata.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5410 del 2012, afferma che l'area era boscata, con un ragionamento di difficoltosa comprensibilità.

Scrive il Consiglio di Stato: "La nozione di territorio coperto da bosco nella legislazione paesaggistica ed in particolare nella legge n. 431 del 1985 ora inserita nel testo del d. lgs. n. 490 del 1999, deve essere ricavata non solo in senso naturalistico ma anche normativo, riferendosi a provvedimenti legislativi, nazionali e regionali, ed ad atti amministrativi generali o particolari, sicché non è possibile adottare, alla luce della "ratio" della legge n. 431 del 1985, una concezione quantitativa e restrittiva di bosco, dovendosi includere anche le aree limitrofe che servono per la salvaguardia e l'ampliamento, attesa la significativa differenza tra bosco e territorio coperto da bosco, che implica un elemento tipizzante quella zona (Cassazione penale, sez. III, 9 giugno1994, n. 7556).
Peraltro, l’adozione da parte del legislatore della formula "territori coperti da foreste e boschi", in luogo di quella prevista dal d.m. 1° settembre 1984, che sottoponeva a generalizzato vincolo paesaggistico "i boschi e le foreste", implica il riferimento ad una nozione normativa di bosco che non è circoscritta ai soli terreni boscati, ma ad un elemento tipizzante il territorio che non può essere ricoperto da alberi e può servire per salvaguardare il bosco.
In altri termini, il concetto di bosco è da intendersi a livello eco - sistemico, non solo quale formazione vegetale ma quale insieme di elementi biotici, abiotici e paesaggistici che ne connotano il proprio essere peculiare.
Ne consegue che la presenza di essenze arboree e floreali formatesi spontaneamente dimostra la naturale vocazione del terreno a bosco, peraltro normale nei terreni limitrofi ai boschi, allorché venga dissodato il terreno e tolto il manto erboso, come è avvenuto nel caso in esame, in cui è stato effettuato lo scavo propedeutico alla edificazione del fabbricato rurale.
6.2- In tale prospettiva perde rilievo anche la censura con la quale si imputa al Corpo Forestale dello Stato di aver qualificato l’area come boschiva.
Il Corpo Forestale ha solamente svolto la sua funzione di accertare e descrivere i fatti avvenuti, cioè il taglio di alcune essenze arboree e floreali senza la prescritta autorizzazione in zona boschiva.
Peraltro, la circostanza che l’area di cui trattasi fosse stata invasa dalle robinie dopo lo scavo che aveva tolto il manto erboso non è contestata; la contestazione riguarda la necessità del parere paesaggistico in relazione all’asserita destinazione dell’area a prato e dell’occasionalità della crescita delle essenze arboree.
Infatti, il provvedimento dirigenziale del 27 maggio 2008 (procollo n. 26796), del Settore Pianificazione Territoriale (Settore Aree Protette, Paesaggio e Reti Ecologiche) applicava la sanzione per aver eseguito in assenza di autorizzazione paesaggistica “lavori di disboscamento finalizzati alla costruzione di un fabbricato ad uso agricolo… attuati mediante l’eliminazione di giovani polloni di robinia dell’età di anni uno ed all’eliminazione delle ceppaie su una superficie di 600 metri quadrati in località Campo Amà del Comune di Gironico su parte del mappale 1755 governato a bosco ceduo”
Tale doglianza non può trovare accoglimento perché, come detto sopra, al di là di ogni dissertazione sulla definizione di bosco e di territorio boschivo, la prossimità dell’area interessata dall’intervento edilizio a zona boschiva imponeva l’autorizzazione paesaggistica ex art. 167 del d. lgs. n. 42 del 2007 e l’autorizzazione al taglio delle essenze arboree".

La sentenza sembra non considerare il Decreto Legislativo 42 del 2004 e che con il Decreto Legislativo n. 227 del 2001, il legislatore ha fornito la definizione di zona boscata. Infatti, il Decreto Legislativo in parola, dedicato specificatamente all’ “Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”, ha previsto all’Art. 2 la Definizione di bosco e di arboricoltura da legno, secondo la quale:

1. Agli effetti del presente decreto legislativo e di ogni altra normativa in vigore nel territorio della Repubblica i termini bosco, foresta e selva sono equiparati.
2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le regioni stabiliscono per il territorio di loro competenza la definizione di bosco e:
a) i valori minimi di larghezza, estensione e copertura necessari affinché un'area sia
considerata bosco;
b) le dimensioni delle radure e dei vuoti che interrompono la continuità del bosco;
c) le fattispecie che per la loro particolare natura non sono da considerarsi bosco.
3. Sono assimilati a bosco:
a) i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale;
b) le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea e arbustiva a causa di utilizzazioni forestali, avversità biotiche o abiotiche, eventi accidentali, incendi;
c) le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco.
4. La definizione di cui ai commi 2 e 6 si applica ai fini dell'individuazione dei territori coperti da boschi di cui all'articolo 146, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
5. Per arboricoltura da legno si intende la coltivazione di alberi, in terreni non boscati, finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e biomassa. La coltivazione è reversibile al termine del ciclo colturale.
6. Nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse si considerano bosco i terreni coperti da vegetazione forestale arborea associata o meno a quella arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo, i castagneti, le sugherete e la macchia mediterranea, ed esclusi i giardini pubblici e privati, le alberature stradali, i castagneti da frutto in attualità di coltura e gli impianti di frutticoltura e d'arboricoltura da legno di cui al comma 5. Le suddette formazioni vegetali e i terreni su cui essi sorgono
devono avere estensione non inferiore a 2.000 metri quadrati e larghezza media non inferiore a 20 metri e copertura non inferiore al 20 per cento, con misurazione effettuata dalla base esterna dei fusti. È fatta salva la definizione bosco a sughera di cui alla legge 18 luglio 1956, n. 759. Sono altresì assimilati a bosco i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, qualità dell'aria, salvaguardia del patrimonio idrico, conservazione della biodiversità, protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale, nonché le radure e tutte le altre superfici d'estensione inferiore a 2000 metri quadri che interrompono la continuità del bosco”.

Il legislatore, dopo il Decreto 227/2001,  ha emanato il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, denominato “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, il cui art. 142, nel definire le aree tutelate per legge, esercita un esplicito richiamo al Decreto Legislativo n. 227 del 2001, ove alla lettera g) prevede che siano da ricomprendersi“i territori coperti da foreste e da boschi, ancorche' percorsi o
danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227".

sentenza CDS 5410 del 2012

Il Consiglio di Stato fa luce sui lumini: è un servizio a rilevanza economica

24 Ott 2012
24 Ottobre 2012

Il Comune di Siena deliberava la riassunzione in forma diretta del servizio di gestione degli impianti di illuminazione votiva dei cimiteri comunali a partire dal 1°gennaio 2010 (delibera GM n. 624 del 23 dicembre 2009).
La scelta era motivata sulla considerazione che la gestione in forma diretta rappresentava sulla base delle esperienze passate e dell’attuale gestione di altri comuni toscani di dimensioni comparabili l’opzione economicamente più conveniente ed idonea ad assicurare all’utenza un servizio di adeguata qualità e che poteva essere gestita integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie.
2.- Le società appellanti operanti nel campo del settore dell’illuminazione votiva all’interno dei cimiteri comunali, con ricorso al TAR Toscana impugnavano la suddetta delibera e gli atti conseguenti, lamentando con unico articolato motivo di censura violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 113 bis del d. lgv. n. 267 del 2000; dell’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008.

Il TAR Toscana, con sentenza n. 593 del 2011, dichiarava infondato il ricorso e lo respingeva. La sentenza è stata appellata.

Con l’appello principale le imprese ricorrenti hanno lamentato in sostanza che il Comune di Siena con l’assunzione diretta del servizio pubblico di illuminazione votiva avrebbe sottratto al mercato e alla concorrenza un servizio pubblico a rilevanza economica, in violazione di principi comunitari recepiti nell’ordinamento italiano con le norme di legge su riportate. Il riferimento è, dunque, all’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, vigente al momento dell’adozione da parte del Comune di Siena del provvedimento impugnato.

Così la questione è stata decisa dal Consiglio di di Stato, con la sentenza n. 5409 del 2012: "L’art. 23 bis del d.l. n. 112 del 2008, al comma 1 dispone “Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale…
Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”.
Al comma 11, coerentemente con le premesse, è disposta l’abrogazione dell’art. 113 del TUEL nelle parti incompatibili.
Ai commi 2 e 3, è prevista, quale modalità ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici “…a favore di imprenditori o di società di qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità e trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità..”.
Quale modalità eccezionale e derogatoria rispetto alle modalità di affidamento ordinario è previsto l’affidamento a favore di società a capitale interamente pubblico, allorquando “a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento…non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”.
Alla stregua della richiamata normativa, non può che condividersi quanto assumono le società appellanti in ordine all’obbligatorietà per l’ente locale di immettere sul mercato e offrire alla concorrenza mediante le procedure competitive i servizi pubblici a rilevanza economica.
Invero, l’affidamento alla concorrenza dei servizi pubblici locali a rilevanza economica risale almeno al 2001, per effetto della modifica introdotta dall'art. 35 della legge n. 448 del 2001 all’art. 113 del TUEL approvato con d.lgs. n. 267 del 2000.
La modifica della stessa rubrica dell’art. 113 del TUEL “i servizi pubblici locali di rilevanza economica e privi di rilevanza economica” in luogo di “servizi pubblici locali di rilevanza industriale e privi di rilevanza industriale” è significativa della più limitata libertà di scelta dell’ente locale circa le modalità di gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica e preclusiva della gestione in economia per i servizi di rilevanza economica.
Non è, pertanto, condivisibile quanto affermato in sentenza (“la disciplina dettata dall’art. 23 bis non contiene un espresso divieto alla gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, né un divieto di tal genere sembra implicitamente desumibile dal testo della norma…il principio della concorrenza, a cui è ispirata la disciplina del citato art. 23 bis (come enunciato nel primo comma) non può prevalere sui principi di efficienza ed economicità e buon andamento dell’attività amministrativa, laddove una ragionevole valutazione induca a ritenere preferibili (come nel caso in esame, quanto meno in via sperimentale) soluzioni interne all’amministrazione interessata e dunque non competitive”.
Quanto al precedente di questa sezione (Cons. Stato, sez. quinta, 26 gennaio 2011, n. 552), richiamato dal TAR Toscana, atteso il riferimento in essa contenuto ad attività di modesto impegno finanziario (ad esempio di poche migliaia di euro l’anno), esso si riferisce chiaramente alle ipotesi di servizi pubblici privi di rilevanza economica, interpretazione avvalorata dal riferimento a mo’ di esempio ai servizi che notoriamente i comuni possono e gestiscono in economia “illuminazione pubblica, centri assistenziali, case di accoglienza, case di riposo, assistenza domiciliare, asili nido, mense scolastiche, mense scolastiche..”.
In conclusione può affermarsi che in base alla disciplina dettata dall’art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008 e ss.mm.ii., in caso di servizi pubblici a rilevanza economica, non ne era consentita la gestione in economia, salve le deroghe previste dalla normativa richiamata e con le modalità da essa indicate.
8.- Altra questione è se il servizio di pubblica illuminazione votiva sia sussumibile tra quelli privi di rilevanza economica o se il servizio per come svolto dal Comune di Siena debba qualificarsi quale servizio privo di rilevanza economica, tesi sostenuta dal Comune di Siena con l’appello incidentale.
8.1- In via di principio va considerato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non è possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura economica (secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte di giustizia CE, sentenza 22 maggio 2003, causa 18/2001).
In sostanza, per qualificare un servizio pubblico come avente rilevanza economica o meno è ragionevole pensare che si debba prendere in considerazione non solo la tipologia o caratteristica merceologica del servizio (vi sono attività meramente erogative come l'assistenza agli indigenti), ma anche la soluzione organizzativa che l'ente locale, quando può scegliere, sente più appropriata per rispondere alle esigenze dei cittadini (ad esempio servizi della cultura e del tempo libero da erogare, a seconda della scelta dell'ente pubblico, con o senza copertura dei costi).
Dunque, la distinzione di cui si sta parlando può anzitutto derivare da due presupposti, in quanto non solo vi può essere un servizio che ha rilevanza economica o meno in astratto ma anche uno specifico servizio che, per il modo in cui è organizzato nel caso di specie, presenta o non presenta tale rilevanza economica.
Saranno, quindi, privi di rilevanza economica i servizi che sono resi agli utenti in chiave meramente erogativa e che, inoltre, non richiedono una organizzazione di impresa in senso obiettivo (invero, la dicotomia tra servizi a rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica può anche essere desunta dalle norme privatistiche, coincidendo sostanzialmente con i criteri che contraddistinguono l’attività di impresa nella previsione dell'art. 2082 Cod. civ. e, per quanto di ragione, dell’art. 2195 o, per differenza, con ciò che non vi può essere ricompreso).
Per gli altri servizi, astrattamente di rilevanza economica, andrà valutato in concreto se le modalità di erogazione, ne consentano l’assimilazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica.
8.2- Fermo tanto, quanto al servizio di illuminazione votiva, è indubbia la rilevanza economica di tale servizio.
In tal senso si è espressa la giurisprudenza con orientamento univoco (per tutte, Cons. Stato, sez. quinta, 11 agosto 2010, n. 5620; 29 marzo 2010, n.1790; 5 dicembre 2008, n. 6049; 14 aprile 2008, n.1600), nonché l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici in un parere richiesto dall’ANEILVE (Associazione Nazionale Esercenti Impianti Lampade Votive Elettriche) ed anche il TAR Toscana, con la sentenza appellata, inquadra il servizio di illuminazione votiva all’interno del sistema cimiteriale del Comune di Siena quale “servizio pubblico a rilevanza economica”.
8.3.- Assume il Comune di Siena, con l’appello incidentale, che il servizio di cui trattasi, per come è svolto da esso Comune, è privo di rilevanza economica, avendo una redditività modesta.
La prospettazione del Comune non appare convincente.
Come si è detto, innanzi tutto la qualificazione di un servizio pubblico a rilevanza economica è correlata alla astratta potenzialità di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore (cfr. Cons. Stato, n. 5097 del 2009), sicché non rileva l’irrisorietà dell’utile che in concreto un servizio per come svolto produca.
Non è significativa, in conseguenza, la circostanza che l’attività come svolta dal Comune di Siena sia risultata in concreto caratterizzata da un’esigua redditività (dai bilanci di previsione degli anni 2010 e 2011 e dal rendiconto di esercizio dell’anno 2010, a fronte di un fatturato pari a 220.000,00 euro l’anno si sono registrate uscite per 206.645,00 euro con un profitto complessivo di euro 13.000,00 l’anno).
Né risulta, peraltro, che il Comune di Siena abbia offerto il servizio gratuitamente o sopportandone parte dei costi, risultando, al contrario, che ha svolto in proprio un’attività imprenditoriale vera e propria, seppure senza autonoma organizzazione (il servizio sarebbe stato gestito integrando le relative attività con quelle svolte dalle direzioni edilizie e dalla direzione risorse finanziarie).
Tale circostanza è dirimente per sussumere tale servizio tra quelli a rilevanza economica con la conseguenza che esso doveva essere esternalizzato in base al citato art. 23 bis del d. l. n. 112 del 2008, più volte richiamato, non potendo essere sottratto al mercato.
Va, in conseguenza respinto l’appello incidentale proposto dal Comune di Siena".

sentenza CDS 5409 del 2012

Nuovi disposizioni in materia di servizi pubblici locali

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Il decreto legge 179 del 2012, all'articolo 34, commi 13 eseguenti, introduce nuove disposizioni in materia di servizi pubblici locali a rilevanza economica, come da estratto che pubblichaimo in allegato.

Il tema verrà trattato nel corso del seminario di Arzignano del 26 ottobre 2012 (si veda il post datato 5 ottobre 2012 nel presente sito).

art 34 commi 13 e seguenti decreto sviluppo bis

Decreto Legge 179/2012: “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese”. Novità per i Comuni

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Pubblichiamo il testo del D.L. 179 del 2012, recante: "Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese".

Di seguito pubblichiamo, con alcune note evidenziate, le novità per i Comuni.

In un separato post pubblichiamo le novità in materia di servizi pubblici locali.

Art. 3. Censimento continuo della popolazione e delle abitazioni e Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici.

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì stabiliti i contenuti dell’Archivio nazionale delle strade e dei numeri civici (ANSC), realizzato ed aggiornato dall’ISTAT e dall’Agenzia del territorio, gli obblighi e le modalità di conferimento degli indirizzari e stradari comunali tenuti dai singoli comuni ai sensi del regolamento anagrafico della popolazione residente, le modalità di accesso all’ANSC da parte dei soggetti autorizzati, nonché i criteri per l’interoperabilità dell’ANSC con le altre banche dati di rilevanza nazionale e regionale, nel rispetto delle regole tecniche del sistema pubblico di connettività di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Art. 4. Domicilio digitale del cittadino

1. Dopo l’articolo 3 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, è inserito il seguente:

«Art. 3 -bis (Domicilio digitale del cittadino). — 1. Al fi ne di facilitare la comunicazione tra pubbliche amministrazioni e cittadini, è facoltà di ogni cittadino indicare alla pubblica amministrazione, secondo le modalità stabilite al comma 3, un proprio indirizzo di posta elettronica certificata, quale suo domicilio digitale.

2. L’indirizzo di cui al comma 1 è inserito nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente-ANPR e reso disponibile a tutte le pubbliche amministrazioni e ai gestori o esercenti di pubblici servizi.

4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell’articolo 21 -bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza oneri di spedizione a suo carico.

Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario.

 

Art. 5. Posta elettronica certificata - indice nazionale degli indirizzi delle imprese e dei professionisti

3. Al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dopo l’articolo 6, è inserito il seguente:

«Art. 6 -bis (Indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti).

1. Al fine di favorire la presentazione di istanze, dichiarazioni e dati, nonché lo scambio di informazioni e documenti tra la pubblica amministrazione e le imprese e i professionisti in modalità telematica, è istituito, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e con le risorse umane, strumentali e fi nanziarie disponibili a legislazione vigente, il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, presso il Ministero per lo sviluppo economico.

3. L’accesso all’INI-PEC è consentito alle pubbliche amministrazioni, nonché ai professionisti e alle imprese in esso presenti.

Art. 6. Trasmissione di documenti per via telematica, contratti della pubblica amministrazione e conservazione degli atti notarili

1. Al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, sono apportate le seguenti modifi cazioni:

a) all’articolo 47, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1 -bis . L’inosservanza della disposizione di cui al comma 1 (n.d.r.: 1.  Le  comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono  mediante l'utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; esse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza.), ferma restando l’eventuale responsabilità per danno erariale, comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare.»;

b) all’articolo 65, dopo il comma 1 -bis ), è inserito il seguente: «1 -ter . Il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell’ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione inviate ai sensi e con le modalità di cui al comma 1, lettere a) (a) se sottoscritte mediante  la  firma  digitale  o  la  firma elettronica qualificata, il  cui  certificato  e'  rilasciato  da  un certificatore accreditato;), c) (c) ovvero quando l'autore e' identificato dal sistema informatico con i diversi strumenti di cui all'articolo 64, comma 2,  nei  limiti di quanto  stabilito  da  ciascuna  amministrazione  ai  sensi  della normativa vigente nonche' quando le istanze e le  dichiarazioni  sono inviate con le modalita' di cui all'articolo 38, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.) e c -bis ) (c-bis)  ovvero  se  trasmesse  dall'autore  mediante  la  propria casella  di  posta  elettronica  certificata  purche'   le   relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa  identificazione del titolare, anche per via telematica secondo modalita' definite con regole tecniche adottate  ai  sensi  dell'articolo  71,  e  cio'  sia attestato dal gestore del sistema nel messaggio o in un suo allegato. In tal caso, la trasmissione costituisce dichiarazione vincolante  ai sensi dell'articolo 6, comma 1, secondo periodo. Sono fatte salve  le disposizioni normative che prevedono l'uso di  specifici  sistemi  di trasmissione telematica nel settore tributario;), comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare dello stesso.»;

c) all’articolo 65, comma 1, le parole: «le dichiarazioni presentate alle pubbliche amministrazioni per via telematica» sono sostituite dalle seguenti: «le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici»;

d) all’articolo 54, comma 2 -ter , dopo le parole: «pubbliche amministrazioni» sono inserite le seguenti: «e i gestori di servizi pubblici».

2. All’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dopo il comma 2, è aggiunto infine il seguente: «2 -bis . A fare data dal 1° gennaio 2013 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, pena la nullità degli stessi.».

3. All’articolo 11 decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 , il comma 13 (13. Il contratto e' stipulato mediante atto  pubblico  notarile,  o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale  rogante dell'amministrazione  aggiudicatrice,   ovvero   mediante   scrittura privata, nonche' in forma elettronica secondo le  norme  vigenti  per ciascuna stazione appaltante.) è sostituito dal seguente:

«13. Il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione

appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante dell’amministrazione aggiudicatrice o mediante scrittura privata.».

4. Le disposizioni di cui al comma 3 si applicano a fare data dal 1° gennaio 2013.

D_L_ 179-2012_Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese

Il responsabile del servizio tecnico del Comune può essere membro e presidente di una commisione di gara della quale poi dovrà approvare gli atti

23 Ott 2012
23 Ottobre 2012

Il Consiglio di Stato, sez V, con la sentenza del 18 ottobre 2012 n. 5352, dichiara l’inesistenza di un conflitto di interessi laddove il responsabile del servizio tecnico del Comune sia membro della commissione di gara riguardante una concessione per il servizio di distribuzione di gas naturale, della quale rivesta anche la qualifica di presidente.

Nello specifico si afferma che non "coglie nel segno la censura con cui l’appellante”- la terza società classificata - “deduce il conflitto di interessi in cui versava il presidente dell’organo che ha anche proceduto nella predetta veste di responsabile ad approvare gli atti della Commissione da lui stesso presieduta, essendo tale funzione cumulabile in capo alla figura apicale della struttura amministrativa comunale in seguito alle attribuzioni allo stesso della generalità delle funzioni di gestione attiva”.

Ciò è confermato anche da una precedente pronuncia: “la giurisprudenza della Sezione (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 22 giugno 2010, n. 3890 e 12 giugno 2009 n. 3716) ha già messo in evidenza che, ai sensi dell’art. 107 D. Lgs. n. 267-00, tra le attribuzioni dirigenziali, figura espressamente anche quella di assumere la presidenza delle commissioni di gara. L’ampliamento della sfera di responsabilità, facenti capo al dirigente, delineatosi a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, infatti, ha rafforzato l’esigenza che il medesimo dirigente sia posto in grado di seguire, in prima persona, le procedure dei cui esiti è responsabile. Così come non vi è incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente deve ritenersi nel caso di un dirigente dell’ente locale che ha svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara”(Consiglio di Stato, sez. V, 27.04.2012, n. 2445).

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 5352 del 2012

Il Comune ha l’obbligo di rispondere a chi segnala un abuso edilizio, anche se la segnalazione è infondata

22 Ott 2012
22 Ottobre 2012

La questione è esaminata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5347 del 2012.

Scrive il Consiglio di Stato: "La controversia sottoposta alla Sezione dall’appello in esame verte sulla legittimità di un silenzio serbato da amministrazione comunale su istanza sollecitatoria dei poteri repressivi nei confronti di un intervento edilizio, realizzato da proprietario confinante, ritenuto abusivo perché lesivo delle prerogative della proprietà limitrofa. Con la decisione impugnata il TAR si è espresso negativamente sul dovere dell’amministrazione di pronunziarsi...Il gravame, alla luce della giurisprudenza di questo Consiglio formatasi in materia, è meritevole di accoglimento, non potendosi condividere, per le ragioni che seguono, l’interpretazione restrittiva adottata dal TAR sul dovere di pronunziarsi sull’istanza. In effetti, ricostruiti come sopra i termini della controversia, e ribadito (come già ammesso dalla sentenza) che la stessa verte esclusivamente sulla sussistenza di un obbligo del Comune di pronunziarsi sulla domanda, e non sul merito della controversia (la regolarità o meno dell’intervento edilizio), viene qui in rilievo la giurisprudenza amministrativa per la quale, in via generale, “l'obbligo giuridico di provvedere - ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall’art. 7 della legge 18 giugno 2009, n. 69 - sussiste in tutte quelle fattispecie particolari nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongano l'adozione di un provvedimento e quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell'Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487). In particolare, poi, il proprietario confinante con l’immobile, nel quale si assuma essere stato realizzato un abuso edilizio, ha comunque un interesse alla definizione dei procedimenti relativi all’immobile medesimo entro il termine previsto dalla legge, tenendo conto dell’interesse sostanziale che, in relazione alla vicinanza, egli può nutrire in ordine all’esercizio dei poteri repressivi e ripristinatori da parte dell’organo competente (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2006, n. 4609; Id., IV Sez., 7 luglio 2008, n. 3384)” (Cons. di Stato , sez.IV, n. 2468/2012)”.
Ciò considerato, rileva il Collegio che la decisione del TAR opera una commistione tra le due distinte questioni giuridiche (pronunzia o meno sull’istanza ed esercizio o meno dei poteri repressivi), obliterando che oggetto del ricorso era solo la prima. E con riferimento a questa sussistevano gli elementi legittimanti minimali per ottenere la pronunzia del Comune, costituiti dalla incontestata proprietà da parte istante e dallo stato dei luoghi esposto dal ricorrente.
Come già condivisibilmente affermato in analoga fattispecie (Cons. di Stato n. 2468/2012, cit.), resta poi irrilevante la prospettiva di un esperimento dell’azione possessoria in sede civile, ben potendo la tutela (rimozione del presunto abuso), non conseguita in sede civile, essere realizzarsi mediante il richiesto esercizio dei poteri pubblicistici in materia edilizia.
Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, dunque, l’azione proposta dal sig. Rizzo contro il silenzio era meritevole di accoglimento; conseguentemente l’appello in trattazione, in riforma sul punto della sentenza impugnata, deve essere accolto, dovendosi annullare il silenzio formatosi sulla domanda e dichiarare il dovere dell’amministrazione di pronunziarsi sull’istanza del sig.Rizzo, a norma dell’art. 117, comma 2 del c.p.a..
Conseguentemente l’appello in trattazione, in riforma sul punto della sentenza impugnata, deve essere accolto".

sentenza CDS 5347 del 2012

Nel caso di contrasto tra il Piano commerciale e il Piano regolatore, quale prevale?

22 Ott 2012
22 Ottobre 2012

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5343 del 2012 esamina un caso nel quale il Comune ha negato la costruzione di un supermercato in una zona che il PRG qualifica come "area per servizi", stabilendo che  "“ tali zone comprendono tutte le aree per i servizi della residenza previsti dal D,.M. 2.4.1968 e sono destinate alla realizzazione di attrezzature per l’istruzione (scuola d’obbligo) , attrezzature per attività collettive , a verde pubblico attrezzato e a parcheggi”, con la possibilità di interventi da parte dei privati mediante la stipula di una convenzione con il Comune per le modalità di uso delle attrezzature .

Il Consiglio di Stato, dopo avere chiarito che "il progettato supermercato non è sussumibile nella categoria delle attrezzature per attività collettive", aggiunge: "Parte appellante sostiene poi che l’assentibilità urbanistica del progettato intervento deriverebbe dalla normativa recata sul punto dal Piano commerciale, approvato dal Comune di Ostuni con deliberazione consiliare n.48 del 20 dicembre 2006, nella parte in cui è prevista la possibilità di localizzazione di medie strutture di vendita nelle aree previste nei vigenti strumenti urbanistici “con destinazione a servizi di interesse generale o collettivo” .
L’argomentazione non coglie nel segno.
Le previsioni di un piano commerciale devono avvenire ed attuarsi in conformità e comunque in coerenza con le scelte di pianificazione territoriale recate dallo strumento urbanistico disciplinante i vari modi di utilizzo del territorio, inclusi quelli relativi al commercio , di guisa che la disciplina urbanistica deve essere la prima ad essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale ( Cons. Stato Sez. IV 27 aprile 2004 n.2521; idem 8 maggio- 7 giugno 2005 n.2928) .
Ora, avuto riguardo alla sovraordinazione del procedimento di verifica urbanistica rispetto a quello dell’autorizzazione commerciale, si deve tener conto, in sede di verifica di compatibilità commerciale di un insediamento, delle scelte di pianificazione urbanistica, sicchè in applicazione di tale regola , nella specie la localizzazione di strutture di carattere comune prevista per la zona G1 dal citato art.20 delle NTA del PRG nei sensi limitativi sopra esposti, è comunque preclusiva dell’assentibilità della progettata struttura di vendita, senza che la norma commerciale possa derogare a tale previsione.
Se così non fosse si arriverebbe ad ammettere una portata innovativa e/o modificativa delle previsioni urbanistiche ad opera di un regolamentazione, quella commerciale , che per principio si pone in posizione recessiva, nel senso che la pianificazione commerciale è subordinata a quella urbanistica e comunque rientra nell’orbita di quest’ultima nel senso che con questa deve necessariamente armonizzarsi.
Insomma , come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ( Sez. VI 10 aprile 2012 n.2060; Sez. V 28 maggio 2009 ; Sez. IV 5 agosto 2005 n. 419 ), le prescrizioni contenute nei piani urbanistici in ragione dell’interesse pubblico tutelato impediscono di attribuire prevalenza al piano commerciale rispetto a quello urbanistico e se così è, la previsione recata dal citato art.20 delle NTA del PRG di Ostuni costituisce circostanza di fatto e di diritto giustificativa del diniego di autorizzare sia sotto il profilo urbanistico che, conseguentemente, sotto l’aspetto commerciale la struttura di vendita di che trattasi".

sentenza CDS 5343 del 2012

Giovanni sotto il banco per il terremoto a Moglia

19 Ott 2012
19 Ottobre 2012

Giovanni è mio nipote, ha 10 anni e abita a Moglia in provincia di Mantova.

Nella lettera allegata, racconta quello è successo a scuola durante la scossa del 29 maggio 2012.

Moglia è in Lombardia, ma ha subito gravi danni, come i più noti paese emiliani: diroccati il duomo, il municipio e le scuole, oltre 300 edifici gravamente lesionati, 130 dei quali da demolire.

Anche questo Comune ha grande bisogno di aiuti: alcune associazioni hanno portato al Sindaco somme raccolte durante le sagre paesane (anche 1000, 2000 euro sono preziosi).

Dov'è lo Stato? Dov'è quello Stato che sa essere così forte quando si presenta sotto le insegne di Equitalia?

A Moglia lo Stato si presenta con il volto della Soprintendenza, che vieta di demolire gli edifici vincolati, anche se sono semidistrutti e pericolanti: la logica del sistema, infatti, è quella di conservare i beni tutelati, non di demolirli. E allora, a Moglia, in Emilia, a L'Aquilia conserveremo tante nuove Pompei semidistrutte? Il sistema non contempla la riscostruzione del bene culturale "dove era e come era". Del resto, c'è anche il timore che la logica dell'emergenza porterebbe a ricostruzioni fantasiose: quanti tristi capannoni sono stati costruiti nei decenni scorsi chiamandoli chiese?

Ecco, a questo punto servirebbe uno Stato serio e forte.

Intanto chissà per quanto tempo Giovanni, passando davanti alle rovine del duomo, del municipio e delle scuole si ricorderà del 29 maggio 2012, quando si è rifugiato sotto il banco per proteggersi dal terremoto. 

Dario Meneguzzo

Tema Giovanni

Utilizzabilità nel giudizio amministrativo o ai fini della emanazione di un provvedimento di una CTU svolta in un processo civile

19 Ott 2012
19 Ottobre 2012

Il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza 17 maggio 2012 n. 2847, sancisce espressamente che il giudice amministrativo può utilizzare le prove, ammesse e prodotte tra le medesime parti – ma anche tra parti diverse – in un altro processo, al fine di accertare l’esistenza di un abuso edilizio: nello specifico ritiene “inaccoglibili” le censure dedotte da parte appellante in quanto “fondate su una asserita acritica utilizzazione da parte del primo giudice di elementi probatori acquisiti nell'ambito di altri procedimenti intercorsi tra l'appellante e l'appellato, anche e soprattutto laddove si spingono a sostenere l'asserita inutilizzabilità degli elaborati peritali ivi formati nell'odierno giudizio”.

La sentenza de qua ammette la piena utilizzazione della CTU disposta nell’ambito del giudizio civile ancora pendente tra le parti, nonché dell’elaborato redatto dal CTU nel corso del giudizio penale, conformandosi a quanto in precedenza già affermato dal Supremo Consesso Amministrativo: “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse e può, quindi, avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata”(Cons. Stato, sez. V, 19.01.2009, n. 223) ed in precedenza ribadito anche dalla Cassazione (Cass. civile, sez. II, 19.09.2000, n. 12422)

La sentenza in esame, ancora, sembra indicare il modus procedendi che il giudice amministrativo deve seguire per valutare adeguatamente tali risultanze probatorie: “Sotto altro profilo, il primo giudice non ha affatto acriticamente recepito le indicazioni probatorie contenute negli elaborati resi dai consulenti tecnici d'ufficio nominati sia in sede di giudizio civile che dal pubblico ministero in sede penale” (...) “Dette risultanze sono state accuratamente vagliate dal primo giudice”.

Anche la P.A. può utilizzare e porre alla base di un proprio provvedimento le risultanze di una CTU.

Segnaliamo, peraltro, che la recente sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, n. 1109 del 06.08.2012 (si veda in questa blog il post del 10 settembre 2012) annulla un provvedimento amministrativo di demolizione di opere eseguite in assenza di un permesso di costruire dacché “il provvedimento ora impugnato è unicamente fondato sui risultati di una consulenza tecnica d’ufficio, posta in essere nell’ambito di un distinto e differente giudizio civile instaurato dai ricorrenti” e ancora “sul punto deve verificarsi l’esistenza di un costante orientamento che, in materia istruttoria del procedimento, obbliga l’Amministrazione allo svolgimento di una corretta attività propedeutica e di verificazione dei fatti in causa, attività assolutamente non delegabile ad altre strutture o giudicati peraltro tutt’ora in corso di svolgimento”.”

Lo stesso T.A.R. Veneto quindi, pur riconoscendo che la CTU prodotta dal controinteressato e riguardante il connesso e pendente processo civile, possa chiarire la natura di abuso edilizio dell’opera in esame, ritiene non sufficiente l’istruttoria svolta dall’ente in quanto “l'Amministrazione si è limitata a rappresentare ed a porre a fondamento della determinazione assunta, esclusivamente, quegli elementi contenuti nella consulenza tecnica riferita al diverso giudizio, senza procedere ad un'adeguata valutazione e fondamento degli stessi”.

Va segnalato, peraltro, che la CTU era stata svolta in un processo civile nel quale era parte sia il Comune sia l’autore del presunto abuso, i quali erano assistiti dai rispetti consulenti tecnici di parte, cosicchè le risultanze della CTU sono apparse al Comune sufficienti ai fini dell’emanazione del provvedimento poi annullato dal TAR.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza CDS 2847 del 2012

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