Author Archive for: SanVittore

Cosa succede secondo il TAR Veneto se non è inviato l’ordine di demolizione anche al responsabile dell’abuso diverso dal proprietario incolpevole

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nelle sentenza del 22 maggio 2014 n. 703 si occupa dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 e dei destinatari dell’ordinanza di demolizione.

Preliminarmente si ricorda il contenuto dell’art. 31secondo cui: “1. Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.

2. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l'esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.

3. Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

4. L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al comma 3, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente.

5. L'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.

6. Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in base a leggi statali o regionali, a vincolo di inedificabilità, l'acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all'ingiunzione di demolizione, si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull'osservanza del vincolo. Tali amministrazioni provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi a spese dei responsabili dell'abuso. Nella ipotesi di concorso dei vincoli, l'acquisizione si verifica a favore del patrimonio del comune.

7. Il segretario comunale redige e pubblica mensilmente, mediante affissione nell'albo comunale, i dati relativi agli immobili e alle opere realizzati abusivamente, oggetto dei rapporti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria e delle relative ordinanze di sospensione e trasmette i dati anzidetti all'autorità giudiziaria competente, al presidente della giunta regionale e, tramite l’ufficio territoriale del governo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

8. In caso d'inerzia, protrattasi per quindici giorni dalla data di constatazione della inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 27, ovvero protrattasi oltre il termine stabilito dal comma 3 del medesimo articolo 27, il competente organo regionale, nei successivi trenta giorni, adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell'esercizio dell'azione penale.

9. Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita.

9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3”.

Dalla lettura della norma sembrerebbe pacifico che l’ordinanza di demolizione debba essere notificata tanto al proprietario dell’abuso quanto al suo esecutore materiale.

Nella sentenza che si commenta, però, i Giudici affermano la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione notificata solo al c.d. proprietario incolpevole poiché, dagli elementi dallo stesso prodotti in un precedente giudizio, l’ente non ha acquisito la certezza che l’abuso sia stato realizzato da altri.

In questo caso - continua la sentenza - se da un lato l’ordinanza è comunque pienamente legittima, dall’altro lato ciò impedisce l’eventuale acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Sul punto, invero, si legge che: “In particolare con il secondo motivo si sostiene che l'ordinanza sarebbe illegittima perché indirizzata esclusivamente nei confronti dei proprietari delle opere abusive pur a fronte di "ogni elemento utile" offerto da Vivere Molina nel precedente giudizio ai fini dell'individuazione del responsabile dell'abuso.

Invero il Comune stesso da atto che Vivere Molina nel precedente giudizio aveva affermato di non aver realizzato l'abuso perché la porzione di fabbricato in contestazione si sarebbe trovato nell'attuale situazione di fatto da quando era di proprietà del Comune. Non risulta peraltro che sia stato fornito alcun supporto probatorio a sostegno dell’asserzione che dall’anno della cessione (2000) la porzione di immobile de quo non ha subito alcun incremento di volume ed è stato sottoposto unicamente ad un intervento di manutenzione straordinaria.

E’ comunque indubbio che l'omessa identificazione del soggetto responsabile non inficia la legittimità del provvedimento ablatorio, ma, fermo restando gli strumenti civilistici eventualmente esperibili a tutela dei diritti delle parti negoziali implicate, impedisce solo ed esclusivamente la successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'area di sedime nel caso di inottemperanza all'ordine di riduzione in pristino, sempre che risulti indubbia l'estraneità del proprietario all'abuso.

Nel caso di specie, in ogni caso, nemmeno può ritenersi allo stato effettivamente dimostrata l'estraneità delle ricorrenti alla realizzazione dell'abuso edilizio. Infatti l’asserzione contenuta in particolare a pag. 11 del ricorso ( nell’ambito del terzo motivo di gravame), in ordine al fatto che "il manufatto è stato realizzato in un'epoca imprecisata quando era in proprietà del Comune e comunque certamente anteriore al 2002", risulta priva di un qualsiasi elemento probatorio; inoltre, anche a prescindere dal fatto che non sarebbe in ogni caso idonea ad escludere "in modo inequivocabile" la responsabilità del soggetto (Pro-loco) che nello stesso periodo aveva in uso il fabbricato adibito a bar, risulta anche contraddetta dall’istruttoria espletata dal Comune, da dove emerge che la planimetria del fabbricato sia al momento dell’acquisto effettuato nel 1980 ( con cessione in uso alla Pro-Loco Molina per essere adibito a bar ristoro) che al momento della vendita effettuata nel 2000 al medesimo soggetto non registrava l’aumento di volume in questione (come risulta dalla documentazione versata in atti dal Comune sub doc, 1 pag. 2 e doc 9: d.c.c. 38/2000 e planimetria allegata all’atto di vendita)”.

Ma davvero l’ordinanza di demolizione può essere notificata solo al c.d. proprietario incolpevole? E davvero la mancata individuazione del responsabile dell’abuso impedisce l’acquisizione gratuita?

A mio avviso, se in astratto il ragionamento del T.A.R. può essere condiviso per quanto concerne il primo punto (perlomeno nei casi in cui sia davvero impossibile od estremamente difficile individuare l’esecutore materiale dell’abuso ), più problematica sembrerebbe la seconda questione: la natura di illecito permanente dell’abuso edilizio e la cospicua giurisprudenza che riconosce la responsabilità del c.d. proprietario incolpevole potrebbero superare un’interpretazione estremamente letterale della norma?

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 703 del 2014

MISE: pubblicato sulla GU n.129 del 6-6-2014 il Decreto 22 maggio 2014: «Linee Guida su criteri e modalita’ applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale»

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Il  Decreto MISE 22 maggio 2014 approva un allegato.

L'allegato 1 citato nell'art. 1,  comma  1, che fa parte integrante del D.M.  22.5.2014  -  «Documento: Linee Guida su  criteri  e  modalita'  applicative  per  la           valutazione  del  valore  di  rimborso  degli  impianti  di distribuzione del gas naturale» - non pubblicato  in  G.U., e'  pubblicato  nel  sito  internet  del  Ministero   dello           sviluppo economico:

http://www.sviluppoeconomico.gov.it/Normativa/Decreti/Ministeriali

Anche per l’AVCP gli oneri specifici non sono richiesti a pena di esclusione negli appalti di servizi ricompresi nell’allegato II B

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

L’AVCP nel parere di precontenzioso del 10 aprile 2014 n. 67 riconferma quanto commentato nel post del 04.12.2013, ovvero che negli appalti di servizi ricompresi nell’allegato II B del Codice Appalti non vi è l’obbligo di indicare gli oneri specifici a pena di esclusione, salvo che sia stata la stessa stazione appaltante a vincolarsi al loro rispetto: “Trattandosi di appalto di servizi  rientrante nella categoria generale n. 22 “Servizi di collocamento e reperimento personale” di cui all’allegato II B del D.Lgs. 163/2006, si ritiene che trovino  applicazione, ai sensi degli artt. 20 e 27 del Codice dei Contratti Pubblici,  unicamente le disposizioni ed i principi in questi richiamati (a tale riguardo vedasi precedente parere di precontenzioso n. 33 del 13.03.2013).

Secondo infatti quanto previsto dall’art. 20 del Codice dei Contratti Pubblici, nelle procedure di affidamento relative agli appalti elencati nell’allegato IIB dello stesso Codice, le previsioni degli artt.86 e 87 non trovano applicazione.

D’altro canto,  anche la giurisprudenza (vedasi Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 4510 del 2012; TAR Piemonte, Sez. I, sent. 1376 del 2012) depone circa “… la non necessaria applicabilità degli artt. 86 e 87 agli appalti di servizi di cui all’allegato IIB e ciò argomentando dal fatto che essi non sono richiamati dall’art. 20, comma 1 del D.Lgs. n. 163/2006, non sono espressive di principi generali e neppure possono trasformarsi in norme di principio solo perché poste a presidio di interessi aventi una rilevanza costituzionale”. E ancora “ Va inoltre considerato che la non applicazione dell’art. 86, comma 3 bis e 3 ter e dell’art. 87 comma 4 agli appalti di servizi di cui all’allegato IIB non implica affatto che in tali casi alle stazioni appaltanti e alle imprese sia consentito di non adempiere all’obbligo di remunerare le maestranze secondo contratti vigenti o di sottrarsi agli obblighi inerenti la sicurezza sui luoghi di lavoro; correlativamente le stazioni appaltanti possono comunque vincolarsi al rispetto di qualunque norma del C.C.P., e dunque anche all’osservanza degli artt. 86 e 87, sia in punto indicazione degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso sia in punto verifica della offerta anomala, prevenendo in tal modo la commissione di illeciti connessi alla violazione di norme poste a tutela dei lavoratori. Pertanto, “ la mancata specificazione degli oneri della sicurezza nelle offerte relative ad appalti di cui all’allegato IIB non può comportare l’automatica esclusione dalla gara, che potrà essere comminata solo ove la stazione appaltante si sia auto vincolata, nel bando, al rispetto degli artt. 86, comma 3 bis e 3 ter e 87 comma 4. In mancanza di tale vincolo il partecipante che non abbia indicato gli oneri della sicurezza nella offerta dovrà essere chiamato a specificarli successivamente nell’ambito della eventuale verifica della anomalia dell’offerta”.

Orbene, nella fattispecie in esame, la lex specialis predisposta dalla S.A. ha esplicitato chiaramente all’art. 2.2 che l’appalto in questione rientra nei servizi di cui all’allegato IIB del D.Lgs. n. 163/2006 e non ha previsto alcuna prescrizione per i partecipanti, a pena di esclusione, di quantificazione degli oneri di sicurezza, da inserire nell’offerta economica. Si ricordi, a tal proposito, che con Deliberazione di questa AVCP n. 10 Adunanza del 25 Febbraio 2010, è stato  affermato, proprio con riferimento ai costi relativi alla sicurezza, che “ Sulla questione si deve richiamare sia  l’art. 26 comma 6 del D.Lgs. 81/2008 sia l’art. 86 comma 3-bis del codice, i  quali stabiliscono che nella predisposizione delle gare di appalto e nella  valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di  appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori  sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente  rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale  deve essere specificamente indicato. Come anche richiamato dalla Determina n.3/2008 dell’Autorità, ciò significa che nella predisposizione delle gare, cioè dei bandi e della documentazione, il costo per la sicurezza deve essere specificamente indicato, separato dalla base d’asta, anche se pari a zero”.

Conseguentemente, se ne deve  dedurre che in assenza di vincolo espressamente previsto nel bando di gara afferente appalti di servizi di cui all’allegato IIB D.Lgs. n. 163/2006, la S.A. non potrà escludere automaticamente l’impresa che nella propria offerta non abbia quantificato i relativi costi di sicurezza aziendale, rinviando alla successiva fase dell’eventuale verifica dell’anomalia dell’offerta la richiesta dei giustificativi in merito agli elementi costitutivi dell’offerta economica presentata”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Parere AVCP n. 67 del 2014

Circolare mensile per l’impresa n. 6/2014

11 Giu 2014
11 Giugno 2014

Per gentile concessione della Società & Professionisti srl di Malo pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa n. 6/2014.

Segnaliamo in particolare i seguenti argomenti:

1)  Nuove funzionalità della piattaforma per la certificazione dei crediti verso la P.A.;

2) Impianti fotovoltaici assimilati alle apparecchiature elettriche ed elettroniche ai fini dello smaltimento;

3) decorrenza dal 30.06.2014 per l'obbligo POS;

4) chiarimenti in materia di IRPEF;

5)  TASI: versamento dell'acconto rinviato per gli immobili privi di delibera al 31.5.2014;

6) l’indirizzo di posta elettronica certificata deve essere esclusivo.

Circolare n. 6 del 10-06-2014

Si forma il silenzio assenso se l’opera viola le distanze del D.M. del 1968?

10 Giu 2014
10 Giugno 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 770 del 2014: "L’eventuale mancato rispetto della distanza di 10 metri fra pareti finestrate non è preclusivo alla formazione tacita del titolo abilitativo, potendo semmai essere posto a fondamento di un provvedimento di autotutela".

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 770 del 2014

Espropriazione di Beni culturali da parte dei comuni: serve l’autorizzazione preventiva del MIBAC

10 Giu 2014
10 Giugno 2014

Il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42  - Codice dei beni culturali e del paesaggio, prevede quanto quanto segue:

"Articolo 95 - Espropriazione di beni culturali

   1.  I  beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica utilita', quando l'espropriazione risponda  ad  un  importante  interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi.
   2.  Il  Ministero  puo'  autorizzare, a richiesta, le regioni, gli altri  enti pubblici territoriali nonche' ogni altro ente ed istituto pubblico  ad  effettuare  l'espropriazione  di cui al comma 1. In tal caso  dichiara  la pubblica utilita' ai fini dell'esproprio e rimette gli atti all'ente interessato per la prosecuzione del procedimento.
   3.  Il  Ministero puo' anche disporre l'espropriazione a favore di persone  giuridiche private senza fine di lucro, curando direttamente il relativo procedimento".

Segnaliamo sul tema la sentenza del TAR Veneto n. 762 del 2014.

Scrive il TAR: "Invero, premesso che è indiscussa la circostanza per cui l’intero complesso, comprensivo degli immobili e del parco circostante, è assoggettato al vincolo di interesse storico-culturale ex D.lgs. 42/2004, così come si ricava direttamente dal decreto di imposizione del vincolo, ne discende che nel caso in esame non poteva essere disattesa la disposizione dettata dal richiamato art. 95, la quale, con particolare riguardo ai beni così configurati, a specifica salvaguardia del vincolo su di essi imposto dal Ministero, richiede che sia quest’ultimo a valutare la possibilità di assoggettare tali beni a vincolo preordinato all’esproprio.

Tale previsione - che ovviamente non preclude ex se l’assoggettabilità ad esproprio di detti beni anche da parte dell’amministrazione comunale – impone tuttavia espressamente al secondo comma che nell’ipotesi in cui gli enti locali intendano procedere all’esproprio di tali beni, ciò venga preventivamente autorizzato dallo stesso Ministero che già li aveva assoggettati al vincolo ex D.lgs. 42/2004, consentendo, una volta dichiarata la pubblica utilità dell’opera, che l’amministrazione locale concluda il relativo procedimento.

Poiché nel caso in esame detto peculiare iter procedimentale non è stato osservato, il ricorso, ferme restando i profili di inammissibilità sopra rilevati, risulta meritevole di accoglimento e quindi va accolto, con conseguente annullamento della delibera n. 6/2014".

geom. Daniele Iselle

sentenza TAR Veneto 762 del 2014

Solo nelle prestazioni intellettuali gli oneri da rischio specifico possono essere pari a zero

10 Giu 2014
10 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 04 giugno 2014 n. 754, si occupa degli oneri specifici affermando che essi possono essere pari a zero solamente negli appalti che hanno per oggetto delle prestazioni di tipo intellettuale: “con il primo motivo del ricorso principale – ricorso che per economia procesuale va esaminato prioritariamente rispetto al ricorso incidentale “escludente” proposto dalla controinteressata, attesa la sua palese infondatezza (cfr. CdS, Ap, 25.2.2014 n. 9) - la ricorrente ha affermato che l’offerta presentata dal raggruppamento aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa per (violazione del codice dei contratti e della legge di gara sotto il profilo della) mancata indicazione degli oneri di sicurezza da rischio specifico. La censura, invero, è infondata in quanto il RTI aggiudicatario ha pacificamente ottemperato al precetto legislativo indicando che gli oneri di sicurezza a proprio carico erano, nel caso specifico, pari a “zero”, in ragione della circostanza che il servizio posto a gara aveva ad oggetto prestazioni per lo più di carattere intellettuale, e cioè, in particolare, l’acquisizione dai gestori uscenti, e la conseguente analisi, dei dati previsti dall’art. 4 del DM 12.11.2011 n. 226, come dettagliatamente specificati nell’art. 3, III comma dello “schema di contratto”. L’unica attività in grado di comportare un certo grado di rischio poteva ravvisarsi nella “verifica ed analisi dello stato di consistenza e di manutenzione degli impianti e delle reti dei Comuni, tramite sopralluoghi, controlli ed incontri in contraddittorio con i gestori”, indicata nello stesso art. 3, III comma, punto “d”: ma a tal proposito il raggruppamento aggiudicatario ha affermato – vedansi le giustificazioni fornite il 23.1.2014 a seguito dei chiarimenti richiesti dalla stazione appaltante (doc. 6 della ricorrente), ritenute da quest’ultima esaustive e plausibili – che “i soggetti deputati alle trasferte presso gli Enti sono individuati in professionisti collaboratori dei due Studi legati….da un contratto d’opera intellettuale ai sensi degli artt. 2232 segg. del c.c., che prevede il riconoscimento di onorari e spese per le specifiche attività prestate, restando a carico del singolo professionista ogni onere inerente la propria sicurezza specifica”.

Nella medesima sentenza, inoltre, il Collegio si sofferma sui poteri della stazione appaltante in materia di verifica dell’offerta anomala chiarendo che: “quanto alla contestata, omessa sottoposizione dell’offerta dell’aggiudicataria a verifica di anomalia, va osservato che mentre l'art. 86, II comma del DLg n. 163/2006 impone un obbligo di procedere alla verifica nei casi di anomalia da quella stessa previsione individuati, il successivo terzo comma si limita a facoltizzare la stazione appaltante a procedere alla suddetta verifica sempre che l'offerta, pur in assenza delle condizioni indicate dal comma precedente, appaia, in base ad elementi specifici - da indicare ovviamente con idonea motivazione - anormalmente bassa (cfr. CdS, IV, 27 luglio 2011, n. 4489). Orbene, nel caso di specie l'Amministrazione non ha rilevato alcuno di quegli specifici elementi che la potevano indurre a dubitare della congruità dell'offerta dell’aggiudicataria e a giustificare la decisione di sottoporla a verifica di anomalia (a tal proposito è appena il caso di annotare che a fronte del ribasso del 58% offerto dall’aggiudicataria, la ricorrente aveva offeto il 51,8%): pertanto, la censura della ricorrente è da ritenersi infondata, in quanto finisce per interferire con il merito amministrativo, ove la discrezionalità tecnica non è sindacabile in assenza dei presupposti che possano giustificare il suddetto sindacato, sconfinando altrimenti il giudice nella sfera riservata dalla legge alla valutazione discrezionale della P.A. (cfr. SS.UU., 17.2.2012 n. 2312)”. 

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 754 del 2014

Consumo di suolo e dissesto territoriale: istruzioni per come attuarli

09 Giu 2014
9 Giugno 2014

Un bilancio attento degli esiti dei nuovi piani comunali (dai Piani di assetto del territorio ai Piani degli interventi) nel Veneto – che verrà restituito in un volume di prossima pubblicazione – svolto da un gruppo di ricercatori e docenti (coordinato da chi scrive) del Dipartimento di progettazione e pianificazione in ambienti complessi dell’Università IUAV di Venezia, mette in evidenza come tra i nuovi strumenti urbanistici e i vari Piani Casa deliberati dalla regione ci sia una forte sintonia di intenti, relativamente al primato degli interessi proprietari e, più in generale, del mercato. Ancor più, larga parte dei dispositivi di pianificazione adottati a livello locale supera, in “espedienti”, degrado delle regole e comportamento opportunistico delle istituzioni, il contenuto dei Piani Casa.

Il quadro tracciato, a dieci anni dall’approvazione della legge di governo del territorio regionale (Lr n. 11/2004), non sembra affatto coincidere con quello rappresentato dalle dichiarazioni delle principali figure istituzionali – politiche e tecnico-amministrative – della regione. Queste affermano che il dispositivo “Piano Casa” dovrebbe servire a promuovere quel libero dispiegarsi dell’iniziativa privata, che i piani urbanistici ostacolano, con le loro previsioni decennali affidate a “mastodontici” strumenti. I quali, del resto, sono gli stessi che distinguono la nuova stagione urbanistica avviata con la legge regionale del 2004 e sono stati presentati, con grande propaganda, dai responsabili regionali come strumenti innovativi di governo del territorio finalizzati a garantirne “la tutela dell’integrità fisica e ambientale nonché dell’identità culturale e paesaggistica”. Dall’approvazione della legge si è assistito a una proliferazione di procedure, di atti, molti dei quali derogatori, e ai più svariati contenuti dei piani. Dobbiamo aggiungere che il 90% dei nuovi Piani di assetto del territorio (Pat) è stato redatto in regime di co-pianificazione con la struttura urbanistica della regione, i cui funzionari sono co-progettisti degli strumenti e, per questa funzione, hanno percepito uno specifico compenso aggiuntivo. Quindi, la responsabilità di questo stato dell’arte è essenzialmente dell’istituzione regionale e ne evidenzia il livello di incapacità e inefficienza raggiunto.

In assenza di una nuova legge quadro nazionale e di fronte alla frammentazione dei dispositivi regionali, l’unico quadro unitario è attualmente rappresentato dal Piano Casa di stampo “federalista”, promosso dal governo Berlusconi nel 2009, attuato in modo discrezionale da varie regioni e giunto alla terza edizione nel caso del Veneto.

Si tratta, nella sostanza, di un provvedimento straordinario, come i precedenti, “a sostegno del settore edilizio”, in deroga ai regolamenti e ai piani vigenti, che stabilisce misure “premiali” – dal bonus di cubatura, all’esonero dal pagamento degli oneri – per l’ampliamento degli edifici esistenti e per nuove costruzioni. Con il terzo Piano casa (Lr n. 32/2014), la regione Veneto ha introdotto una “innovazione” rispetto alle edizioni precedenti – già commentata da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera (sabato 25 gennaio 2014) – esautorando di fatto il ruolo dei governi locali nella gestione del territorio. Per rassicurare la sparuta schiera di sindaci che ha impugnato la legge regionale, il Vice Presidente della Regione con delega all’urbanistica, nonché ex-parlamentare di Forza Italia passato al Nuovo Centro Destra – Marino Zorzato – ha precisato che le disposizioni regionali non prevalgono su tutte le disposizioni, bensì solo su quelle che contrastano con i contenuti della legge! Come meglio commentare: oltre al danno, la beffa.

Il terzo Piano Casa intende l’aumento del volume del costruito quale modo più idoneo per contenere il consumo di suolo. Ciò non è una novità. Alcuni comuni del Veneto hanno da decenni praticato la “densificazione” del tessuto edilizio esistente, aumentando significativamente gli indici edificatori in modo indiscriminato e consentendo permute di volume tra lotti attigui. Nessuna valutazione è stata finora svolta sugli esiti perversi di queste trasformazioni del patrimonio edilizio esistente in termini di esternalità negative (tra le quali l’inadeguatezza delle reti infrastrutturali, il peggioramento della qualità urbana, il danneggiamento o il consumo di beni pubblici essenziali) e di conseguenti maggiori costi fatti gravare sulla collettività.

Diversi sono gli esempi che consentono di verificare cosa ha prodotto la densificazione, applicata in modo indiscriminato, e di denunciare lo stato di degrado istituzionale in materia di governo del territorio. Il più emblematico è quello di uno dei capoluoghi provinciali – il comune di Vicenza – che dispone sia di un Piano di assetto del territorio, redatto in co-pianificazione con la Regione, e di un più recente Piano degli interventi, lo strumento operativo, il solo di carattere conformativo, non soggetto a verifiche di istituzioni sovraordinate. Esaminando entrambi gli strumenti e soprattutto le modifiche introdotte nel Piano degli interventi dall’amministrazione comunale, si può a ragione sostenere che ci sia una sostanziale continuità, tra l’amministrazione di centro-destra precedente e quella attuale, nell’uso strumentale dei piani come dispositivi che meglio permettono di mobilitare l’interesse proprietario a fini elettoralistici. È evidente che si sia attuata una metamorfosi profonda dell’interesse generale, del tutto sostituito con l’interesse particolare o proprietario.

Per favorire discrezionalmente gli interessi particolari e aggirare il controllo del consumo di suolo, diversi sono gli “espedienti” utilizzati. Tra questi i più significativi sono i seguenti. In primo luogo la delimitazione disinvolta, nel Piano di assetto del territorio, delle aree di urbanizzazione “consolidata”, comprendente, oltre alle zone residenziali previste dal piano regolatore non ancora attuate, anche ampie aree agricole inedificate che possono così essere interessate da trasformazione edilizia in assenza di piani di lottizzazione. Quindi, la previsione – nel Piano degli interventi – di nuovi volumi edificabili, in gran parte aggiuntivi alle previsioni del Pat, per 470 nuove costruzioni “a volumetria definita” di 600 mc su lotti “virtuali” di 400 mq. Di dubbia legittimità in relazione all’effettivo consumo di suolo, queste nuove cubature sono disseminate nelle aree agricole di frangia e del tessuto disperso nonché in aree previste a standard e in zone di fragilità idraulica. Complessivamente si tratta di una volumetria aggiuntiva di 270.000 mc, che aumenta la dispersione insediativa, corrode in larga parte il territorio agricolo e occulta il consumo di suolo reale.

In sintesi: nessun Piano Casa riuscirebbe a “scardinare il vecchio modo di fare urbanistica” – come auspica il dirigente dell’urbanistica regionale, dimenticando che questo è il modo introdotto dalla legge urbanistica del 2004 – più di quanto dimostra di saperlo fare la “nuova stagione urbanistica” nel Veneto. In questo contesto, i governi locali che vogliono reagire a questa incultura urbanistica e si prefiggono di attuare un governo responsabile del territorio incontrano sempre maggiori difficoltà e sono spesso costretti a ricorrere presso i massimi organi di tutela giuridico-amministrativa per difendersi dai provvedimenti dell’istituzione sovraordinata.

Chiara Mazzoleni

docente di Urbanistica, Università Iuav di Venezia

Didascalia dell’immagine allegata:

Stralcio del Piano degli interventi di Vicenza. L’asterisco rosso contrassegna le nuove costruzioni a volumetria definita di 600 mc, su lotti “virtuali” di 400 mq.

Sintesi dei risultati della consultazione pubblica sui 44 punti della riforma della pubblica amministrazione

09 Giu 2014
9 Giugno 2014

Sono giunte, alla data del 30 maggio 2014, 39.343 e-mail all’account rivoluzione@governo.it che discutono i 44 punti della riforma della pubblica amministrazione sui quali è stata lanciata una consultazione pubblica, lo scorso 30 aprile, con una lettera aperta ai dipendenti pubblici e ai cittadini.

Pubblichiamo la sintesi dei risultati

rivoluzione_report

La Giunta comunale può regolamentare le concessioni di suolo pubblico?

09 Giu 2014
9 Giugno 2014

Sembrerebbe proprio di sì, ma solo a determinate condizioni.

Nella sentenza del 03 giugno 2014 n. 744, infatti, il T.A.R. Veneto si occupa degli atti che rientrano nella competenza della Giunta e/o del Consiglio comunale specificando che, se il Consiglio ha già fissato i principi da seguire in materia di occupazione di suolo pubblico, la Giunta può adottare le disposizioni programmatiche susseguenti: “Quanto alla dedotta incompetenza della giunta comunale a deliberare i criteri regolamentari per la concessione di suolo pubblico, il Collegio non può far altro che evidenziare che ai sensi dell’art. 42, comma 1, del T.U. n. 267/2000 “il Consiglio comunale, organo di indirizzo e di controllo politico – amministrativo, ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali ad emanare: ”a) statuti dell'ente e delle aziende speciali, regolamenti salva l'ipotesi di cui all'articolo 48 comma 3, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi”.

Discende da quanto sopra rilevato che se è vero che in base al combinato disposto di cui agli artt. 42 e 48 del T.U. Enti Locali la competenza regolamentare spetta all’organo consiliare, mentre alla giunta tale competenza è attribuita solo per la limitata materia dell’ordinamento degli uffici e dei servizi, è altrettanto vero che quest’ultima può approvare atti che siano espressione di autonomia normativa laddove a monte vi sia un provvedimento consiliare che abbia prefissato in modo preciso e chiaro i principi da seguire.

In definitiva, sulla scorta delle predette argomentazioni, non può ritenersi sussistente, nella fattispecie in esame, come peraltro già affermato da questo stesso Tribunale con sentenza n. 1754/2007, il dedotto vizio di incompetenza, atteso che l’art. 5 del Regolamento C.O.S.A.P., approvato con delibera del Consiglio Comunale, demanda espressamente ai Consigli di Quartiere la formulazione dei “criteri in base ai quali concedere le occupazioni permanenti di pubblici esercizi legate al commercio” per individuare “i luoghi ove si intende favorire, limitare o escludere l’occupazione di suolo pubblico e le attività da incentivare o da disincentivare attraverso lo strumento dell’occupazione di suolo pubblico”; del resto tale scelta, a differenza di quanto affermato dai ricorrenti, non risponde tanto alla logica della delega, quanto piuttosto a quella della sussidiarietà verticale secondo la quale la regolamentazione dell’interesse pubblico è tendenzialmente affidata all’organo più vicino allo stesso.”(cfr. questo Tribunale, sentenza n. 597/09)”.

 dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 744 del 2014

© Copyright - Italia ius | Diritto Amministrativo Italiano - mail: info@italiaius.it - Questo sito è gestito da Cosmo Giuridico Veneto s.a.s. di Marangon Ivonne, con sede in via Centro 80, fraz. Priabona 36030 Monte di Malo (VI) - P. IVA 03775960242 - PEC: cosmogiuridicoveneto@legalmail.it - la direzione scientifica è affidata all’avv. Dario Meneguzzo, con studio in Malo (VI), via Gorizia 18 - telefono: 0445 580558 - Provider: GoDaddy Operating Company, LLC