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Come costruire una moschea col piano casa

18 Giu 2014
18 Giugno 2014

Della particolare questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 707 del 2014, dove si legge che: "l’intervento richiesto riguarda il mutamento di destinazione d’uso del primo piano, lasciando una sola unità abitativa e trasformando le tre restanti in attività di terziario, oltre a realizzare un corpo aggiunto composto da due locali, questi ultimi destinati a “sala riunione e sala specifica per luogo di preghiera e convegni”.

2.2 Sull’analisi dell’istanza presentata, dei rispettivi allegati, va rilevato come non sia possibile condividere l’argomentazione del Comune di Fonzaso nella parte in cui pone a fondamento del diniego la circostanza in base alla quale che “la normativa sul piano casa (L. Reg. 14 del 2009 e successive modifiche ed integrazioni) presuppone la preesistenza di un volume ampliabile avente destinazione conforme all’incremento costruttivo che si intende realizzare….”.

A parere del Comune il volume aggiuntivo avrebbe una destinazione differente da quello preesistente e, ciò, considerando come l’immobile preesistente era destinato oltre che ad una funzione commerciale anche ad un attività di servizio terziaria.

2.3 Al contrario di quanto sostenuto dall’Amministrazione deve ritenersi che la destinazione dell’ampliamento di cui si tratta è conforme alla destinazione ammessa dalle norme di attuazione del PRG, nella parte in cui queste ultime con riferimento alla zone D2 ammettono  insediamenti “artigianali di servizio, commerciali, direzionali, …servizi pubblici o di svago”.

2.4 E’, infatti, evidente che il riferimento all’ammissibilità di strutture “direzionali” deve ritenersi quanto meno compatibile con l’utilizzo prospettato dai ricorrenti in quanto riferito alla realizzazione di sale riunioni da utilizzare per convegni e preghiere.

2.5 Anche laddove non si ritenga esattamente integrato il disposto di cui alla zona D2, va rilevato come l’utilizzo prospettato risulti comunque compatibile con la qualificazione dell’area quale “zona di artigianato di Servizio e servizi alla viabilità” e, ciò, anche considerando come non sussistano differenze, dal punto di vista degli standards urbanistici, tra gli utilizzi commerciali o per riunioni così come prospettati nell’istanza di cui si tratta.

2.6 Risulta altrettanto dirimente constatare, ai fini dell’accoglimento del ricorso di cui si tratta, come l’art. 9 comma 2 n. 14/2009 edifici “consente la modifica di destinazione d’uso degli edifici” purchè “la nuova destinazione sia consentita dalla disciplina edilizia di zona”. La disciplina sopra citata permette, pertanto, qualsiasi mutamento di destinazione d’uso purchè quest’ultimo sia compatibile con le disposizioni urbanistiche, circostanza quest’ultima individuabile nel caso di specie e sulla base delle considerazioni sopra citate.

3. Nemmeno è possibile condividere le argomentazioni di cui alla memoria difensiva del Comune di Fonzaso, laddove si sostiene come il Comune abbia inteso valutare la costruzione nel suo complesso, in quanto diretta a realizzare un centro islamico e una moschea.  Sul punto va ricordato come il rilascio di un permesso di costruire implichi l’esercizio di un’attività vincolata, strettamente correlata all’esame della documentazione prodotta dalla parte istante, attività che non consente all’Amministrazione comunale di dedurre eventuali utilizzi non prospettati nell’istanza di cui si tratta.

4. E’ parimenti evidente che l’esercizio di detta attività vincolata sia strettamente correlato al permanere di quei poteri di poteri di vigilanza e controllo sul territorio di cui all’art. 27 del Dpr 380/2001 propri della stessa Amministrazione a cui evidentemente compete verificare che l’esecuzione delle opere sia conforme all’istanza eventualmente assentita".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 707 del 2014

Qual è la differenza tra il bed and breakfast e l’attività di affittacamere?

18 Giu 2014
18 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 714 si occupa della distinzione tra il bed and breakfast e l’attività di affittacamere, chiarendo che: “2.2 Sono, infatti, intuitive, oltre che correlate alla diversa normativa di riferimento, le differenze tra l’attività di bed and breakfast, compatibile con la destinazione abitativa e ammessa anche nelle zone E, e quella di affittacamere.

2.3 La prima è normata dalla L.r.V. n. 11/2013, che all'art. 31, quarto comma precisa che il bed and beakfast è compatibile con una destinazione abitativa dell’area in cui incide e ciò, in considerazione del fatto che in detta attività l’esercente conserva la residenza presso l'immobile in cui la stessa è ubicata.

2.4 A diversi presupposti si riconduce l’attività di affittacamere che, in quanto avente caratteristiche assimilabili alle strutture turistico ricettive, deve ritenersi non compatibile con la destinazione dell’area.

2.5 Analogamente deve ritenersi altrettanto peculiare l’attività agrituristica che, con l’attività di affittacamere, ha l’unico elemento in comune di poter essere dotata di posti letto destinati all'ospitalità, ma anch’essa risponde ad esigenze e ad un quadro normativo sostanzialmente differente.

2.6 La possibilità di esercitare l'azienda agrituristica è, infatti, strettamente connessa alla destinazione agricola della zona, attività che in quanto definita dall'art. 2 della Legge Reg. V. n. 28/2012 come "connessa al settore primario", può essere svolta ai sensi del successivo art. 3 da "imprenditori agricoli" che "utilizzano la propria azienda agrituristica in rapporto di connessione con l'azienda agricola" e che, nel contempo, "assicurano la prevalenza delle attività agricole rispetto a quelle agrituristiche".

2.7 Ne consegue come non risulti evincibile alcuna illogicità nella scelta operata dall'Amministrazione di escludere lo svolgimento di affittacamere in un’area agricola in quanto il Comune di Venezia si è limitato a prendere atto della differenti caratteristiche delle attività sopra citate, disciplinandone l’ubicazione sul territorio solo su determinate aree.

2.8 E’ allora evidente la legittimità di una disciplina comunale che ha inteso diversificare le tipologie di attività riconducibili ai bed and breakfast e all’affittacamere e, ciò, nell’esigenza di consentire un uso razionale del territorio”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 714 del 2014

Quando il TAR è competente in materia di usi civici?

18 Giu 2014
18 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 711 chiarisce in quali casi, in materia di usi civici, sia competente il Giudice Amministrativo a scapito del Commissario Regionale degli usi civici: “1.1 Sul punto va ricordato che la Suprema Corte, in più di una pronuncia (per tutti si veda Cass. Sez. Unite n. 3031 del 01-03-2002), ha rilevato come la giurisdizione del Commissario Regionale degli usi civici deve essere individuata nelle ipotesi in cui la controversia sia diretta ad accertare l’esistenza di un uso civico e, ciò, in ossequio a quanto previsto dall'art. 29 della Legge 16 giugno 1927, n. 1766.

1.2 Si è, altresì, accertato (Cass. civ. Sez. Unite Ord., del 02-12-2008, n. 28541) che “in tema di giurisdizione, l'impugnazione del provvedimento con cui la regione abbia respinto l'istanza diretta ad ottenere, secondo la previsione di apposita legge regionale la ricostituzione di una "regola" – alla proprietà collettiva spettante ai discendenti di una comunità familiare di antica data -, non è devoluta alla giurisdizione del Commissario per la liquidazione degli usi civici, poiché non è in contestazione tra le parti che i terreni siano stati riconosciuti come gravati da diritti promiscui di godimento ai sensi della legge 16 giugno 1927 n. 1755 (riordino degli usi civici), tantomeno a quella del Giudice ordinario siccome competente in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato. Essendo, infatti, oggetto del giudizio la ricostituzione della "regola", che la legge prevede e subordina ad un provvedimento autoritativo, discrezionale e costitutivo, a fronte del quale si pone l'interesse legittimo dell'istante, la giurisdizione spetta al Giudice amministrativo”.

1.3 La fattispecie ora sottoposta al presente Collegio, analoga a quella della pronuncia sopra citata, concerne proprio l’impugnazione di delibere che hanno disposto il riordino e l’introduzione di una nuova disciplina degli usi civici.

1.4 La titolarità da parte dei ricorrenti va ricondotta, allora, all’esistenza (anche se solo presunta) di una concessione amministrativa implicita, diretta a consentire l’utilizzo dei beni demanio civico.

1.5 Non è indubbio, infatti, che esista (quanto meno in astratto) un diritto di uso civico insistente sui manufatti in questione, ma costituisce un dato altrettanto oggettivo che le delibere ora impugnate siano dirette ad introdurre una nuova disciplina degli usi di cui si tratta, disciplina che inevitabilmente, e seppur incidentalmente, ha l’effetto di incidere sugli utilizzi attualmente posti in essere da parte dei soggetti che all’atto della proposizione del ricorso avevano la disponibilità dei beni di cui si tratta.

1.6 L’emanazione delle delibere impugnate è evidentemente espressione di un potere amministrativo che, in quanto tale, è potenzialmente diretto a ledere tutti coloro che esercitano un possesso o un qualche potere su detti manufatti e, ciò, a prescindere dall’accertamento della circostanza se detto possesso sia (o meno) legittimo e se, ancora, detto diritto sia esistente nei confronti degli attuali ricorrenti.

1.7 Ciò premesso, e pur considerando come gli stessi ricorrenti abbiano richiesto a questo Tribunale una pronuncia diretta ad accertare il diritto all’utilizzo dei beni in questione, va rilevato come detta richiesta di accertamento non è di ostacolo alla valutazione della legittimità degli atti impugnati, circostanza quest’ultima che consente di prescindere dall’accertamento sopra citato in quanto diretto ad incidere sulla Giurisdizione del Commissario agli Usi Civici.

1.8 Si consideri, in ultimo, come a dette conclusioni sia pervenuto anche detto ultimo Commissario Regionale che nel giudizio attivato dal Comune di Enego, e finalizzato ad ottenere la reintegra del possesso dei cassonetti di cui si tratta, ha ritenuto di sospendere il relativo processo nell’attesa delle determinazioni di questo Tribunale in merito ai provvedimenti ora impugnati e, ciò, considerando come i ricorrenti avevano opposto alla pretesa restitutoria del Comune l’esistenza del rapporto concessorio di cui ora si controverte.

2. Ne consegue come sussista la giurisdizione di questo Tribunale applicandosi sul punto quanto previsto dall’art. 133 comma 1 lett. b) del Codice del processo Amministrativo nella parte in cui devolve a questo stesso Tribunale la competenza a decidere le controversie in materia di concessione di beni del demanio civico.

3. Sussiste la giurisdizione di questo Tribunale anche per quanto attiene la delibera n. 33 del 20/10/2002 (impugnata con i primi motivi aggiunti) con la quale il Comune, oltre a respingere le osservazioni dei ricorrenti, ha ritenuto di non far luogo al procedimento di “legittimazione” ai sensi dell’art. 9 della L.n. 1766/1927, procedimento la cui attivazione era stata richiesta dagli attuali ricorrenti.

3.1 Costituisce, infatti, espressione di un orientamento consolidato quello che consente di individuare la giurisdizione del Giudice Amministrativo laddove si sia in presenza di un diniego di legittimazione, risultando esistente un interesse legittimo del privato all’annullamento degli atti conclusivi del procedimento.

3.2 Come ha precisato un ulteriore pronuncia (Cass. civ. Sez. Unite, 08-08-1995, n. 8673)..” nella fase anteriore alla concessione della legittimazione, sia l'occupante abusivo, sia colui che si opponga all'emanazione di tale provvedimento, eccependo che da esso derivi la lesione di un proprio diritto sul bene, sono titolari soltanto di interessi legittimi, essendo la legittimazione espressione del potere discrezionale dell'Amministrazione pubblica. È con l'approvazione della concessione di legittimazione, …. che l’occupante acquista su di esso un diritto soggettivo, di natura reale, la cui tutela è devoluta all'autorità giudiziaria ordinaria, mentre il privato, il quale denunzi che l'atto amministrativo di concessione abbia leso la propria situazione soggettiva, resta portatore di un interesse legittimo, azionabile dinanzi al giudice amministrativo (Cassazione sent. n. 6916 del 1983)”.

3.3 Detto orientamento è, peraltro, confermato da ulteriori pronunce del Giudice Amministrativo (Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 291 del 05-05-1987) che hanno evidenziato come al procedimento di legittimazione di occupazione di terre gravate da uso civico, previsto dagli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927 n. 1766, si deve riconoscere natura amministrativa”.

 Affermata la propria competenza, il Collegio si sofferma sui presupposti, ex art. 7 l. n. 1977/1927, per legittimare l’occupazione delle terre gravate da un uso civico: “7. Analogamente da respingere è il terzo motivo nell’ambito del quale si asserisce che il Comune di Enego avrebbe rigettato le argomentazioni delle parti ricorrenti, in merito alla presunta esistenza dei requisiti per dare corso alla “legittimazione” delle aree di cui all’art. 9 della L. n. 1766/1927, utilizzando una motivazione meramente apodittica, diretta ad evidenziare che nella fattispecie in questione non sussistevano le condizioni di cui all’art. 9 sopra citato.

7.1 Con riferimento a detta censura va ricordato che l’art. 9 sopra citato nel disciplinare l’istituto della legittimazione, ne circoscrive gli effetti alla presenza di specifici presupposti, in particolare riconducibili alla circostanza che l’utilizzatore del bene abbia portato ai terreni “sostanziali e permanenti migliorie”.

7.2 Sul punto va rilevato come risulti accertato che l’utilizzazione dei beni effettivamente posta in essere doveva considerarsi differente rispetto a quella agricola, in quanto realmente finalizzata a realizzare un uso turistico ricreativo.

7.3 Si consideri, ancora, come non sia stata data alcuna prova che le migliorie realizzate siano correlate all’uso agricolo del bene e, in ciò, contraddicendo un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. di stato Sez. VI, sent. n. 1379 del 14-10-1998) nella parte in cui ha sancito che “le sostanziali e permanenti migliorie previste dall'articolo 9 della legge 16 giugno 1927 n. 1766 come presupposto necessario alla legittimazione dell'occupazione di terreni gravati da uso civico devono consistere in opere finalizzate alla coltivazione o comunque allo sfruttamento agricolo e zootecnico del suolo e alla soddisfazione dell'interesse agrario della collettività in misura tale da non richiedere il ricorso alla reintegra”.

7.4 Nemmeno risulta dimostrato il rispetto della seconda condizione proposta dall’art. 9 della L. n. 1766 del 1927 per procedere alla “legittimazione” dei beni di cui si tratta nella parte in cui richiede che “la zona occupata non interrompa la continuità del demanio civico” e, ciò, considerando l’utilizzo attuale posto in essere dagli attuali ricorrenti e sopra ricordato.

La censura è, pertanto, da respingere”. 

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 711 del 2014

Non è necessario notificare il ricorso al TAR allo sportello unico per l’edilizia

18 Giu 2014
18 Giugno 2014

Della questione si occupa la sentenza del TAR Veneto n. 707 del 2014, in relazione a un diniego di permesso di costruire.

Si legge nella sentenza: "1. In primo luogo è necessario esaminare l’eccezione preliminare di irritualità del ricorso per mancata notifica alla Comunità Montana Feltrina, eccezione quest’ultima che deve ritenersi infondata.                                                        1.1 Come conferma, seppur indirettamente, la stessa Amministrazione comunale tra le funzioni prioritarie dello sportello unico, così come precisate dall’art. 5 del Dpr n. 380/2001, è possibile individuare lo svolgimento di compiti istruttori e di ausilio ai Comuni nell’adozione del provvedimento conclusivo e, ciò, con finalità di semplificazione procedimentale ed organizzativa.                        1.1 E’, altresì, noto che l’art. 41 del Codice del Processo Amministrativo prevede che “qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato”.                         1.2 L’infondatezza dell’eccezione sopra citata risulta evidente laddove si consideri che il provvedimento definitivo di diniego ora impugnato, unitamente al preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis della L. n. 241/90, è stato emanato direttamente dal Comune di Fonzaso ora costituito in giudizio.                                                                                                                                                     1.3 Allo stesso Comune sono state inoltrate le osservazioni predisposte da parte ricorrente a seguito del preavviso di diniego che, a loro volta,  sono state contro dedotte, sempre dall’Amministrazione comunale, nel provvedimento di diniego ora impugnato. Ne consegue come sia possibile respingere l’eccezione sopra citata".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 707 del 2014

 

Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti

18 Giu 2014
18 Giugno 2014

Confindustria veneto organizza per il giorno 27 giugno 2014 a Padova un workshop dal titolo: "Stati generali della concorrenza e del libero mercato nei servizi pubblici di gestione dei rifiuti".

La partecipazione è gratuita, ma è richiesta l'iscrizione, come da modulo allegato.

stati generali della concorrenza

La sanatoria si applica solo ai fabbricati

17 Giu 2014
17 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 700, si occupa della domanda di sanatoria stabilendo che la normativa procedurale prevista dal D.P.R. n. 380/2001 deve essere coordinata con quella sostanziale dettata dalle N.T.A. del Comune.

Nel caso di specie l’ente aveva negato un’istanza di sanatoria relativa ad un volume accessorio sito in zona agricola costituito per metà in muratura e per metà in tavole di legno.

Il Collegio ritiene corretto il diniego della sanatoria stante l’assenza di un “fabbricato” su cui intervenire: “le fotografie versate in atti dimostrano che alla preesistenza non poteva riconoscersi natura di fabbricato ( o edificio), alla luce della definizione che ne dà l’articolo 13 delle NTA ( con la imprescindibile necessità di “opere murarie, quali fondazioni e elementi costruttivi fuori terra stabilmente fissati alle stesse…”) e la mancata impugnazione di tali norme, se anche non determina l’inammissibilità del ricorso, comporta comunque la impossibilità di prescinderne. Si deve quindi concludere che il comune, stante il preciso disposto della norma in questione, non poteva legittimamente assentire una domanda di sanatoria che comportava sicuramente lo stravolgimento del manufatto in termini radicalmente diversi anche da quanto già autorizzato e che quindi era sicuramente in contrasto con la normativa regolamentare, che addirittura non avrebbe legittimato nemmeno l’intervento originariamente assentito”.

dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 700 del 2014

A proposito della sanatoria paesaggistica

17 Giu 2014
17 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 705, si occupa di numerose questioni in materia di sanatoria paesaggistica: “2.1 Sul punto va, in primo luogo, evidenziato come il provvedimento che ha sancito l’applicazione dell’art. 15 della L. n. 1497/1939 aveva espressamente previsto come nel caso di specie risultasse inesistente un danno al paesaggio, circostanza che già di per sé è in contraddizione con il riferimento al “danno culturale”, presupposto per la stima così posta in essere.

2.2 E’ necessario, inoltre, evidenziare che malgrado la perizia indichi come il criterio da utilizzare doveva risultare pari alla al presunto “profitto”, in quanto risultato della differenza tra il valore dell’opera realizzata e i costi sostenuti per la sua esecuzione, nella quantificazione della sanzione il perito incaricato ha ritenuto di far riferimento al solo “costo di costruzione”.

2.3 Si consideri, ancora, come detti parametri devono considerarsi tra loro alternativi e, ciò, in ossequio ad un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato Sez. V, 20-12-2013, n. 6113) nella parte in cui ha sancito che “…nella previsione normativa, il danno arrecato all'ambiente viene in considerazione solo come criterio di commisurazione della sanzione - in alternativa al profitto conseguito - e non come parametro per l'anno della sanzione medesima (Riforma della sentenza del T.a.r. Liguria, sez. I, 11 giugno 1999, n. 239)”.

2.4 Nemmeno è possibile comprendere se detto costo di costruzione sia riferito a tutte le opere realizzate o solo a quelle poste all’interno e, ciò, anche considerando come sempre nella stima di cui si tratta si affermi che il danno culturale sarebbe limitato alla sola parte interna (soprattutto per la demolizione dei solai lignei).

2.5 Non è possibile comprendere, in ultimo, sulla base di quali presupposti l’Amministrazione ha ritenuto di individuare la somma, espressa per metro quadro e pari a Lire 150.000,00, alla base del calcolo dell’importo complessivo della sanzione.

3. In presenza di detti vizi è, peraltro, evidente come non sia sufficiente a sancire la legittimità del provvedimento impugnato, l’asserito carattere “equitativo” della somma in questione e, ciò, considerando che anche laddove si ritenesse condivisibile l’esistenza del carattere sopra citato ne risulterebbero comunque lesi i principi in materia di obbligo della motivazione, il cui rispetto prescinde dalle modalità di computo utilizzate per calcolare la sanzione.

Il motivo è, pertanto, fondato e va accolto.

4. Se l’accoglimento della censura sopra citata è sufficiente a disporre l’annullamento degli atti impugnati va comunque evidenziato, anche ai fini della riedizione del potere da parte dell’Amministrazione competente, come sia opportuno evidenziare, altresì, l’infondatezza degli ulteriori motivi dedotti.

5. E’ infondato il primo motivo mediante il quale si sostiene l’incompetenza della Provincia di Verona, nell’emanare l’atto impugnato e, ciò, a seguito della delega in materia attribuita ai Comuni a seguito dell’emanazione della L. Reg. n. 63/1994.

5.1 Sul punto è possibile rilevare come il provvedimento del 31 Maggio 1993 (provvedimento rimasto inoppugnato), con il quale è stata comminata la sanzione, è stato emanato in un momento antecedente alla quantificazione di cui si tratta e, quindi, in una fase precedente all’entrata in vigore della disciplina sopra citata.

5.2 Deve inoltre rilevarsi che il successivo decreto del Presidente della Provincia di Verona di determinazione della sanzione ha un valore meramente integrativo e attuativo di una sanzione la cui applicazione era stata già disposta in precedenza.

5.3 Si consideri, ancora, che l’art.10 comma 3 della legge regionale sopra citata prevede una disciplina transitoria che consente di ritenere come sussistesse la competenza della Provincia a concludere tutti quei procedimenti nell’ambito dei quali risultasse già emesso il parere della Commissione consultiva provinciale e, ciò, conformemente a quanto in precedenza già sancito da questo Tribunale (per tutti si veda TAR Veneto n. 299/2013).

5.4 Da considerare infondato è anche il secondo motivo mediante il quale si è dedotta l’incompetenza del professionista incaricato della determinazione della stima ora annullata.

Sul punto è dirimente constatare come l’art. 82 comma 2 lett. f) del Dpr 616/1977 attribuisce alle Regioni tutti i poteri in materia di protezione delle bellezze naturali, potere quest’ultimo che deve necessariamente considerarsi diretto a ricomprendere l’emanazione e la determinazione delle relative sanzioni, legittimando il ricorso anche ad un professionista esterno.

6. Va respinto il terzo motivo mediante il quale si asserisce la violazione dell’art. 7 della L. n. 241/90 e, ciò, in applicazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità di far luogo alla comunicazione di avvio del procedimento in presenza di un procedimento ad istanza di parte.

E’ del pari evidente che nel caso di specie era stato il ricorrente ad attivare il relativo procedimento e, ciò, nel momento in cui aveva chiesto alla Provincia di Verona il rilascio dell’autorizzazione in relazione alla domanda di concessione edilizia in sanatoria in precedenza presentata.

7. Con il quarto e il quinto motivo si sostiene che gli interventi oggetto dell’istanza di sanatoria non avrebbero arrecato pregiudizio al paesaggio.

Anche qui, al fine di rilevare l’infondatezza delle censure proposte, è sufficiente ricordare quanto sancito da precedenti pronunce nella parte in cui hanno previsto che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una sanzione amministrativa che prescinde dall’esistenza di un effettivo danno (Cons. Stato Sez. V, 20-12-2013, n. 6113)”.

Dott. Matteo Acquasaliente

 sentenza TAR Veneto 705 del 2014

Non spetta al c.d. proprietario incolpevole rimuovere i rifiuti

17 Giu 2014
17 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 22 maggio 2014 n. 702 dichiara che, in materia di inquinamento ambientale, il c.d. proprietario incolpevole - di regola - non può essere destinatario di alcun ordine di bonifica: “Con riferimento al primo motivo osserva il Collegio che deve ovviamente applicarsi la normativa in materia di abbandono di rifiuti, in quanto i provvedimenti impugnati sono stati emanati a conclusione di un procedimento avente per oggetto "presenza di rifiuti abbandonati in loc. Ca' Brusa'", per cui, ai sensi e per gli effetti dell'art. 192 del D.Lgs. 152/2006, il proprietario del terreno sul quale insistono rifiuti abbandonati è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento degli stessi ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il responsabile dell'abbandono e con i titolari di diritti reali o personali di godimento dell'area, solo se ad esso tale abbandono sia imputabile a titolo di dolo o di colpa. In ogni caso l'accertamento della responsabilità in merito alla violazione del divieto di abbandono spetta al Comune e deve essere effettuata in contraddittorio con i soggetti interessati (ex multis: Cons.St., sez. V, n. 935/2005 e 323/2005).

Nel caso di specie il comune non ha compiuto alcun accertamento volto ad identificare i responsabili dell'abbandono e tantomeno ha contestato la violazione in contraddittorio con i soggetti interessati. Tutto ciò emerge con chiarezza dalla semplice lettura dei provvedimenti impugnati. Nella parte motiva dei provvedimenti impugnati il dirigente del C.d.R. Ambiente parte dalla premessa di essere venuto a conoscenza del fatto che nell'area dell'ex cava denominata Ca' Brusa' vi era depositato un cumulo di mc. 761 di terre di fonderia solo con il deposito del progetto di bonifica ai sensi dell'art. 249 D. Lgs. 152/2006 depositato dall'arch. Scandola.

Risulta invece documentalmente provato che il Comune era a conoscenza dell'abbandono nella cava delle terre di fonderia ancora negli anni '90 e che il deposito del progetto di bonifica richiamato era inserito all'interno di un procedimento iniziato da anni e volto ad ottenere l'autorizzazione ad un intervento, dapprima di discarica e poi di recupero paesaggistico, interventi da sempre indicati come necessari per la sostenibilità economica di una bonifica dell'area.

Il Comune pertanto non solo non ha svolto alcuna istruttoria volta ad individuare i responsabili dell'abbandono, ma è giunto ad emettere i provvedimenti impugnati in assenza di contraddittorio con i diretti interessati, senza spendere sul punto due righe di motivazione, il tutto in palese violazione di quanto statuito dall'art. 192 sopracitato.

Nel caso di specie, risulta comunque anche documentalmente provato che nessuna responsabilità è addebitabile al sig. Carmagnani per l'abbandono di rifiuti contestato, abbandono che risale ad un periodo antecedente all'acquisto del terreno da parte dello stesso e che nessuna istruttoria ha svolto il Comune per ricercare i veri responsabili dell'abbandono”.

Nella stessa sentenza, inoltre, il Collegio si sofferma sulla possibilità che il c.d. proprietario incolpevole possa volontariamente rimuovere i rifiuti inquinanti asserendo che: “Dalle considerazioni sopra esposte, emerge come i provvedimenti impugnati si fondino su una errata applicazione della D.G.R.V. n. 3650/1999.

In base a tale delibera solo nel caso in cui il responsabile dell'abbandono di rifiuti non sia individuabile il proprietario non responsabile che intenda volontariamente dar corso alle iniziative volte all'allontanamento dei rifiuti, anche in assenza di provvedimenti ordinatori, dovrà predisporre un programma di smaltimento che contenga almeno le seguenti informazioni: natura e quantità dei rifiuti rinvenuti; documentazione fotografica e cartografica del sito di deposito; gli impianti autorizzati ove saranno recuperati e/o smaltiti i rifiuti; tempi di attuazione del programma di smaltimento; eventuale necessità di ulteriori indagini del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali sotterranee al fine di acquisire gli elementi conoscitivi per predisporre il progetto di bonifica.

In base a quanto appena esposto non si può in alcun modo affermare che il ricorrente abbia inteso impegnarsi incondizionatamente a dar corso alle iniziative volte all'allontanamento dei rifiuti, in assenza di provvedimenti ordinatori, essendo chiaro che tale disponibilità è sempre stata condizionata alla possibilità di provvedere al recupero paesaggistico mediante reinterro, al quale lo smaltimento volontario è stato ab origine dallo stesso ricorrente vincolato.

Ciò premesso è evidente che i provvedimenti impugnati sono basati sulla falsa rappresentazione della sussistenza di un’intenzione del ricorrente di dar corso alle iniziative volte all'allontanamento dei rifiuti anche nell'ipotesi in cui non fosse possibile procedere con l'intervento di recupero ambientale mediante reinterro, per cui anche il secondo motivo di censura si rivela fondato”.

Dott. Matteo Acquasaliente

sentenza TAR Veneto 702 del 2014

In materia di sequestro cautelare c’è la competenza del Giudice Ordinario

17 Giu 2014
17 Giugno 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 13 giugno 2014 n. 834 afferma che in materia di sequestro cautelare ex L. 689/1981 vi è la competenza del Giudice Ordinario: “Trattasi, dunque, di atti che ineriscono ad un procedimento diretto alla irrogazione di una sanzione amministrativa ai sensi della legge n. 689/1981, con riferimento ai quali, ex art. 22 della citata legge n. 689, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Nella suddetta materia, infatti, la giurisprudenza amministrativa, esprimendo un orientamento condivisibile e con riferimento al quale il Collegio non vede ragioni per discostarsi, ha avuto modo di chiarire che la giurisdizione sul provvedimento di convalida del sequestro cautelare amministrativo spetta al giudice ordinario, inerendo ad un procedimento volto all’irrogazione di sanziona amministrativa (a titolo esemplificativo TAR Basilicata, 5 settembre 2011, n. 459; TAR Campania, Napoli, sez. III, 20 agosto 2010, n. 17205; questo stesso Tribunale, sez. I, 20 gennaio 2006, n. 103). Peraltro, la stessa Corte di Cassazione ha affermato che né l’atto che dispone la misura cautelare, né il provvedimento di rigetto dell’opposizione in sede amministrativa contro la medesima (ovvero dell’istanza di dissequestro) sono impugnabili in sede giurisdizionale, mentre l’accertamento dell’illegittimità della suddetta misura può essere richiesto con ricorso ex art. 22 della legge n. 689/1981 contro il provvedimento di confisca (Cass., sez. III, 9 agosto 2000, n. 10534).

In considerazione degli esposti argomenti, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

Alla declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo ed all'affermazione di quella del giudice ordinario consegue, peraltro, la conservazione degli effettivi processuali e sostanziali della domanda ove il processo sia tempestivamente riassunto dinanzi al Giudice territorialmente competente, nel termine di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza, ai sensi dell’art. 11, comma II° del D. L.gvo 2.7.2010 n. 104, che regola la fattispecie sulla scorta dell’orientamento espresso da Corte Cost. n. 77/2007 e Cass. Sez. Un. n. 4109/2007 e poi recepito dal previgente art. 59 della legge n. 69/2009”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 834 del 2014

Per i professionisti non vi è l’obbligo del POS

16 Giu 2014
16 Giugno 2014

Nella risposta alla interrogazione parlamentare n. 5-02936, il Ministero dell’economia e delle Finanze sembra chiarire come debba intendersi l’art. 15, c. 4 del D.L. 179/2012, secondo cui: “A decorrere dal 30 giugno 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito. Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231”.

Nello specifico il Ministero conferma l’interpretazione fornita dalla Circolare del Consiglio Nazionale Forense n. 100-C-2014 secondo cui vi sarebbe soltanto un onere e non obbligo per il professionista di dotarsi di POS.

In particolare nell’interrogazione, dopo aver ribadito “la necessità di promuovere la diffusione e l'uso dei pagamenti con carte di debito e credito su vasta scala, anche in considerazione della scarsa incidenza dei pagamenti elettronici in Italia, rispetto alla media degli altri Paesi europei, nonché l'eccessivo costo dell'uso del contante per il sistema economico e per i singoli imprenditori, si ritiene opportuno che – al fine di massimizzare i vantaggi connessi all'implementazione della tecnologia nei sistemi di pagamento e, nel contempo, minimizzare l'incidenza degli oneri a carico delle imprese, commercianti e professionisti – vengano attivati una serie di tavoli di confronto con le banche e con gli altri operatori di mercato per ridurre i costi legati alla disponibilità e all'utilizzo dei POS, e sfruttare a vantaggio del sistema i margini di efficienza esistenti, ottenendo così una significativa compressione dei costi ed una soluzione che consenta di superare le difficoltà insite nel cambiamento prospettato”, si legge che: “Per quanto riguarda la circolare interpretativa del Consiglio nazionale forense, ugualmente citata nell'interrogazione, essa interpreterebbe la normativa nel senso di introdurre un onere, piuttosto che un obbligo giuridico, il cui campo di applicazione sarebbe limitato ai casi nei quali sarebbero i clienti a richiedere al professionista la forma di pagamento tramite carta di debito. In tal senso, sembra in effetti deporre il fatto che non risulta associata alcuna sanzione a carico dei professionisti che non dovessero predisporre della necessaria strumentazione a garanzia dei pagamenti effettuabili con moneta elettronica”. 

dott. Matteo Acquasaliente

Circolare CNF 10-C-2014

Interrogazione Parlamentare n. 5-02936

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