Cos’è il mero ritiro?
La giurisprudenza ha introdotto la categoria dell’atto definito di mero ritiro, ovvero di un provvedimento che elimina dal mondo giuridico un atto che non era produttivo di effetti.
Post di Matteo Acquasaliente - avvocato
La giurisprudenza ha introdotto la categoria dell’atto definito di mero ritiro, ovvero di un provvedimento che elimina dal mondo giuridico un atto che non era produttivo di effetti.
Post di Matteo Acquasaliente - avvocato
Il Consiglio di Stato, con precipuo riferimento alle ipotesi di ristrutturazione abusiva, ex art. 33 del d.P.R. n. 38072001, rimette all’Adunanza Plenarie alcune interessanti questioni in materia di cd. fiscalizzazione dell’abuso.
Il Collegio si chiede se l’applicazione dei valori previsti dalla l. n. 392/1978 (cd. legge sull’equo canone) debba essere ancora al momento di realizzazione dell’opera, a quello della denuncia dell’abuso o a quello in il Comune scopre la difformità e, soprattutto, se tale valore debba essere attualizzato alla data di realizzazione dell’abuso o al momento di pagamento della relativa sanzione.
In attesa del pronunciamento, si auspica che l’Ad.Pl. possa fornire alcuni chiari criteri interpretativi anche nelle differenti ipotesi previste dall’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 relativo alle parziali difformità oggetto di cd. fiscalizzazione.
Sul punto, mi sia consentita una considerazione.
Nell’ordinanza di rimessione il Consiglio di Stato ricorda, in via incidentale, che, secondo la più recente giurisprudenza (cfr. sentenza CdS n. 3671/2023), la cd. fiscalizzazione sulle parziali difformità dovrebbe sempre essere applicata dai Comuni ai sensi del d.m. 18.12.1998, ovvero in base all’ultimo decreto emesso in esecuzione dell’art. 22 l. n. 392/1978, a prescindere dalla data di materiale esecuzione dell’abuso, ovvero se antecedente o meno al 31.12.1975.
E ancora, il Consiglio di Stato ritiene che tale valore andrebbe sempre attualizzato alla data di irrogazione della sanzione.
La spiegazione di ciò sarebbe quella di impedire, per il privato, di lucrare, a danno della collettività, del mero decorso del tempo, corrispondendo una somma esigua: “si perverrebbe alla paradossale e non accettabile conclusione di consentire a colui che ha commesso l’abuso di lucrare effetti vantaggiosi dall’inerzia dell’Amministrazione nel perseguire l’abuso stesso”.
Personalmente, nutro dubbi sulla correttezza di tale ragionamento, come evidenziato dal TAR Torino n. 598/2022, oggetto del gravame suddetto.
Spesso e volentieri, infatti, gli attuali proprietari degli immobili abusivi che non possono essere sanati, ma che devono essere fiscalizzati, ex art. 34 del d.P.R. n. 380/2001, sono assolutamente incolpevoli dinanzi a difformità edilizie, a volte anche lievi, commesse dai precedenti venditori e/o da parenti ormai defunti e/o da terzi soggetti.
Se così è, l'esigenze di giustizia sociale perseguita dal Consiglio di Stato nella summenzionata decisione non avrebbe dovuto portare, forse, ad una conclusione differente?
Al Massimo Organo della Giustizia Amministrativa l’ardua sentenza.
Post di Matteo Acquasaliente - avvocato
Il TAR Veneto ricorda che l’apertura di un cancello costituisce attività edilizia libera, la quale non potrebbe essere oggetto di intervento di ripristino in assenza di prescrizioni urbanistiche contrarie.
Post di Alessandra Piola – avvocato
Il T.A.R. Veneto esclude la necessità di un permesso di costruire se l’opera è costituita da paletti in legno e rete metallica plastificata, alta 1,5 m., senza alcuna opera in muratura; conseguentemente, essendo frutto di attività edilizia libera, non è applicabile l’istituto della cd. doppia conformità, ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, che presuppone un intervento soggetto a titolo edilizio.
Post di Matteo Acquasaliente - avvocato
Il TAR Veneto ha ritenuto sussistente la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso avverso la richiesta di corresponsione del costo di costruzione qualora il titolo edilizio da cui essa deriva sia decaduto (e gli interventi non siano stati realizzati).
Post di Alessandra Piola – avvocato
Il TAR Veneto ritiene sussistente la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso nell’ipotesi in cui il titolo originario (per cui era stato richiesto il pagamento del costo di costruzione) sia stato oggetto di variante essenziale che ha portato alla realizzazione di interventi diversi, anche a livello di destinazione d’uso effettiva. Il costo di costruzione originariamente calcolato, quindi, è divenuto inattuale.
Post di Alessandra Piola – avvocato
Segnaliamo un articolo sul tema, col vademecum del COA di Milano: la giurisprudenza ammette l'opposizione anche in presenza di un decreto ingiuntivo passato in giudicato, sulla scorta delle decisioni della Corte di Giustizia e della Cassazione a sezioni unite.
Sul Bur n. 139 del 20/10/2023 (Codice interno: 514423) è stata pubblicata la legge regionale 17 ottobre 2023, n. 27, Modifiche alla legge regionale 18 febbraio 2016, n. 4 "Disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale e di competenze in materia di autorizzazione integrata ambientale" in relazione agli impianti di piano individuati dal Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e speciali nonché allo smaltimento o riciclaggio di carcasse o residui animali e disposizioni transitorie.
Post di Daniele Iselle
Il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile un ricorso in appello, per superamento dei limiti dimensionali stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016, in applicazione dell’art. 13-ter, co. 2, All. II c.p.a.
Quel ricorso in appello (in materia di attuazione di un piano di lottizzazione) era lungo 87 pagine; i limiti dimensionali hanno garantito la lettura dell’atto fino a pag. 52, quando i motivi di appello dovevano ancora cominciare, risultando così l’atto manchevole di una sua parte essenziale. Gli appellanti sono stati condannati a rifondere 6.000 euro di spese processuali (oltre IVA, CPA e spese generali) in favore del Comune appellato.
Si segnala che il Consiglio nazionale forense ha espresso «disappunto per questa evidente lesione del diritto di difesa» e ha chiesto un incontro al Ministero della Giustizia. «La richiesta di giustizia del cittadino non può essere frustrata in ragione di limiti di caratteri e pagine. Il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto si è immediatamente fatto carico del problema e ha convocato per la prossima settimana una riunione per affrontare la questione», ha spiegato il presidente del CNF Francesco Greco (fonte: https://www.ildubbio.news/giustizia/ricorso-inammissibile-perche-supera-i-limiti-cosi-si-mortifica-il-diritto-di-difesa-qm82i98h?utm_term=59395+-+https%3A//www.ildubbio.news/giustizia/ricorso-inammissibile-perche-supera-i-limiti-cosi-si-mortifica-il-diritto-di-difesa-qm82i98h&utm_campaign=Il+Dubbio+della+Sera&utm_medium=email&utm_nome+newsletter+=News_sera_1910&utm_source=MagNews&utm_content=News_sera_1910+%282023-10-19%29).
Post di Alberto Antico – avvocato
Il Ministero della Giustizia, con decreto dd. 07 agosto 2023 n. 110 pubblicato in G.U. n. 187 dd. 11.08.2023, ha approvato il “Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell'articolo 46 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile” che detta alcune importanti novità ai fini della redazione degli atti civili, compresi i provvedimenti del Giudice.
Tra le novità spiccano i limiti dimensionali degli atti, i caratteri e le interlinee da utilizzare “preferibilmente” (cfr. art. 6), nonché il divieto di utilizzare note a piè di pagina, salvo per l’indicazione dei precedenti giurisprudenziali e dei riferimenti dottrinali.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 46 disp. att. c.c.: “Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo”.
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