C’è l’obbligo di indicare le prestazioni del subappaltatore

10 Lug 2014
10 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 967 stabilisce quali informazioni la ditta, che si avvale di un subappaltatore, deve indicare: “che l’art. 118, II comma del DLgs n. 163/2006 sottopone l’affidamento in subappalto alla condizione, fra le altre, che i concorrenti all’atto dell’offerta abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare: onde, peraltro, evitare che l’aggiudicazione avvenga in favore di un soggetto pacificamente sprovvisto dei necessari requisiti di qualificazione (con il conseguente rischio per l’amministrazione procedente che l’appaltatore così designato non onori l’impegno assunto, rendendo necessaria la ripetizione della gara) va interpretata nel senso che la dichiarazione in questione deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore, unitamente alla dimostrazione del possesso, in capo a costui, dei requisiti di qualificazione, ogniqualvolta il ricorso al subappalto si renda necessario in ragione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione (cfr. CdS, IV, 26.5.2014 n. 2675; V, 21.11.2012 n. 5900; VI, 2.5.2012 n. 2508)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 967 del 2014

Quando il Comune può derogare al vincolo cimiteriale?

09 Lug 2014
9 Luglio 2014

Il Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza del 04 luglio 2014 n. 3410, torna ad occuparsi di vincolo cimiteriale chiarendo in quali casi l’Amministrazione comunale possa derogare al vincolo imposto ex lege. Di conseguenza, ove manchi questa deroga, l’ente non potrà concedere alcuna sanatoria al privato che abbia edificato all’interno della fascia di rispetto cimiteriale.

A tal fine si legge che: “A tale riguardo l’appellante prospetta sotto diversi profili la violazione della normativa di riferimento (art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 –Testo Unico delle leggi sanitarie – come modificato dall’art. 4 delle legge 30 marzo 2001, n. 130 e poi sostituito dall’art. 28, comma 1, lettera a, della legge 1 agosto 2002, n. 166), con prioritario riguardo alla prevista possibilità di riduzione dell’area inedificabile, che restringerebbe a soli 50 metri il vincolo inderogabile e consentirebbe fino al limite di 200 metri limitati interventi edilizi, fra cui locali tecnici e serre.

Detta argomentazione difensiva non può essere condivisa.

In base al citato art. 338, comma 4, r.d. n. 1265/1934, infatti, “Il Consiglio Comunale può approvare, previo parere favorevole delle competete azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l’ampliamento di quelli già esistenti ad una distanza inferiore a 200 metri dal centro abitato, purchè non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:

a) risulti accertato dal medesimo consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;

b) l’impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari”.

La norma sopra riportata ha carattere derogatorio, in via eccezionale, rispetto alla regola – enunciata al primo comma del medesimo articolo – secondo cui “I cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. E’ vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici…”.

Per pacifica giurisprudenza, il vincolo cimiteriale determina quindi una tipica situazione di inedificabilità ex lege, suscettibile di venire rimossa solo in ipotesi eccezionali e comunque per considerazioni di interesse pubblico. Quanto sopra, in presenza delle condizioni specificate nel ricordato comma 4 dell’art. 338, non anche per agevolare singoli proprietari, che abbiano effettuato abusivamente, o intendano effettuare, interventi edilizi su un’area, resa a tal fine indisponibile per ragioni di ordine igienico-sanitario, nonchè per la peculiare sacralità dei luoghi destinati alla sepoltura, senza esclusione di ulteriori esigenze di mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale (cfr. Cass. civ. sez. I, 23.6.2004, n. 11669; Cons. St., sez. II, 7.3.1990, parere n. 1109; Cons. St., sez. IV, 11.10.2006, n. 6064; Cons. St., sez. V, 2.4.1991, n. 379, 29.3.2006, n. 1593, 3.5.2007, n. 1934 e 14.9.2010, n. 6671).

L’unico procedimento, attivabile dai singoli proprietari all’interno della fascia di rispetto, pertanto, è quello finalizzato agli interventi di cui all’art. 338, comma 7, dello stesso r.d. n. 1265/1934 (recupero o cambio di destinazione d’uso di edificazioni preesistenti), restando attivabile solo d’ufficio – per i motivi anzidetti – la procedura di riduzione della fascia inedificabile in questione.

Fermo restando, quindi, che solo il Consiglio Comunale – non su istanza di singoli cittadini, ma per ragioni di interesse pubblico – può intervenire per ridurre l’ampiezza di detta fascia, per le decisioni da assumere su eventuali istanze di autorizzazione edilizia, anche in sanatoria, vale il riparto generale di competenze, che assegna ai dirigenti gli ordinari atti di gestione (come peraltro ribadito, in materia di sanatoria, dal terzo comma del citato art. 36 d.P.R. n. 380/2001)”.

dott. Matteo Acquasaliente

CdS n. 3410 del 2014

Convegno di Cortina 11 e 12 luglio 2014

09 Lug 2014
9 Luglio 2014

Ricordo che ci sono ancora posti per il tradizionale convegno di studi dell’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti di Cortina d’Ampezzo che si terrà l’11 e 12 luglio prossimi e sarà dedicato all’azione amministrativa consensuale, tra suggestioni privatistiche e vincoli di diritto pubblico”.

La partecipazione consentirà l’attribuzione di tre crediti formativi a giornata.

Per ogni informazione si prega di fare riferimento alla segreteria organizzativa del convegno (bigolaro@studiodomenichelli.it; calegari@lexpd.net).

pieghevole convegno Cortina 2014

I revisori comunali sono rieleggibili per più di due volte?

09 Lug 2014
9 Luglio 2014

Il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, nella sentenza del 04 luglio 2014 n. 7133 chiarisce che il revisore dei conti di un ente locale può essere eletto anche più di due volte.

In realtà la sentenza si riferisce all’art. 235, c. 1, I periodo, del T.U. enti locali, ante la recente riforma, secondo cui: “L'organo di revisione contabile dura in carica tre anni a decorrere dalla data di esecutività della delibera o dalla data di immediata eseguibilità nell'ipotesi di cui all'art. 134, comma 3, e sono rieleggibili per una sola vola”.

In seguito alle modifiche apportate dall'articolo 19, comma 1-bis, lettera a), del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla Legge 23 giugno 2014, n. 89, l’articolo de quo recita: “L'organo di revisione contabile dura in carica tre anni a decorrere dalla data di esecutività della delibera o dalla data di immediata eseguibilità nell'ipotesi di cui all'art. 134, comma 3, e i suoi componenti non possono svolgere l'incarico per più di due volte nello stesso ente locale. Ove nei collegi si proceda a sostituzione di un singolo componente la durata dell'incarico del nuovo revisore è limitata al tempo residuo sino alla scadenza del termine triennale, calcolata a decorrere dalla nomina dell'intero collegio. Si applicano le norme relative alla proroga degli organi amministrativi di cui agli articoli 2, 3, comma 1, 4, comma 1, 5, comma 1, e 6 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 293, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 1994, n. 444”.

La sentenza che si commenta, dunque, deve essere letta rapportandola alla normativa previgente.

Sul punto si legge che: “Nel merito, la Sezione non condivide la lettura data dal Comune all’art. 235, comma 1°, del testo unico degli enti locali (D.Lgs. 18.8.2000 n. 267), orientato per l’impossibilità di procedere alla rielezione, anche dopo un considerevole periodo di tempo, del componente del collegio dei revisori destinatario di due precedenti elezioni. Ad avviso del Collegio la corretta interpretazione della citata norma del TUEL, la quale dispone che i revisori siano rieleggibili una sola volta, porta ad escludere una terza rielezione solo qualora questa sia consecutiva, in quanto il divieto scatta solo a seguito di due elezioni consecutive, posto che la rielezione è tale solo se segue una precedente elezione senza soluzione di continuità, traducendosi altrimenti la disposizione in un irrazionale ed ingiustificato divieto di elezione a vita per chi, come nella specie, ha ricoperto l’incarico in un ente per due trienni nell’arco della propria attività professionale (in tal senso: T.A.R. Puglia, Lecce, 16.12.2009 n. 3143; Cons.St., V, ord. 26.10.2009 n. 5324)

Questa soluzione in discorso appare maggiormente aderente alla formulazione della previsione dell’art. 235, 1° comma, del D.Lg.. n. 267/2000, che, utilizzando la formulazione “sono rieleggibili per una sola volta”, opera un chiaro riferimento ad elezioni che devono susseguirsi senza soluzione di continuità e non ad elezioni che si svolgano a distanza di un considerevole periodo di tempo, e si attaglia alla necessità di prescegliere, tra più interpretazioni possibili, quella che sacrifica nella minore misura possibile la sfera lavorativa dei soggetti interessati allo svolgimento dell’incarico. Del resto, l’opposta soluzione interpretativa finisce sostanzialmente con l’imporre una forma di ineleggibilità a carattere perpetuo e del tutto irrazionale, partendo da una esigenza, quella di escludere possibili collegamenti “fissi” tra amministrazioni comunali e componenti del collegio dei revisori dei conti, che è comunque adeguatamente neutralizzata dal sistema del voto limitato previsto per l’elezione dei componenti del collegio dei revisori dei conti.

In ogni caso, nella vicenda che ci occupa, il rischio di possibili comportamenti collusivi tra controllore e controllato è del tutto escluso dal lungo periodo di tempo intercorso rispetto alle due precedenti elezioni, avvenute nel 1991 e nel 1994. Prospettare una qualche forma di ineleggibilità a così lungo periodo di tempo dai precedenti incarichi e nell’assoluta assenza di possibili rischi di condizionamenti politici è quindi, oltre che inutile, eccessivamente ed ingiustamente lesivo del diritto dell’interessato all’assunzione della funzione pubblica di controllo”.

Dunque, se in passato i revisori comunali dei conti erano rieleggibili anche per più di due volte, quid iuris ora alla luce della nuova normativa? Valgono le stesse considerazione di cui supra?

Per quanto concerne le tempistiche per proporre il ricorso averso le delibere comunali, invece, il Collegio ricorda che i termini non sempre decorrono dalla pubblicazione delle stesse sull’albo pretorio perché: “Il Collegio ritiene che i predetti termini non possano decorrere se non dalla effettiva conoscenza dell’atto. L’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalle controparti si fonda sull’orientamento giurisprudenziale, espresso, ex multis, nella seguente massima: “L’affissione all’albo pretorio delle delibere comunali, effettuata nei modi e nei termini previsti dalla legge (art. 47, comma 1, l. n. 142 del 1990), costituisce una forma di pubblicità, legale, di per sé esaustiva ai fini della presunzione assoluta di piena conoscenza erga omnes, allorquando i provvedimenti stessi non siano direttamente riferibili a soggetti determinati” (Cons.St., V, 2.12.2002 n. 6601).

Presupposto dell’eccezione è che la deliberazione oggetto di gravame non richieda la notifica individuale se non ai soggetti da essa nominati per aver ricevuto l’incarico, con tale provvedimento conferito, di componenti del nuovo collegio dei revisori dei conti comunali. Al contrario, ritiene il Collegio che tra i destinatari diretti della delibera commissariale deve essere ricompreso il ricorrente. ancorché escluso dall’incarico e non menzionato dal provvedimento di nomina, ma tuttavia coinvolto nel presupposto procedimento, avendo egli partecipato con esito positivo alla sub procedura di estrazione a sorte prevista dal regolamento di cui al decreto 15.2.2012 n. 23 del Ministro dell’interno per i soggetti aventi i requisiti per la nomina a revisore dei conti.

Invero ciò che qualifica la posizione soggettiva del privato interessato ai fini della sussistenza dell’obbligo di notifica è sia la circostanza che il privato medesimo abbia assunto la veste di parte nel procedimento amministrativo presupposto, sia che la sua posizione giuridica venga direttamente attinta dal contenuto decisionale della determinazione conclusiva (T.A.R. Campania, Napoli, II, 29.6.2007 n. 6392).

E’ d’altronde noto che la giurisprudenza degli ultimi decenni abbia interpretato le disposizioni in tema di decadenza dall’azione nel processo amministrativo nel senso di ampliare le ipotesi in cui è necessaria la notifica individuale dell’atto pregiudizievole, giungendo a ritenere sussistente l’obbligo in questione non solo in favore dei soggetti nominativamente indicati dall’atto impugnato, bensì anche in favore di soggetti comunque facilmente individuabili a cagione del suo contenuto (si veda al riguardo Cons.St., V, 6.12.1994 n. 1460, secondo cui “deve essere notificato o comunicato l'atto anche a chi, pur non menzionato, sia in qualche modo da ritenere destinatario del medesimo; pertanto, nei confronti di tali soggetti la pubblicazione dell'atto nelle forme di rito non fa decorrere il termine decadenziale per l'impugnazione, occorrendo a tal fine la notifica o comunicazione individuale ovvero la prova dell'effettiva conoscenza”).

Tale circostanza imponeva pertanto, ad avviso del Tribunale, la comunicazione o notifica individuale ai soggetti che hanno preso parte al procedimento, quantomeno a chi, come il ricorrente, è stato coinvolto dall’amministrazione stessa nella procedura di estrazione a sorte e nella richiesta di una dichiarazione di consenso alla eventuale nomina e di informazioni curricolari”.

dott. Matteo Acquasaliente 

TAR Roma n. 7133 del 2014

Spetta alla Regione la competenza in materia di concessioni marittime per fini diversi dal turismo e dall’approvvigionamento energetico

09 Lug 2014
9 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. I, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 978 dichiara la competenza della Regione Veneto in materia di concessioni marittime per fini diversi da quello turistico-ricreativo e da quello di approvvigionamento energetico: “deve osservarsi che non sussistono dubbi in ordine alla competenza della Regione all’esame delle domande di rilascio della concessione di un’area demaniale marittima per scopi diversi da quelli turistico ricreativi: l’art. 105, II comma, lett. l) del DLgs n. 112/1998, infatti, ha conferito alle Regioni le funzioni relative “al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia”; con l’art. 100, II comma, lett. e) della LR n. 11/2001 la Regione Veneto, a sua volta, ha stabilito che la Giunta svolge le funzioni relative al “rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia e da quelle di cui all'articolo 30, comma 5, lettera a)”: articolo quest’ultimo che, appunto, stabilisce (recte: stabiliva, in quanto abrogato e sostituito dall’art. 46 della LR n. 33/2002) che “sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative…sul demanio marittimo a finalità turistico-ricreativa”. È innegabile, dunque, la competenza della Regione (ai sensi dell’art. 105, II comma, lett. “l” del DLgs n. 112/1998, dell’art. 100, II comma, lett. “e” della LR n. 11/2001 e della DGR n. 1352/2013) al rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi richieste per finalità diverse dall’approvvigionamento di fonti di energia (che è stata mantenuta dallo Stato) e dallo svolgimento di attività turistico-ricreative (trasferita ai Comuni)”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 978 del 2014

La forza del diritto è violenza ‘conforme alla legge’ (da un carteggio fra Albert Einstein e Sigmund Freud)

08 Lug 2014
8 Luglio 2014

Qualche mio lettore, pur vivendo in  Italia, è riuscito a conservare almeno un briciolo di passione civile?

Se si, ecco un articolo interessante per riflettere sul Potere della persona che agisce in nome dello Stato, ringraziando l'avvocato Giuseppe Piva per la segnalazione.

Si tratta di un articolo di Beniamino Irti, pubblicato su Historia et ius rivista di storia giuridica dell’età medievale e moderna www.historiaetius.eu - 4/2013 - paper 1, relativa a un carteggio tra due colossi del pensiero umano, Sigmund Freud e Albert Einstein. 

Evidenziamo, in particolare, questo passaggio alle pagine 3 e 4: "Il passaggio dalla violenza al diritto è segnato da ciò, che i più deboli, stringendosi insieme, si oppongono alla violenza del singolo. Chiarisce Freud: « L’union fait la force ... Vediamo così che il diritto è la potenza di una comunità. È ancora sempre violenza, pronta a volgersi contro chiunque le si opponga, opera con gli stessi mezzi, persegue gli stessi scopi; la differenza risiede in realtà solo nel fatto che non è più la violenza di un singolo a trionfare, ma quella della comunità ». La transizione, dalla violenza del singolo alla violenza della comunità, richiede che l’unione dei più deboli non sia effimera, ma stabile e durevole, e dunque sorretta da “legami emotivi”, da rapporti psicologici, sui quali si fonda la sua saldezza. « La comunità – scrive Freud – deve essere mantenuta permanentemente, organizzarsi, prescrivere gli statuti che prevengano le temute ribellioni, istituire organi che veglino sull’osservanza delle prescrizioni – delle leggi – e che provvedano all’esecuzione degli atti di violenza conformi alle leggi ». Sono proposizioni di eccezionale rilievo. Nel passaggio al diritto, la violenza non si estingue e spegne, ma si trasferisce dal singolo alla comunità, dai meno ai più. Essa si concentra, si organizza, si fa struttura di potere, emana leggi, istituisce ufficî giudiziarî. L’analisi freudiana tocca un alto grado di chiarezza, di ‘purità’ metodologica: l’atmosfera culturale tedesca favorisce questo strenuo esercizio. Già nel 1921 Walter Benjamin, in quello che Jacques Derrida chiamerà un « breve e inquietante testo »7, Critica della violenza (Zur Kritik der Gewalt), aveva distinto due specie di violenza: la violenza fondatrice, che instaura e pone il diritto, e la violenza conservatrice, che lo conferma e ne assicura continuità e applicabilità. La violenza, di cui discorre Freud, adempie la duplice funzione: piega la violenza irregolare del singolo, e istituisce il diritto; poi, si consolida e conserva nella complessa struttura di organi ed ufficî".

Dedicato a chiunque abbia sperimentato sulla propria carne la violenza, in particolare quella 'conforme alla legge'.

Dario Meneguzzo - uno di noi

http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/1_irti_4.pdf

La violenza conforme alla legge

Quali disposizioni del D.M. 1444/1968 si applicano alle zone B?

08 Lug 2014
8 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. II, nella sentenza del 26 giugno 2014 n. 918 (segnalata da Luca, che sentitamente ringraziamo), conferma che l’art. 9 c. 2 e 3 del D. M. n. 1444/1968 non si applica alle zone B.

Ricordiamo innanzitutto il contenuto di questa disposizione: “Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml. 5,00 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7.
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10,000 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.

 Il Collegio afferma che: “In presenza dell’inidoneità della documentazione integrativa prodotta deve ritenersi non determinante l’erronea applicazione dell’art. 9 ultimo comma del DM 1444/1968, posta in essere dal Comune e anch’essa a fondamento del provvedimento di diniego ora impugnato. Come ha già avuto modo di precisare questo Tribunale (T.A.R. Veneto Sez. II, Sent., 20-03-2014, n. 364) “i comma 2 e 3 dell'art. 9 si riferiscono esclusivamente alle zone urbanistiche contrassegnate come zone "C)", fattispecie pertanto estranea ai manufatti, come quello in esame, che rientra nell'ambito delle zone classificate come "B)"”.

 

Nella stessa sentenza, inoltre, i Giudici si soffermano sulla notifica del ricorso ad almeno un controinteressato chiarendo che: “1.1 Sul punto va considerato come costituisca orientamento consolidato (per tutti Cons. Stato Sez. V, 27-03-2013, n. 1755) che ai fini di individuare l’esistenza di un onere di notifica, previsto dall'art. 41, co. 2 del Codice del processo Amministrativo, è necessaria la sussistenza di un profilo sostanziale costituito dall'essere il terzo portatore di un interesse qualificato analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente.

In altri termini, la posizione di controinteressato spetta a coloro che abbiano un interesse qualificato alla conservazione dell'assetto giuridico recato dall'atto impugnato o dalla vicenda controversa, e non già a chi è portatore di un interesse comune alla rimozione dell'atto ovvero all'ottenimento di una pronuncia giurisdizionale che possa giovare anche alla propria posizione (Parziale riforma della sentenza del T.a.r. Puglia - Bari, sez. I, n. 919/2011).

1.2 Applicando detti principi al caso di specie non si vede come possa sussistere un interesse qualificato dei proprietari del condominio del palazzo da innalzare e, ciò, considerando come con il presente ricorso si è impugnato un provvedimento di diniego di permesso di costruire e non certo un provvedimento edilizio abilitativo, diretto ad autorizzare le opere pur richieste nell’originaria istanza.

1.3 L’eventuale annullamento dell’atto impugnato ha l’effetto di determinare l’espunzione di quest’ultimo dall’ordinamento giuridico, con conseguente obbligo dell’Amministrazione di ripronunciarsi, senza determinare l’automatica emanazione di un provvedimento autorizzatorio, quest’ultimo suscettibile di ledere, quanto meno in astratto, la posizione giuridica dei proprietari limitrofi e confinanti”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 918 del 2014

Dopo 75 giorni di attesa si forma il silenzio-assenso sulla proposta di variante al PDL e il consiglio comunale non può più deliberare

08 Lug 2014
8 Luglio 2014

Segnaliamo sul punto la sentenza del TAR Veneto n. 876 del 2014.

Scrive il TAR: "Con il ricorso in oggetto e per i motivi in esso dedotti parte istante ha chiesto in via principale la declaratoria dell’intervenuta formazione del silenzio assenso, ai sensi dell’art. 20, commi 1 e 4 bis della legge regionale n. 11/2004, in ordine alla proposta di adozione della variante al PL ed in ogni caso, in via subordinata, laddove non venisse riconosciuta l’avvenuta formazione del silenzio assenso, l’annullamento della delibera assunta dalla Giunta comunale, in quanto illegittima per contraddittorietà, difetto di istruttoria e di motivazione. L’amministrazione, ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio. Ritiene il Collegio che, alla luce del chiaro dettato normativo di cui all’art. 20 della legge regionale n. 11/2004, il ricorso possa trovare accoglimento con riferimento al primo assorbente motivo di doglianza.  Invero, in base al disposto di cui all’art. 20, comma 4 bis della legge regionale, il decorso del termine perentorio di 75 giorni dall’adempimento alla richiesta di integrazione documentale formulata dall’amministrazione, comporta la formazione del silenzio assenso in ordine alla richiesta di adozione della variante. Nel caso di specie, benché il termine normativamente previsto (75 giorni) sia stato in più riprese interrotto per integrazioni documentali ed accertamenti istruttori (vedi assoggettabilità a VAS), esso risulta ormai superato, da cui la formazione del silenzio assenso e la conseguente illegittimità della successiva deliberazione giuntale di mancata adozione e restituzione della proposta di variante. Per detti motivi il ricorso va accolto, nei sensi di cui sopra, con conseguente declaratoria dell’avvenuta formazione del silenzio assenso e l’annullamento della delibera giuntale impugnata".

Dario Meneguzzo - avvocato

sentenza TAR Veneto 876 del 2014

Circolare mensile per l’impresa di luglio 2014

08 Lug 2014
8 Luglio 2014

Ringraziando la Società & Professionisti srl di Malo (VI), pubblichiamo la circolare mensile per l'impresa di luglio 2014.

Segnaliamo in particolare:

1) VERSAMENTI TARDIVI TASI E IMU SENZA SANZIONI - DECIDE IL COMUNE (pag. 14);
2)  LA CORRETTA QUALIFICAZIONE DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI (pag. 15);

3)  AGEVOLAZIONI PER CONFERIMENTI IN DENARO A IMPRESE “START UP INNOVATIVE” (pag. 17);

4) NESSUNA SANZIONE IN MERITO ALL’OBBLIGO DI ADOZIONE DEL POS SCATTATO IL 30 GIUGNO (pag. 19);
5)  RIMEDIO PER LE RATEAZIONI DECADUTE CON EQUITALIA (pag. 20);
6)  NOVITÀ IN TEMA DI RILASCIO DEL DURC E DEL “DURC INTERNO” (pag. 23);
7)  NOVITÀ IN TEMA DI FATTURAZIONE ELETTRONICA (pag. 24);

8) IL CANONE SPECIALE RAI (pag. 25);

Circolare n. 7 del 07-07-2014

Grandi strutture di vendita e VIA

07 Lug 2014
7 Luglio 2014

Il T.A.R. Veneto, sez. III, nella sentenza del 01 luglio 2014 n. 946 si occupa delle grandi strutture di vendita e della procedura di VIA. In particolare i Giudici confermano che la possibilità di ampliare le strutture di vendita esistenti superiori a 2500 mq è subordinata alla verifica della Valutazione di Impatto Ambientale: “che l’art.28 comma 4 della legge regionale Veneto citata prevede testualmente che le grandi strutture di vendita e i parchi commerciali autorizzati alla data di entrata in vigore della presente legge possono essere ampliati, con domanda da presentarsi entro il termine perentorio di 60 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, in misura non superiore al 20% della superficie autorizzata e comunque entro il limite massimo di 2500 m², nel rispetto dello strumento urbanistico comunale vigente alla data di entrata in vigore della presente legge nonché della normativa in materia ambientale, edilizia e viabilistica di cui alla legge regionale numero 15 del 2004, a condizione che il soggetto richiedente si impegni a iniziare i lavori entro e non oltre il termine di 60 giorni dal rilascio dell'autorizzazione, decorsi inutilmente i quali l'autorizzazione si intende decaduta. L'autorizzazione è rilasciata dal SUAP con le modalità di cui al capo VI della legge regionale 13 agosto 2004, numero 15;

che è dunque chiaro l’intento di promuovere investimenti immediati a rafforzamento delle strutture esistenti sul presupposto che ciò non incontri particolari difficoltà di ordine urbanistico o ambientale, prevedendosi rigide condizioni quali la presentazione della domanda entro il 1 marzo 2013, l'impegno a iniziare i lavori entro 60 giorni dal rilascio dell'autorizzazione, il limite massimo di superficie, la conformità urbanistica dell'ampliamento e il rispetto delle regole ambientali, edilizie e viabilistiche tratte dalla legge regionale n.15/2004, affidandosi allo sportello unico comunale il potere di rilascio dell'autorizzazione all'ampliamento:come chiarito nell'elaborato informativo pubblicato in calce alla legge, si tratta di una facoltà dell'operatore che è legittimato a esercitare una tantum, previa presentazione di apposita domanda di autorizzazione allo sportello unico per le attività produttive del comune competente, trovando applicazione le disposizioni procedurali in materia di conferenza di servizi di cui al capo VI della legge regionale numero 15 del 2004;

che l'articolo 22 della legge regionale del Veneto numero 50 del 2012 prevede che le grandi strutture aventi superficie di vendita superiore a 8000 mq. siano assoggettate alla valutazione di impatto ambientale;

che accedere alla interpretazione sostenuta dalla ricorrente comporterebbe la conseguenza di sottrarre alla predetta valutazione significative porzioni delle strutture commerciali esistenti nel territorio regionale ;

che se è vero che la normativa ambientale nazionale non distingue alcuna soglia dimensionale, è consentito che tale limite sia individuato dal legislatore regionale;

che appare significativo come con la legge del 2012 la Regione Veneto abbia ampliato l'ambito degli interventi assoggettati alla normativa in materia di valutazione d'impatto ambientale, prevedendo la verifica di assoggettabilità per tutte le grandi strutture con superficie di vendita superiore ai 2500 m quadri, laddove l'articolo 18 della legge numero 15 del 2004 escludeva dalla verifica di assoggettabilità le grandi strutture di vendita di dimensione inferiore a 4000 m quadri e quelle di dimensione compresa fra 4000 e 8000, qualora non accompagnata dalla contestuale presenza di attività di intrattenimento, somministrazione alimenti e bevande e artigianali;

che dunque e in definitiva il richiamo alla normativa edilizia e ambientale esistente di cui all'articolo 28 comma quattro deve essere interpretato nel senso di una eccezionale possibilità ampliativa consentita alle strutture di vendita esistenti, fatta salva tuttavia la necessità di rispettare quanto previsto ai fini della compatibilità ambientale dell'intervento”.

dott. Matteo Acquasaliente

TAR Veneto n. 946 del 2014

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