La P.A. risponde dei danni se dà esecuzione a un provvedimento del giudice che viene poi annullato in appello?
La sentenza del TAR Veneto n. 545 del 2013 dice di no e spiega bene il perchè.
Scrive il TAR: "si osserva che la scelta della Regione di sospendere i lavori di coltivazione della cava di sabbia e ghiaia della ME.MA.P. s.r.l., non è stata affatto libera, ma è stata invece imposta dalla forza esecutiva della sentenza di questo Tribunale, n. 3719/08, di annullamento della delibera della giunta regionale di autorizzazione alla coltivazione (sentenza poi riformata dal Consiglio di Stato). Insomma, posta di fronte all'obbligo di dare esecuzione alla sentenza di primo grado, l'amministrazione regionale, anche a prescindere dalla segnalazione del Comune, non avrebbe potuto comportarsi diversamente. Pertanto, nel caso di specie, viene a mancare non solo l’elemento soggettivo della colpa, ma addirittura la stessa antigiuridicità della condotta delle amministrazioni resistenti, dovendo quest’ultime sempre e immediatamente adeguarsi alle pronunce giurisdizionali. Al cospetto di un comando giurisdizionale l'amministrazione non può dunque astenersi dall'adempiere all'obbligo di conformazione su di essa gravante. Siffatta condotta doverosa può, in concreto, cagionare un pregiudizio (come accaduto nel caso di specie), ma certamente quest'ultimo non è imputabile all'amministrazione che abbia esattamente ottemperato all'ordine del giudice. La condotta amministrativa di conformazione alla decisione giurisdizionale costituisce infatti un tipico caso di adempimento di un dovere ai sensi dell'art. 51 c.p., norma applicabile analogicamente anche all'illecito civile (tra le molte decisioni in questo senso, v. Cass. civile, sez. III, 8 aprile 2003, n. 5505). In sintesi, può affermarsi che al ricorrere della situazione sopra descritta l'esatta ottemperanza dell'amministrazione è scriminata dalla causa di giustificazione dell'adempimento del dovere e, dunque, il danno eventualmente prodottosi in capo alla parte interessata non è "ingiusto" a mente dell'art. 2043 c.c. perché prodotto da una condotta lecita e "giustificata", ossia imposta dall'ordinamento del quale occorre presumere la coerenza precettiva (che verrebbe meno qualora si colorasse di antigiuridicità l'osservanza di un dictum giurisdizionale). Piuttosto si può affermare che il predetto danno, prodottosi in ultima analisi per effetto di un esito difforme di un giudizio in primo e in secondo grado, è un costo che l'ordinamento accetta al fine di assicurare il pieno dispiegarsi del diritto alla difesa attraverso i due gradi di giudizio (v. Cons. Giust. Amm. Sic. Sent., 15-10-2012, n. 929). Pertanto, né al Comune né alla Regione è addebitabile il compimento di alcun illecito per avere rispettivamente sollecitato e quindi ordinato la sospensione dell’attività di cava, in esecuzione della pronunzia giurisdizionale di primo grado e fino all’ emanazione della sentenza di appello".
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