Se viene presentata una domanda di sanatoria il Comune non può procedere con l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione

07 Lug 2014
7 Luglio 2014

Che la presentazione di una domanda di sanatoria renda inefficace l'ordinanza di demolizione dell'opera abusiva, è un concetto che dovrebbe essere ormai risaputo, ma evidentemente non è così.

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n.  779 del 2014: "Il ricorso è palesemente fondato; per quanto riguarda l’accertamento di inottemperanza basta considerare che, come dedotto con il primo motivo di gravame, tale atto manca del presupposto fondamentale, vale a dire una efficace ordinanza di demolizione da ottemperare perché, come chiarito da una costante e ripetuta giurisprudenza, la proposizione di domanda di sanatoria entro i termini previsti per l’ottemperanza priva di qualsiasi efficacia l’ordinanza di demolizione, che quindi dovrà essere, se del caso, nuovamente adottata dopo la negativa conclusione del procedimento di sanatoria. Per quanto riguarda il diniego di sanatoria si riscontra l’evidente fondatezza del vizio di eccesso di potere, sia perché la motivazione non permette di comprendere le ragioni per cui non sono state ritenute accoglibili le osservazioni dei ricorrenti, sia perché il richiamo alla previa notificazione dell’ordinanza di demolizione viene fatto in maniera talmente oscura e perplessa da non permettere al collegio di escludere che anche la ritenuta preesistenza di tale ordinanza (che invece, per quanto già chiarito, doveva ritenersi al momento non più efficace) abbia influito sulla decisione di diniego".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 779 del 2014

Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate in merito alle cessioni a titolo gratuito al Comune di aree ed opere di urbanizzazione

07 Lug 2014
7 Luglio 2014

Pubblichiamo la Risoluzione n. 68/E del 3/7/2014 dell'Agenzia delle Entrate in merito alle cessioni a titolo gratuito al Comune di aree ed opere di urbanizzazione.

Per tali atti continuano ad applicarsi le previsioni recate dall'art.32 del DPR 29/9/1973, n.601: pertanto l'imposta di registro si applica in misura fissa e non sono dovute le imposte ipotecaria e catastale.

Ringraziamo sentitamente la dott.sa Luisa Zugolaro del Comune di Padova per la segnalazione.

RIS68e+del+03+07+14

Il TAR Campania precisa che la prostituzione ai fini del lucro personale è una attività lecita

07 Lug 2014
7 Luglio 2014

Segnaliamo la sentenza del TAR Campania, Sezione Distaccata di Salerno – Sezione 2^ , n. 1142 del 2014.

  

Kirchner Berlin Street Scene 1913

Una prostituta extracomunitaria in data 10 aprile 2013, alle ore 20,25, veniva  sorpresa dalla Polizia Municipale di Salerno mentre esercitava attività di meretricio sulla pubblica via. Per tali motivi, il Questore di Salerno, con il provvedimento impugnato emesso l’11.04.2013, inibiva alla ricorrente di far ritorno nel Comune di Salerno per la durata di un anno, se non con preventiva autorizzazione.

 La straniera insorgeva avverso il menzionato provvedimento, contestandone la legittimità e chiedendone il rigetto. In particolare veniva contestata la violazione dell’art. 3 della L. 241/1990 e degli artt.  1 e 2 del d.lgs. 159/2011 e degli artt. 1 e 2 della L. 1423/1956, perché la misura di prevenzione  applicata, oltre che essere lacunosa nella motivazione , presupponeva la commissione  di reati che offendono o mettono  in pericolo l’integrità fisica o morale di minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità , mentre la ricorrente non avrebbe commesso , a suo dire, alcun reato. Inoltre nel provvedimento del Questore non si era provato in concreto il requisito della pericolosità sociale.

 Il giudizio concerneva il suddetto  provvedimento emesso dal questore di Salerno  ai sensi degli artt. 1 e 2 del D.lgs. 159/2011, perché la ricorrente, appunto, esercitava attività di meretricio sulla pubblica via ed in quanto la stessa era stata considerata soggetto pericoloso per l’integrità fisica e morale per i minorenni, nonché per la salute, la sicurezza e tranquillità pubblica.

 Ai sensi del suddetto art. 2 del suddetto D.lgs., qualora tali soggetti siano pericolosi per la sicurezza pubblica e si trovino fuori  dai luoghi di residenza, il Questore può rimandarveli con provvedimento motivato e con foglio di via  obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel Comune dal quale si sono allontanati

 Il TAR, però,  ha evidenziato che la giurisprudenza amministrativa, che il Collegio ha condiviso, considera la prostituzione ai fini del lucro personale una attività lecita ancorchè immorale. In astratto essa può essere qualificata come pericolosa per la sicurezza pubblica o per la pubblica moralità allorquando essa è esercitata con particolari modalità, quali ad esempio l’addescamento, l’ostentazione scandalosa, le molestie ai passanti, i clamori e gli assembramenti idonei a provocare litigi, gli atti osceni in luogo pubblico , e simili.

 Il Giudice ha inoltre rilevato che l’allontanamento  con foglio di via obbligatorio non è, tuttavia, lo strumento di regola deputato per intervenire sul fenomeno della prostituzione  e, pertanto, il provvedimento basato su una siffatta motivazione deve dare contezza delle concrete modalità di esercizio del meretricio, dell’eventuale continuità di tale condotta e di ogni altro elemento utile in ordine alle condizioni di vita  dell’interessata, onde desumere l’apprezzabile possibilità che la stessa sia incline alla commissione  di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Di certo tale pericolo non può identificarsi con il mero pericolo per la circolazione stradale ( cfr., T.A.R. Catanzaro (Calabria) sez. I^, 14/02/2014, n. 282).

 Ne consegue, quindi, che il giudizio, che legittima l’ordine di rimpatrio con il foglio di via obbligatorio, deve essere compiuto in relazione a modalità comportamentali attribuibili direttamente all’interessata dalle quali si possa indurre un pericolo per l’integrità di minorenni o la pubblica moralità e sicurezza, non essendo invece sufficiente a tal fine il mero esercizio della prostituzione  (cfr., Consiglio di Stato, sez. III^, 05/10/2011, n. 5479).

 Il Questore di Salerno ha motivato il suo provvedimenmto con la considerazione che la ricorrente “con atteggiamenti inequivocabili ai fini della prostituzione, esercitava  attività di adescatrice sulla pubblica via, contrattando ovvero concordando prestazioni sessuali a pagamento con i conducenti delle auto che si fermavano nei suoi pressi con ciò creando intralcio alla circolazione veicolare, e grave pericolo per gli altri  utenti in transito, a causa della fermata improvvisa dei veicoli”.

 Il T.A.R. ha dato ragione alla ricorrente evidenziando che il provvedimento impugnato è illegittimo perché non fa una corretta applicazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs. 159/2011, annullando il provvedimento del Questore di Salerno in quanto la motivazione del suo provvedimento non ha soddisfatto i parametri richiesti e su riportati per l’emissione del provvedimento in parola.

 Inoltre il Questore si è affidato a motivazioni stereotipate ritenendo il comportamento della ricorrente pericoloso “per l’integrità fisica e morale per i minorenni, nonché per la salute, sicurezza e tranquillità pubblica” senza fornire alcun elemento concreto in proposito.

avv. Gianmartino Fontana

Prostituzione Sentenza TAR Campania

La circolare sul piano casa approvata dalla 2^ Commissione Consiliare (molto diversa dalla precedente)

04 Lug 2014
4 Luglio 2014
In data 2 luglio 2014 la II Commissione Consiliare ha approvato il testo della circolare sul piano casa, molto diverso da quelli precedenti (che dovrà essere poi recepita con DGRV).
 
Il testo è reperibile al seguente link:
 

Guida operativa 2014 sulla certificazione energetica del Consiglio Nazionale del Notariato

04 Lug 2014
4 Luglio 2014

Lo studio costituisce la versione aggiornata, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 23 dicembre 2013 n. 145, convertito, con modificazioni, con legge 21 febbraio 2014 n. 9, del precedente studio 657-2013/C approvato dalla Commissione Studi Pubblicistici il 19 settembre 2013: “La certificazione energetica (dall’attestato di certificazione all’attestato di prestazione energetica” (pubblicato in CNN Notizie n. 191 del 25 ottobre 2013).

Ringraziamo sentitamente l'arch. Emanuela Volta per la segnalazione.

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Controversie sui finanziamenti pubblici: G.A. o G.O.?

04 Lug 2014
4 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 958, ricorda il riparto di giurisdizione in materia di controversie sui finanziamenti pubblici: “Chiamata difatti ancora una volta a pronunciarsi sul riparto di giurisdizione in ordine alla revoca-decadenza di agevolazioni e finanziamenti pubblici , l’Adunanza Plenaria ha ritenuto di dover confermare il tradizionale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Sez. Un., ordinanza 25 gennaio 2013, n. 1776; Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150; Cass. Sez. Un. 20 luglio 2011, n. 15867; Cass. Sez. Un. 18 luglio 2008, n. 19806; Cass. Sez. Un. 26 luglio 2006, n. 16896; Cass. Sez. Un. 10 aprile 2003, n. 5617), sia dal Consiglio di Stato (cfr., da ultimo, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 13), secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che:

- sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione (cfr. Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2013, n. 150);

- qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione (cfr. Cass. Sez. Un., ord. 25 gennaio 2013, n. 1776);

- viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario (Cass. Sez. Un. 24 gennaio 2013, n. 1710; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio 2013, n. 17)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 958 del 2014

Il cittadino può solo rassegnarsi o commettere reati se il Comune non vuole stipulare una convenzione indispensabile per attuare il PRG?

03 Lug 2014
3 Luglio 2014

La sconfortante domanda sorge inevitabile dalla lettura della sentenza del TAR Veneto n. 778 del 2014: "Il ricorso verte sostanzialmente sull’esistenza o meno di un obbligo della P.A. di convocare il Consiglio Comunale per deliberare in ordine all'approvazione della convenzione ex art. 29 NTA del PRG per l'attività di stoccaggio e movimentazione di prodotti non agricoli in z.t.o. D4, come già richiesta con istanza dell'8 novembre 2013 e diffida notificata il 20 dicembre 2013 perchè, in ossequio a quanto precisato dal C.d.S. con decisione dell'11 maggio 2007 n. 2318, il Comune di Scorzè sarebbe tenuto a provvedere, trattandosi di atto a contenuto favorevole in quanto ampliativo della sfera giuridica del privato ed essendo i ricorrenti titolari di interessi legittimi pretensivi. Osserva anzitutto il Collegio che la citata pronuncia del C.D.S. n. 2318/2007 risulta nel caso di specie inconferente, perchè l'istanza dei ricorrenti non è volta ad ottenere un atto favorevole, in quanto di per sé ampliativo della sfera giuridica dei privati, e quindi sostanzialmente inquadrabile nel tipo provvedimentale dell'autorizzazione; il convenzionamento inoltre implica il previo esercizio di un’approfondita attività istruttoria finalizzata all’espletamento di specifiche valutazioni relative all’espletamento del tipo di attività progettata ( per la verifica della sostenibilità in relazione a viabilità, emissioni, tipologie e caratteristiche dei prodotti e financo modalità operative per stoccaggio e movimentazione); è evidente pertanto che si tratta di attività in cui l’amministrazione è tenuta ad esercitare una potestà eminentemente discrezionale ed inquadrabile nella fattispecie dell'accordo preliminare o procedimentale di cui all'art. 11 L. 241/90, in quanto volto a determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, senza ad esso sostituirsi e senza realizzare l'assetto definitivo degli interessi, come invece accade per l'accordo sostitutivo. Infatti, nel caso di specie, con l'eventuale approvazione della convenzione, l'assetto degli interessi pubblicistici e privatistici non risulterebbe già immediatamente definito, atteso che, come puntualizzato dal resistente Comune, necessiterebbe, oltre alla stipula della convenzione, anche l'emissione di una successiva autorizzazione della P.A. all'attività di stoccaggio e movimentazione di prodotti, anche non agricoli, in z.t.o. D4. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso avverso il silenzioinadempimento, poiché per l'Amministrazione l'obbligo di provvedere rileva solamente a fronte di un'istanza del privato, che implichi l'adozione di un provvedimento autoritativo e doveroso, che, nel caso di specie, non sussiste. Infatti si deve escludere l'esistenza di qualsiasi obbligo di provvedere in capo al Comune di Scorzè, dato che tale obbligo , indipendentemente dalla sussistenza di un interesse legittimo differenziato e qualificato,  sussiste tutte le volte in cui vi sia una norma di legge, di regolamento, o un atto amministrativo che lo imponga. Nel caso in esame, dato che la previsione delle NTO non è accompagnata da alcuna precisazione circa l’iter procedimentale, non  sussiste alcuna norma di legge o di regolamento o qualsiasi atto amministrativo che imponga al Comune di Scorzè di convocare il Consiglio Comunale al fine di deliberare in merito all'approvazione della convenzione, che è allo stato assimilabile ad una specie di proposta contrattuale inerente ad attività discrezionale e in nessun modo vincolata e che, in quanto tale, non soggiace ad alcun obbligo di procedere. ( T.A.R. Bologna (Emilia-Romagna) sez. II, n. 186, 14/02/2014) ; Né dicasi che eventualmente, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione ex art. 97 Cost., in capo ai privati istanti sarebbe sorta una legittima e qualificata aspettativa ad una esplicita pronuncia perché la convenzione doveva servire a determinare un assetto di interessi finalizzato al contemperamento di quelli privati con l’interesse pubblico al corretto assetto del territorio; come già anticipato, infatti, proprio per tale ragione era inevitabilmente finalizzata a recepire il contenuto di valutazioni discrezionali dell’amministrazione e non poteva certamente essere sottoposta all’approvazione del consiglio comunale senza l’espletamento di una previa e positiva attività istruttoria. Soltanto all'esito positivo dell'istruttoria e sempre nell'interesse pubblico di valorizzazione del patrimonio edilizio esistente, il Comune potrà addivenire ad una convenzione che lo obblighi a riclassificare l'area de  qua come ZTO D oltre ad applicare le disposizioni sul c.d. II° Piano Casa (L.R.V. 13/ 11), che consentirebbero la demolizione con traslazione di volumetria ed aumento della stessa in altro sito del Comune, come previsto nella bozza di convenzione predisposta dai proponenti e nel permesso di costruire richiesto ed in relazione al quale con delibera n. 55 del 9 aprile 2014, il Consiglio Comunale ha espresso un parere favorevole condizionando l'efficacia dell'applicazione del piano casa “all'approvazione della convenzione di cui all'art. 29 delle NTA per l'attività produttiva esistente. Nella convenzione stessa deve esser previsto l'intervento di nuova viabilità e mitigazioni ambientali, condizione al rilascio del permesso di costruire". Solamente qualora il Comune avesse già deliberato in merito alla sussistenza dei presupposti per il trasferimento ed aumento della volumetria, nonché al riconoscimento dell'interesse pubblico per l'emissione della concessione edilizia in deroga agli strumenti urbanistici di cui all'art. 14 DPR 380/01 ed avesse, inoltre, approvato la convenzione in parola, si sarebbe potuto configurare in capo ai privati istanti una legittima aspettativa a rilasciare l'autorizzazione allo stoccaggio e movimentazione di prodotti, anche non agricoli, in zona D4. Il privato non ha pertanto, in questo stadio, alcuna legittima aspettativa alla stipula della richiesta convenzione perché il Comune è al riguardo titolare di un potere discrezionale che incide sia sull’an che sul quid dell’atto richiestogli. Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile".

Se questa è la situazione dell'ordinamento giuridico italiano, davvero poi restiamo allibiti, sconcertati e stupiti se a qualche cittadino italiano esasperato magari viene la criminale idea di offrire tangenti ai pubblici amministratori affinchè facciano il loro dovere, commettendo così il reato di corruzione?

In verità a me appare evidente che sia del tutto insoddisfacente il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità amministrativa nell'ordinamento processuale italiano e che la questione sia da ripensare dalle fondamenta.

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 778 del 2014

Soltanto negli appalti di servizi e/o forniture c’è l’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza a pena di esclusione

03 Lug 2014
3 Luglio 2014

Nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3056/2014, commentata nel post del 19.06.2014, si sottolineava che, negli appalti di lavori, non sussiste l’obbligo di indicare gli oneri di sicurezza a pena di esclusione. Questa sentenza deve essere coordinata anche con la recente del 30 giugno 2014 n. 3291, ove il Massimo Organo della Giustizia Amministrativa chiarisce che, se da un lato nemmeno nelle concessioni di servizi c’è tale obbligo, esso è presente negli appalti di servizi e/o forniture: “- nella fattispecie viene in rilievo una concessione di servizi pubblici, provvedimento la cui emanazione, ai sensi dell’art. 30 del codice dei contratti pubblici, non soggiace alle norme puntuali recate dal codice, ma ai soli principi generali della materia, principi tra i quali non è annoverabile la regula iuris fissata dalla norma di cui all’art. 86, comma 4, che impone, solo per gli appalti di servizi e di forniture, l’indicazione degli oneri di sicurezza in sede di formulazione dell’ offerta economica (cfr., con riguardo ai servizi esclusi dal codice dei contratti pubblici, Cons. Stato, sez. III, 21 gennaio 2014, n, 280);

- l’obbligo di indicare i costi di sicurezza nella specie non è evincibile neanche da un auto-vincolo assunto dalla stazione appaltante, posto che il bando di gara, per un verso, stabilisce la struttura dell’offerta economica indicando cinque voci senza fare menzionare i costi di sicurezza (punto 8.1.2., pag. 5); e, dall’altro, richiama gli artt. 86 e 87 del codice dei contratti pubblici ai soli fini della disciplina della verifica dell’anomalia (punto 8.1.2., pag. 6);

- posta l’assenza di un vincolo derivante dalla normativa primaria o dalla normativa speciale di gara, deve ritenersi che l’amministrazione abbia correttamente consentito all’impresa prima classificata, attraverso l’esplicazione di un’obbligatoria cooperazione istruttoria, l’indicazione degli oneri di sicurezza evincibili, attraverso un’operazione di scomputo, dall’offerta economica (cfr., sull’illegittimità dell’esclusione dalla gara ove il bando non abbia previsto l’obbligo di specificazione degli oneri nella disciplina di gara, Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2014, n. 2517)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3291 del 2014

Il curatore fallimentare non può essere destinatario dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti

03 Lug 2014
3 Luglio 2014

Nel post del 16.05.2014 si ricordava che la giurisprudenza maggioritaria nega che il curatore fallimentare, di regola, possa essere destinatario delle ordinanze di rimozione dei rifiuti.

 Questo principio è stato di recente ribadito anche dal Consiglio di Sato, sez. V, nella sentenza del 30 giugno 2014 n. 3274 secondo cui: “2a La Sezione, dato subito atto che è pacifico che il Fallimento non sia stato autorizzato, nella specie, alla prosecuzione dell’attività della società fallita, sul thema decidendum non può non richiamarsi al proprio precedente, motivato pronunciamento di cui alla decisione n. 4328 del 29 luglio 2003.

“12 La questione da esaminare … consiste nello stabilire se la curatela fallimentare possa essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell'impresa fallita.

13 Al riguardo, il comune sostiene che la responsabilità del fallimento deriva dalla inottemperanza ai precedenti provvedimenti adottati nei confronti della società (…).

14 Inoltre, l'amministrazione espone che le "migliaia di tonnellate dei pneumatici inquinanti", oggetto dell'ordinanza impugnata, sono uscite dalla disponibilità della società fallita, entrando a far parte della massa fallimentare, gestita ed amministrata dal curatore.

15 In tal senso, secondo l'appellante, si pone un orientamento giurisprudenziale, in forza del quale l'adempimento dell'obbligo di smaltimento dei rifiuti grava sulla curatela fallimentare (TAR Toscana, Prima Sezione, 3 marzo 1993, n. 196; Tar Toscana, Seconda Sezione, 28 aprile 2000, n. 780), poiché la disponibilità dei beni, anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entragiuridicamente nella titolarità del curatore e conseguentemente con essa anche il dovere di rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti.

16 In termini più generali, il comune sostiene che il fallimento subentra negli obblighi facenti capo all'impresa fallita e, quindi, è tenuto all'adempimento dei doveri derivanti dall'accertata responsabilità della stessa impresa.

17 A tal fine, il comune appellante richiama, fra l'altro, le disposizioni della legge fallimentare riguardanti la prosecuzione dei contratti facenti capo all'impresa fallita.

18 Nessuno degli argomenti proposti è persuasivo.

19 In primo luogo, proprio l'amministrazione comunale evidenzia che l'ordinanza sindacale è rivolta al fallimento in conseguenza dell'inottemperanza dell'impresa ad un precedente provvedimento. In tal modo, si evidenzia l'estraneità della curatela fallimentare alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell'area.

20 In questo senso, si pone, del resto, anche una parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado (TAR Toscana, Sezione Terza, 1 agosto 2001, n. 1318), la quale evidenzia l'assenza di unacorresponsabilità del fallimento, anche meramente omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall'impresa fallita.

21 In secondo luogo, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti, qualificati dal comune come rifiuti inquinanti, non è sufficiente per imporre l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa fallita.

Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.

22 In terzo luogo, poi, proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito.

Non assume alcun rilievo la disposizione contenuta nell'art. 1576 del codice civile, poiché l'obbligo di mantenimento della cosa in buono stato locativo riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da disposizioni dirette ad altro scopo.

23 Si deve aggiungere, poi, che il fallimento non è stato autorizzato a proseguire l'attività precedentemente svolta dall'impresa fallita. Pertanto, l'obbligo di bonifica del sito non potrebbe essere nemmeno collegato allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti.

24 In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato” (C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003 cit.).

La Sezione ha ribadito questa chiara impostazione con la successiva decisione n. 3885 del 16 giugno 2009.

La nuova pronuncia, nel convalidare, sulla scia del riferito precedente giurisprudenziale, l’atto dell’Amministrazione che in un caso simile aveva escluso la legittimazione passiva del curatore, ha puntualizzato che la soluzione opposta “determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga" scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l'inquinamento”.

2b Né l’impostazione così ribadita potrebbe essere ribaltata in ragione del disposto dell’art. 192, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Questo recita: “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.”

Ai fini di un’eventuale applicazione della norma appena trascritta si pone la questione di stabilire se il Fallimento della MARCONI possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.

Orbene, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.

La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942 : “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”; art. 44: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”).

Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”).

Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).

Più ampiamente, la Suprema Corte (sez. I, 14 settembre 1991, n. 9605) ha difatti osservato quanto segue:

“Il fatto che alla curatela sia affidata l'amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell'attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l'adempimento di obblighi facenti carico originariamente all'imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all'inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16-3-1942 n.. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito. … Poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell'espletamento della pubblica funzione, non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono né gli obblighi dal fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché la scadenza di adempimento avvenga in periodo temporale in cui lo stesso curatore possa qualificarsi come datore di lavoro nei confronti degli stessi dipendenti, o di alcuni di essi.”.

Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3274 del 2014

Il vincolo assoluto di inedificabilità sopravvenuto all’edificazione rende l’opera condonabile solo col parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela

02 Lug 2014
2 Luglio 2014

Segnaliamo sulla questione la sentenza del TAR Veneto n. 769 del 2014: "Il ricorso principale è fondato in relazione al prospettato difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati. Infatti, sia il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, sia il successivo diniego del Comune, si basano sulla semplice constatazione per cui le opere oggetto di domanda di sanatoria sarebbero in contrasto con la prescrizione d’ inedificabilità assoluta recata dal D.M. 29 maggio 1990, che aveva apposto sull’area interessata dai lavori un vincolo di tutela indiretta ai sensi della L. n. 1089/1939; vincolo sopravvenuto rispetto all’epoca di realizzazione delle opere ed alla conseguente domanda di sanatoria. Occorre premettere che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza sul punto, anche in caso di vincolo successivo alla realizzazione dell'opera, è comunque necessario il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo, in quanto la compatibilità dell'opera con il contesto ambientale deve essere valutata con riferimento al momento in cui deve essere esaminata la domanda di sanatoria (Cons. Stato Sez. V 22/12/94 n. 1574; Cons. Stato A.P. 22/7/99 n. 20; Cons. Stato Sez. VI 22/8/03 n. 4765; ecc.).  La giurisprudenza ha, peraltro, precisato che, nel caso di vincolo assoluto di inedificabilità, lo stesso non può considerarsi del tutto inesistente per il solo fatto che sia sopravvenuto all'edificazione (e ritenere quindi che l'abuso sia sanabile solo perché l'art. 33 comma 1 della L. n. 47 del 1985 si riferisce ai vincoli di inedificabilità assoluta imposti prima dell'esecuzione delle opere), in questi casi deve essere applicato lo stesso regime indicato nella previsione generale di cui all'art. 32 comma 1 della L. n. 47 del 1985, che subordina il rilascio della concessione in sanatoria per opere sottoposte a vincolo, al parere favorevole dell'autorità preposta alla sua tutela (cfr. Cons. Stato A.P. n. 20/99). In pratica, il vincolo da assoluto diviene relativo, ed è necessario il rilascio del parere di conformità (cfr. da ultimo T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 25-02-2014, n. 2207). Occorre però rilevare che, secondo la giurisprudenza, nel compiere il giudizio di compatibilità, l'amministrazione non può non tener conto delle prescrizioni recate dal vincolo stesso, così come accade nel caso di vincolo relativo sopravvenuto (Cons. Stato Sez. V 7/10/03 n. 5918), con l'effetto, quindi, di poter ritenere non sanabile il manufatto quando contrasti con le prescrizioni recate dal provvedimento di vincolo. Ne consegue, quanto alla motivazione del provvedimento della Soprintendenza in ipotesi di vincolo successivo, che il parere negativo al rilascio della sanatoria non può ritenersi atto vincolato, da adottarsi in via automatica solo per effetto dell'esistenza del vincolo di inedificabilità, dovendo la Soprintendenza svolgere i necessari  accertamenti in concreto per valutare la compatibilità del manufatto con il provvedimento di vincolo. In altre parole, in caso di vincolo sopravvenuto, l'accertamento della Soprintendenza deve essere concreto ed approfondito e nella motivazione dell'atto devono essere puntualmente indicate le ragioni per le quali la conservazione dell'intervento (conseguente al rilascio della sanatoria) sia incompatibile con i valori tutelati. Nel caso di specie, alla luce dei principi che precedono, la motivazione addotta nel parere richiamato nel provvedimento di diniego di sanatoria è palesemente generica, atteso che si limita a dedurre il contrasto delle opere con la prescrizione d’inedificabilità assoluta indicata nel D.M. 29-5-1990, senza tuttavia indicare in modo puntuale i profili concreti sulla base dei quali è stata ritenuta l'incompatibilità del manufatto abusivo con il contesto vincolato".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 769 del 2014

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